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Una religione libera per l’Europa

Nel documento Trent'anni di presenza nel mondo (pagine 80-94)

GIOVANNI MORETTO

Università di Genova

Nessun compito pare imporsi con maggiore urgenza all’Europa sulla soglia del terzo millennio dell’elaborazione di quella nuova “sintesi culturale” attorno a cui si era tanto affaticato, all’indomani del primo conflitto mondiale, il teologo e filosofo storicista Ernst Troeltsch. L’impresa, si sa, è ardua, ma niente meglio di essa può qualificare la

Bestimmung des Gelehrten, la “missione del dotto”, se è vero

che questa, secondo l’indicazione di Fichte, «consiste nel sorvegliare dall’alto il progresso effettivo del genere umano in generale e nel promuovere costantemente questo pro- gresso». Per assolvere un simile compito il “dotto”, l’ “intel- lettuale” deve «interrogare l’esperienza, indagare (ma con occhio affinato dalla filosofia) gli avvenimenti del passato, volgere lo sguardo intorno a sé ed osservare i propri con- temporanei», deve «sapere a quale determinato grado di cultura sia giunta, in quale determinato momento del tempo, la società a cui appartiene, a quale determinato grado essa debba elevarsi successivamente partendo da que- sto e di quali mezzi debba servirsi a tal fine». A ben guar- dare però, difficilmente riuscirà all’intellettuale dei nostri giorni di elaborare la sintesi culturale, capace di alimentare la vita spirituale dell’Europa del terzo millennio, in maniera piú felice di quanto due secoli fa è riuscito al poeta Novalis con lo scritto Christenheit oder Europa, nel quale quelle indi- cazioni fichtiane avevano trovato, alla distanza di soli cin-

que anni, la loro piú compiuta attuazione. Naturalmente se noi qui torniamo a volgere il nostro sguardo a questo scritto novalisiano, di cui Schleiermacher, oltre a Goethe, aveva consigliato la pubblicazione in «Athenaeum» in quanto scorgeva in esso una celebrazione del cattolicesimo medioe- vale e del papato romano, non è perché se ne possa indivi- duare la rinnovata attualità alla luce dei progetti di nuove evangelizzazioni piú o meno teocratiche. No, per la nuova Europa Novalis non coltivava il sogno di rinnovate teocra- zie. Come del resto avrebbe egli potuto esaltare il pon- tificato romano, come centro della vita spirituale europea, proprio nel momento in cui questo (in quanto “monarchia cristiana”), in seguito alla morte in esilio di Pio VI (29 ago- sto 1799) e alla trasformazione dello Stato della Chiesa in una repubblica (febbraio 1798), sembrava avviato al tra- monto? La visione idealizzata del medioevo cristiano, con cui si apre Christenheit oder Europa («i tempi belli e magnifici in cui l’Europa era una terra cristiana»), nelle intenzioni dell’autore, non è che il primo quadro di una retrospettiva messa al servizio della prospettiva sull’esempio della lessin- ghiana Educazione del genere umano: il passato viene evocato solo con lo sguardo rivolto ad un futuro migliore, al Van- gelo di una terza età. Ma, diversamente che in Lessing, non con l’aiuto di brevi tesi filosofico-teologiche, e nemmeno, come negli storici romantici, in forza di una trascrizione precisa dei processi storici. No, è con l’aiuto di grandi

immagini poetiche che vengono presentate in modo vivo le

epoche di una volta, i (cosí potremmo dire) diversi para-

digmi della cristianità o della vita religiosa europea. Infatti,

alla prima immagine del cattolicesimo medievale, celebrato in quanto fonte dell’unità europea, ne viene fatta seguire

una seconda, quella della Riforma protestante, celebrata a sua volta come legittima protesta «contro ogni pretesa rivolta alla coscienza da un potere scomodo e apparen- temente illegittimo»: essa rappresenta «una quantità di princípi giusti, ha introdotto un’infinità di cose lodevoli e tolto di mezzo un’infinità di ordinamenti perniciosi». E tuttavia, come la Riforma protestante, a suo modo, supera il cattolicesimo medievale, gli elementi negativi scaturiti dal principio protestantico sono tali da far scrivere a Novalis: «Con la Riforma protestante la cristianità era giunta alla fine. D’ora in poi non esisterà piú»; i cattolici e i protestanti europei stanno «ormai in una separatezza settaria piú lon- tani gli uni dagli altri di quanto non lo siano i maomettani e i pagani».

