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La riforma Fornero: Legge 28 giugno 2012, n 92

1. Evoluzione normativa delle più importanti riforme riguardanti il

1.6 La riforma Fornero: Legge 28 giugno 2012, n 92

tessuto economico-politico italiano contrassegnato da molteplici difficoltà legate al contesto di crisi che continuava a perdurare nel nostro Paese e che aveva raggiunto una gravità tale che richiedeva interventi strutturali e mirati tesi a dar, oltre che qualche segnale di positività, un respiro un po’ più ampio per una ripresa ed una crescita economica che l'Italia non registra ormai da tempo.

Sono gli anni della recessione contraddistinti, a livello nazionale, da una crisi dell'intero sistema dei partiti e delle istituzioni, oltre che da una crisi finanziaria che abbraccia un livello ultra-nazionale. L'Italia ereditaria di una storia lasciata in consegna da un governo di centro-destra, il Governo Berlusconi, attraversa una transizione da una Seconda Repubblica in evidente difficoltà, caratterizzata da una instabilità della leadership nei partiti, da una difficoltà nel raccogliere consenso dai cittadini, da un diffuso sentimento di antipolitica, da una necessità di ricercare larghe intese, a causa di un'incapacità e di una mancanza nel trovare un progetto politico maggioritario, per varare gli ultimi tre Governi della Terza Repubblica, ossia dando vita agli Esecutivi Monti, Letta e Renzi (CONSIGLIODEI MINISTRI, 2015a).

Anche per queste motivazioni l'Italia sarà traghettata nelle stagioni dei Governi tecnici in cui necessarie sono divenuti interventi di finanza pubblica che hanno prodotto conseguenze dirette su molte famiglie italiane; si parla di “manovre” e locuzioni quali spread, rating, default e l'espressione “lacrime e sangue” entrano a far parte nel vocabolario comune di noi italiani (BERTOLUSSI G., 2012).

La priorità era mettere al sicuro e rendere credibile la tenuta dei conti pubblici italiani, evitare l'esplosione dei tassi d'interesse, l'accumulo di altro debito e l'allontanamento dall'obiettivo del pareggio di bilancio, anche per continuare a salvaguardare la reputazione del nostro Paese nei confronti di un'Europa che con le sue istituzioni perseverava nel chiedere una riduzione della spesa e/o un aumento delle tasse (BERTOLUSSI G., 2012).

È stato così che l'Italia ha attraversato uno dei periodi più difficili della propria storia recente e le su citate “manovre” sono state giustificate da una recessione che già dal 2009 ha fatto registrare una riduzione del Prodotto Interno Lordo pari al 5,5 per cento, una caduta dell'attività produttiva delle imprese, una contrazione delle

esportazioni ed una diminuzione del potere d'acquisto delle famiglie che hanno determinato una stagnazione dei consumi in termini reali (ISTAT, 2012).

Il biennio successivo, seppur abbia registrato lievi aumenti del Prodotto Interno Lordo, l'attività economica, nel 2011, non aveva ancora recuperato il livello raggiunto prima della crisi del 2008-2009 (ISTAT, 2012). La crisi avviatasi nel 2011 appare, dunque, strettamente connessa a problematiche interne alla zona euro e all'Italia: sostenibilità della situazione del bilancio pubblico, necessità di riforme strutturali, rilancio della competitività del sistema economico, aumento dell’efficienza della Pubblica Amministrazione, lotta alla corruzione, perdita di credibilità della classe politica sono questi alcuni dei temi all’ordine del giorno nel dibattito pubblico di quegli anni (ISTAT, 2012).

La riforma Fornero rientra, quindi, tra quelle manovre strutturali del mercato del lavoro che si propose l'obiettivo di contrastare la precarietà ed ampliare il numero dei lavoratori tutelati, rendendo l'assetto degli ammortizzatori sociali e delle connesse politiche attive più eque e coerenti con l'obiettivo su indicato (MINISTERODEL LAVORO EDELLE POLITICHE SOCIALI, 2014a).

Letteralmente, l'art.1, comma 1 della Legge n. 92/2012 dichiara le intenzioni finali della riforma disponendo che gli interventi richiesti sono tesi “a realizzare un mercato del lavoro inclusivo e dinamico, in grado di contribuire alla creazione di occupazione, in quantità e qualità, alla crescita sociale ed economica e alla riduzione permanente del tasso di disoccupazione”.

