LA RESPONSABILITÀ NELL’ALPINISMO E NELLE ALTRE ATTIVITÀ SPORTIVO-RICREATIVE
II.2.2. Tutela dell’affidamento e responsabilità dell’accompagnatore per incidenti alpinistici: quali norme applicare?
La materia della responsabilità civile degli accompagnatori, qualificati o non qualificati, per gli incidenti alpinistici costituisce un terreno poco indagato dalla dottrina e ciò è dovuto principalmente al fatto che le dimensioni del relativo contenzioso sono molto ridotte rispetto a quanto osservato per lo sci.
Un maggior numero di pronunce sono offerte dalla giurisprudenza penale ove, com’è noto, l’azione è obbligatoria.
Chi si è interrogato sulle ragioni dell’esiguità delle sentenze civili in quest’ambito ha sottolineato che gli alpinisti, in virtù di valori morali ed etici condivisi, sarebbero naturalmente poco propensi ad instaurare controversie legali gli uni contro gli altri416. Questi soggetti sono infatti
consapevoli dei rischi ineliminabili connaturati all’attività che svolgono e sono altresì animati, sul piano etico, da uno spirito di solidarietà reciproca e da un profondo senso di responsabilità per le proprie azioni. Un tale atteggiamento psicologico condiviso ha come diretta conseguenza la convinzione che “ogni antigiuridicità debba trovare soluzione, ed eventualmente anche sanzione, soltanto sul piano sociale e morale, ma non su quello giuridico”417.
416 LENTI L., La responsabilità civile degli accompagnatori non professionali nell’alpinismo e nello
scialpinismo, in La Nuova giurisprudenza civile commentata, 2007, 426.
417 LENTI, La responsabilità civile degli accompagnatori non professionali nell’alpinismo e nello
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Nonostante gli scarsi esempi concreti forniti dalla giurisprudenza è comunque possibile svolgere alcune considerazioni sulle norme che potrebbero essere applicate dalle corti nell’ambito dell’accertamento della responsabilità civile delle diverse figure di accompagnatori che materialmente si pongano alla guida di escursioni alpinistiche dagli esiti infausti.
Bisogna preliminarmente osservare che la principale conseguenza dell’accompagnamento risiede nell’ingenerare un certo affidamento in capo agli accompagnati, questa situazione fa sorgere in capo all’accompagnatore un preciso e consequenziale dovere di protezione nei riguardi di tali soggetti. Fare affidamento significa contare sull’attenzione, sulle capacità, sulla garanzia fornita da altri; in altri termini equivale a “rimettersi nell’altrui protezione” per affrontare le difficoltà connesse all’alpinismo contando sull’esperienza e sulle maggiori cognizioni tecniche dell’accompagnatore418.
Il livello dell’affidamento e l’estensione del corrispondente dovere di protezione vengono però influenzati da una serie di fattori mutevoli, che andranno a rivestire un ruolo fondamentale nel giudizio di responsabilità. Queste variabili sono essenzialmente:
- la corresponsione di un compenso all’accompagnatore (la presenza del compenso fa aumentare livello di affidamento e dovere di protezione);
- la qualificazione dell’accompagnatore (il livello di affidamento varia a seconda che le capacità dell’accompagnatore siano certificate da appositi organismi, come il CAI o i Collegi regionali di guide alpine, e varia altresì a seconda delle modalità della certificazione ove presenti);
- il grado di difficoltà, di pericolosità e di impegno fisico e tecnico dell’escursione rapportato alle specifiche capacità degli accompagnati.
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In relazione agli accompagnati il livello di affidamento varia poi in relazione
- all’estensione del divario fra capacità complessiva di questi e quella posseduta dall’accompagnatore;
- alla capacità degli stessi accompagnati di compiere quella specifica escursione, in condizioni di sicurezza, senza bisogno di accompagnamento;
- all’età degli accompagnati.
Un indagine sulla responsabilità civile dell’accompagnatore non dovrà prescindere dall’analisi del livello di affidamento che gli accompagnati abbiano riposto in quest’ultimo in quanto “la responsabilità di chi accompagna e il rigore nella valutazione della sua colpa sono diversi secondo i casi e sono strettamente dipendenti sia dalla natura del rapporto che lega le parti, sia dal grado di affidamento creato”419.