Gli elementi negativi destinati a portare al superamento del protestantesimo sono cosí elencati da Novalis: anzitutto la consegna della chiesa e della religione ai príncipi con conseguente perdita dell’ “interesse cosmopolitico” e, in secondo luogo, la fissazione della religione nell’angusta e morta lettera biblica (“religione antiquaria”). Ora è proprio come superamento di questi elementi che intende affer- marsi la terza immagine di questa novalisiana Educazione

della cristianità europea: l’immagine della modernità illumi-

nistica, sorta alla fine delle guerre di religione, quando «le teste sane di tutte le nazioni erano segretamente diventate maggiorenni». Qui Novalis ha evidentemente presenti affermazioni di Kant, che vedono «particolarmente nella

materia religiosa il punto culminante dell’illuminismo, che

rappresenta l’uscita degli uomini dallo stato di minorità che è a loro stessi imputabile [...]; e la minorità in materia reli- giosa è fra tutte le forme di minorità la piú dannosa e anche

la piú umiliante». Perciò, conclude Novalis, «la persona colta è per istinto nemica della religione di vecchio tipo».

Ma anche questa terza immagine reca in sé i germi del proprio superamento: in quanto volta a trasformarsi in sto- ria della moderna incredulità, essa è diventata per Novalis «la chiave per capire tutti i mostruosi fenomeni del tempo recente». È questo infatti «il risultato del moderno modo di pensare»: sapere e fede completamente separati; l’Europa, il giardino spirituale di un tempo, ridotta a un deserto del- l’intelletto. «Al distacco dalla Chiesa segue con intima consequenzialità il distacco da Cristo, e a questo il distacco da Dio! Dall’avversione verso la Chiesa, quindi, attraverso l’avversione verso la Bibbia, in direzione dell’avversione verso la religione in generale! Sí, con il disprezzo della reli- gione disprezzo anche della fantasia, del sentimento, del- l’amore per l’arte, dell’eticità, della preistoria e del futuro! L’uomo? Un semplice essere naturale. Il cosmo? Un mulino gigantesco che gira a vuoto, senza mugnaio. Dio? L’ozioso spettatore di uno spettacolo commovente che le persone colte mettono in scena. Preti e frati? Sostituiti da questa nuova congrega di illuministi e filantropi. E infine una rivo- luzione che conduce al dominio del terrore, e guerre rivoluzionarie che producono semplicemente caos». Ma una tale visione, lungi dall’essere il segno di un pessimismo culturale antimoderno, è destinata a dischiudere la pro- spettiva di una quarta epoca futura: dopo il tempo della “massima irreligiosità” è venuto il tempo della “resurre- zione”: «la vera anarchia è l’elemento che fa nascere la reli- gione. Dalla distruzione di ogni elemento positivo essa eleva il suo capo glorioso come una nuova fondatrice del mondo». Ovunque Novalis avverte «le tracce di un nuovo

mondo»: inizia «a pulsare una nuova piú alta vita religiosa». Cosí la quarta immagine di questa fenomenologia novali- siana della cristianità tende a confondersi con la visione utopica di un’umanità riconciliata e pacificata su cui si chiude il Nathan di Lessing: «Sull’Europa scorrerà ancora sangue fintantoché le nazioni non prenderanno coscienza della loro spaventosa follia che le fa correre intorno in cir- coli, e, toccate e placate da sacra musica, si accosteranno agli altari di una volta in una colorata mescolanza, intra- prenderanno opere di pace, e un grande banchetto d’a- more, quale festa di pace, verrà festeggiato con calde lacrime su fumanti campi di battaglia. Solo la religione può risvegliare l’Europa e assicurare i popoli e reinsediare chia- ramente con nuovo splendore la cristianità nel suo antico ufficio pacificatore sulla terra». Queste parole di Novalis, costruite sul modulo piú caratteristico della profezia biblica (in particolare di quella di Isaia 25, 6 ss. e 66, 18 ss. – uno dei rari documenti dell’universalismo soterico biblico – sul «banchetto messianico per tutti i popoli», durante il quale Dio «strapperà il velo che copriva la faccia di tutti popoli e la coltre che copriva tutte le genti» – nel seguito pure Nova- lis giocherà sul concetto di “velo” [Schleier] per alludere a Schleiermacher), verranno citate nel 1942 dai giovani cospiratori e martiri della Rosa Bianca come una promessa di libertà sotto la forca eretta nel cuore dell’Europa da una delle piú atroci tirannie conosciute dalla storia.

