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La riforma Biagi: Legge 14 febbraio 2003, n 30

1. Evoluzione normativa delle più importanti riforme riguardanti il

1.5 La riforma Biagi: Legge 14 febbraio 2003, n 30

Il processo di flessibilizzazione raggiunge il suo culmine con il D. Lgs 276/2003 attuativo della Legge 30/2003. Il principio fondamentale che sta alla base di questa nuova riforma del mercato del lavoro è quello di rendere lo stesso maggiormente flessibile e deregolamentato, con lo scopo dichiarato di agevolare l'incontro fra domanda e offerta di lavoro e favorire l'inserimento dei lavoratori nel mercato (PANIZZA S., ROMBOLI R., 2006). La rigidità del mercato del lavoro e i conseguenti rigidi processi di entrata ed uscita dal mercato continuavano ad essere considerati la principale causa della stagnazione della situazione economica (DI NICOLA P., 2011). Questa riforma pone le basi per una moltiplicazione dei contratti cosiddetti flessibili, modellando e riempiendo di variegate tipologie la categoria dei più noti contratti atipici, contribuendo ancor di più a capovolgere il principio secondo cui il contratto a

tempo indeterminato dovrebbe rappresentare la regola mentre quello a tempo determinato l'eccezione. Tale riforma aveva l'obiettivo di diversificare maggiormente le forme contrattuali; inserirne di nuove; revisionare le modalità di quelle già esistenti; introdurre contratti di inserimento per i lavoratori svantaggiati e disoccupati nelle aree maggiormente soggette a disoccupazione; ridurre i vincoli imposti alle imprese nell'uso dei contratti part-time e a termine; riordinare la disciplina dei servizi per l'impiego e del collocamento; eccetera (DI NICOLA P., 2011).

Il mercato del lavoro italiano presentava un tasso di occupazione appena superiore al 56 per cento, uno fra i più bassi d'Europa, considerando che la media europea si attestava intorno al 62.5 per cento (EUROSTAT, 2014).

Il tasso di disoccupazione, invece, aveva intrapreso una fase discendente già dagli anni Duemila, passando dal 10.1 per cento all'8.4 per cento nel 2003, a fronte di una media europea pari al 9 per cento, e di cui una quota consistente era soprattutto rappresentata da donne e giovani; ad ogni modo, la stagione economica era positiva, l'occupazione cresceva sensibilmente e la disoccupazione, seppur molto più lentamente, si stava riassorbendo (ISTAT, 2011a).

La flessibilizzazione del mercato del lavoro ha sostenuto così la dinamica positiva dell'occupazione che a sua volta ha stimolato la crescita della partecipazione e la riduzione della disoccupazione; questo è stato dovuto anche all'incremento dei flussi in ingresso della popolazione straniera che, contribuendo ad ampliare la partecipazione al mercato, ha prodotto effetti positivi sia sull'occupazione sia sulla disoccupazione (ISTAT, 2011a).

La riforma Biagi ha disciplinato quasi tutte le tipologie di lavoro flessibile, anche in un'ottica di riordino della materia, con l'unica rilevante eccezione del lavoro a tempo determinato, riformato con il Decreto Legislativo 6 settembre 2001, n. 368; entrambi, però, s'ispirano ai medesimi principi, tanto da costituire in senso ideale parti di un unico processo di riforma (DI DOMENICO G., SCARLATO M., 2013).

Abbiamo fino ad ora più volte dichiarato come la Legge Biagi abbia accentuato la flessibilità, anche in ingresso, attraverso l'istituzione di nuove figure contrattuali e revisionando quelle pre-esistenti ma, in concreto, di che tipo di forme contrattuali si

tratta? Il quadro normativo italiano, in relazione al periodo storico di riferimento, identifica 21 forme contrattuali di lavoro diverse da quella tipica, declinate secondo 48 modalità differenti (PROGETTO ALFIERI, 2007).

