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LA RESPONSABILITÀ SCIISTICA

II.1.4. Responsabilità civile in caso di scontro fra sciator

“La pratica dello sci comporta per lo sciatore la probabilità di cadute e quindi un certo rischio per la propria integrità fisica che egli stesso crea ed accetta. Oggi peraltro il rischio maggiore per lo sciatore è costituito non

195 ADILARDI, La prova nella responsabilità sciistica, in IZZO, PASCUZZI op .cit., 76, nello

stesso senso anche BRUCCOLERI, La ricostruzione dell’incidente sciistico nella prassi

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dalla situazione di pericolo collegata alla sua personale attività, ma dalla condotta pericolosa tenuta sulla pista dagli altri”196.

Sulla base della classificazione delle attività sportive operata dalla dottrina penalistica197, ma utile ai fini civilisti, lo sci si iscrive nel gruppo delle

attività sportive che possono essere svolte da un gruppo di persone contemporaneamente in uno stesso luogo senza che sia necessario alcun tipo di contatto fisico, pertanto gli eventuali scontri fra sciatori costituiscono un’eventualità spesso ascrivibile ad imprudenza198.

Ogni sciatore oltre ad essere tenuto ad attenersi agli obblighi che l’ordinamento statale pone in termini generici di condotta, nell’esercizio dell’attività sciatoria è obbligato a rispettare specifiche norme comportamentali dovute alle peculiarità della pratica esercitata. Infatti la pratica dello sci richiede un elevato grado di abilità e, quantomeno, una discreta capacità di controllo dei propri movimenti e del mezzo sci, sicché “la forma di colpa più tipica in questo caso è quella dell’imperizia dovuta ad inesperienza o ad insufficiente conoscenza delle regole tecniche dello sport, degli accorgimenti necessari a mantenere in ogni momento e in qualsiasi circostanza il controllo della velocità e dell’equilibrio” 199.

In questo quadro hanno acquisito un valore sempre crescente le regole contenute nel Decalogo F.I.S..

L’atteggiamento della giurisprudenza italiana di fronte agli incidenti infrasciatori si può definire abbastanza costante negli anni, infatti a tali

196 PRADI M., voce Sci alpino, in Dig. disc. priv., vol. XXVIII, UTET, Torino, 162. 197 Albin Eser molto utilmente classifica le attività sportive in quattro gruppi:

- attività che hanno come scopo quello di causare lesioni (box, karate, judo ecc.),

- attività praticate da un numero indeterminato di persone nel medesimo centro sportivo senza che questo tipo di attività comporti un contatti fisico diretto e reciproco e senza essere dirette ad un comune obiettivo (sci, lancio del peso, allenamento individuale ecc.)

- attività in cui si ha di mira il medesimo obiettivo (gare automobilistiche, atletica)

- attività che prevedono una competizione fra squadre avversarie, si tratta di attività in cui gli attacchi corporali non sono l’obiettivo primario, ma talvolta sono inevitabili (calcio, basket, pallamano ecc.)

198 DIAZ ROMERO M.R. , La Responsabilidad Civil Extracontractual de los Deportistas, in

Anuario de Derecho Civil, 2000, 1508.

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fattispecie è stato sempre applicato l’art. 2043 c.c. senza cadere nella tentazione di applicare gli artt. 2050 (esercizio di attività pericolose) e 2054 (circolazione stradale) c.c., norme contenenti presunzioni di responsabilità che avrebbero potuto rivelarsi utili in un ambito, come quello sciistico, dominato dalla difficoltà di provare esaustivamente le concrete dinamiche del sinistro.

La centralità applicativa dell’art. 2043 c.c. “si rafforza ove si ritenga, con i giudici di legittimità e come dimostrano di fare le corti di merito, che le norme contenute nel Decalogo FIS altro non siano che la declinazione tecnica dei criteri di prudenza a cui guarda l’applicazione dell’art. 2043 c.c.”200.

La giurisprudenza ha riconosciuto lo speciale rapporto che lega il generale principio del neminem laedere, alla base dell’art. 2043, e le norme FIS, ed in proposito si è affermato che “ le norme FIS accanto alla legge (art. 2043 c.c.) o meglio come integrazione della legge, costituiscono oggi la fonte principale del diritto sciistico in materia di comportamento degli sciatori sulle piste”201.