Ora, in questa «nuova età dell’oro con infiniti occhi scuri, un’età profetica, miracolosa e risanatrice, capace di consolare o di accendere vita eterna – una grande età di ri- conciliazione...», in questa “era religiosa”, con la quale «ha inizio una nuova storia universale», e della quale Novalis si

considera «uno dei primogeniti» – è il mistagogo Schleiermacher a introdurre. È infatti a lui, che in quello stesso ultimo anno del secolo dei lumi aveva dato alla luce i suoi celebri Discorsi sulla religione, che invia Christenheit oder

Europa: «Vi voglio condurre da un fratello, egli vi deve par-

lare, in modo che i vostri cuori si sollevino e ridiate corpo al vostro amato intorpidito presagio, comprendiate di nuovo e riconosciate che cosa avevate di fronte agli occhi e che cosa il pigro intelletto terreno non vi poteva cogliere. Questo fratello è il battito del cuore del nuovo eone (der

Herzschlag der neuen Zeit), chi lo ha sentito non dubita piú

del suo giungere, e si ritrae dalla massa, dolcemente orgo- glioso della sua contemporaneità (Zeitgenossenschaft), per accostarsi alla nuova schiera dei discepoli. Egli ha fatto un nuovo velo (Er hat einen neuen Schleier gemacht) per la Santa (i.e. la Religione; heilig è uno dei termini che ricorrono con maggiore frequenza nelle Reden schleiermacheriane), che aderendo tradisce la divina struttura delle membra».

La contemporaneità con Schleiermacher, con «il battito del cuore del nuovo eone», di cui è dolcemente orgoglioso Novalis, non è un mero dato cronologico, essa è piuttosto una contemporaneità ideale, “elettiva”, e perciò un com- pito, come si conviene allo spirito della religiosità “liberale” annunciata nei Discorsi sulla religione. Un compito che, in quanto prospettato come il compito della religione post- moderna, a distanza di due secoli non cessa di essere anche il nostro compito, se è vero che esso riconosce come pro- pria dimensione culturale autentica soltanto la dimensione escatologica, e quindi postula, nell’atteggiamento del- l’uomo religioso, come prima virtú, etica e dianoetica, la “pazienza”, come ben sanno sia Lessing che Novalis, i quali

per l’Erziehung dell’umanità e insieme della cristianità non possono che raccomandare: «Solo pazienza; verrà, deve venire il tempo santo della pace eterna, nel quale la nuova Gerusalemme sarà la capitale del mondo; e fino ad allora siate sereni e fatevi coraggio nei pericoli del tempo, com- pagni della mia fede, annunciate con la parola e l’azione il Vangelo divino e restate fedeli fino alla morte alla fede vera e infinita». Schleiermacher è stato dunque visto da Novalis, ma anche dagli altri sodali del romanticismo berlinese, come il mistagogo della religione della post-modernità, e ciò non a caso. I Discorsi sulla religione, infatti, si rivolgono all’uomo educato e istruito della modernità (i Gebildeten che per fraintendimento e disinformazione disprezzano la reli- gione) per condurlo oltre se stesso, verso una razionalità, un’Aufklärung che, dopo aver gettato la propria luce sulla «storia delle follie umane», sulle superstizioni, sia in grado di gettarla criticamente anche su se stessa, e fargli com- prendere che «il fine dei vostri piú nobili sforzi attuali è nello stesso tempo la resurrezione della religione! Sono le vostre fatiche che apporteranno necessariamente tale fatto, ed io vi celebro come i salvatori e i tutori, sebbene involon- tari, della religione. Non abbandonate il vostro posto e la vostra opera fino a quando non avrete dischiuso i penetrali piú intimi della conoscenza e non avrete aperto con sacer- dotale umiltà il santuario della vera scienza, dove viene compensato a tutti quelli che entrano, ed anche ai figli della religione, tutto ciò che una mezza scienza e l’arro- gante vanagloria da essa suscitata avevano loro fatto per- dere». Sí, proprio questi virtuosi romantici della religione – Novalis e Schleiermacher –, per quanto la cosa possa apparire paradossale, sono i propugnatori della religione

