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Studiare la narrativa di inizio Novecento a scuola: etichette critiche, canone e indicazioni ministeriali

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Academic year: 2021

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DIPARTIMENTO DI FILOLOGIA, LETTERATURA E

LINGUISTICA

CORSO DI LAUREA IN ITALIANISTICA

TESI DI LAUREA

Studiare la narrativa di inizio Novecento a scuola: etichette

critiche, canone e indicazioni ministeriali

CANDIDATO

RELATORE

Simona Mauri

Prof. ssa Cristina Savettieri

CONTRORELATORE

Prof. Raffaele Donnarumma

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Indice

Introduzione ………..p.4

Capitolo I: Canone e storia letteraria……….p.9 1.1 Canone: la ricerca di una definizione………..p.9 1.1.1 L’opera canonica o il classico……… …………...p.12 1.1.2 Storia del canone……….………...p.15 1.2 Il canone Occidentale di Harold Bloom ……....………..p.20 1.3 L’Ottocento italiano e la Storia della letteratura italiana di Francesco De Sanctis………..p.24 1.3.1 Il contesto storico dell’Italia dell’Ottocento………...p.24 1.3.2 Il canone nazional–patriottico italiano e De Sanctis……….p.26 1.4 Il canone novecentesco………..p.29 1.4.1 Si può pensare a un canone europeo?………....p.35 1.4.1.2 Madame de Staël e il gruppo Coppet………..p.36 1.4.1.3 L’Unione Europea e le politiche di integrazione………p.38 1.4.2 Il canone europeo in prospettiva nazionale………...p.40 Capitolo II: Il canone scolastico nelle indicazioni ministeriali e negli Esami

di Stato………..……p.43

2.1 Riforme della scuola in Italia……….p.43 2.2 Dal progetto Brocca alle Indicazioni nazionali………..p.50 2.3 Il canone della scuola……….p.53 2.3.1 Il canone nei concorsi per insegnanti e negli esami di

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Capitolo III: Decadentismo e modernismo: due etichette critiche a

confronto

……….p.62

3.1 Il decadentismo………..p.62 3.1.2 Il contesto storico in Francia………...p.63 3.1.3 L’affermazione della nuova corrente………..p.64 3.2 Il decadentismo in Italia……….p.65 3.2.1 In Italia – Binni e La poetica del decadentismo………...p.67 3.2.2 Salinari e de Castris………p.70 3.2.3 Giovannetti……….p.74 3.3 Il modernismo………p.78 3.3.1 Nascita e diffusione del termine modernismo nella letteratura

anglosassone……… p.81 3.3.2 Il modernismo in Italia………...p.81 3.3.2.1 La periodizzazione………..p.81 3.3.2.2 Modernismo e avanguardia………p.84 3.3.2.3 La definizione……….p.86 3.3.3 Il cambiamento sociale di inizio Novecento………..p.86 3.3.4 Il romanzo modernista………...p.87 3.3.4.1 Innovazioni rispetto al romanzo ottocentesco………p.88 3.3.4.2 Il romanzo modernista italiano………p.90

Capitolo IV: Il canone di inizio Novecento nei manuali scolastici…………...p.94

4.1 Nascita del binomio Svevo-Pirandello………...p.94

4.1.1 L’affermazione degli autori primonovecenteschi nei manuali scolastici……... .p.95

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4.3 Analisi di alcuni manuali scolastici……….p.100 4.3.1 Le etichette: il decadentismo……….p.101 4.3.2 Le etichette: il modernismo………..p.108 4.3.2.1 Il modernismo nei manuali di Luperini………p.108 4.3.3 Svevo e Pirandello nella cornice europea………p.115 4.3.4 Tozzi………..………p.117 4.3.5 Il canone delle opere di Svevo e Pirandello all’interno dei

manuali………p.117 4.4 In conclusione………..p.121 Conclusioni………p.124

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Introduzione

Questa tesi analizza la proposta del canone della letteratura italiana per le scuole superiori di secondo grado; in particolare l’attenzione si concentra sugli autori e sulle opere scelte per rappresentare il panorama della narrativa del primo Novecento attraverso l’analisi di sei tra le antologie più adottate nell’anno scolastico 2018/2019.