Da quanto fin ora detto si può osservare che al crescere del legittimo affidamento dell’accompagnato e del correlativo dovere di protezione dell’accompagnatore diminuisce il grado di gravità della colpa dell’accompagnatore necessario per l’addebito di responsabilità civile. Si ricorda inoltre che condizione imprescindibile perché possa dirsi sussistente il rapporto di accompagnamento è la prestazione del consenso da parte dell’accompagnatore; si tratta di una manifestazione di volontà inequivocabilmente volta alla costituzione di tale rapporto tanto che senza consenso non potrà dirsi sussistente un accompagnamento di rilevanza giuridica.
La manifestazione del consenso si atteggia però in maniera diversa a seconda della tipologia di accompagnatore considerato.
Nel caso in cui si ricorra alla guida alpina o ad altri accompagnatori professionali viene ad instaurarsi una relazione contrattuale fra le parti e pertanto il consenso dell’accompagnatore è necessariamente espresso in quanto imposto dalla nozione stessa di contratto (art. 1321 c.c.). Oltretutto pur in assenza di prova scritta l’esistenza di un rapporto negoziale si può
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dedurre, in base a quanto previsto dalla legge n.6/1989, dalla presunzione di onerosità della prestazione professionale e dalla necessità di pattuire un compenso per l’escursione concordata con il cliente420.
Se si ricorre invece alle figure degli accompagnatori non professionali, pur certificati dal CAI, il consenso all’accompagnamento di tali soggetti verrà concretamente manifestato, anche tacitamente, mediante la conduzione o l’organizzazione di corsi o lo svolgimento ed il coordinamento di determinate attività.
La situazione viene a complicarsi ove si debba accertare la manifestazione del consenso all’accompagnamento nei rapporti di amicizia o di cortesia (accompagnamento volontario).
L’accompagnatore volontario, a parte l’ipotesi di responsabilità per omissione di soccorso (art. 593 c.p.), è assolutamente libero di prestarsi gratuitamente ad accompagnare altri soggetti. La prestazione del consenso di questo soggetto, che può essere espressa o tacita, dovrà essere desumibile, in sede di giudizio, da comportamenti che siano stati tali da “ingenerare in un escursionista o alpinista di media diligenza il convincimento di essere accompagnato”421.
Il fatto che l’individuazione del sorgere di un reale affidamento non sia così agevole in ipotesi di accompagnamento volontario è testimoniato anche dalla giurisprudenza: “l’andare insieme in montagna non instaura, neppure fra i componenti della stessa cordata, nessun rapporto di affidamento, custodia o cura, ai sensi dell’art. 591 c.p., salvo il caso della guida rispetto al cliente o dell’alpinista esperto che conduca un meno esperto che voglia da lui imparare, secondo un rapporto anche gratuito purché esplicito”422.
Per chiarezza espositiva è opportuno ora vagliare i regimi di responsabilità applicabili agli accompagnatori analizzando partitamente le diverse forme di accompagnamento in precedenza descritte.
a) accompagnamento professionale
420 TORTI, La responsabilità nell’accompagnamento in montagna,op. cit., 42. 421 TORTI, La responsabilità nell’accompagnamento in montagna,op. cit., 50. 422 App. Torino, 5 gennaio 1983, in Riv. dir. sport., 1984, 336.
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Consideriamo in primis le figure, legislativamente codificate, della guida alpina o dell’accompagnatore di media montagna, ove previsto.
Se un soggetto si rivolge a tali professionisti è evidente che vuole ridurre al minimo il rischio, comunque ineliminabile, della pratica alpinistica facendo sorgere in capo alla guida un dovere di protezione assai esteso423.
Il rapporto di accompagnamento in questo caso, come già anticipato, viene a qualificarsi quale “contratto di guida alpina”, un contratto stipulato con un professionista intellettuale e dal contenuto presuntivamente oneroso.
Nel caso in cui si verifichi un evento dannoso in sede civile saranno invocabili le norme relative alla responsabilità del prestatore d’opera intellettuale: l’art. 1176 c.c. fungerà da necessario referente ai fini della valutazione della diligenza nell’adempimento, ma si potrà applicare anche l’art. 2236 c.c., norma dedicata alla prestazione implicante la soluzione di problemi tecnici di speciale difficoltà, che prevede la responsabilità del prestatore solo in caso di dolo o colpa grave.
