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Responsabilità precontrattuale e “vizi completi”

4. Responsabilità precontrattuale in presenza di un contratto valido

4.4. Responsabilità precontrattuale e “vizi completi”

raggiunto un certo livello di gravità (“vizio incompleto”) sorge responsabilità, mentre se il vizio ha raggiunto un particolare livello di gravità maggiore (“vizio completo”) non sorge responsabilità.

Inoltre sarebbe dogmaticamente insostenibile l’irresponsabilità in queste ipotesi, in quanto bisognerebbe spiegare come si faccia ad elidere l’antigiuridicità della condotta contraria a buona fede precedente la stipula del contratto.

Infine, data la distinzione fra norme di validità e norme di condotta e data la duplicità di rimedi previsti per la loro violazione62, non v’è ragione per negare che un medesimo fatto storico possa essere qualificato tanto in termini di violazione di norma di validità quanto in termini di violazione di norma di condotta. Questa conclusione dovrebbe essere ancor di più sostenuta nelle ipotesi in cui la caducazione del contratto è rimessa alla esclusiva volontà di una parte, essendo l’invalidità prevista nel suo esclusivo interesse, come accade nelle ipotesi di annullamento del contratto e di rescissione, se si considera la rescissione come una forma di invalidità.

Ammettere la configurabilità di un illecito precontrattuale in presenza di un contratto caducabile implica affermare la autonomia fra i rimedi.

L’azione risarcitoria è autonoma rispetto all’azione caducatoria (rescissione o annullamento).

62 Tale distinzione, anche a livello di conseguenze e rimedi, appare oggi consolidata nella giurisprudenza, anche in seguito a questo esposto nei paragrafi precedenti in ordine alla responsabilità precontrattuale in caso di violazione di obblighi di informazione precontrattuale. Sul punto la più recente giurisprudenza della Cassazione civile sez. I 10 aprile 2014 n. 8462 “In tema di nullità del contratto per contrarietà a norme imperative, unicamente la violazione di norme inderogabili concernenti la validità del contratto è suscettibile, ove non altrimenti stabilito dalla legge, di determinarne la nullità e non già la violazione di norme, anch'esse imperative, riguardanti il comportamento dei contraenti, la quale può essere fonte di responsabilità. Ne consegue che, in tema di intermediazione finanziaria, la violazione dei doveri di informazione del cliente e di corretta esecuzione delle operazioni che la legge pone a carico dei soggetti autorizzati alla prestazione dei servizi di investimento finanziario può dar luogo a responsabilità precontrattuale, con conseguenze risarcitorie, ove dette violazioni avvengano nella fase antecedente o coincidente con la stipulazione del contratto di intermediazione destinato a regolare i successivi rapporti tra le parti (cosiddetto "contratto quadro"), mentre è fonte di responsabilità contrattuale, ed, eventualmente, può condurre alla risoluzione del contratto, ove le violazioni riguardino le operazioni di investimento o disinvestimento compiute in esecuzione del "contratto quadro". Va in ogni caso escluso, in assenza di una esplicita previsione normativa, che la violazione dei menzionati doveri di comportamento possa determinare, a norma dell'art. 1418, primo comma, cod. civ., la nullità del cosiddetto "contratto quadro" o dei singoli atti negoziali posti in essere in base ad esso. (Nella specie, la S.C., in applicazione del principio esposto, ha escluso che la denunciata violazione delle norme previste dall'art. 21, comma 1, lett. a e b, del d.lgs. 24 febbraio 1998, n. 58, in sede di stipula del contratto di intermediazione finanziaria, potesse rilevare ai fini dell'accoglimento della domanda di nullità o di risoluzione del contratto medesimo). Rigetta, App. Brescia, 03/08/2007”

Ciò viene confermato da una norma, contenuta nel codice del processo amministrativo, di recente introduzione, che espressamente dispone l’autonomia dell’azione risarcitoria (da lesione dell’interesse legittimo) dall’azione di annullamento (del provvedimento amministrativo).

Un parallelismo può farsi con ciò che accade in fase di esecuzione del contratto; a fronte di un inadempimento grave, che legittimerebbe la risoluzione, la parte può scegliere liberamente se avvalersi del rimedio caducatorio (la risoluzione) ed ottenere i danni da inadempimento totale o del rimedio manutentivo (l’azione di esatto adempimento) ed ottenere i soli danni da ritardo.