Nel primo capitolo si riflette su che cosa sia il canone, sulla sua formazione e sulla sua declinazione nel contesto italiano. Questa discussione ha come obiettivo quello di sottolineare l'importanza della scelta delle opere e degli autori da studiare a scuola – opere e autori che diventeranno il bagaglio culturale comune a tutti futuri cittadini italiani adulti. La formazione del canone letterario è sempre legata a un determinato contesto storico, sociale e culturale, per questo non può essere definitivo e cambia con il cambiare della società. Il capitolo, in particolare, affronta una breve panoramica storica che mostra quali fattori hanno maggiormente influito, nel corso dei secoli, sulla selezione degli autori e delle opere. Una riflessione specifica sarà dedicata all’opera di Harold Bloom Il canone

occidentale che ha scatenato un importante dibattito mondiale alla fine del XX secolo:

Bloom è stato accusato di avanzare un canone di autori bianchi, maschi ed eterosessuali proprio in un periodo in cui iniziavano a diffondersi proposte alternative sulla base delle rivendicazioni delle minoranze.

Il discorso si orienta poi sulla situazione italiana e sull’opera che ha stabilito il canone letterario italiano dalle origini al XIX secolo: Storia della letteratura italiana di Francesco De Sanctis, che viene pubblicata in un momento in cui si diffondeva in diversi stati europei un senso forte dell’identità nazionale. Mi soffermo poi a delineare il discorso sul canone del Novecento, la cui definizione, per la varietà del panorama culturale e la vicinanza storica ad esso, non è ancora del tutto compiuta.

Tra le varie ipotesi formulate per il canone, negli ultimi decenni si sta diffondendo un modello che non lo immagina più solo nazionale, ma, sulla base della cultura comune del nostro continente, auspica un canone nazionale in prospettiva europea.

Nel secondo capitolo si entra invece nel mondo della scuola con l'analisi delle varie riforme dell’istruzione, dalla nascita del regno d’Italia a oggi. L’attenzione si concentra poi su quelle riforme che hanno definito il canone letterario per la scuola: il progetto Brocca (1992) e la riforma Gelmini (2010). Nel progetto Brocca i nomi indicati per la letteratura

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del Novecento sono solo due: Svevo e Pirandello. Per quanto riguarda la riforma Gelmini, invece, sono prese in considerazione sia le Linee guida per gli istituti professionali e

tecnici sia le Indicazioni ministeriali per i licei; l’elemento che salta subito all’occhio è la

mancanza per i primi tipi di scuole di un elenco di autori che deve essere insegnato, lista che – anche se molto vaga – è invece presente per i licei. Per comprendere meglio le intenzioni ministeriali sul canone scolastico vengono successivamente analizzati gli strumenti di cui il Ministero dell'istruzione si serve per verificare la preparazione degli insegnanti e degli studenti: i programmi dei concorsi per insegnanti (da quello del 1999 a quello del 2020) e l’analisi del testo della prima prova all'esame per le scuole secondarie di secondo grado (dal 1999/2000 al 2018/2019).

Nel terzo capitolo entro nello specifico della letteratura di inizio Novecento con la disamina di due fenomeni letterari: il decadentismo e il modernismo. Dopo una breve sintesi storica della nascita dell’etichetta di decadentismo, la prima parte del capitolo si concentra su tre diverse opere critiche che hanno analizzato il decadentismo in Italia: La

poetica del decadentismo di Walter Binni (1937), Miti e coscienza del decadentismo italiano di Carlo Salinari (1960) e Il decadentismo italiano di Arcangelo Leone de Castris

(1974). Le opinioni contrastanti dei tre autori mostrano quanto sia difficile conciliare canone ed etichette letterarie: infatti, mentre tutti concordano sul nome di d’Annunzio, Binni propone anche Pascoli, i crepuscolari e i futuristi; Salinari mantiene Pascoli e introduce Pirandello, che insieme a Svevo è presente anche nell’opera di Leone de Castris. Sul decadentismo verrà esaminato infine il volume di Paolo Giovannetti Decadentismo che, pubblicato nel 2016, introduce una visione più moderna del decadentismo e considera Svevo e Pirandello oltre questa etichetta.