della postmodernità, che per essere tale non deve né può dimenticare le esigenze e le esperienze dell’Aufklärung. Per quanto, o forse proprio perché esperta di segrete identifi- cazioni con la poesia e la musica (il velo che, secondo l’im- magine di Novalis, Schleiermacher intesse per la religione non richiama alla mente il foscoliano velo delle Grazie e il goethiano der Dichtung Schleier?), la religione da essi annun- ciata, lungi dal lasciarsi giudicare con il principio confes- sionale, fonte di dogmatismi e fondamentalismi, si vuole affidato continuamente a una segreta ispirazione, che «è il nome religioso della libertà», convinta com’è, non meno della poesia, che «la fantasia sia la facoltà piú alta e piú ori- ginaria dell’uomo», e che, fuori di essa, tutto sia soltanto riflessione su di essa. Una tale religione non può che aspi- rare a dispiegarsi in quella umanissima Kirche der Freiheit, “Chiesa della libertà”, sulla cui prospettiva si chiude la nova- lisiana Christenheit oder Europa, e che Schleiermacher ha fis- sato con i tratti della comunità, liberale ed ecumenica, degli spiriti religiosi in perenne dialogo tra loro: «Essi, infatti, fra di loro sono un coro di amici. Ciascuno sa che anch’egli è una parte e un’opera dell’Universo, che anche in lui si rivela la sua divina azione e la sua vita divina. Egli si consi- dera, dunque, come un degno oggetto d’intuizione per gli altri. Le relazioni dell’Universo che egli percepisce in sé, gli

elementi di umanità che si formano originalmente in lui,

tutto ciò è manifestato da lui con sacro rispetto, ma anche con premurosa franchezza in modo che ciascuno entri e veda. Per quale ragione essi si dovrebbero nascondere qual- cosa tra di loro? Tutto ciò che è umano è sacro, perché tutto è

divino. Essi sono tra di loro un’alleanza di fratelli. Quanto

scuno comunica se stesso all’altro, tanto piú perfettamente essi diventano una sola cosa; nessuno ha una coscienza a parte per sé, ciascuno ha insieme quella dell’altro; essi non sono piú soltanto singoli uomini, ma sono anche l’intera umanità, e, uscendo fuori di sé, trionfando su di sé, essi sono sulla via della vera immortalità e della vera eternità. Se voi avete trovato qualche cosa di piú sublime in un altro campo della vita umana o in un’altra scuola di saggezza, comunicatemela: io vi ho dato la cosa sublime che pos- siedo». Eccola, dunque, la parola sublime che Sch- leiermacher rivolge, quasi con accento di sfida, ai suoi con- temporanei passati attraverso l’esperienza della modernità:

Tutto ciò che è umano è sacro, perché tutto è divino. Ma una simile

parola può serbare un accento di attualità anche per l’uomo di oggi? Non è essa fin troppo datata con il suo accento panteistico? Eppure, a ben vedere, non è con il disinvolto uso di etichette come panteismo romantico, razionalismo, soggettivismo, estetismo che ci si può con- frontare con la concezione del religioso in esso enunciata. No, Schieiermacher non avrebbe potuto essere riconosciu- to come il mistagogo religioso del nuovo eone se non avesse avuta ben chiara in mente l’idea che la religione ha a che fare con il singolo e la Trascendenza, e non può quindi dis- solversi in un qualche suo senso traslato. Certamente anche per lui, come per il Fichte dell’Atheismusstreit, l’oggetto della religione non può essere identificato con il Dio persona della tradizione giudaico-cristiana, giacché una raffigura- zione (o cifra, per usare un’espressione jaspersiana) della divinità «nella religione non è tutto, ma una parte», cioè «una specie d’intuizione religiosa» che non necessaria- mente deve essere preferita alle altre: nella religione vera