La stessa Cassazione si è espressa circa l’effettività delle regole di condotta dello sciatore conferendogli una patente di obbligatorietà. La Corte ha infatti stabilito che sebbene il giudice non sia tenuto ad attenersi a tali regole per discostarsene dovrà provarne la loro illogicità o irragionevolezza202. Alla luce di questa presa di posizione appare chiaro che

il comportamento degli sciatori sulle piste deve svolgersi secondo le regole di prudenza ricavabili dal Decalogo dello sciatore.

Oggi la pervasività e l’effettività di queste norme di condotta è confermata dalla legge n. 363/2003 che ne ha incorporato e dettagliato i contenuti, ma in maniera, come già osservato, alquanto discutibile soprattutto in relazione agli artt. 9 e 19, norme che richiamano la disciplina della

200 CASALE E., La responsabilità civile in caso di scontro fra sciatori, in La responsabilità sciistica:

analisi giurisprudenziale e prospettive della comparazione, IZZO U., PASCUZZI G. (a cura di), ,Torino, 2006, 177.

201 Corte d’Appello di Trento, 29 marzo 1999, n. 38, in IZZO, FERRARI, La responsabilità

sciistica: banca dati, cit.

202 Cass. pen., Sez. IV, 6 maggio 1986, in IZZO, FERRARI, La responsabilità sciistica: banca

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circolazione stradale che per la giurisprudenza non sarebbe estendibile alla pratica sciistica203 .

Prima di dar conto delle soluzioni concretamente adottate in relazione agli incidenti infrasciatori pare opportuno esporre brevemente le ragioni che hanno condotto ad escludere l’applicabilità dell’art. 2050 c.c. a tali fattispecie.

Il ricorso a tale norma in quest’ambito sarebbe motivato da ragioni principalmente processuali in quanto contiene la previsione di inversione dell’onere probatorio tra danneggiante e danneggiato: “chiunque cagiona danno ad altri nello svolgimento di un’attività pericolosa, per sua natura o per la natura dei mezzi adoperati, è tenuto al risarcimento, se non prova di avere adottato tutte le misure idonee ad evitare il danno”. Lo sciatore danneggiato potrebbe dunque giovarsi di tale regime probatorio, ma in ambito sciistico è alquanto improprio il ricorso a questo meccanismo dal momento che lo sci non può definirsi come un’attività pericolosa in sé in quanto i rischi insiti nella disciplina sono concretizzati dalle condotte dei praticanti.

Per confutare a dovere l’adattabilità dell’art. 2050 alle fattispecie in esame è però opportuno confrontare i presupposti di applicabilità della norma con i caratteri propri dell’attività sciistica.

Anzitutto è necessario individuare un criterio distintivo tra attività pericolose e non pericolose.

La soluzione più immediata potrebbe essere quella di riferirsi alle qualificazioni compiute dal legislatore in materia di attività pericolose, ma la giurisprudenza della Cassazione non ha ritenuto praticabile questa

203 Cass. 1 aprile 1980, n. 2111, in Foro It, 1980, I, 1233 Cass. 30 luglio 1987, n. 6603, in

Arch. Circolaz., 1988. “Alla circolazione con gli sci non è applicabile la disciplina prevista

dal Codice della Strada per la circolazione dei veicoli e neppure quella, a quest’ultima strettamente collegata,relativa al risarcimento del danno. Ne consegue che la tutela delle persone che rimangono danneggiate nel corso di tale tipo di circolazione resta garantita dalle norme generali sulla responsabilità extracontrattuale, nella quale spetta al danneggiato dare la prova della colpa di colui che ha cagionato il danno”(Cass civ., Sez. III, 30 luglio 1987, n. 6603, in Dir e Prtat. Ass., 1987, 863) Si ricorda anche una pronuncia di merito “la fattispecie va ricondotta all’art. 2043 c.c. non potendo applicarsi, ad avviso di questo Collegio, la presunzione di cui all’art. 2054 comma 2°, per non essere gli sci un veicolo, ma piuttosto un particolare attrezzo che, utilizzato dall’uomo, consente spostamenti non certo riferibili ad un concetto di circolazione quale quello delineato dalla suddetta norma”(Trib. Aosta, 23 luglio 1992).