La seconda parte del capitolo inquadra la categoria letteraria di modernismo. Dopo aver illustrato la nascita e la diffusione del termine dal mondo della critica anglo-americana alle varie culture europee, mi concentro sulle diverse proposte di definizione e di periodizzazione. In Italia, l’arco di tempo su cui si orientano la maggior parte degli studiosi sembra compreso tra il 1904, anno di pubblicazione del Fu Mattia Pascal, e il 1939, quando viene pubblicato Le occasioni; alcuni riconoscono però la presenza di opere con tratti modernisti anche negli anni Cinquanta e Sessanta.

Nell’ultimo capitolo si analizzano le antologie scolastiche, cioè gli strumenti che quotidianamente sono utilizzati per insegnare la letteratura italiana nelle scuole. In un primo momento, seguendo lo studio di Massimiliano Tortora, attraverso l’analisi di cinque

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manuali utilizzati tra gli anni Sessanta e gli anni Novanta, metto in luce come la formazione del canone della narrativa di inizio Novecento ruoti intorno all’asse Pirandello-Svevo.

In un secondo momento prendo in esame invece la proposta di Romano Luperini, il quale ritiene che per una maggiore chiarezza anche nei manuali scolastici dovrebbe essere adottata la categoria letteraria di modernismo.

Nell’ultima parte del capitolo analizzo sei manuali scolastici tra i più adottati nell’anno scolastico 2018/2019.

All’inizio dell’analisi approfondisco l’utilizzo che i vari autori fanno delle etichette di decadentismo e modernismo – presentate nel terzo capitolo – all’interno delle antologie scolastiche. In seguito affronto il ruolo, non uniformemente condiviso dai critici, che Federigo Tozzi riveste all’interno del canone scolastico. Infine mi soffermo a riflettere sulle modalità in cui Svevo e Pirandello vengono introdotti nei vari testi scolastici, su quali sono le opere scelte come rappresentative, e quali i passi più frequentemente antologizzati per esprimere la poetica di questi due autori.

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CAPITOLO I

Canone e storia letteraria

1.1 Canone: la ricerca di una definizione

«Ogni canone, si sa, è provvisorio: dipende dal gusto, dalla cultura, dall’immaginario di volta in volta prevalenti».1

Le parole di Romano Luperini permettono di entrare subito nel cuore del capitolo, infatti, affrontare il concetto di canone significa primariamente riflettere sui suoi aspetti problematici a partire dalla definizione: un «elenco di opere o di autori proposti come norma, come modello».2 “Canone” deriva dal latino canon-ŏnis, dal greco κανών -όνος (der. Di κάννα «canna»), la canna che presso i Greci e i Romani era utilizzata come strumento di misurazione.

Nonostante l’etimologia rimandi all’idea di un riferimento fisso, ogni tentativo di proporre un elenco definitivo di testi come canone letterario si è rivelato, nella pratica, temporaneo e instabile. Il canone, infatti, si lega a un tempo e a un luogo ed è quindi influenzato dal contesto storico, sociale, culturale in cui si inserisce; la selezione di opere quindi risponde a forze ideologiche e tendenze di gusto che cambiano con il cambiare della società.3

Il canone può quindi essere considerato un’istituzione acefala, poiché ha come tratto distintivo l’impossibilità di riconoscere un unico creatore responsabile. Infatti, su spinta di necessità politiche o educative, gli studiosi o i soggetti coinvolti in questo compito non devono mai inventare, ma piuttosto riorganizzare opere che rispecchiano i valori sedimentati nel tempo, all’interno di una determinata società.