Le modifiche introdotte da una parte hanno teso a razionalizzare le tipologie contrattuali esistenti e a contrastare l'uso improprio e strumentale di alcuni elementi di flessibilità che erano stati progressivamente introdotti nel nostro ordinamento e dall'altro erano volte ad aumentare la flessibilità in uscita tramite la restrizione dell’area del reintegro nel caso di licenziamento illegittimo nei confronti dei lavoratori con contratto a tempo indeterminato riducendo sì i costi di licenziamento della manodopera regolare, ma ridimensionando, di molto, il grado di protezione dei rapporti di lavoro a tempo indeterminato (SISTAN, 2014).

razionalizzazione delle tipologie contrattuali.

A tal proposito, le azioni contemplate nella legge sono orientate a favorire l'instaurazione di rapporti di lavoro più stabili confermando il rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato quale contratto dominante, valorizzare l'apprendistato come modalità prevalente di ingresso dei giovani nel mondo del lavoro e promuovere una maggiore inclusione delle donne nel mondo del lavoro, ridistribuire in maniera più equa le tutele dell'impiego sia contrastando l'uso improprio dello strumento della flessibilità sia modificando la disciplina del licenziamento, agendo sulla cosiddetta area della flessibilità in entrata le cui misure principali relative alle tipologie contrattuali sono, in sostanza, previste dai commi 9- 36 dell'art.1 (MINISTERODEL LAVOROEDELLE POLITICHE SOCIALI, 2014b).

Naturalmente, il raggiungimento dell'obiettivo della riforma non riguarda, in maniera isolata, la messa in campo delle sole azioni previste all'interno di quest'ambito ma, al contrario, sono integrate con tutta una seria di altre misure che vanno ad incidere sulla disciplina del licenziamento, nell'ambito del sistema degli ammortizzatori sociali, nel campo degli incentivi e delle tutele e in altri ambiti quali, ad esempio, quello dei servizi pubblici per l'impiego e il sistema di formazione (MINISTERO DEL LAVOROEDELLE POLITICHE SOCIALI, 2014b).

Partiamo con l'esaminare le modifiche apportate dalla riforma sul contratto di apprendistato e che riguardano rispettivamente il regime della durata, il numero complessivo di apprendisti in servizio e il regime delle conferme del numero degli apprendisti.

La disciplina è racchiusa nei commi 16-19 dell'art.1 della Legge n. 92/2012 e intervengono a modificare il Decreto Legislativo n. 167 del 2011 con cui è stato approvato il Testo Unico sull'Apprendistato. Per ragioni di chiarezza interpretativa si specifica come gli interventi di modifica di seguito riportati sono comprensivi degli aggiornamenti prodotti con i successivi Decreto Legge 22 giugno 2012, n. 83 recanti “Misure urgenti per la crescita del Paese”, con il Decreto Legge 18 ottobre 2012, n. 179 recante “Ulteriori misure urgenti per la crescita del Paese” e con la Legge 24 dicembre 2012, n. 228, ossia la Legge di Stabilità 2013.

Premesso questo, le innovazioni più rilevanti introdotte con la riforma Fornero sull'apprendistato, nell'ottica di farlo divenire il canale privilegiato dei giovani per l'accesso al mondo del lavoro, dispongono che (CAMERADEI DEPUTATI, 2013):

• la disciplina, essendo stata rimessa totalmente alle parti sociali con il Testo Unico n. 167/2011 e dunque agli accordi interconfederali o ai contratti collettivi nazionali, debba prevedere una durata minima del rapporto non inferiore a sei mesi, fatte salve le attività stagionali per le quali può essere prevista una durata inferiore;

• si prevede che la somministrazione di lavoro a tempo indeterminato sia ammessa in tutti i settori produttivi in caso di utilizzo di lavoratori assunti con contratto di apprendistato;

• nelle aziende che occupano almeno dieci dipendenti possono essere assunti tre apprendisti ogni due lavoratori specializzati, mentre il precedente rapporto di uno a uno viene confermato per le aziende con un numero di dipendenti inferiore a dieci. I datori di lavoro che non hanno alle proprie dipendenze maestranze specializzate possono assumere un massimo di tre apprendisti; • per favorire la stabilizzazione dei posti di lavoro si prevede che i datori di

lavoro che occupano almeno dieci dipendenti non possono stipulare nuovi contratti di apprendistato se nei 36 mesi precedenti non abbiano confermato in servizio almeno il 50 per cento degli apprendisti che abbiano concluso il periodo formativo; tale percentuale era ridotta al 30 per cento per i primi mesi di applicazione della riforma. Se tali limiti non sono rispettati è comunque prevista l'assunzione di un ulteriore apprendista rispetto a quelli già confermati, fatta esclusione per i rapporti cessati per recesso durante il periodo di prova, per dimissioni e per licenziamento per giusta causa. Gli apprendisti assunti in violazione di questi limiti sono considerati assunti come lavoratori subordinati a tempo indeterminato;

• è in ogni caso esclusa la possibilità di assumere in somministrazione apprendisti con contratto di somministrazione a tempo determinato;

incrementa il numero massimo di apprendisti che possono essere assunti contemporaneamente alle dipendenze di uno stesso datore di lavoro.