Questa ricostruzione, che fa leva soprattutto sull’autonomia delle norme e dei relativi rimedi, è stata recentemente fatta propria da una importante pronuncia della Corte di Cassazione63, che ha affermato che “chi sia stato danneggiato da una sentenza ingiusta, perché frutto di corruzione di un componente del collegio, la cui emissione aveva costituito il presupposto di una transazione stipulata con la controparte, può esercitare un’autonoma azione risarcitoria, indipendentemente dalla rimozione degli effetti della transazione e dal fatto che l’alterazione del processo di formazione della volontà negoziale indotta da detta sentenza si sia tradotta in un vizio della volontà tale da consentire la proposizione dell’azione demolitoria”. La stessa Suprema Corte ha affermato che “chi lamenta di essere stato danneggiato da una sentenza "ingiusta", perchè frutto della corruzione di un componente del collegio giudiziario, ha facoltà di esercitare, in via autonoma, un’azione per il risarcimento dei danni ex art. 2043 c.c.

per violazione della regola di buona fede nella fase delle trattative, pur in presenza di un contratto valido. All’esercizio in via autonoma dell’azione risarcitoria non è d’ostacolo il rimedio della revocazione straordinaria della sentenza per dolo del giudice ex art. 395 n. 6 c.p.c., perché assorbito dalla sopravvenienza di una transazione tombale, riferibile a quegli stessi fatti oggetto del giudizio e altresì reso inutile per carenza di interesse, a motivo della oggettiva impossibilità, in sede rescissoria, di ripristinare la situazione, quale sarebbe stata in presenza di un giudice non corrotto.

Con riferimento alla relazione causale tra i fatti che realizzano la complessa struttura dell’illecito, essa va ravvisata, in base ad un giudizio contro-fattuale, ispirato al

63 Cassazione civile sez. III , 17/09/2013 , n. 21255

principio del "più probabile che no", nell’atto doloso (il comportamento del giudice corrotto) che ha cagionato ad altri un (evento di) danno (la sentenza corrotta), ingiusto (siccome consistente nella ingiusta alterazione delle posizioni contrattuali), da cui scaturisce, una "conseguenza dannosa risarcibile" (la transazione rovinosa), legata da nesso di “conseguenzialità immediata e diretta" ex art. 1223 c.c. con la sentenza frutto di corruzione.”

Una volta ammessa in astratto la configurabilità di una responsabilità precontrattuale in queste ipotesi, è necessario interrogarsi se il mancato esperimento del rimedio caducatorio incida sul rimedio risarcitorio.

In altri termini, è o meno rimesso all’insindacabile arbitrio della parte scegliere quale strada intraprendere oppure è vi sono dei principi che limitano la libertà di scelta della parte.

A tal fine sono possibili diverse chiavi di lettura.

Secondo una prima ricostruzione, si potrebbe affermare che il rimedio risarcitorio ha carattere sussidiario ed è esperibile solo quando, in concreto, il rimedio caducatorio risulterebbe inutilizzabile.

L’obiezione principale che si può muovere a questa ricostruzione è che, una volta ammesso in astratto il rimedio risarcitorio in questi casi, non si riuscirebbe a spiegare perché esso debba avere natura sussidiaria rispetto a quello caducatorio. Se la caducazione del contrato rientra nella esclusiva disponibilità della parte non si vede perché l’ordinamento dovrebbe imporre alla parte, in via prioritaria, il rimedio in forma specifica rispetto al rimedio per equivalente.

Secondo una diversa ricostruzione occorrerebbe applicare l’art. 1227 c.c. in combinato disposto con quanto dispone l’art. 30 c.p.a., dunque il giudice dovrebbe tener conto dei danni che la parte avrebbe potuto evitare con l’ordinaria diligenza esperendo l’impugnativa contrattuale. L’esperimento del rimedio caducatorio, pur non rilevando ab origine come causa impeditiva del rimedio risarcitorio, avrebbe una rilevanza in sede di quantificazione del danno risarcibile; il giudice dovrebbe sempre valutare quali sarebbero stati i danni che la parte avrebbe evitato esperendo l’azione di impugnativa contrattuale.

Questa ricostruzione si presta alle medesime obiezioni sopra esposte; infatti da nessuna norma o principio si può ricavare che, se la patologia del contratto è di carattere

disponibile, l’ordinamento imponga di avvalersi in via preferenziale del rimedio caducatorio.