Luperini, che è tra gli studiosi che più hanno riflettuto sul canone in Italia, propone due selezioni diverse delle opere: a parte obiecti e a parte subiecti. Nel primo caso il punto di

1 R. Luperini, Insegnare la letteratura oggi, Manduria, Pietro Manni, 2000, p. 24. 2 https://www.treccani.it/vocabolario/canone/ (consultato il 04/10/2020).

3 Cfr. G. Roncaglia, G. Solimine (a cura di), Canone e canoni: opinioni a confronto, in «Biblioteche oggi»,

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vista è quello delle opere: gli studiosi traggono da un’opera o da un insieme di opere delle ‘norme’ (retoriche, di gusto, di poetica…) che saranno la base per i lavori degli scrittori successivi. Il legame con l’etimologia della parola si basa sul fatto che si stabilisce un parametro, una misura, attraverso la quale i testi vengono discriminati. Il riconoscimento di alcune correnti maggioritarie, che hanno caratteristiche comuni, non esclude la coesistenza di una letteratura che si sgancia dalle ‘regole’ prevalenti; questi autori, letti e coltivati da gruppi ristretti di persone con intenti culturali diversi, sono stati considerati, in determinati periodi storici, anticanonici. Il rapporto tra Petrarchismo e Antipetrarchismo è esemplare a riguardo: mentre Bembo, nel Cinquecento, canonizzava Petrarca e lo innalzava a modello poetico, altri autori tra cui Aretino, Ruzante, Folengo proponevano un atteggiamento dissacratorio nei confronti della tradizione. Opponendosi all’idea dell’imitazione proposta da Bembo, ribaltano programmaticamente i riferimenti classici, e nello specifico il modello di Petrarca, sia a livello linguistico sia a livello formale.

Il canone a parte subiecti invece si basa sul punto di vista dei lettori. Secondo questo diverso principio di selezione, sempre proposto da Luperini, le opere canonizzate vengono adottate all’interno delle istituzioni educative, diventando così la tavola dei valori che riflettono una comunità. Un canone basato sui lettori e sui valori nei quali essi si rispecchiano varia nei secoli e secondo i contesti, è lo specchio del cambiamento del gusto e delle esigenze culturali. È un canone mobile, che riflette e aggiorna continuamente la memoria selettiva di una comunità.4

Anche Cesare Segre, con sfumature leggermente diverse, presenta due concetti di canone. Il primo si lega alla «funzione paradigmatica»,5 cioè l’influenza di alcune opere su quelle successive, intesa come ripresa di alcune caratteristiche che creano poi una tradizione. La riflessione del filologo su questo tipo di funzione viene esemplificata, anche in questo caso, attraverso il Canzoniere di Petrarca e la sua influenza sui poeti cinquecenteschi. La seconda accezione di canone si basa sulla «posizione eminente della cultura»,6 cioè sulla capacità di alcune opere di riflettere la cultura e i valori di una determinata epoca. Mentre la «funzione paradigmatica» si fonda su una serie ‘normativa’

4 Cfr. R. Luperini, La questione del canone, la scuola e lo studio del Novecento, in Un canone per il terzo

millennio. Testi e problemi per lo studio del Novecento tra teoria della letteratura, antropologia e storia, a

cura di U. M. Olivieri, Bruno Mondadori, Milano 2001, pp. 154-155.

5 C. Segre, Il canone e la culturologia, in «Allegoria», anno X, numero 29-30, Palumbo editore, Palermo,

maggio-dicembre 1998, p. 96.

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dipendente dalle poetiche dominanti e quindi facilmente influenzabile da trasformazioni temporanee, la posizione eminente è invece legata ad aspetti storici e quindi ai cambiamenti più lenti della storia di una comunità nazionale; questo modello risulta più stabile e ogni comunità lo vive come se fosse definitivo, nonostante la mutabilità intrinseca ad ogni canone.7