In aggiunta, la riforma Fornero ha introdotto maggiori vincoli all'utilizzo dei contratti atipici con l'intento di contrastare e superare gli abusi che hanno condotto ad un uso improprio delle forme contrattuali flessibili impiegati come mezzo per eludere la disciplina del rapporto di lavoro subordinato.

Partiamo dalla disciplina del lavoro a progetto contenuta nei commi 23-25 dell'art.1 della Legge n. 92/2012 che vanno ad incidere sulle disposizioni contenute nel decreto legislativo n. 276/2003 attuativo della riforma Biagi. Le modifiche in tal senso riguardano (CAMERADEI DEPUTATI, 2013):

• la previsione per cui il contratto a progetto può essere stipulato unicamente per progetti specifici e non più per programmi di lavoro o fasi di esso come previsto in precedenza e, inoltre, si esclude che il progetto possa essere una mera riproposizione dell'oggetto sociale del committente o sia previsto per lo svolgimento di compiti meramente esecutivi o ripetitivi. Il risultato finale che s'intende conseguire attraverso il contratto di lavoro a progetto deve essere espressamente previsto nella forma scritta del contratto. A seguire la norma precisa come la mancanza dell'individuazione dello specifico progetto determini la costituzione di un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato, essendo il progetto stesso considerato elemento essenziale per la validità del contratto;

• si prevede che il corrispettivo non può essere inferiore ai minimi stabiliti per ciascun settore di attività dai contratti collettivi sottoscritti dalle organizzazioni sindacali maggiormente rappresentativi dei lavoratori e datori di lavoro e in assenza di ciò il compenso non può essere inferiore alle retribuzioni minime previste dai contratti collettivi nazionali di categoria applicati nel settore di riferimento a figure professionali il cui profilo di competenza e di esperienza sia analogo a quello del collaboratore a progetto. In precedenza il compenso doveva essere proporzionato alla quantità e alla qualità del lavoro eseguito, tenuto conto dei compensi normalmente

corrisposti per analoghe prestazioni a lavoratori autonomi;

• si introduce la possibilità per il committente di recedere prima della scadenza del termine in caso di sopravvenuti motivi di inidoneità professionale oggettiva del collaboratore tali da rendere impossibile la prosecuzione del progetto;

• si prevede, infine, che i collaboratori siano considerati lavoratori subordinati nel caso in cui l'attività svolta abbia caratteristiche analoghe a quelle svolte dai lavoratori dipendenti.

La riforma Fornero è intervenuta anche sulla disciplina del lavoro intermittente, detto anche lavoro a chiamata o job on call. Le modifiche, contenute nei commi 21 e 22 del'art.1 emendano, anch'esse, le disposizioni della riforma Biagi.

La Legge n. 92/2012 ne ridefinisce le modalità e i tempi, i soggetti ai quali si può applicare, ne permette il proseguimento per periodi di durata significativa e introduce l'adempimento della Comunicazione Obbligatoria prima dell'inizio della prestazione lavorativa, con l'obiettivo di evitarne un uso distorto (MINISTERODEL LAVOROEDELLE POLITICHE SOCIALI, 2014b).

Più precisamente, le innovazioni rilevanti riguardano (CAMERADEI DEPUTATI, 2013): • i limiti di età del lavoratore entro i quali può essere concluso il contratto di

lavoro: si passa, infatti, da un limite minimo di 25 anni ad uno di 24 anni e a condizione che le prestazioni vengano svolte entro il venticinquesimo anno di età, mentre il limite massimo viene innalzato da 45 anni a 55 anni di età; • l'introduzione dell'obbligo della comunicazione preventiva del datore di

lavoro alla Direzione del Lavoro territoriale competente per aver fatto ricorso ad una prestazione di lavoro con contratto di lavoro intermittente di durata superiore a trenta giorni ed in caso di inosservanza è prevista una sanzione amministrativa pecuniaria;

• si dispone, infine, transitoriamente che i contratti di lavoro intermittenti già sottoscritti con l'entrata in vigore di tale legge e non uniformi alla nuova disciplina cessano di produrre effetti dopo dodici mesi dalla data di emanazione della presente legge.