Riportiamo alla pagina successiva, nella Tabella 1, una classificazione analitica dei rapporti di lavoro atipici, che in seguito andremo ad esaminare più approfonditamente, basata su quattro criteri (ISTAT, 2004):

• la stabilità del rapporto di lavoro (permanente o temporaneo); • il regime dell'orario di lavoro (tempo pieno o parziale);

• il riconoscimento di diritti sociali derivante dalla relazione lavorativa (intero, ridotto o nullo);

• la natura/grado dell'atipicità (piena o parziale).

Con riferimento a quest'ultimo criterio possiamo distinguere i rapporti di lavoro diversi da quello “standard” – ossia lavoro dipendente a tempo pieno e di durata indeterminata svolto all'interno di un'impresa o istituzione – caratterizzati anche solo parzialmente da elementi di atipicità.

Essa può essere implicita nella tipologia stessa del contratto, dunque atipico in senso stretto, o derivare da elementi del rapporto di lavoro, quali ad esempio la modalità o il luogo di erogazione, la durata, il carattere relativamente inusuale nel quadro del mercato del lavoro italiano, dunque parzialmente atipico, come ad esempio può esserlo il contratto part-time che in Italia si è diffuso in maniera rilevante soltanto durante la fine degli anni Novanta, a differenza degli altri Paesi europei e seppur, dal punto di vista normativo, sia stato introdotto a metà degli anni Ottanta (ISTAT, 2004). Delle 48 modalità differenti di rapporti contrattuali su citati, 34 possono essere inquadrate come pienamente atipiche e 14 parzialmente atipiche; 28 sono caratterizzate dall'assicurazione al lavoratore del godimento dei pieni diritti previdenziali, 20, per contro, presentano una tutela previdenziale ridotta o nulla (ISTAT, 2004).

Metodologicamente va specificato che le informazioni dedotte sono il risultato dell'integrazione di fonti diverse, perché nessuna singolarmente è in grado di rilevarne i dettagli e sono principalmente ricavate dalla rilevazione Oros

(Occupazione, Retribuzione e Oneri Sociali) dell'Istat che esclude indagini sulla pubblica amministrazione e i servizi alle famiglie.

Tab. 1 – Classificazione dei Rapporti Atipici (a)

Fonte: Istat (2004)

La riforma Biagi se da un lato ha revisionato forme contrattuali già esistenti, dall'altro ha proceduto a (DI DOMENICO G., SCARLATO M., 2013):

• introdurre nuove tipologie di contratto in sostituzione di alcune, come è accaduto per l'istituto del lavoro interinale sostituito dal lavoro somministrato a tempo determinato e ai contratti di formazione e lavoro sostituiti dai contratti di inserimento;

• rinnovarne completamente altre, come per esempio è accaduto per il lavoro part-time e l'apprendistato;

• introdurre novità in senso stretto come il lavoro a chiamata, il lavoro ripartito, il lavoro somministrato a tempo indeterminato e il lavoro a progetto che, pur rappresentando una novità, si inserisce nel quadro entro cui sono state disegnate le collaborazioni coordinate e continuative.

Passiamo, qui di seguito, ad analizzare, in sintesi, le caratteristiche più rilevanti che caratterizzano ciascuna forma contrattuale.

Contratto di lavoro intermittente: introdotto dagli artt. 33 a 40 del D. Lgs n. 273/2003 esso prevede che il lavoratore venga utilizzato dall'impresa “a chiamata”, ossia quando l'impresa ne abbia necessità, rimanendo per il restante periodo in una posizione di disponibilità (MAZZOTTA O., 2013).

Tale contratto è stato successivamente oggetto di diverse modifiche: la prima intervenuta nel 2007 con la Legge 24 dicembre n. 247, a carico dell'allora governo di centro-sinistra, che ha abrogato integralmente l'istituto, riproducendolo con uno schema minore, limitato ai soli settori del turismo e dello spettacolo; la seconda modifica è intervenuta nel 2008 con la Legge 6 agosto n. 133, con il nuovo governo di centro-destra, che ne ripropone la versione originaria; e poi la riforma Monti, la Legge 28 giugno 2012, n. 92 che ha revisionato l'istituto prevedendolo per lo svolgimento di prestazioni lavorative a carattere discontinuo o intermittente (MAZZOTTA O., 2013).