Dal momento che la professione di guida alpina condivide con quella del maestro di sci le caratteristiche di “professione protetta” e che si può notare una certa assimilabilità con riguardo alle prestazioni dedotte in contratto, è plausibile che le corti, ove siano investite di questioni di responsabilità civile delle guide alpine, ricorrano alle medesime norme utilizzate per la figura maestro di sci. Pertanto ove la guida o l’accompagnatore di media montagna svolgano la propria attività nell’ambito di una Scuola di alpinismo valgono le considerazioni svolte in relazione ai rapporti fra la Scuola di sci e maestri di cui si sia avvalsa nell’adempimento del contratto con i clienti.
La garanzia di sicurezza, nell’ambito del rapporto contrattuale con la guida o con la Scuola, si atteggia quale obbligazione di risultato e competerà, a seconda dei casi, alla Scuola o alla guida, in sede processuale, fornire la prova di aver adottato un comportamento massimamente diligente in
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conformità alle norme deontologiche, cui le guide sono tenute a conformarsi ex art. 11 della legge n.6/1989 424.
Come nel caso della responsabilità del maestro di sci anche per la guida alpina non si dovrà escludere la compresenza di profili di responsabilità extracontrattuale.
b) accompagnamento non professionale
Se anziché ad un professionista inserito in un ordinamento professionale ci si rivolge ad un accompagnatore non professionista (ad esempio un istruttore di alpinismo o di un accompagnatore di escursionismo del CAI, figure di sicura competenza e capacità poiché attestate dalla qualifiche attribuitegli) fra le parti non si viene ad instaurare un rapporto contrattuale, ma un rapporto di natura associazionistica fondato sulla disponibilità dell’istruttore a condurre in montagna chi l’ha contattato. In tal caso l’accompagnato assume ed accetta un rischio maggiore rispetto a quello accettato da chi si affida ad una guida alpina e di conseguenza anche il dovere di protezione dell’accompagnatore sarà per certi versi affievolito. Il rapporto di accompagnamento non professionale si qualifica, come abbiamo visto, per l’obbligatoria gratuità e si iscrive, come osserva la dottrina, tra le prestazioni di mera cortesia, mancando dell’elemento della patrimonialità425. Di conseguenza la responsabilità in questa forma di
accompagnamento sarà inquadrabile in ambito extracontrattuale e più precisamente nel generale regime delineato dall’art. 2043 c.c.. In ambito processuale graverà così sull’accompagnato l’onere di dimostrare la negligenza, l’imprudenza o l’imperizia dell’accompagnatore.
Situazione assimilabile a quella dell’accompagnamento non professionale si incontra ove ci si iscriva ad una gita organizzata da una sezione del CAI. In tal caso si confida nel fatto che l’organizzazione dell’uscita sia stata operata da persone competenti e che alla guida del gruppo vi siano escursionisti esperti (capogita) in grado di fornire informazioni e suggerimenti durante il percorso, ed in grado altresì di modificare
424 LENTI, La responsabilità civile degli accompagnatori non professionali nell’alpinismo e nello
scialpinismo, cit. , 442.
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l’itinerario o di rinunciare alla gita ove necessario. In caso di eventi dannosi nel corso di tali attività potrà essere attribuita la responsabilità al “capogita” per non aver, ad esempio, scelto adeguatamente il percorso. Si osserva che in queste ipotesi sarebbe astrattamente ammissibile una prova contraria volta ad escludere l’affidamento dell’accompagnatore: non si giustificherebbe infatti alcun tipo di affidamento a favore di chi possiede capacità proprie sufficienti a compiere le gita e che dunque non riceve alcuna maggior sicurezza dal compiere la gita all’interno dell’organizzazione dell’attività sezionale426.