Anche il lavoro accessorio viene modificato. I commi 32 e 33 dell'art.1 della riforma Fornero ridisegnano il campo di applicazione dell'istituto, restringendone il raggio di operatività tracciato dalla riforma Biagi; si prevede, infatti, che tali prestazioni di natura meramente occasionale non possano dar luogo a compensi che complessivamente superino i 5.000 euro nel corso di un anno solare in relazione alla totalità dei committenti, mentre in precedenza questo limite era previsto per i singoli committenti; si dispone che per le prestazioni rese a favore di imprenditori commerciali o professionisti i compensi non possano superare i 2.000 euro annui, fermo restando il limite di cui sopra; si interviene sulla modalità di pagamento dei compensi specificando che deve avvenire per mezzo di voucher orari, numerati progressivamente e datati e il cui valore nominale deve tener conto delle risultanze istruttorie del confronto fra le parti sociali; si interviene, infine, con piccoli aggiornamenti sulla disciplina delle attività agricole, nell'ambito dei provvedimenti a favore dell'integrazione dei lavoratori stranieri e non solo e si detta una disciplina transitoria per il passaggio a regime con la nuova normativa (CAMERADEI DEPUTATI, 2013).

Altre misure adottate dalla suddetta riforma incidono sulla disciplina dei titolari di partita IVA con lo scopo di contrastare e razionalizzare l'uso dei contratti di collaborazione che dissimulano rapporti di lavoro dipendente.

Principalmente si tratta degli art. 26 e 27 della riforma con cui, salvo prova contraria fornita dal committente, vengono riqualificati come rapporti di collaborazione continuativa quelle prestazioni caratterizzate dal verificarsi di due dei tre seguenti presupposti (CAMERADEI DEPUTATI, 2013):

1. la durata della collaborazione superiore a 8 mesi nell’arco di due anni solari;

2. il ricavo dei corrispettivi percepiti dal collaboratore nell’arco dello stesso anno solare superino la misura dell’80 per cento dei corrispettivi complessivamente percepiti dal collaboratore nell’arco di due anni solari consecutivi;

3. il prestatore abbia la disponibilità di una postazione fissa di lavoro presso il committente.

Si definiscono poi gli ambiti esclusi dell'operatività della presunzione come, ad esempio, le attività per il cui esercizio è necessaria l'iscrizione a ordini professionali ed albi o le attività connotate da un elevato grado di competenze tecniche; tale disciplina si applica per tutti i contratti stipulati successivamente alla data di entrata in vigore di tale legge e comporta l'applicazione legale, fiscale e contributiva propria dei contratti di collaborazione (CAMERADEI DEPUTATI, 2013).

La Legge n. 92/2012 sopprime la categoria dei contratti di inserimento che confluiscono nel nuovo sistema di incentivi all'occupazione previsto per i lavoratori anziani e le donne nelle aree svantaggiate e detta delle linee guida nell'ambito dei tirocini formativi e di orientamento (CAMERADEI DEPUTATI, 2013).

In conclusione, merita richiamare l'importante modifica intervenuta sul contratto di lavoro a tempo determinato. La riforma dedica poche ma significative disposizioni alla categoria definendo, primariamente e da una parte, il contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato come contratto dominante, ossia come la forma comune di rapporto di lavoro la cui istituzione è favorita dall'ordinamento, mentre dall'altra liberalizza l'assunzione a tempo determinato (AMATO F., SANLORENZO R., 2013).

Infatti, con l'intento di favorire la flessibilità all'interno delle imprese si interviene con una serie di misure, contenute dai commi 9-13 dell'art.1, che agevolano la stipulazione del contratto a tempo determinato e che incidono sulla precedente disciplina dettata dal decreto legislativo n. 368/2001. Si prevede che esso possa essere stipulato senza la necessità di indicare, da parte del datore di lavoro, le ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo; si parla di a-causalità dell'apposizione del termine condizionata dalla presenza di alcuni vincoli (AMATO F., SANLORENZO R., 2013).

In particolare, il contratto di lavoro a tempo determinato può essere a-causale solo se stipulato come primo rapporto di lavoro, non prorogabile e che durata non superiore a dodici mesi (AMATO F., SANLORENZO R., 2013). Ipotesi di esclusione del requisito della sussistenza del carattere tecnico, produttivi, organizzativo o sostituivo operano anche nei casi previsti dalla contrattazione collettiva nell'ambito di particolari

processi produttivi come il lancio di un nuovo prodotto, l'avvio di una nuova attività, l'implementazione di un impianto tecnologico, eccetera; la stessa ipotesi di esclusione viene estesa nell'ambito del contratto di somministrazione a tempo determinato nel caso di prima missione del lavoratore; infine vengono previsti diversi limiti temporali e meccanismi per i quali oltre la scadenza il contratto a termine viene automaticamente convertito e considerato come contratto a tempo indeterminato (CAMERADEI DEPUTATI, 2013).