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opzione in quanto “il giudizio sulla pericolosità dell’attività prevista nell’art. 2050 c.c. quando non è riconducibile ad una valutazione del legislatore è rimesso all’apprezzamento del giudice di merito”204;

confermando tale presa di posizione si è sostenuto che “costituiscono attività pericolose ai sensi dell’art. 2050 c.c. non solo le attività che tali sono qualificate dalla legge di pubblica sicurezza o da altre leggi speciali, ma anche le diverse attività che comportino la rilevante probabilità del verificarsi del danno, per la loro natura o per le caratteristiche dei mezzi utilizzati”205. La sussistenza di un’attività pericolosa sarà dunque oggetto di

una quaestio iuris solo quando la qualificazione di tale attività deriva da una determinazione normativa, mentre i restanti casi saranno oggetto di una quaestio facti risolvibile dal prudente apprezzamento del giudice di merito ed insindacabile in sede di legittimità.

La giurisprudenza anziché offrire un criterio atto alla semplificazione sembra dunque complicare il quadro alimentando la formazione di un mutevole elenco di attività pericolose.

Per far chiarezza non resta che ricorrere alla dottrina che ha cercato di qualificare tali attività facendo leva sui termini di “attività” e “pericolosità”. Il concetto “attività” ex art. 2050 c.c. è da riferire preferibilmente ad una serie di atti e fatti, mentre singoli ed isolati atti intrinsecamente pericolosi ricadrebbero nella disciplina dell’art. 2043 c.c.206. Alla luce di questa

impostazione comunque non si dovrebbero considerare pericolose le sole attività imprenditoriali, in quanto non vi sono motivi per escludere dalla classificazione attività biologiche, non esercitate a fini economici, che si sostanziano in atti seriali orientati ad un fine oggettivamente pericoloso207.

Quanto alla “pericolosità” per distinguere fra attività disciplinate ex artt. 2050 o 2043 c.c. viene proposto un criterio basato sulla dimensione

204 Cass. civ., Sez. III, 30 agosto 1995, n. 9205, in Danno e Resp., 1996, 2, 255. 205 Cass. civ., Sez. III, 10 febbraio 2003, n. 1954, in Giur. It., 1996, I,1, 466.

La stessa Cassazione in un'altra pronuncia afferma che “un’attività può ritenersi pericolosa, per gli effetti di cui all’art. 2050 c.c., soltanto quando la potenzialità lesiva costituisce uno dei suoi naturali attributi o integri una connotazione propria dei mezzi utilizzati per esercitarla”. Cass.civ., Sez. III, 22 maggio 2000, n. 6113, in Danno e Resp., 2003, 7, 781.

206 CASALE, La responsabilità civile in caso di scontro fra sciatori, cit., 185.

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oggettiva dell’ attività in concreto considerata; mentre l’art. 2050 c.c. si applica a situazioni di pericolo in cui il potenziale danno dipende dall’esercizio dell’attività oggettivamente considerata208, alla luce delle

conoscenze tecniche e scientifiche presenti al momento della verificazione dell’evento dannoso. Si sostiene inoltre che questa norma assegna un ruolo di primaria importanza al concetto di precauzione eleggendolo a elemento “portante della sua struttura di giudizio, e così diversificando radicalmente il modo in cui questo concetto di norma opera all’interno di un giudizio fondato sulla clausola generale dell’illecito aquiliano”209.

Così nella sua “emergenza precauzionale” in sede processuale l’art. 2050 c.c. sposta tutta l’attenzione sul convenuto facendo gravare su di questi l’onere di dimostrare di aver adottato tutte le cautele volte a prevenire il danno210. La soluzione sottesa all’operatività di tale onere probatorio

risiederebbe nella considerazione del fatto che le attività pericolose costituiscono, in ultima analisi, delle attività “lecite, astrattamente idonee a cagionare danni anche qualora vengano prese tutte le misure precauzionali conosciute dalla scienza e dalla tecnica” e sono fonte di responsabilità solo se chi le esercita non è in grado di dimostrare di aver adottato un comportamento conforme ai canoni precauzionali conosciuti dalla miglior scienza al tempo della verificazione del danno211.