Inoltre, secondo la prevalente ricostruzione della giurisprudenza civilistica, l’esperimento di una azione giudiziale costituisce sempre uno sforzo che va oltre quanto può essere richiesto ex art. 1227 c.c. al danneggiato64.

Non è un caso che, per vincere le resistenze della dottrina della giurisprudenza più sensibili a questo orientamento, nel diritto amministrativo ci sia stato bisogno di un intervento normativo ad hoc tendente a prevedere esplicitamente che della mancata impugnazione del provvedimento il giudice terrà conto ai fini della determinazione del danno risarcibile.

Appare dunque preferibile ritenere che i due rimedi si pongano su un piano di perfetta alternatività, processuale e sostanziale.

La parte può liberamente scegliere se avvalersi del rimedio caducatorio o del rimedio risarcitorio.

Predicare la completa autonomia fra i rimedi, oltre ad essere confortato dalle argomentazioni sopra esposte, è coerente anche con la disponibilità del rimedio caducatorio e con il principio di conservazione del negozio.

L’annullamento e la rescissione infatti rientrano nella disponibilità del soggetto

“pregiudicato” e pertanto non si può prefigurare una sorta di onere o obbligo di esperire rimedio caducatorio.

Inoltre, stante l’esigenza di mantenere in vita il contratto, espressiva del principio di conservazione del negozio, sarebbe incongruo escludere che la parte possa preferire il risarcimento alla caducazione in quanto, chiedendo il risarcimento, manterrebbe in vita il contratto.

Nel caso in cui opti per il rimedio caducatorio, il contratto verrà meno e verranno meno i suoi effetti, secondo la disciplina propria del tipo di patologia (annullamento o rescissione), e avranno luogo le restituzioni del caso.

64 Sull’argomento, fra le tante, v. Cassazione civile sez. II 13 gennaio 2014 n. 470

“L'esercizio dell'azione giudiziaria costituisce una mera facoltà e non un obbligo del titolare, sicché il mancato ricorso all'autorità giudiziaria per la determinazione del prezzo ai sensi dell'art. 1474 cod. civ.

non integra un concorso colposo del danneggiato e non giustifica una riduzione del risarcimento ex art.

1227, primo comma, cod. civ.”; Cassazione civile sez. lav. 21 agosto 2004 n. 16530 “Il dovere di correttezza imposto al danneggiato dall'art. 1227 c.c. presuppone un'attività idonea, con certezza, a evitare o ridurre il danno e non implica l'obbligo di iniziare un'azione giudiziaria, non essendo il creditore tenuto ad un'attività gravosa e comportante rischi e spese.”

In caso di vendita affetta da un errore essenziale e riconoscibile, l’annullamento determinerà l’eliminazione retroattiva del contratto e dei suoi effetti e si dovrà procedere a restituire il prezzo ed il bene oggetto della compravendita. In tal caso, se ve ne sono i presupposti e dunque non già come mero automatismo, la parte potrà anche far valere la responsabilità precontrattuale altrui, ottenendo un risarcimento pari al c.d.

interesse negativo, dovendo essere messa nelle condizioni in cui si sarebbe trovata se non avesse stipulato il contratto invalido rimosso.

Nel caso in cui invece decida di mantenere il contratto viziato, la parte esperirà solo l’azione risarcitoria facendo valere l’illecito precontrattuale. In questo caso, attraverso il risarcimento, restaurerà l’equilibrio contrattuale, equilibrio da intendersi non già in termini oggettivi ma soggettivi. Il danno sarà pari non al c.d. interesse negativo, ossia ai danni subiti a causa dell’inutile trattativa e stipula del contratto, ma al c.d. interesse positivo virtuale, ossia al minor vantaggio o al maggior aggravio economico determinato dall’altrui condotta scorretta. Il giudice dovrà raffrontare l’utilità economica del contratto virtuale (che sarebbe stato concluso senza la scorrettezza) e l’utilità economica del contratto realmente concluso. Nel caso di vendita affetta da errore essenziale e riconoscibile di un bene per il prezzo di 100, il giudice dovrà chiedersi quale sarebbe stato il prezzo se non vi fosse stato l’errore e pertanto riconoscere la differenza fra i due valori a titolo di risarcimento del danno.