Questo processo di riforma rappresenta il penultimo a livello di importanza nella scala delle riforme più incisive nel mercato del lavoro riguardante l'ambito delle tipologie contrattuali. Essa precede l'ultima riforma attualmente in atto – e che in seguito e da ultimo andremo ad analizzare – conosciuta come Jobs Act.

Dunque, al termine del susseguirsi delle evoluzioni normative riportate sul tema una classificazione delle principali tipologie contrattuali esistenti prima dell'intervento dell'ultima riforma del lavoro su citata è riportata nella Tabella 2 (MINISTERO DEL LAVOROEDELLE POLITICHE SOCIALI, 2014a):

Tab. 2 – Classificazione delle principali tipologie contrattuali vigenti con l'attuazione della Legge 28 giugno 2012, n. 92 – Riforma Fornero

Contratto Scheda Tipologie specifiche

1 Contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato Contratto di lavoro subordinato a tempo determinato

Tipologia di contratto in cui il lavoratore si obbliga a collaborare nell’impresa alle dipendenze e sotto la direzione dell'imprenditore dietro retribuzione

Contratto di lavoro caratterizzato dall’apposizione di un termine finale apposto dal datore di lavoro a fronte di ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo, sostitutivo, alla cui naturale scadenza si interrompe il rapporto di lavoro.

- Lavoro a domicilio - Lavoro marittimo a tempo determinato, indeterminato o per uno o più viaggi

- Lavoro agricolo - Lavoro parziale - Lavoro ripartito - Causale o non causale - Lavoratori in mobilità

2 Apprendistato Contratto a tempo indeterminato. Può essere diretto:

- a far conseguire la qualifica e il diploma professionale, in tutti i settori di attività, anche per l’assolvimento degli obblighi scolastici e di istruzione, a favore dei soggetti che abbiano compiuto 15 anni e fino al compimento del 25° anno di età. La durata può variare in considerazione della qualifica o del diploma da conseguire e non può superare i 3 anni oppure 4 anni nel caso di diploma quadriennale regionale.

- al conseguimento di una qualifica professionale per i soggetti tra i 17, se in possesso di una particolare qualifica professionale, e i 18 e i 29 anni - ad attività di ricerca o per l’acquisizione di un diploma o titolo superiore, tra i 17- 18 anni e i 29. - Per la qualifica e il diploma professionale - Professionalizzante o contratto di mestiere - Alta formazione e di ricerca - Per i lavoratori in mobilità (senza limiti di età)

3 Somministrazione lavoro Contratto stipulato tra lavoratore e le agenzie di fornitura iscritte nell’apposito Albo

- A tempo indeterminato - A tempo determinato 4 Lavoro intermittente o a

chiamata Contratto di lavoro subordinatocon il quale il lavoratore si mette a disposizione del datore di lavoro, nelle ipotesi individuate dai CCNL, o con soggetti con meno di 25 anni o più di 55. Si caratterizza per l’erogazione dell’indennità di disponibilità quando vi è l’obbligo di rispondere alla chiamata.

- A tempo indeterminato - A tempo determinato

5 Contratto di lavoro autonomo – contratto d’opera

È il contratto di lavoro con cui il lavoratore si obbliga a compiere verso un corrispettivo un’opera o un servizio, con lavoro prevalentemente proprio e senza vincolo di subordinazione nei confronti del committente

6 Contratto di lavoro a progetto (Co.Co.Pro.)

Contratto di tipo co.co.co. prevalentemente personale e senza vincolo di subordinazione in presenza di uno o più progetti specifici di lavoro determinati dal committente, funzionalmente collegati a un determinato risultato finale. 7 Contratto di collaborazione Coordinata e continuativa (Co.Co.Co.)

Rapporto di lavoro autonomo caratterizzato dalla continuità, dalla coordinazione e dalla collaborazione all’attività altrui, dalla prevalenza del lavoro personale e dall’assenza di progetto. Ormai costituisce una figura residuale rispetto al lavoro a progetto.

8 Collaborazioni occasionali

(cosiddetto mini co.co.co.) Rapporto con lo stessocommittente, di durata complessiva non superiore a trenta giorni nel corso dell'anno solare ovvero, nell'ambito dei servizi di cura e assistenza alla persona, non superiore a 240 ore, per importi non superiori a 5 mila euro nel medesimo anno solare, cui non si applica la disciplina del lavoro a progetto.

9 Prestazioni occasionali di tipo accessorio (buoni