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Il canone scolastico nelle indicazioni ministeriali e negli Esami di Stato

2.1 Riforme della scuola in Italia

La voce del mondo della scuola si leva spesso per richiedere la sistemazione del canone, soprattutto di quello novecentesco. All’interno delle realtà educative, infatti, la necessità di formare i giovani all’interno di uno stesso quadro nazionale di riferimento porta a una continua discussione, soprattutto tra gli insegnanti. Sono loro, infatti, a vivere la scuola quotidianamente, ma il dialogo con il mondo accademico e il ministero è spesso complesso e discontinuo. L’elenco degli autori che dovrebbero essere insegnati nel quinto anno della scuola secondaria di secondo grado non tiene conto della fattibilità del programma e della realtà scolastica in cui docenti e studenti vivono e lavorano ogni giorno.100 Per riuscire a inquadrare la questione del canone nel contesto scolastico è quindi interessante accennare alle riforme che la scuola italiana ha conosciuto nel corso dei 150 anni della propria esistenza, per poi soffermarsi sugli interventi diretti ai programmi scolastici.

I primi provvedimenti statali in ambito educativo si concentravano sulla battaglia contro l’analfabetismo diffuso e, richiamandosi alle idee illuministiche, sostenevano dunque l’istruzione di massa come bene nazionale. Nel 1859, alle soglie dell’Unità d’Italia, il regno sabaudo emana la legge Casati: è con questo primo provvedimento legislativo che si affronta in modo organico il problema dell’educazione. La legge interviene, infatti, sia sul piano amministrativo sia su quello dell’organizzazione della scuola intesa come divisione in ordini e gradi, scelta delle materie d’insegnamento, del personale e della sua formazione.

100 Cfr. D. Lo Vetere, A scuola studiamo troppo poco il Novecento, in «Le parole e le cose². Letteratura e

realtà».

http://www.leparoleelecose.it/?p=33781 (consultato il 02/10/2020). Cfr. P. Frare, Studiare il Novecento a scuola, in «Pearson».

https://it.pearson.com/aree-disciplinari/italiano/approfondimenti-disciplinari/studiare_novecento_scuola.html

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È la prima volta nella penisola che lo stato accentra su di sé la responsabilità e il diritto di intervenire in ambito formativo, affiancando il mondo cattolico che fino a quel momento aveva avuto il monopolio.101 L’apparato scolastico previsto dalla legge Casati era fortemente centralizzato poiché l’obiettivo pedagogico della scuola statale era quello di ‘fare gli italiani’, nell’ottica della futura unità. La scuola del regno non poteva quindi modellarsi sulla comunità civile nella quale si inseriva, ma adottava un modello ministeriale dettato dall’alto. Questa scelta si dimostrerà penalizzante e porterà quindi, negli ultimi anni del Novecento, a un processo di autonomia territoriale scolastica.102 Nei decenni successivi al 1859 si approvano leggi che hanno tutte l’obiettivo di migliorare la diffusione dell’alfabetizzazione; tra i provvedimenti c’era anche l’obbligo per i genitori di mandare i figli a scuola, prima fino al nono poi fino al dodicesimo anno di età, ma neanche questo portò i risultati sperati. Nello specifico, la legge Coppino del 1877 introduce un’impostazione laica dell’insegnamento, sostituendo l’indottrinamento religioso con un’educazione civica del cittadino; la legge Orlando (1904) invece impone ai comuni di istituire scuole laiche almeno fino alla quarta elementare ed è in questi primi decenni del secolo che si capisce che la scuola dovrebbe essere di responsabilità statale e non comunale; con la legge Credaro del 1911, infine, la scuola elementare diventa servizio statale.103

Il nostro sistema scolastico si basa però principalmente sulla Riforma Gentile del 1923, che prende il nome dal filosofo, allora Ministro della Pubblica Istruzione, che la propose. All’indomani della prima guerra mondiale lo stato riconosce la necessità di una riorganizzazione del sistema scolastico: rivaluta quindi le norme in vigore e propone un nuovo assetto ispirato alla filosofia neoidealistica. La riforma prevedeva l’estensione dell’istruzione fino al quattordicesimo anno di età; la divisione dell’insegnamento in cinque anni di scuola elementare seguita, per chi poteva permetterselo, dalla scuola media oppure da un corso di avviamento professionale della durata di tre anni; l’istituzione del liceo scientifico e dell’istituto magistrale per la formazione dei maestri elementari; l’introduzione dell’esame di maturità che permetteva l’accesso all’università e – aspetto interessante anche per la questione del canone – la revisione e riformulazione dei programmi scolastici che, soprattutto per gli istituti superiori, davano maggiore risalto alla