Le esigenze lavorative sono individuate dai contratti collettivi o, in mancanza, con intervento del Ministro del Lavoro che, tramite decreto, favorisce l'accordo tra le organizzazioni sindacali interessate dei lavoratori e datori di lavoro; titolari del contratto possono essere solo i lavoratori ultracinquantenni o di età inferiore a ventiquattro anni; il contratto può essere concluso sia a tempo determinato che a tempo indeterminato; il lavoratore può assumere o meno l'obbligo di rispondere alla chiamata del datore di lavoro8 (ISTAT, 2004).

8 Se il lavoratore assume l'obbligo percepisce un'indennità di disponibilità mensile la cui

misura è determinata dai contratti collettivi e che comunque non può essere inferiore a quella stabilita da decreto ministeriale. In caso di rifiuto ingiustificato alla chiamata il lavoratore è tenuto a restituire l'indennità, a versare una congrua somma a titolo di risarcimento del danno e rescindere il contratto. Se, al contrario, non sussiste l'obbligo di rispondere alla chiamata il lavoratore non ha diritto ad alcuna indennità e percepirà una retribuzione pari alla prestazione lavorativa effettuata nel periodo (Istat, 2004).

All'utilizzo del contratto intermittente si applicano alcuni divieti come quello previsto per la sostituzione di lavoratori che esercitano il diritto di sciopero o si fa divieto a ricorrere ad esso in quelle unità produttive nelle quali si è proceduto a licenziamenti collettivi (MAZZOTTA O., 2013).

Il trattamento economico e normativo del lavoratore non può essere meno favorevole rispetto al lavoratore di pari livello, a parità di mansioni svolte e durante i periodi di non lavoro non risulta titolare di alcun diritto riconosciuto ai lavoratori subordinati e non matura nessun tipo di trattamento economico e normativo, ad eccezione dell'indennità di disponibilità (MAZZOTTA O., 2013).

Contratto di lavoro ripartito o job sharing: è un rapporto speciale mediante il quale due persone si impegnano ad adempiere in solido un'unica e identica obbligazione lavorativa e, di conseguenza, l'eventuale impedimento di uno dei due ricade sull'altro, obbligato per la prestazione (PANIZZA S., ROMBOLI R., 2006). In sostanza, due persone si dividono consensualmente lo stesso rapporto di lavoro, potendo scegliere come dividersi i relativi doveri, gestendo autonomamente e discrezionalmente la ripartizione dell'attività lavorativa ed effettuando sostituzioni fra loro (INPS, 2016d). È una forma contrattuale di tipo subordinato, che può essere stipulato a tempo determinato o indeterminato da tutti i lavoratori e datori di lavoro, fatta eccezione per la pubblica amministrazione; la suddivisione del lavoro può essere di tipo verticale – una settimana, un mese o un anno ciascuno – e di tipo orizzontale, ossia entrambi lo stesso giorno; sono vietate le sostituzioni da parte di terzi, salvo se concordate; i due lavoratori sono conteggiati come unica unità lavorativa nella forza lavoro aziendale; questa tipologia contrattuale ha come obiettivo quello di conciliare i tempi di vita e di lavoro cercando di bilanciare le esigenze di flessibilità delle imprese e le esigenze dei lavoratori (INPS, 2016d). Il datore di lavoro non può opporsi alle modalità di gestione dell'attività lavorativa scelte dai lavoratori e il licenziamento o le dimissioni di uno comportano l'estinzione dell'intero vincolo contrattuale; le contribuzioni retributive e assicurative gravanti sul datore di lavoro sono quelle previste per il lavoro a tempo parziale; ciascuno dei due lavoratori ha diritto a ricevere un trattamento economico e normativo che non deve essere

complessivamente meno favorevole di quello spettante al lavoratore di pari livello a parità di mansioni (ISTAT, 2004).