5 . Il danno risarcibile nella responsabilità precontrattuale: interesse negativo ? Uno degli aspetti salienti della responsabilità precontrattuale è costituito dall’analisi del danno risarcibile.

Esso, da un punto di vista della ricostruzione dogmatica della fattispecie, costituisce il danno-conseguenza dell’illecito precontrattuale65 ed è l’oggetto dell’obbligazione risarcitoria cui è tenuto il danneggiante.

L’art. 1337 c.c. si limita a sancire l’obbligo di buona fede nelle trattative, senza nulla disporre in merito al danno.

L’art. 1338 c.c. precisa che la parte dovrà risarcire i danni che l’altra parte ha risentito per aver confidato senza sua colpa nella validità del contratto.

Tale ultima disposizione si ritiene essere la codificazione del celebre criterio dell’interesse negativo 66: il danneggiato, nelle ipotesi di cui all’art. 1338 c.c., deve essere posto in una posizione economicamente equivalente a quella in cui si sarebbe trovato se non avesse stipulato il contratto invalido.

Nelle ipotesi di recesso ingiustificato dalle trattative l’interesse negativo si sostanzia nel porre il soggetto nella stessa situazione cui si sarebbe trovato se non avesse iniziato le trattative.

Tale interesse negativo comprende non solo il danno emergente, consistente nelle spese sostenute in relazione alle trattative intraprese, ma anche il lucro cessante, pari all’utile che la parte avrebbe tratto se non avesse rifiutato o lasciato cadere altre occasioni contrattuali nella ragionevole previsione che il contratto sarebbe stato concluso67.

Pertanto saranno risarcibili, quale danno emergente, le spese sostenute per lo svolgimento della trattativa, come i viaggi ed i progetti, e per la stipulazione del contratto, come gli onorari dovuti ai legali e le imposte; saranno anche risarcibili le spese sostenute per ricevere la prestazione (nel caso di contratto invalido eseguito), detratto quanto può recuperarsi mediante reimpiego o rivendita.

Quale lucro cessante, saranno risarcibili le occasioni di guadagno sfuggite a causa dell’inutile trattativa o dell’inutile stipulazione del contratto.

65 Inteso come fatto, dato che costituisce elemento della fattispecie anche il danno-conseguenza.

66 Sul concetto di interesse negativo v. R. von JHERING, Culpa in contrahendo oder Schadenservrsatz bei nichtigen oder nicht zur Perfection gelante Vertragen, in Jherings jahrbücher, 4, 1861

67 C. TURCO, L’interesse negativo nella culpa in contrahendo (Verità e distorsioni della teoria di Jhering nel sistema tedesco e italiano), in Riv. Dir. Civ., 2007, p. 165 e ss.

E’ dunque ormai pacifico che anche il lucro cessante, se provato, sia risarcibile in tema di illecito precontrattuale68.

Non è risarcibile invece l’interesse positivo, cioè quello che si parametra sul contratto non concluso ma che si voleva concludere o sul contratto invalido stipulato, ossia le perdite che il soggetto avrebbe evitato (danno emergente) ed il vantaggio che la parte avrebbe conseguito (lucro cessante) se il contratto (oggetto della trattativa) fosse stato concluso validamente ed eseguito69.

In merito al criterio dell’interesse negativo, occorre domandarsi se si tratti di un limite meramente qualitativo o anche qualitativo; tale interrogativo è di fondamentale importanza nelle ipotesi in cui l’interesse negativo ecceda quantitativamente quello positivo.

Normalmente avviene il contrario, in quanto l’interesse positivo è quantitativamente maggiore di quello negativo, ma non è escluso che in dati casi possa verificarsi l’ipotesi inversa, come ad esempio quando la parte realizza numerosi investimenti per eseguire quel contratto, minori dell’utile che trae dall’esecuzione dello stesso, in quanto il contratto può consentire l’ingresso in nuovi mercati.

Se l’interesse negativo è maggiore di quello positivo tale differenza è risarcibile?