101 Cfr. Concorso scuola. Parte generale, a cura di I. Pepe, Edizioni Simone, Napoli, 2020, pp. 333-334. 102 Cfr. I. Fiorin, La Buona scuola. Processi di riforma e nuovi orientamenti didattici, Editrice La Scuola,

Brescia, 2008, pp. 26-27.

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formazione umanistica. L’impostazione gentiliana resta però elitaria: infatti, l’accesso alla scuola superiore era permesso solo a pochi privilegiati tra coloro che venivano da una classe sociale elevata e l’ammissione all’università era concessa solo a coloro che avevano raggiunto la maturità classica; gli studenti che, invece, provenivano dalle classi sociali meno abbienti erano incentivati, se avevano la possibilità, a frequentare le scuole dell’ordine tecnico.104

È solo con la Costituzione repubblicana, nel 1948, che si sancisce la scelta di una scuola democratica, anche se, nella pratica, bisognerà aspettare il 1962 affinché, con la legge n. 1859, si arrivi a garantire davvero la gratuità fino al quattordicesimo anno di età grazie all’introduzione della scuola media unica e obbligatoria che permette a tutti l’accesso alle scuole superiori.105

All’inizio degli anni Settanta, sulla spinta delle contestazioni studentesche del ’68, vengono attuati diversi interventi normativi in ambito scolastico; tra questi il D.P.R. 419 del 1974 permette sia a livello ordinamentale sia a livello strutturale una sperimentazione didattica. In un diverso contesto democratico ed europeistico le scuole di ogni ordine e grado possono quindi proporre, con il consenso ministeriale, percorsi formativi e curricolari aggiornati. È da notare però che, mentre la scuola dell’infanzia (1991), la primaria (1990) e la secondaria di primo grado (1979), nei decenni successivi sono soggette ad altri provvedimenti di riforma organici, la secondaria di secondo grado viene lasciata a lungo in un contesto di sperimentazione. L’impostazione di nuovi programmi e di una struttura scolastica rinnovata viene affidata nel febbraio 1988 a una commissione di esperti presieduta dall’on. Beniamino Brocca che lavorerà fino al ministero Misasi 1991- 1992.106 La stesura di programmi di insegnamento innovativi, sui quali la Commissione ha concentrato maggiormente il lavoro, ha portato alla nascita di diversi indirizzi sperimentali nelle scuole secondarie di secondo grado. Anche questa Riforma, però, non conoscerà mai l’approvazione definitiva, rimanendo un tentativo e lasciando la secondaria superiore senza indicazioni ministeriali precise. La commissione Brocca immaginava una formazione completa che offrisse a ogni studente una visione globale della cultura e lo sviluppo della riflessione critica. La formazione umanistica – già fulcro della riforma gentiliana –

104 Cfr. Ivi, p. 335. 105 Cfr. Ibidem.

106 Cfr. Antonio Sichera, L’involuzione radicale. Per una breve contestualizzazione storica e teorica delle

indicazioni nazionali, in La didattica della letteratura nella scuola delle competenze, a cura di G. Langella,

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mantiene la sua centralità ma la commissione propone alla scuola una maggiore apertura nei confronti di altre discipline, quelle nuove, come la sociologia, o quelle che in precedenza venivano trascurate, come il diritto o la musica. La scuola secondaria superiore pensata dalla Commissione Brocca era quindi proiettata verso il futuro e basata sulla ricerca dell’eccellenza e delle discipline che permettessero di rimanere al passo con i tempi che cambiano.107

La riforma della Commissione Brocca rimarrà solo sperimentale; dagli anni Novanta, infatti, il processo di cambiamento dei sistemi scolastici, conosce una forte accelerazione nella maggior parte degli stati europei.108 La struttura e il rinnovamento della scuola rimane tutt’oggi, dopo trent’anni, un cantiere aperto; questo perché la società in cui viviamo è caratterizzata da un incessante e repentino cambiamento di cui la scuola non può che essere specchio. La precarietà nella quale viviamo è da considerarsi una caratteristica intrinseca della società e non una fase di passaggio da gestire: la difficoltà sta nel rendere l’apparato educativo, i metodi e gli strumenti di insegnamento all’altezza della contemporaneità. Il mercato del lavoro, l’evoluzione tecnologica e la convivenza multiculturale condizionano l’itinerario formativo delle nuove generazioni e devono portare a una diversa valutazione del curriculo.109