Contratto di inserimento: esso è stato abrogato con la riforma Monti, ossia con la Legge 28 giugno 2012, n. 92 che ha disposto una serie di interventi nel mercato del lavoro in una prospettiva di crescita. Tale tipologia contrattuale, che ha sostituito il contratto di formazione e lavoro, era volto a promuovere l'occupazione o la ricollocazione lavorativa di tutti quei soggetti svantaggiati e riconducibili, in generale, a due tipologie fondamentali: i giovani in cerca di prima occupazione ed i disoccupati di lunga durata e/o lavoratori ultracinquantenni espulsi dal circuito produttivo (MAZZOTTA O., 2013). Si trattava di un contratto a tempo determinato, di durata compresa tra i nove e i diciotto mesi e, fatto esclusione per i liberi professionisti, esso poteva essere stipulato da enti pubblici economici, imprese o loro consorzi, associazioni professionali, sportive, socio-culturali, enti di ricerca, pubblici e privati, organizzazioni e associazioni di categoria (ISTAT, 2004). Il contratto di inserimento mostrava analogie con il contratto di apprendistato ma, a differenza di quest'ultimo, non presentava un vero e proprio obbligo di formazione professionale (PANIZZA S., ROMBOLI R., 2006).

Staff leasing e interinale: entrambi i tipi di contratto rientrano all'interno del regime della cosiddetta somministrazione del lavoro con cui un imprenditore, bisognoso di una prestazione lavorativa, si rivolge a un terzo soggetto, un'apposita Agenzia autorizzata dal Ministero del Lavoro, al fine di vedersi messa a disposizione l'utilizzo di questa forza lavoro che resta legata contrattualmente con la stessa agenzia di somministrazione, la quale, a sua volta, viene remunerata per questo tipo di attività (PANIZZA S., ROMBOLI R., 2006). Questa appena delineata non è altro che la definizione di quello che più comunemente conosciamo come lavoro interinale introdotto con il Pacchetto Treu. Una delle innovazioni più significative introdotte dalla riforma Biagi è stata l'introduzione della somministrazione del lavoro a tempo indeterminato, ossia lo staff leasing (MAZZOTTA O., 2013). Seppur di ricadute concrete vane, in quanto non si registrano utilizzi della suddetta tipologia da parte di nessuna impresa, tale innovazione comunque accreditò la possibilità permanente di

scindere la titolarità del rapporto e l'utilizzazione della prestazione potendo produrre, alla lunga, conseguenze negative dal punto di vista della protezione sociale dei lavoratori utilizzati (MAZZOTTA O., 2013). In aggiunta, ad aggravare tale preoccupazione vi è anche la previsione secondo cui è possibile impedire all'imprenditore l'assunzione diretta del lavoratore, una volta conclusasi la prestazione; l'agenzia corrisponde al lavoratore un'indennità durante i suoi periodi di non lavoro e dunque tale impegno deve poter essere salvaguardato garantendo la non perdita del lavoratore all'agenzia (PANIZZA S., ROMBOLI R., 2006). L'istituto, abrogato qualche anno più tardi, fu nuovamente riproposto nel 2010, tornato in carica il governo di centro-destra, con la Legge 23 dicembre 2009, n. 191, con decorrenza dal 1° gennaio 2010 (MAZZOTTA O., 2013). Il contratto di somministrazione, se da un lato ha eroso meccanismi di rigidità previsti a carico del datore di lavoro, dall'altro non ha previsto un adeguato contrappeso di garanzie verso la parte più debole del rapporto di lavoro che è, appunto, il lavoratore. Ad ogni modo lo staff leasing può essere utilizzato soltanto in determinati casi previsti dalla legge come per i servizi di consulenza e assistenza nel settore informatico, gestione dei call – center, casi di attività di marketing ed analisi di mercato, eccetera, mentre la somministrazione a tempo determinato viene applicata in virtù della presenza di particolari ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo e sostitutivo; il contratto di somministrazione è nullo se stipulato al di fuori dei casi previsti dalla legge (ISTAT, 2004). La riforma Biagi, sempre alla stregua della disciplina del lavoro a termine, ha introdotto il fondamentale principio della parità di trattamento (DI DOMENICO G., SCARLATO M., 2013). Da ultimo merita segnalare, invece, come la novità principale riguardante il contratto di lavoro interinale, introdotta con la riforma Biagi, stia nell'individuazione della normativa a cui bisogna ricorrere per disciplinare tale tipologia, ossia quella dei contratti a tempo determinato, regolati dal D. Lgs. 6 settembre 2001, n. 368, o indeterminato, regolati dal codice civile e leggi speciali, evitando ogni dubbia interpretazione della riforma del 2001 a danno del lavoro interinale a cui si fa, in definitiva, riferimento per il regime contributivo di entrambe le tipologie contrattuali (ISTAT, 2004).