Nella valutazione della responsabilità civile degli istruttori del CAI, in sede processuale, potrebbero fornire un valido aiuto le raccolte di regole tecniche, periodicamente codificate dal CAI attraverso la pubblicazione di manuali che vengono poi usati nelle scuole di alpinismo o scialpinismo. Detti manuali oltre ad espletare una funzione didattica verso gli allievi possono costituire dei parametri per valutare la responsabilità degli istruttori. Oltretutto dal momento che contengono delle prescrizioni generali su come condurre in modo prudente un’escursione potrebbero porsi quale metro di riferimento per qualsivoglia attività di accompagnamento427.
c) accompagnamento per amicizia o cortesia ed il test di applicabilità della responsabilità da contatto sociale
La relazione di accompagnamento può instaurarsi fra singole persone anche nell’ambito di un rapporto non istituzionale. Alcune persone, con discrete esperienze e capacità tecniche in ambito alpinistico, anche non certificate, possono infatti per amicizia o per cortesia porsi a capo di un escursione o di una gita i cui partecipanti siano dei soggetti meno esperti. Livello di affidamento e dovere di protezione in tali ipotesi risultano ancor più limitati che nel caso di accompagnamento non professionale.
426 LENTI, La responsabilità civile degli accompagnatori non professionali nell’alpinismo e nello
scialpinismo, cit. ,439.
427 LENTI, La responsabilità civile degli accompagnatori non professionali nell’alpinismo e nello
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Bisogna sottolineare inoltre che tale forma di accompagnamento è necessariamente gratuita altrimenti si configurerebbe un’ipotesi di esercizio abusivo della professione.
In tal caso è più difficile provare il consenso all’accompagnamento ed eventuali profili di responsabilità in capo all’accompagnatore saranno invocabili esclusivamente sul piano extracontrattuale.
In dottrina in relazione alle ipotesi di accompagnamento volontario e di accompagnamento non professionale si è inoltre vagliata l’applicabilità e l’estensibilità della responsabilità da contatto sociale.
Questa particolare ipotesi di responsabilità è stata inizialmente ammessa dalla giurisprudenza di legittimità per affermare in termini generali la contrattualità della responsabilità medica non solo nei casi di rapporto diretto medico – paziente, ma anche nei casi in cui il medico sia dipendente di una struttura sanitaria ed in mancanza dunque di esplicita relazione contrattuale con il paziente. Mediante la categoria “responsabilità da contatto sociale” risulta così possibile affermare una responsabilità di tipo contrattuale sia nei confronti della struttura sanitaria che dello stesso medico dipendente dell’ ospedale. Il fondamento della responsabilità in questione si individua nell’aspettativa e nell’affidamento del paziente sulla professionalità e sulla competenza del medico. Si configura così un rapporto obbligatorio di fatto ed in questo contesto il medico si vede gravato da un obbligazione di protezione la cui violazione sarà azionabile contrattualmente428. Il risultato pratico di questo cambiamento è
428 Cass. civ. Sez. III, 22 gennaio 1999, n. 589 (oggetto di numerosi commenti, tra i quali,
CARBONE, La responsabilità del medico ospedaliero come responsabilità da contatto, in Danno e
Resp., 1999, 294 ss.; DI MAJO, L'obbligazione senza prestazione approda in Cassazione, in Corriere giur., 1999, 441 ss.; PIZZETTI, La responsabilità del medico dipendente come responsabilità contrattuale da contatto sociale, in Giur. it., 2000, 741 ss) ha siglato questo
passaggio “in nome della coscienza sociale prima ancora che dell’ordinamento giuridico”. La teorizzazione della figura dell’obbligazione senza prestazione, basata sul rapporto contrattuale di fatto o da contatto sociale tra medico e paziente si deve a CASTRONOVO, L’obbligazione senza prestazione ai confini tra contratto e torto, in Id., La responsabilità civile, 2ª ed., Milano, 1997, 177 ss. DE MATTEIS R., evidenzia che “la configurazione di una responsabilità del medico (dipendente) come responsabilità contrattuale, nascente da un “contatto sociale” nel contesto di un’organizzazione ove la prestazione viene spersonalizzata nel servizio, si rivela funzionale all'esigenza di recuperare sul piano della dimensione individuale una relazione che, a fonte dell'attuale organizzazione del sistema sanitario e della penetrazione del mercato professionale della grande impresa o della società dei professionisti, sembra destinata a dissolversi”(La
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rappresentato dalla possibilità di sottoporre, in sede processuale, l’intera attività medica ad un regime di responsabilità unificato ed i vantaggi per il paziente sono indubbi. In primo luogo si potrà giovare del più favorevole regime prescrizionale ordinario, decennale, previsto per la responsabilità contrattuale (art. 2946 c.c.); sul piano probatorio viene ad operare il principio della “vicinanza della prova” in base al quale sarà il medico, e non il paziente, in virtù della sua “vicinanza” all’andamento dei fatti a dover fornire la prova di quanto è avvenuto al fine di far riconoscere la sua estraneità in termini causali e di colpevolezza rispetto all’evento lesivo. La responsabilità da contatto sociale ha uno spettro d’azione difficilmente circoscrivibile e sembra essere dotata di una grande potenzialità espansiva in quanto i suoi presupposti applicativi, così come emersi dalle pronunce che vi hanno dato applicazione, si possono incontrare in uno svariato numero di attività. Detti presupposti sarebbero infatti: l’affidamento che un terzo ripone nella professionalità di un soggetto e l’esercizio da parte di quest’ultimo di un’attività professionale certificata in modo obiettivo da soggetti estranei all’evento dannoso429.