Il problema è stato ampiamente affrontato dalla dottrina tedesca, in quanto vi sono due norme (§ 122 e 179 comma 2°) che affermano che il risarcimento del danno causato dall’invalidità o inefficacia del contratto non deve essere maggiore di quanto si sarebbe conseguito attraverso l’esecuzione del contratto. Una parte della dottrina ha sostenuto

68 A conferma di ciò si vedano le ultime pronunce della Suprema Corte di Cassazione civile sez. II 10 marzo 2016 n. 4718 “La responsabilità precontrattuale prevista dall'art. 1337 c.c., coprendo nei limiti del cd. interesse negativo tutte le conseguenze immediate e dirette della violazione del dovere di comportarsi secondo buona fede nella fase preparatoria del contratto, secondo i criteri stabiliti dagli artt. 1223 e 2056 c.c., si estende al danno per il pregiudizio economico derivante dalle rinunce a stipulare un contratto, ancorchè avente un contenuto diverso rispetto a quello per cui si erano svolte le trattative, se la sua mancata conclusione si manifesti come conseguenza immediata e diretta del comportamento della controparte, che ha lasciato cadere le dette trattative quando queste erano giunte al punto di creare un ragionevole affidamento nella conclusione positiva di esse. In tema di liquidazione del danno, la locuzione "perdita subita", con la quale l'art. 1223 c.c. individua il danno emergente, non può essere considerata indicativa dei soli esborsi monetari o di diminuzioni patrimoniali già materialmente intervenuti, bensì include anche l'obbligazione di effettuare l'esborso, in quanto il "vinculum iuris", nel quale l'obbligazione stessa si sostanzia, costituisce già una posta passiva del patrimonio del danneggiato, consistente nell'insieme dei rapporti giuridici, con diretta rilevanza economica, di cui una persona è titolare.”

69 C. M. BIANCA, Diritto civile. Il contratto, III, Milano, 1998, p. 40 ss.

che queste due norme esprimerebbero il principio generale secondo il quale l’interesse negativo non può superare quantitativamente quello positivo.

Di contrario avviso è quella dottrina che ritiene che le predette norme non possono giustificare una siffatta conclusione. In primo luogo tutte le altre norme sulla responsabilità precontrattuale non prevedono il limite dell’interesse positivo, dunque , a contrario, si deve giungere alla conclusione che solo laddove il legislatore ha voluto limitare il risarcimento lo ha previsto espressamente. In secondo luogo una parte della dottrina ritiene che i suddetti paragrafi del BGB fonderebbero una responsabilità per atto lecito dannoso, con conseguente giustificazione della limitazione del danno, e non già per atto illecito

Volgendo lo sguardo all’ordinamento interno, la questione appare alquanto dibattuta.

Secondo un primo filone di pensiero70 ciò non potrebbe accadere per ragioni fondamentalmente equitative, in quanto non si potrebbe dare al soggetto più di quanto otterrebbe se stipulasse validamente il contratto ed in quanto la responsabilità precontrattuale rappresenta un minus rispetto alla responsabilità contrattuale.

A conferma di questo orientamento viene citato l’art. 52 l. camb., in forza del quale il portatore d’una cambiale, deve dare avviso al proprio girante e al traente della mancata accettazione o del mancato pagamento entro i quattro giorni successivi al giorno del proteso, o della presentazione se vi sia la clausola “senza spese”. Qualora non venga dato l’avviso nel termine sopra indicato, il portatore non decade dal regresso, ma è responsabile della sua negligenza se abbia causato danno, senza però che l’ammontare del risarcimento possa superare quello della cambiale.

Questa norma prevede che il contenuto del risarcimento per violazione di un dovere di avviso non possa essere maggiore dell’interesse positivo.

A questa stessa conclusione giunge chi, affermando la natura contrattuale della responsabilità, ritiene che esso sia un danno imprevedibile e dunque irrisarcibile, salvo condotta dolosa, ex art. 1225 c.c. Infatti, quando viene assunto l’obbligo di buona fede, cioè quando si instaura la trattativa, non è prevedibile che i danni subiti da un eventuale inadempimento siano maggiori rispetto a quelli che si subirebbero in caso di

70 R. SCOGNAMIGLIO, Contratti in generale, in Commentario al codice civile Scialoja e Branca, a cura di F. GALGANO, Bologna-Roma, 1970, p. 200 e ss. ; V. PIETROBON, Errore, volontà e affidamento nel negozio giuridico, Padova, 1990 , p.119

inadempimento del contratto. L’interesse prevedibile al tempo delle trattative è solo quello positivo.

Secondo un’altra corrente di pensiero71, sarebbe possibile ottenere tale surplus, in quanto l’interesse negativo non rappresenta un limite quantitativo ma solo qualitativo, non essendoci alcuna ragione, testuale e sistematica, per escludere la risarcibilità integrale del danno che eccede l’interesse positivo.

