Il naturalismo cognitivo è risultato essere una teoria del rapporto mente-corpo il cui fondamento è un'ontologia monista materialistica, da cui viene dedotta una rappresentazione funzionalista del conoscere, basata sul concetto di identità tra mentale e fisico che sorregge una differenza puramente pensata tra questi nei termini del riconoscimento, rispettivamente, di uno come Esterno e fenomeno e dell'altro come Interno e oggettualità del processo che realizza l'attività del conoscere. In questa prospettiva, l'Esterno è oggetto di una spiegazione riduzionistica che ne fa un processo dell'Interno che, come soggetto, è dunque il contenuto vero. Ridurre il contenuto di qualcosa al processo con cui si realizza è, appunto, darne una spiegazione funzionalista.
A queste condizioni e soltanto a queste, lo scopo del naturalismo cognitivo di affidare alle scienze naturali la comprensione dell'atto conoscitivo e riconoscerne in queste la verità è legittimo e, in linea di principio, raggiungibile.
Tuttavia, le implicazioni di questa impostazione non sono pacifiche. Abbiamo visto che le due condizioni di possibilità del naturalismo cognitivo56 in quanto sono anche
55 Si tratta di un'antinomia perché entrambi i lati derivano da aspetti e principi normativi per il naturalismo cognitivo.
56 Le richiamo in nota: (1) ridurre l'attività di conoscere e il contenuto della conoscenza al processo fisico con cui questa è acquisita o prodotta, prescindendo di conseguenza dal formato in cui si dà
conseguenze del monismo integrale57 sono vere e devono essere accettate. Ciò
significa che dobbiamo ammettere che la realtà ontologica (mi riferisco in questo caso a un'ontologia ristretta al discorso sulle sostanze che esistono per sé) del pensare sia una realtà materiale. È però più problematico stabilire se una necessità altrettanto forte si applichi alla seconda conseguenza. Abbiamo visto, infatti, che trascurare la figura causa la presenza e l'irrisolvibilità dell'explanatory gap caratterizzato da Levine, mentre nientificarla causa un'incoerenza che culmina nell'antinomia da noi delineata. Ne risulta che dobbiamo tener conto di due esigenze altrettanto forti dell'accettazione del monismo integrale: è necessario sia ammettere la figura in quanto tale sia ricercare la ragion d'essere di questa ammissione. Per risolvere l'antinomia, è necessario provare il concetto di mentale in quanto mentale come qualcosa di determinato, effettivo e con una propria ragion d'essere, dopodiché si dovrà mostrare come tale concetto non confligge con il monismo integrale. In tal modo, con la prima prova si risolverà il secondo ramo dell'antinomia, conferendo una realtà in un qualche senso (“essere” si dice in molti modi) che vedremo al mentale, mentre con la seconda si manterrà per il mentale una salda realtà naturale. È chiaro che non è tra i nostri scopi indicare qual è la realtà naturale del mentale, sebbene non sia escluso che dalla presente indagine possa risultare qualcosa in proposito.
Riflettiamo ora su cos'è risultato sulla seconda condizione di possibilità del naturalismo cognitivo. Parrebbe, posto che si accetti il ragionamento fin qui condotto e si ammetta la necessità di mantenere la figura in quanto tale, che ciò nonostante
per noi e (2) la realtà del contenuto della conoscenza e le indagini su di essa si risolvono in una descrizione dei processi naturali sottesi.
57 Quando abbiamo studiato l'articolarsi del monismo integrale, in particolare quando il rapporto giunge all'identità e trapassa nella causazione continua, infatti, abbiamo di fatto mostrato come devono essere comprese queste due proposizioni.
resti fermo che si possa conoscere meglio il contenuto di una data conoscenza dopo averne conosciuto la realtà naturale58. È infatti quest'ultima che il naturalismo
cognitivo pone come la verità in sé e per sé. L'accettazione di questa conseguenza dipende dalla natura della ragion d'essere che si riconosce al mentale in quanto mentale: se essa pur riconoscendo l'importanza della figura non vincola all'ammissione di un contenuto che non è omogeneo all'Interno59, allora non solo la
figura può essere ridescritta in qualsiasi momento, ma la ridescrizione è anche necessaria, poiché è una forma più vicina alla verità dei fatti e dunque preferibile. Sembrerebbe dunque che, se si dimostra che il mentale ha una ragion d'essere che costringe ad ammetterlo come un effetto reale ma inessenziale per l'atto conoscitivo, si possa mantenere la seconda condizione del naturalismo cognitivo senza incorrere né nell'“explantory gap” né nell'antinomia.