Nell’Ottocento, con la formazione dei maggiori stati nazionali europei, nasce anche la necessità di creare un’identità nazionale condivisa. Secondo Silvia Tatti è proprio in questo periodo che il concetto di canone, come insieme di ‘norme’, scompare. All’interno del nuovo contesto storico-sociale, infatti, l’idea di canone inizia a trasformarsi, anche sulla base di motivazioni più transitorie, come quelle ideologiche e politiche.8 È proprio in questo secolo che in Europa aumenta il numero dei lettori e il mondo editoriale conosce nuove dinamiche produttive. La letteratura si diffonde così anche tra le classi meno agiate e leggere diventa un’attività che coinvolge una più alta percentuale di popolazione rispetto al passato.9 Questo nuovo interesse per la lettura semplifica lo scopo dell’istruzione scolastica: educare la popolazione, con i valori della società borghese, attraverso degli

exempla che permettono di incivilire le classi emergenti e ricondurre i loro pensieri, i loro

modi e il loro agire, all’ideologia dominante.10

In Italia il contributo del canone alla costituzione di una cultura nazionale è stato ancora più necessario perché l’unità nazionale è stata a lungo incerta e fragile.11 Tra i testi letterari di fine Ottocento che rispecchiavano i valori patriottico–risorgimentali, è interessante notare la presenza della letteratura per ragazzi. Il libro che ebbe maggiore successo fu

Cuore di Edmondo De Amicis, il quale, nel 1886, anno della sua pubblicazione, ebbe

quaranta ristampe e nel 1923 raggiunse il milione di copie vendute. Il messaggio per le nuove generazioni, oltre che di amore per la famiglia e per la patria, era di obbedienza e di sacrificio, insegnamenti che ogni italiano avrebbe potuto condividere.12

7 Cfr. G. Langella, La letteratura del Novecento e il problema del canone, in Il Novecento a scuola, p. 50. 8 Cfr. S. Tatti, Classico: storia di una parola, Carocci editore, Roma, 2016, pp. 88-89.

9 Cfr. S. Giorgio, Dal canone personale al canone collettivo: il canone come sistema di modellizzazione

connettiva, in Le parole e le cose². Letteratura e realtà, 4 dicembre 2019.

http://www.leparoleelecose.it/?p=37162#_ftnref1 (consultato il 04/10/2020).

10 Cfr. Ivi.

11 Cfr. V. Coletti, Se serve un canone…, in «Quaderns d’Italià», Riflessione sul canone della letteratura

italiana, 4/5, 1999/2000, p. 23.

12 Cfr. M. Pentucci, Fare gli italiani. Una lettura storico-pedagogica di Cuore e Pinocchio, in Con gli occhi

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La funzione del canone viene poi nuovamente messa in discussione alla fine del XX secolo, quando, si sviluppa un dibattito accademico molto vivo. La situazione storica del Novecento, che ha conosciuto due guerre mondiali, il boom economico, il Sessantotto e la globalizzazione, non poteva lasciare inalterato uno strumento come quello del canone, che tenta di riflettere la situazione sociale e i valori del momento storico in cui viene proposto. Soprattutto nella seconda metà del secolo gli intellettuali e i letterati in Italia non si riconoscono più come mediatori tra il mondo e il popolo e, in questo contesto di crisi dei valori, è molto più difficile che le varie istanze presenti all’interno di una società riescano a sintetizzare i valori depositatisi nel tempo. Negli ultimi decenni del Novecento, infatti, dal mondo accademico anglo-americano, la formulazione del canone diventa più ostica, e anzi, iniziano a nascere una molteplicità di canoni, proposti da gruppi sociali subordinati – i neri, gli omosessuali, le donne – che proprio in questo secolo avevano iniziato a far sentire la loro voce.

1.1.2 L’opera canonica o il classico.

Ci sono alcuni termini che si legano al concetto di canone e che è opportuno analizzare per avere una visione completa. Tra questi una delle più discusse è il concetto di classico.