L’art. 2043 c.c. ha invece ad oggetto delle situazioni in cui la materializzazione del rischio in danno deriva dalla concreta condotta degli agenti e trova applicazione ove si ritenga che la condotta del presunto danneggiante non si sia adeguata ad uno standard di comportamento precedentemente individuato; in tali ipotesi inoltre spetterà all’attore

208 TRIMARCHI P., Rischio e responsabilità oggettiva, Milano, Giuffrè, 1961.

209 IZZO U., La precauzione nella responsabilità civile. Analisi di un concetto sul tema del danno da

contagio per via trasfusionale, Cedam, Padova, 2004, 647.

210 L’attore è “sollevato” dal dimostrare la preesistenza di un comportamento adeguato in

quanto la norma “rinvia ad una situazione di pericolo originale ed inedita” e pertanto anche gli standard precedenti potevano essere inidonei ad evitare il danno. Per questo l’agente è il solo a poter fornire la prova che ha adottato un comportamento massimamente precauzionale. MONATERI P.G., La responsabilità civile, nel Trattato di

diritto civile, (diretto da SACCO), III, Utet, 1998, p. 1211.

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fornire la prova della colpevolezza dell’agente per la non conformità a standard socialmente noti ed accettati.

Alla luce delle considerazioni fin ora svolte si concorda sul fatto che l’art. 2050 c.c. “dovrebbe trovare applicazione quando il danno sia espressione di un pericolo legato all’ignoto scientifico-tecnologico”212, così tornando

all’attività sciistica non sembra plausibile considerarla come attività pericolosa facendola rientrare nello schema applicativo della norma a questa dedicata.

L’art. 2043 c.c. viene a porsi dunque come la norma più idonea ad accertare eventuali responsabilità in caso di incidenti sciistici poiché questi sinistri sono riconducibili all’agire umano sempre paragonabile ad un modello di condotta astraibile dalla concreta osservazione dell’esperienza

213.

Dunque anche se è indubbio che lo sci è intrinsecamente pericoloso lo si dovrà intendere in senso “atecnico” per evitare fraintendimenti ed infelici riferimenti all’art. 2050 c.c. 214.

È giunto ora il momento di considerare alcune pronunce significative per verificare, in concreto, le soluzioni operative adottate dalla nostra giurisprudenza.

L’analisi delle condotte effettivamente poste in essere dalle parti coinvolte nell’incidente risulta di primaria importanza al momento di accertare le eventuali responsabilità e le corti nel fornire una risposta in tal senso tendono a confrontare tali condotte al generale modello di sciatore “prudente” che emerge dal Decalogo FIS.

L’incidente sciistico più ricorrente è caratterizzato dall’investimento di uno sciatore, che prima dello scontro si trovava “a valle”, da parte di un secondo sciatore proveniente “da monte”.

In giurisprudenza a questi sinistri si è applicata la regola generale, prevista dal Decalogo FIS, in base alla quale è lo sciatore situato a valle ad avere la

212 IZZO, La precauzione nella responsabilità civile. Analisi di un concetto sul tema del danno da

contagio per via trasfusionale op. cit., 505.

213 CASALE, La responsabilità civile in caso di scontro fra sciatori, cit., 188.

214 Come suggerisce CHINÈ G., Con la neve alta così: sci, impianti di risalita e responsabilità

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precedenza in quanto lo sciatore proveniente da monte “essendo in posizione dominante”215, ha l’obbligo di impostare correttamente la propria traiettoria in modo da evitare di interferire nella traiettoria di chi scia più a valle”216.

Sono numerose le pronunce che addebitano la responsabilità allo sciatore proveniente da monte per non aver ottemperato agli obblighi di evitare il sinistro derivanti dalla sua “posizione privilegiata”217. Detti obblighi

vengono specificati e dettagliati in una serie di accortezze che tale soggetto avrebbe dovuto tenere ad esempio adeguando la propria velocità alle condizioni di affollamento, di innevamento ed al grado di difficoltà della pista, ovvero valutando il comportamento dello sciatore che si trovava più a valle.

L’obbligo di prudenza gravante sullo sciatore a monte è molto esteso ed in alcuni casi la sua responsabilità viene affermata anche senza la prova di eccessiva o inadeguata velocità, solo sulla base del fatto che si è verificato l’investimento dello sciatore a valle 218.