A dimostrazione della sua presunta forza espansiva tale responsabilità è stata estesa in alcune pronunce giurisprudenziali agli insegnanti di scuola ed alle vigilatrici di asili nido per i danni che gli allievi hanno prodotto a sé stessi (rigettando la tesi dell’applicabilità a queste ipotesi dell’art. 2048 comma secondo c.c.)430.
malpractice medica, in Aa.Vv., Il danno alla persona, (diretto da) CENDON e BALDASSARI,
I, Bologna, 2006, 1303 ss.). Vedi anche Cass. civ. Sez. III, 13 aprile 2007, n. 8826 “La natura contrattuale della responsabilità del medico dipendente dell’ente ospedaliero verso il paziente è da questa Corte con consolidato orientamento fondata sul contatto sociale instaurantesi tra quest’ultimo ed il medico chiamato ad adempiere nei suoi confronti la prestazione dal medesimo convenuta con la struttura sanitaria” (Cass., 19 aprile 2006, n. 9085; Cass., 26 gennaio 2006, n. 1698; Cass., 29 settembre 2004, n. 19564; Cass., 21giugno 2004, n. 11488; Cass., 14 luglio 2004, n. 13066; Cass., 28 maggio 2004, n. 10297; Cass., 19 maggio 2004, n. 9471; Cass., 21 luglio 2003, n. 11316).
429 LENTI, La responsabilità civile degli accompagnatori non professionali nell’alpinismo e nello
scialpinismo, cit. ,442.
430 Si vedano in proposito: Cass. Sez. Un., 27 giugno 2002, n. 9346, in Foro it., 2002, I,
2635, con nota di DI COMMO F., (riguardo agli insegnanti di scuola); Cass. civ. Sez. III, 18 luglio 2003, n. 11245 in Foro it. Rep., 2004, voce Responsabilità civile n. 5760, 292, (riguardo alle vigilatrici di asili nido); nella giurisprudenza di merito : Tribunale di Milano, 19 gennaio 2004, in Danno e resp., 2004, 1096, con nota di VENTURELLI.
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Vagliare l’applicabilità di tale ipotesi di responsabilità all’accompagnatore, nei cui confronti sarebbe invocabile la sola responsabilità extracontrattuale, non pare azzardato ed avrebbe come conseguenza l’aggravamento della sua posizione sul piano probatorio in virtù delle considerazioni sopra esposte riguardo al medico.
La dottrina comunque ha escluso l’assimilabilità dell’accompagnatore non professionale alle figure a cui è applicabile la responsabilità da contatto sociale. Nel rapporto di accompagnamento non professionale o volontario infatti pur essendo configurabile l’affidamento degli accompagnati e la nascita di un conseguente obbligo di protezione manca il requisito della professionalità, essendo il loro impegno volontario, connotato da gratuità e da spirito associativo. Oltretutto si sottolinea che non vi sarebbe alcuna esigenza di uniformazione dei regimi di responsabilità e non può dirsi operante, nel contesto di un’escursione di montagna, il principio della vicinanza della prova.
Infine per negare le utilità applicative del contatto sociale al rapporto di accompagnamento volontario si considerano il fatto che i precedenti giurisprudenziali in materia di responsabilità da contatto sociale hanno avuto ad oggetto casi in cui erano in gioco “aspetti fondamentali di tutela della persona aventi rilievo costituzionale: salute, istruzione, favore per la maternità ed infanzia, e ciò in situazioni sempre necessitate”431. Di