I due principali modelli educativo-didattici sono quello ‘funzionalista’ e quello ‘antropocentrico’. La visione funzionalista mette in primo piano le necessità economiche: essa immagina quindi una scuola al servizio delle richieste del mercato e in cui bisogna sviluppare competenze e saperi considerati ‘utili’; la scuola così impostata marginalizzerebbe tutte quelle materie non immediatamente spendibili.110 La prospettiva ‘antropocentrica’, invece, ritiene che la scuola non si debba basare sulle richieste esterne, ma sulle necessità di crescita e sviluppo della persona. Il centro della struttura educativa deve essere il singolo con le sue potenzialità e le sue difficoltà che devono essere «riconosciute, sostenute e valorizzate».111 Questa impostazione non nega l’orientamento e la formazione per un lavoro o uno studio universitario futuro, ma tende a preservare lo

107 Cfr. Ivi, pp. 10-11.

108 Cfr. I. Fiorin, La Buona scuola. Processi di riforma e nuovi orientamenti didattici, cit., p. 15. 109 Cfr. Ivi, pp. 15-16.

110 Cfr. Ivi, p. 10. 111 Cfr. Ibidem.

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sviluppo di tutti i possibili orientamenti della persona. L’idea di fondo è quella di non far prevaricare la logica economicistica su quella pedagogica.112

Nel Libro Verde e nel Libro Bianco, scritti nel 1993 dalla Commissione Europea, viene trattato un argomento che può sembrare banale, ma in un contesto educativo risulta fondamentale: il rapporto con il passato e con il futuro. Per quanto riguarda il rapporto con il passato si deve coniugare la storia di uno stato, le sue tradizioni culturali e i suoi valori in un contesto, quello odierno, caratterizzato dalla multiculturalità e, quindi, dalla convivenza di persone con abitudini e modi di vedere il mondo diversi; il rapporto con il futuro pone invece il problema di cosa si sarebbe dovuto insegnare alle generazioni che sarebbero vissute, e che oggi vivono, nel XXI secolo perché fossero in grado di gestire la dimensione sociale e lavorativa nonostante le difficoltà dei rapidi e continui cambiamenti. La società e la scuola devono quindi aggiornare l’insegnamento cercando di capire cosa deve essere conservato e cosa integrato perché divenuto parte della quotidianità.113 Dagli anni Novanta, la formazione di un mondo sempre più globalizzato porta i sistemi scolastici ad affrontare una serie di problemi sempre nuovi che non si possono più ignorare. Secondo Italo Fiorin, all’interno di questa nuova realtà la scuola si deve adattare; l’abitudine di ricercare grandi riforme, che trasformano e aggiornano l’istruzione, non può più essere adottata, in quanto un processo di questo tipo necessiterebbe di tempi lunghi, invece il nuovo contesto richiede strutture legislative più leggere che possano rispondere agli improvvisi cambiamenti. In questa direzione sono state introdotte le linee guida e si sono incentivati i processi di autonomia della scuola.

In Italia uno dei provvedimenti più rilevanti sotto questo aspetto risale al 1997: la legge 59 prevede la rottura dell’impostazione centralistica voluta più di un secolo prima dalla legge Casati e riconosce l’autonomia delle singole istituzioni scolastiche. Il nuovo sistema scolastico è più dinamico e policentrico: l’accentramento ministeriale, infatti, impediva a soggetti con competenze specifiche di contribuire a un maggiore sviluppo con il loro intervento. L’eliminazione della diretta dipendenza ministeriale incentiva una ricca e complessa rete di interdipendenze che permette una maggiore collaborazione senza che venga a mancare il controllo reciproco tra le parti. Il successivo D.P.R. n. 275/99, rientrante in quei provvedimenti attuativi chiamati «leggi Bassanini», definisce in modo più specifico i rapporti tra le singole unità scolastiche e il ministero; sul piano educativo e