Nel prossimo capitolo verrà dimostrato che, se si mantiene ferma l'identità tra spiegare e comprendere nel concepire la coscienza e il pensare nell'atto di conoscere, è impossibile non trascurare o non nientificare la coscienza. Vedremo che l'esperienza fenomenica in tal caso è di nuovo svuotata di contenuto, quindi, se anche essa viene riconosciuta come un momento necessario del processo conoscitivo in
58 In altre parole, se si preferisce, si può dire anche che il comprendere com'è inteso nella sua nozione (mi piace in proposito il modo in cui Descartes ne parla in Regulae ad directionem
ingenii, regola VII, in Discorso sul metodo e altri scritti, p.86, a cura di Giulia Belgioioso,
Milano, Bompiani, 2009:<<[…] appreso a passare dalla prima all'ultima cosa (primo e ultimo termine di una catena deduttiva) così velocemente che, senza quasi lasciare parte alcuna alla memoria, mi sembri di intuire tutta la cosa allo stesso tempo>> (corsivo mio), nel naturalismo cognitivo, è in ogni momento identico a quanto è esposto in una spiegazione in senso scientifico. Il processo e l'attualità del comprendere sono ridotti alla descrizione del processo neuronale che realizza questa performance.
59 Si faccia particolare attenzione alla dicitura: un contenuto non omogeneo all'Interno. Non mi sto preparando a dire che il contenuto dell'Esterno può non avere un correlato neuronale o che si ritiri l'ipotesi che la descrizione completa che giunge fino alla figura non è stata raggiunta o è insufficiente a dirci tutto quel che occorre sulla realtà naturale del pensare, bensì mi preparo a mettere in questione che, una volta che tale descrizione sia stata raggiunta, non ci sia altro da sapere.
seguito alla dialettica della prima condizione, nella seconda condizione non è ancora stata superata l'unilateralità dell'identità in quanto causazione continua e a senso unico dell'Interno verso l'Esterno60. Vedremo inoltre che la seconda condizione del
naturalismo cognitivo vale ed è necessaria se è intesa in senso ontologico, ma genera (insieme a molti altri seri problemi) un'incoerenza basata sulle esigenze che sono risultate dal fondamento del naturalismo cognitivo stesso se è intesa in senso epistemologico, perché la ragion d'essere che deve essere assegnata al mentale non consente di ridescrivere quest'ultimo in termini funzionalistici estranei al mentale stesso, dunque da un lato il naturalista si trova a dover assegnare una ragion d'essere al mentale, ma dall'altro tale ragion d'essere risulterà contraria ai suoi principi riduzionisti. Ma se le cose stanno così, mentre il naturalismo può essere a buon diritto l'ontologia delle scienze naturali, il naturalismo cognitivo non è una teoria filosoficamente accettabile. Lo studio del momento cognitivo, infatti, andrà integrato da materie diverse dalle scienze naturali, contro la nozione posta all'inizio. In conclusione, pare che una ragion d'essere del mentale richiesta dalla prima condizione di possibilità del naturalismo cognitivo (il monismo integrale) non sia compatibile con una ragion d'essere ammissibile in base alla seconda condizione di possibilità. Quest'ultima, quindi, deve essere riscritta limitandone la portata alla sola ontologia, come la prima da cui consegue.