215 Punto n. 3 del Decalogo FIS.

216 Cass. civ, Sez. III, 1 aprile 1980, n. 2111, in Foro It. Rep., 1980.

217 Il Tribunale di Trento ritenne responsabile dell’investimento di una sciatrice, che

lentamente stava affrontando una discesa sotto la supervisione del maestro di sci, un’altra sciatrice che proveniva da monte a forte velocità. La convenuta era colpevole di non aver adeguato la velocità di discesa alla presenza degli altri sciatori. Tribunale di Trento, 26 febbraio 1996, n. 153, in IZZO, FERRARI, La responsabilità sciistica: banca dati, cit..

Si veda inoltre Tribunale di Trento, Sez. distaccata di Cavalese, 21 maggio 2004, n. 50, in IZZO, FERRARI, La responsabilità sciistica: banca dati, cit.: “a norma del decalogo FIS e della clausola generale dell’art. 2043 c.c., lo sciatore procedente da monte deve tenere una condotta ed una velocità adeguate alle condizioni del terreno e poiché è in una posizione dominante con la possibilità di scegliere il percorso, è obbligato a seguire una traiettoria che eviti il pericolo di una collisione con lo sciatore più a valle”. (Nella specie l’attore chiede il risarcimento, adducendo il fatto di essere stato investito dal convenuto che procedeva da monte). Sempre il Tribunale di Trento ha deciso che “in caso di scontro tra sciatori risponde dei danni lo snowboarder proveniente da monte che, potendo scegliere la traiettoria della propria discesa, entra in collisione con lo sciatore procedente più a valle”. (Tribunale di Trento, Sez. distaccata di Cavalese, 23 dicembre 2004, n. 117, in IZZO, FERRARI, La responsabilità sciistica: banca dati, cit).

218 “Non vale affermare, come ha ripetutamente fatto il convenuto, che non sussiste

alcuna diretta e specifica prova in ordine all’eccessività o comunque all’inadeguatezza della sua velocità di discesa. Una siffatta eccessività o inadeguatezza, infatti, è di per sé dimostrata dall’avvenuto scontro, nel senso che la circostanza che il convenuto, malgrado le sue ottime capacità e la sua perfetta conoscenza della pista, non sia riuscito ad evitare l’impatto con l’attrice, costituisce la migliore prova del fatto che il convenuto abbia più volte affrontato il più volte menzionato cambio di pendenza a una velocità che, qualunque fosse, non gli ha consentito né di arrestarsi per tempo, né di compiere alcuna seria manovra di emergenza, vale a dire a una velocità certamente superiore a quella per

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Inoltre si osserva che ai fini dell’attenuazione di tali obblighi sono assolutamente irrilevanti le considerazioni circa la facilità 219, la difficoltà di percorrenza del tratto di pista220, scenario dell’incidente, ovvero circa il

grado di esperienza sciistica dell’investitore221: in quanto “nelle situazioni

governate dall’art. 2043 c.c. il difetto di perizia può diventare indice di imprudenza riguardo al contesto nel quale si è verificato il sinistro” 222.

Bisogna comunque sottolineare che la condotta del danneggiante non è l’unico elemento da valutare per affermarne la responsabilità infatti anche il contegno dello sciatore investito viene preso in considerazione dalla giurisprudenza nel giudizio di colpevolezza223. Sulla base del decalogo FIS infatti lo sciatore che si trova più a valle è tenuto ad adottare un comportamento idoneo a non costituire un pericolo per gli altri ed ove contravvenga a tale obbligo, ad esempio muovendosi in maniera improvvisa e repentina, i giudici non possono che riconoscere un concorso di colpa dell’investito limitando l’entità del risarcimento del danno 224 .

contro impostagli dai (…) punti 2 e 3 del Decalogo dello sciatore”. Tribunale di Trento, Sez. distaccata di Cavalese, 13 gennaio 2005, in IZZO, FERRARI, La responsabilità sciistica:

banca dati, cit.

219 Tribunale di Trento, 23 luglio 1996, n. 758, in IZZO, FERRARI, La responsabilità

sciistica: banca dati, cit., nel caso di specie si riconosceva la responsabilità, per i danni che

aveva cagionato investendo la sciatrice procedente più a valle che effettuava la discesa “a spazzaneve”, di una sciatrice proveniente da monte per non aver moderato la velocità, adeguandola alle condizioni della pista che si restringeva ed al suo grado di affollamento.

220 Tribunale di Trento, 25 gennaio 1988, n. 27, in IZZO, FERRARI, La responsabilità

sciistica: banca dati, cit., nella specie, uno sciatore inesperto che procedeva lentamente su