Nell’antichità si era soliti stilare elenchi di scrittori selezionati che costituivano una proposta culturale o meglio un tentativo di fissare valori certi. I greci definivano gli scrittori migliori con il termine έγκριϑέυτες, cioè coloro che erano inseriti in una lista. Queste liste, secondo Citroni,13 non erano per forza chiuse ma comprendevano tutti gli autori ai quali una cultura faceva riferimento. La necessità di creare liste chiuse, e quindi di tentare di controllare la tradizione, nasce probabilmente in momenti di crisi di una civiltà, quando una comunità si sente minacciata e ha quindi bisogno di riconsiderare la propria identità. L’obiettivo sarebbe dunque quello di resistere al caos con la forza della tradizione, ipotesi che potrebbe essere stata condizionata dagli studi di Aristotele sui generi letterari. Secondo il filosofo greco ogni genere ha una sua natura e un suo percorso di nascita e maturazione che porta all’espressione di tutte le potenzialità del genere stesso. È di nuovo Citroni a trovare il legame con le liste chiuse: infatti, lo studioso pensa che nel mondo

13 Cfr. M. Citroni, I canoni di autori antichi: all’origine del concetto di classico, in Culture europee e

tradizione latina. Atti del Convegno internazionale di studi, Cividale del Friuli, 16-17 novembre 2001.

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ellenistico, in cui l’influenza aristotelica era forte, quando si stabilivano gli autori per il canone, si sceglieva tra quelli che nel loro genere avevano raggiunto la “pienezza”. Le liste canoniche erano dunque chiuse alle opere del passato, perché considerate, secondo il percorso di miglioramento ipotizzato da Aristotele, appartenenti a una fase immatura, e quindi imperfetta. Eppure le liste rimanevano aperte ad accogliere opere future perché, sempre secondo un’interpretazione di Citroni della Poetica di Aristotele, gli autori possono creare un’opera perfetta solo dopo che un genere ha raggiunto la propria maturità e da quel momento tutte le opere prodotte possono essere considerate valide. A questo aspetto di perfezione si sono aggiunti poi i principi di naturalezza, armonia ed equilibrio compositivo, che ancora oggi vengono accostati al concetto di classico.14

Per capire meglio il significato che oggi viene attribuito alla parola ‘classico’ è necessario soffermarsi sulla sua storia recente. In una Couseries du lundì (conversazioni del lunedì), risalente al 21 ottobre 1850, Sainte-Beuve15 chiede: «Qu’est-ce qu’un classique?». Da questa provocazione nasce una discussione che attraverserà l’Europa dal XIX secolo fino ad oggi. Secondo lo scrittore francese classico è ciò che ha un valore umano e spirituale oltre che estetico ed è ciò che se «ha potuto per un attimo essere rivoluzionario […] è stato solo per ristabilire presto l’equilibrio a vantaggio dell’ordine e del bello».16 La domanda di Sainte-Beuve viene ripresa circa un secolo dopo, nel 1944, in un’Europa in piena seconda guerra mondiale. Thomas Eliot, in quanto presidente della Virgil Society, pronuncia un discorso intitolato What’s a Classic?. In un contesto storico così difficile la domanda voleva essere una provocazione, un incitamento a resistere alle violenze perpetuate in quegli anni. La soluzione per lo scrittore era quella di incentivare il popolo europeo a ritrovare il senso di civiltà proprio del mondo occidentale guardando ai grandi scrittori del passato. Per Eliot bisognava trovare un riferimento ideale classico che fosse radicato nella storia e nelle vicende dei popoli.17 Eliot stabilisce tre principi per definire la nozione di classico. Un’opera si dice classica solo quando è matura, cioè quando assorbe in sé tutto ciò che poteva ereditare dalla letteratura precedente, sia essa nazionale o straniera, e si pone così all’apice di uno sviluppo letterario. Secondo questo principio “classico” non è Omero, che fonda una tradizione letteraria, bensì Virgilio perché si è nutrito di tutta la letteratura a lui precedente, anche di quella greca. La seconda

14 Cfr. S. Tatti, Classico: storia di una parola, cit., pp. 82-84.

15 Cfr. Ch.-A. Sainte-Beuve, Conversazioni del Lunedì, a cura di M. Coletti, Le Lettere, Firenze, 1991, p. 79. 16 Ibidem, p. 83.