Veniamo ora al problema che anima questo scritto. Di conseguenza alle mie affermazioni, devo spiegare come sia possibile che esista una ragion d'essere del mentale che dà all'esperienza fenomenica soggettiva un contenuto neurologicamente descrivibile ma la cui effettualità non consiste in questa descrizione né è da essa
ricavabile, e quale sia questa ragion d'essere. Chiarito che non intendo proporre in questa sede un sistema della mente, noto che per i nostri scopi è sufficiente dimostrare che esiste almeno un pensiero o un modo di pensare che ha senso solo in quanto è pensato da un soggetto autocosciente. Illustrarlo ci chiarirà a titolo esemplificativo quanto mi sono fatto carico di spiegare.
Dato che il naturalismo cognitivo, come dice il nome, si occupa primariamente della conoscenza intesa come elaborazione di informazioni, ho scelto di confrontarmi con il sapere scientifico riguardo all'intuizione sensibile (in senso kantiano), il grado più vicino al puro empirico del nostro accesso all'oggettualità, e di osservare se l'uso che ne facciamo è interamente comprensibile qualora si postuli che la sola realtà naturale del pensare sia il contenuto vero del pensare. In altre parole, si vuole indagare se è possibile dedurre l'uso complesso dei dati immediati del sistema fisiologico che ci consente di sentire (a noi esseri umani) passando da questi a quello per operazioni che non richiedono elaborazione mentale cosciente delle parti coinvolte (cioè, in generale, riflessione). È chiaro che questa indagine sarà condotta evitando scrupolosamente di appoggiarci alle parti di neurofisiologia che ancora non sono state penetrate; si intende, insomma, evitare di giocare con i confini del nostro sapere sulla natura.
L'uso complesso dei dati della sensibilità cui mi riferisco è la raccolta di essi in un sistema dell'esperienza, in cui apprendiamo la realtà come una totalità comprensibile tramite leggi che si pretendono universali. I dati della coscienza e le nostre esperienze sono nostre in quanto si costituiscono per una coscienza soggettiva, ma troviamo che sono strutturate in modo tale da divenire comunicabili e conoscibili da
tutti gli uomini secondo gli stessi rapporti di pensiero con cui vengono soggettivamente concepiti, una volta che gli interlocutori si mettano in grado di comprendere i nessi e le dimostrazioni che li instaurano, a priori o empiriche. Questi concepimento e sistematizzazione soggettivi dell'esperienza sono dapprima episodici e, come tali, vanno a formare endoxa, generalizzazioni induttive pragmaticamente controllabili oppure leggi singolari, se tale sistematizzazione è già molto sofisticata. L'universalità sotto cui si pensa l'esperienza adeguatamente formalizzata e sotto la cui necessità soltanto si può dire di essere effettivamente in possesso di una conoscenza vera è la caratteristica fondamentale non solo degli sforzi nell'impresa umana del sapere in generale, ma anche del sapere scientifico matematico-fisico contemporaneo da cui il naturalismo cognitivo afferma di trarre il contenuto vero sul mentale e, di conseguenza, sull'attività di conoscere. Esamineremo allora in che modo il naturalista fa esperienza dell'andamento verso l'universalità e la necessità dell'esperienza umana a partire dalla certezza della realtà esterna, ricercando se e come il naturalista raggiunge il sapere.
Lo scopo del presente scritto è dispiegare e dimostrare l'andamento che è stato appena abbozzato, spiegando prima la neurobiologia della vista, per poi ricavare in primo luogo un modello dell'attività di pensare e, in secondo luogo, la manipolazione dei materiali della sensibilità che una mente così formata può ricavare. Successivamente, confronteremo l'adeguatezza della mente naturalizzata rispetto all'esperienza scientifica, concentrandoci sia sulla comprensione della scienza che questa mente può produrre sia sulla fondazione che può assicurarle. Infine, dovremo rendere conto delle differenze e vedere se l'andamento accennato può essere
giustificato. Se l'esito dell'indagine sarà per noi positivo, allora risulterà che esiste almeno una ragion d'essere del mentale in quanto tale: l'accesso alla conoscenza speculativa e scientifica. In tal caso, il naturalismo cognitivo, pur restando una dottrina corretta di ontologia ristretta per il problema mente-corpo, risulterà non poter spingere le proprie pretese fino a fare delle neuroscienze le uniche discipline che hanno a che fare con la conoscenza vera. Questa, infatti, non è la pretesa delle neuroscienze, ma del naturalismo cognitivo in quanto è anche una filosofia della mente con implicazioni epistemologiche.