Collaborazione coordinata e continuativa: l'istituto delle collaborazioni viene ridimensionato. Infatti, da questo momento in poi, non sarà più possibile convenire liberamente ad un contratto di collaborazione in quanto esso dovrà essere riconducibile «ad uno o più progetti specifici determinati dal committente e gestiti autonomamente dal collaboratore» (MAZZOTTA O., 2013). Il co.co.co potrà essere impiegato soltanto per determinate categorie di lavoratori quali i liberi professionisti iscritti agli albi professionali, i pensionati di vecchiaia in relazione a qualsiasi tipo di attività e il regime varrà anche per le pubbliche amministrazioni alle quali, appunto, non si applica la disciplina dei lavori a progetto; nel rispetto di tali requisiti tali rapporti di lavoro potranno essere stipulati anche a tempo indeterminato (ISTAT, 2004). Nel caso delle pubbliche amministrazioni, inoltre, si prevede il meccanismo, anche sanzionatorio per il datore di lavoro, della conversione automatica in rapporto dipendente a tempo indeterminato, nel caso in cui si dimostri la natura subordinata del rapporto stesso (PROGETTO EQUAL GE.L.S.O., 2007). Il rapporto di lavoro tra lavoratore e datore di lavoro sarà, dunque, legato all'esecuzione di un progetto sufficientemente specificato e senza il vincolo di subordinazione; la motivazione che sottostà a questo cambio d'impostazione è da rintracciare nella marcata diffusione che i co.co.co hanno registrato negli anni, camuffando spesso degli impieghi che concretamente si configuravano come lavori di subordinazione vera e propria, senza garantire per contro le tutele che spettano ad un lavoratore subordinato (PANIZZA S., ROMBOLI R., 2006).

Lavoro a progetto: esso rientra nella categoria del lavoro autonomo ed è possibile stipularlo solo se al suo interno viene inserita la previsione della realizzazione di uno specifico progetto, finalizzato al raggiungimento di un risultato (ISTAT, 2004). Il contratto, dunque, per esser valido deve indicare il progetto, un programma di lavoro o fase di esso, previsto in maniera puntuale e specifica; la durata a tempo determinato o determinabile; corrispettivo nei minimi tabellari; proroga solo in casi particolari; prestazione resa in forma di lavoro autonomo; la violazione anche solo di uno di questi requisiti comporta la conversione del rapporto di lavoro in tempo determinato (DI DOMENICO G., SCARLATO M., 2013). Se il risultato viene raggiunto in minor

tempo, la previsione del compenso stabilito non cambia; non è possibile stipulare questo tipo di contratto a tempo indeterminato; il reddito prodotto è assimilabile a quello del lavoro dipendente ed è prevista l'iscrizione, a fini previdenziali, al fondo di gestione separata dell'Inps; è prevista una tutela per maternità e paternità fino a questo momento inesistente; e tale istituto non è applicabile per alcune categorie di lavoratori individuate dalle legge, come, ad esempio, gli agenti di commercio, le professioni intellettuali che prevedono l'iscrizione all'albo, alle attività rese in qualità di amministratore o sindaco di società, eccetera (ISTAT, 2004).