invece l’Universo, la Trascendenza, l’infinito è piú del Dio persona, è piú grande di tutte le sue rappresentazioni. In una tale prospettiva, quindi, piú che con un panteismo, si ha a che fare con una concezione “liberale” del religioso che, lungi dall’estenuarsi in un idolatrico antropo- centrismo, investe del principio della libertà tutte le piú vitali categorie elaborate dalle religioni e confessioni stori- che per evidenziarne il significato universale che le abiliti ad un’applicazione estensibile non solo agli adepti e ai fedeli di quelle religioni, ma ad ogni uomo che venga in questo mondo. In effetti, investite del soffio della libertà, che le liberi dal soffocante abbraccio del confessionalismo, categorie come vita eterna, grazia, rivelazione, ispirazione, miracolo, Chiesa, ecc. risultano le piú idonee ad esprimere quello che accade – con carattere di evento e di dono – nello strutturarsi trascendentale della coscienza del singolo individuo. Insomma, in quanto indicanti una struttura costitutiva dello spirito umano, oltre a qualificare quest’ul- timo come il luogo autentico e originario di ogni possibile rivelazione religiosa, esse permettono a Schleiermacher di fissare emblematicamente il nucleo del liberalismo reli- gioso nelle formule: «Tutto è miracolo», «Tutto è grazia», «Tutto è divino». Ora, contro una simile concezione del religioso, solo arbitrariamente si potrebbe avanzare l’accusa di soggettivismo astorico e costruttivismo intellettualistico. Per avanzarla, come purtroppo si continua a fare, bisogne- rebbe dimenticare che l’ultimo dei cinque discorsi schleier- macheriani è dedicato proprio alle religioni storiche inda- gate con il metodo storicistico della comparazione. No, Schleiermacher non è dimentico della storia e nemmeno può essere detto con Dilthey, il suo biografo per eccellenza,

un unhistorischer Kopf. Anzi il suo homo religiosus è da lui visto espressamente come l’essere che incarna in sé l’essenza della storia. E ciò perché è proprio in esso che egli ha rav- visato il vero criterio capace di discriminare e giudicare l’in- tera storia delle religioni positive. Queste ultime, infatti, hanno la loro origine ultima nella rivelazione attinta dal- l’intuizione e dal sentimento di un individuo, la quale rive- lazione però mai potrebbe presumere, pur nella sua eleva- tezza ed eccellenza etico-religiosa, di essere qualitativamente diversa dalla rivelazione che costitutivamente presiede alla strutturazione di ogni singolo uomo come “uditore della parola”. Di qui il carattere inevitabilmente ecumenico della religione qual è nella mente di Schleiermacher. Ma di qui anche la necessità che in un’autentica paideia religiosa ci si preoccupi piú di essere “religiosi” che di essere cristiani, musulmani, ebrei, buddhisti ecc., perché solo cosí è possi- bile che alla fine ci si scopra anche piú autenticamente cri- stiani, musulmani, ebrei, buddhisti ecc.. È in effetti soltanto da una tale paideia – in questo senso non si sottolineerà mai abbastanza il significato della terza Rede schleiermacheriana dedicata all’educazione religiosa “liberale” – che potrà sor- gere la fondata speranza che la religione, anche di fronte agli enormi compiti che attendono l’umanità del terzo mil- lennio, possa costituire il ragionevole fondamento di un

ethos mondiale. Sí, perché, come sapevano Novalis e

Schleiermacher alla fine del secolo dei lumi, anche gli uomini piú religiosamente responsabili del tardo Nove- cento sanno, con ancor piú fondate ragioni, che non può esserci pace tra le nazioni se non c’è pace tra le religioni, e che queste devono essere giudicate alla luce del criterio della Humanitas, cioè della promozione dell’umanità, nel

convincimento che in tal modo, lungi dal chiudersi in un inconcludente antropocentrismo, si esalta nell’uomo e nel- l’umanità quella dimensione divina che già per Aristotele costituiva il motivo dell’athanatízein, del pensare da immor- tali e che ha indotto Schleiermacher a siglare il proprio liberalismo religioso con la formula già citata: Tutto ciò che è

umano è sacro, perche tutto è divino. Ora se questa dimensione

divina presente nell’uomo, ed elaborata dalla riflessione schleiermacheriana in maniera trascendentale, si afferma con i caratteri dell’universalità, concerne cioè la natura, il

Wesen umano, è ovvio che essa non può tollerare alcuna pre-

tesa di assolutezza nel dominio delle religioni. Per essa risul- tano un assurdo l’affermazione “Extra ecclesiam nulla

Nel documento Trent'anni di presenza nel mondo (pagine 80-94)