Resta da spiegare perché si ricorrerà alla filosofia per dispiegare e dimostrare le tappe che dovrebbero, secondo la mia tesi, condurre alla conoscenza scientifica e speculativa, anziché, per esempio, la psicologia cognitiva. Posto che la prova risolutiva è l'atto pratico di svolgere il compito che ci siamo proposti, si può accennare una breve risposta introduttiva.
Spesso si sente chiedere cosa sia la filosofia e cosa abbia da dire. Hegel, nella prefazione alla seconda edizione dell'Enciclopedia delle scienze filosofiche, dà a mio parere uno spunto per una risposta concisa ma esauriente:<<[...] è come se quella peste tenuta lontana, cioè la Filosofia, fosse qualcos'altro dalla ricerca della Verità, mentre invece essa è tale proprio nella consapevolezza della natura e del valore dei rapporti di pensiero che collegano e determinano ogni contenuto>>61. Non è vero né
che la scienza fornirebbe il contenuto di cui la filosofia sarebbe la forma né che la scienza sarebbe una filosofia empirica inconsapevole. La scienza da parte sua formula relazioni di pensiero che determinano i contenuti che essa trae con le proprie
61 Hegel, Enciclopedia delle scienze filosofiche in compendio, prefazione alla seconda edizione, p. 43, a cura di Vincenzo Cicero, Milano, Rusconi, 1996.
forze, ma lo stesso vale per la filosofia, la quale di questo contenuto che la scienza trova – che è dunque tenuta a conoscere nella misura dell'esercizio delle sue competenze – ricerca la consapevolezza riguardo alle relazioni di pensiero che lo formano e ne deduce le condizioni di possibilità, inquadrandole in un sistema del pensiero puro, da cui poi procede a spiegare dal proprio punto di vista il medesimo contenuto, dando così il proprio contributo alla conoscenza della natura: la filosofia ricerca come risultato la comprensione del contenuto in quanto concetto62. Nella
buona filosofia, dunque, lo scienziato interessato alle neuroscienze può trovare una guida razionale per una mappa del mentale in quanto mentale che non sia un'opinione soggettiva.
Affermo che la prova dell'adeguatezza della filosofia è lo svolgimento del compito perché, per dimostrare che la filosofia è preferibile a tutte le altre discipline nel trattare il problema, ci si impone l'onere di mostrare che il sorgere della conoscenza scientifica è una questione di relazioni di pensiero, ma per dimostrarlo devo appunto svolgere la deduzione e far vedere che essa è l'unico modo in cui si può pervenire a conoscere il ruolo del concetto e che solo l'elemento concettuale rende possibile importanti forme della conoscenza.
Per concludere questa parte, si può dire infine che è risultato che la spiegazione fornita dalle neuroscienze deve comprendere anche lo sviluppo del mentale in quanto tale, dunque tanto più il concetto di mentale in quanto tale adottato al suo interno sarà astratto, tanto più irrealistiche saranno le sue spiegazioni: posta infatti un'ontologia monista, si deve presupporre che esista un corrispettivo corporeo per
62 Nel senso comune, il concetto è un pensiero come un altro, ma qui si intende che la conoscenza riguardante un certo essente è organizzata secondo nessi necessari, cioè secondo rapporti di pensiero strutturanti un piccolo sistema dell'essente in questione.
ogni stato del pensare in quanto tale, ma dovendo al momento procedere per ipotesi e perciò cercare di capire qualcosa dell'explanandum (il mentale) per impostare la ricerca dell'explanans (il corporeo), è opportuno tentare di capire la struttura e la ragion d'essere del mentale in quanto mentale, se non si vuole fare, nel procedere unilateralmente dal corporeo al mentale, della nostra ignoranza sul corporeo la migliore teoria della mente. In altre parole, una buona teoria della mente entro una cornice monista materiale, ben lungi dal contraddirla argomentando un'impossibile autonomia del mentale, le è anzi di aiuto per verificare l'esattezza dell'explanandum e l'adeguatezza dell'explanans.