Lavoro occasionale: anch'esso configurabile come un rapporto di lavoro a progetto, prevede una durata complessiva non superiore a trenta giorni nel corso dell’anno solare con uno stesso committente; il corrispettivo non supera i 5 mila euro; a tale rapporto di lavoro non si applica la disciplina del lavoro a progetto (ISTAT, 2004). Prestazione di lavoro accessorio: si tratta di attività di natura occasionale, come i lavori domestici a carattere straordinario, l'assistenza domiciliare a bambini e anziani, alle persone ammalate o portatrici di handicap, i piccoli lavori di giardinaggio, di pulizia o manutenzione di edifici o monumenti e altro (ISTAT, 2004). Tali attività vengono svolte per lo più da lavoratori a rischio di esclusione sociale o non ancora entrati nel mercato del lavoro o che sono in procinto di uscirne, come i disoccupati da più di un anno, casalinghe, studenti, disabili, eccetera; la durata non deve essere superiore a trenta ore in un anno solare e il compenso non superiore a tre mila euro l'anno; il pagamento del corrispettivo avviene tramite buoni, chiamati voucher, e al prestatore viene applicato fiscalmente il regime di esenzione, riservandosi e non perdendo così l'eventuale status amministrativo di disoccupato (ISTAT, 2004).

Apprendistato: esso, con la riforma Biagi, viene sostanzialmente modificato. È, infatti, ridefinito secondo tre diverse tipologie (PROGETTO VESPRO, 2011):

il contratto di apprendistato qualificante per l'espletamento del diritto-dovere di istruzione e formazione, funzionale all'acquisizione di una qualifica professionale triennale;

qualificazione attraverso una formazione sul lavoro e un apprendimento tecnico-professionale;

il contratto di apprendistato specializzante per l'acquisizione di un diploma o per percorsi di alta formazione, funzionale al conseguimento di un titolo secondario, universitario, di alta formazione o di specializzazione tecnica superiore.

Rispettivamente, il primo si applica in tutti i settori ai giovani con più di quindici anni di età, ha una durata massima di tre anni e la regolazione dei profili formativi è rimessa alle Regioni; il secondo si applica in tutti i settori ai giovani da diciotto a ventinove anni di età e ai diciasettenni solo se in possesso di una qualifica professionale, prevede un tutor aziendale e centoventi ore di formazione interna o esterna all'azienda e ha una durata compresa tra i due e i sei anni, ampliando la tipologia precedente che prevedeva una durata compresa tra i diciotto mesi e i quattro anni; il terzo si applica in tutti i settori ai giovani da diciotto a ventinove anni di età e ai diciasettenni solo se in possesso di una qualifica professionale, la disciplina e la durata sono rimesse alle Regioni (ISTAT, 2004).

C'è, però, da precisare come anche questa riforma abbia parzialmente fallito e la sua attuazione non pienamente concretizzata. Molti dei contratti di apprendistato sono ancora regolati dalla disciplina originaria e i fattori del fallimento, molteplici, sono da rintracciare in diversi motivi quali la complessità e poca chiarezza della normativa di riferimento, incerto riparto di competenza tra Stato, Regioni e parti sociali, concorrenza di strumenti non sempre correttamente utilizzati come stage e contratti a progetto (PROGETTO VESPRO, 2011). Da questo ne derivano ulteriori interventi normativi di modifica che andremo ad approfondire in seguito.

La riforma ha, in conclusione, modificato anche altre tipologie contrattuali diversi da quelli su esaminati e riguardano il contratto part-time, il contratto a termine e il tirocinio estivo di orientamento. Per ragioni d'interesse non proseguiremo ad una analisi dettagliata di ciascuno ma merita accennare come il part-time sia stato rivisto, nelle sue modalità e criteri di applicazione, in un'ottica di maggiore flessibilizzazione, senza stravolgere l'impianto originario dell'istituto; nel contratto a

termine, invece, le innovazioni prodotte con la riforma Biagi seguono, in sostanza, gli stessi principi di riordino attuati per le altre tipologie contrattuali, ricalcando la scia tracciata con la Legge 6 settembre 2001, n. 368 la quale introdusse il principio di