Questa ricostruzione è suffragata da una serie di argomenti.

In primo luogo, nessuna norma positiva pone il limite quantitativo in esame; neppure nei lavori preparatori e nella relazione al codice civile si scorge alcun accenno a questa limitazione.

Neppure è possibile invocare l’art. 52 l. camb., in quanto norma eccezionale e prescrizione preesistente rispetto all’entrata in vigore del codice civile del 1942.

Le eventuali condotte maliziose o incaute della parte che subisce la scorrettezza precontrattuale potrebbero essere validamente sanzionate a monte, escludendo nell’an la responsabilità precontrattuale in caso di affidamento colpevole, o a valle, diminuendo nel quantum il danno risarcibile ex art. 1227 comma 2 c.c. in relazione a quei danni che la parte avrebbe potuto evitare usando l’ordinaria diligenza.

Volendo riflettere sulla rilevanza del limite dell’interesse negativo, occorre raffrontare la disciplina della responsabilità precontrattuale con la comune disciplina in tema di responsabilità civile.

L’art. 1223 c.c., che è norma generale sul danno risarcibile, ossia sull’elemento del danno-conseguenza, dispone che il danneggiante debba risarcire tutte le perdite ed i mancati guadagni che siano conseguenza diretta ed immediata dell’illecito.

Questa norma sposa la teoria della differenza in forza del quale il danno è inteso come comparazione fra il prima ed il dopo l’illecito72.

Il risarcimento del danno, nel nostro ordinamento, a differenza di altre esperienze straniere, ha una funzione compensativa in quanto mira a riprodurre la situazione che vi sarebbe stata nel patrimonio del soggetto se non ci fosse stato l’illecito.

71 F. BENATTI, La responsabilità precontrattuale, Milano, 1963

72 A conferma di questa ricostruzione si veda la recente pronuncia delle Sezioni Unite sul tema del danno da “nascita malformata” Cassazione civile sez. un. 22/12/2015 n. 25767

Dunque, la risarcibilità nei limiti dell’interesse negativo non rappresenta affatto una limitazione del danno risarcibile, neppure di tipo qualitativo, in quanto altro non è che una applicazione del normale criterio di cui all’art. 1223 c.c. sulla delimitazione del danno risarcibile.

Siccome il danneggiato non ha un diritto soggettivo ad ottenere la prestazione contrattuale (data l’assenza di un obbligo a contrarre, nel caso di recesso ingiustificato dalle trattative, o a causa dell’invalidità del contratto) non è possibile parametrare il danno all’interesse positivo, semplicemente perché nel confronto fra il prima ed il dopo non vi è una situazione in cui il soggetto avrebbe diritto alla prestazione contrattuale.

Ragionando nell’ottica differenziale, se il danneggiato non avesse subito l’illecito precontrattuale avrebbe evitato le spese sostenute per la trattativa e per il contratto invalido ed avrebbe ottenuto degli utili derivanti da diverse occasioni di guadagno.

Questa riflessione ci induce ad affermare che il “limite” dell’interesse negativo, certamente connaturato ad alcune ipotesi di responsabilità precontrattuale, non rappresenta affatto un vero limite, in quanto si tratta dell’applicazione dei normali principi in tema di determinazione del danno risarcibile.

Questa lettura è confermata da quell’autorevole dottrina73 che, già nella vigenza del codice del 1865, aveva affermato che l’interesse negativo altro non è che l’interesse all’adempimento, solo che gli obblighi al cui adempimento esso si riferisce sono particolari obblighi, che, per determinate caratteristiche, si distinguono da tutti quegli altri obblighi, la cui violazione dà luogo al risarcimento del c.d. interesse positivo.

Pertanto, così come nelle normali ipotesi di inadempimento di obbligazioni il danno risarcibile si parametra al tipo di obbligo inadempiuto, anche nella responsabilità precontrattuale il risarcimento sarà calibrato sulla peculiare obbligazione di comportarsi secondo buona fede nel corso delle trattative.

Un’utile chiave di lettura del fenomeno della responsabilità precontrattuale, la cui rilevanza pratica si coglie soprattutto in ordine al quantum del risarcimento, può essere quella che fa leva sui beni giuridici.

73 D. RUBINO, La fattispecie e gli effetti giuridici preliminari, Milano, 1939, p.288