112 Cfr. Ivi, 10-11. 113 Cfr. Ivi, p. 21.

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didattico una delle conseguenze principali è l’abolizione dei programmi nazionali che vengono sostituiti con le Indicazioni ministeriali che ogni scuola completa e meglio definisce attraverso il Piano dell’Offerta Formativa che ha come unità di base il curricolo. L’obiettivo delle Indicazioni nazionali è quello di creare, attraverso un testo in parte prescrittivo in parte orientativo, un riferimento di unitarietà su tutto il territorio nonostante la riconosciuta necessità di declinare, in base a ogni contesto sociale e culturale, la realtà scolastica.114 Per strutturare l’insegnamento annuale ogni scuola stabilisce, quindi, un

curricolo e sarà questo strumento di progettazione educativa il punto di incontro tra le

istanze nazionali, dettate dal ministero, e le istanze locali, che hanno avuto voce grazie alla maggiore autonomia concessa.115

La riforma De Mauro-Berlinguer è la legge n. 30 del 2000; è un provvedimento con il quale si riorganizza l’intero sistema educativo, passando da una struttura tripartita alla divisione in scuola di base e scuola secondaria, come già accadeva dagli anni Ottanta in Gran Bretagna, Francia e Spagna. Questa legge verrà sostanzialmente abrogata e assorbita dalla riforma Moratti, la legge n. 53 del 28 marzo 2003. Come già voluto da De Mauro- Berlinguer, la riforma Moratti organizza l’istruzione scolastica in scuola dell’infanzia (tre anni) seguita da un primo ciclo a sua volta strutturato in scuola primaria (cinque anni) e scuola secondaria di primo grado (tre anni), che si completa con un esame di stato, e un secondo ciclo, di cui fanno parte i licei – ai già esistenti si aggiungono l’economico, il tecnologico, il musicale, il linguistico e scienze umane – e l’istruzione e la formazione professionale, alla quale vengono aggiunte ore di alternanza scuola/lavoro. La riforma Moratti introduce, infine, l’istituto nazionale di valutazione che ha il compito di monitorare la qualità dell’offerta formativa. La riforma Moratti punta a seguire il principio di personalizzazione, già fondamentale per la Costituzione, e insiste sulla centralità della persona e sulla condivisione delle culture e delle esperienze in un contesto di diversità. Un altro passaggio sul quale si sofferma è la visione dell’istruzione non solo come un diritto soggettivo ma anche come dovere sociale, sottolineando quindi la necessità di mettere ogni studente nella condizione di potersi formare.

È sulla base della riforma Moratti che tra il 2008 e il 2010 viene emanata la Riforma Gelmini; l’intervento in questo caso è sul piano organizzativo e didattico. L’aspetto di maggiore interesse in questo ambito è l’emanazione delle Indicazioni nazionali degli

114 Cfr. Ivi, p. 34. 115 Cfr. Ivi, p. 42.

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obiettivi specifici di apprendimento che hanno la funzione di precisare le conoscenze

fondamentali che lo studente dovrebbe avere alla fine della scuola secondaria superiore. Prevede inoltre l’innalzamento dell’età per l’obbligo scolastico e il riordino degli istituti professionali, tecnici e dei licei.116

La riforma della Buona scuola invece risale al 2015; in ambito didattico rafforza l’impostazione dell’alternanza scuola-lavoro mentre, in generale, si concentra maggiormente su aspetti organizzativo–burocratici: l’autonomia scolastica viene legata ad una maggiore libertà decisionale dei singoli dirigenti scolastici, i quali hanno la possibilità di fare la «chiamata per competenze».117 I docenti devono quindi essere al servizio dell’offerta formativa, non esiste una titolarità ma un’iscrizione a un albo di ambito territoriale dal quale i dirigenti triennalmente hanno possibilità di scegliere. Questo punto verrà contestato dai sindacati e quindi praticamente abrogato grazie alla decisione del CCNI-mobilità (Contratto Collettivo Nazionale Integrativo) che per il triennio 2019/2022 ha eliminato la titolarità di ambito. Per coloro invece che verranno trasferiti o immessi in ruolo dall’anno 2019/2020 la chiamata diretta viene eliminata per legge (L. 145/2018).118 La Buona scuola rafforza inoltre il rapporto tra scuola e mondo del lavoro e crea un piano

nazionale per rendere la didattica digitale.