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caratteristica individuata dallo scrittore è la complessità. Eliot presuppone che ogni autore imposti lo stile e la struttura compiendo delle scelte all’interno della propria lingua. Le scelte dovrebbero portare alla soluzione migliore, ma per far questo è necessario un profondo studio e una conoscenza di tutte le possibilità; solo giunto a questo punto lo scrittore potrà essere selettivo. L’ultimo requisito del classico è l’universalità: un autore non deve essere provinciale ma deve guardare oltre i limiti di una determinata cultura. Il classico è quindi per Eliot un paradigma che pochi poeti e scrittori, attraverso epoche diverse, sono stati in grado di incarnare. Eliot distingue il concetto di classico da quello di grandezza poetica: identificare un poeta come classico non significa identificarlo anche come uno dei più grandi poeti e viceversa. Virgilio è considerato dal poeta inglese il classico per eccellenza, ma non il più grande poeta europeo. L’attribuzione del titolo di classico a Virgilio è stata possibile secondo Eliot solo perché vissuto in una civiltà, quella romana, che, a differenza di quella greca, era riuscita ad essere universale, cioè a permettere una vera comunicazione tra gli scrittori e il loro pubblico. Solo una civiltà ordinata ed equilibrata, caratterizzata da un’uniformità di pensieri e di costumi, permette la nascita di una cultura classica.18 Virgilio si basava quindi sull’esempio dei predecessori che non avevano però esaurito la perfezione artistica, consentendogli di raggiungere un equilibrio fra tradizione e originalità. Attraverso le sue opere il poeta latino diventa quindi espressione di tutti i popoli, di un’Europa classica, cristiana e unitaria, rinforzata dalla letteratura greca e latina. In un’Europa sconvolta dalla seconda guerra mondiale e che aveva perso qualunque riferimento culturale, Virgilio doveva essere, secondo Eliot, non solo un modello letterario, ma il classico per eccellenza a cui tutto il popolo europeo doveva guardare come guida ideale per recuperare i valori dell’occidente.

Se si volesse infine individuare un aspetto comune ai concetti di canone e di classico, si potrebbe notare che entrambi vivono dialogando con il presente; inoltre essi hanno come caratteristica di base la necessità di accogliere istanze diverse e proporsi come funzionali a fini didattici e a processi di riconoscimento identitario, senza sottostare a regole ferree o aspirazioni di esclusività.19

Sia il concetto di canone e sia quello di classico sono difficilmente circoscrivibili, per questo anche il rapporto tra i due risulta fluido. Se si provasse a parlare di «canone dei

18 Cfr. G. Guglielmi, Canone classico e canone moderno, in Il canone letterario del Novecento italiano, a

cura di N. Merola, Rubbettino, Soveria Mannelli, 2000, pp. 33-34.

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classici» si cercherebbe di associare due termini polisemici e con una complessa storia evolutiva, compiendo dunque una forzatura. In conclusione, dopo aver constatato la polisemia di canone e classico, è possibile soffermarsi brevemente sull’affinità tra canone e classicismo, inteso però quest’ultimo con l’accezione ottocentesca, cioè, una forma classificatoria e irrigidita di classico. Dal punto di vista semantico i due termini si incontrano sia per quanto riguarda l’utilizzo in chiave storiografica, quindi per definire e scandire le fasi di una civiltà letteraria e artistica, sia per il loro legame con l’idea di autorità: il ‘canone’ si basa sulla necessità di scelte selettive, il ‘classicismo’ prevede un insieme di norme a cui un’opera deve rispondere.20

1.1.3Storia del canone

Il processo di selezione del canone attuale non ha nulla a che fare con i criteri che abbiamo utilizzato per denominare i testi pervenutici dalle civiltà greche e latine come canone antico.

I meccanismi di trasmissione delle opere letterarie hanno ovviamente condizionato il canone stesso. Prima dell’invenzione della stampa, infatti, la sopravvivenza delle opere era affidata a copisti che trascrivevano i testi su materiali estremamente deperibili. Le opere copiate con maggior frequenza erano quelle che rispecchiavano i valori in quel momento vigenti e per questo giunte fino a noi con più facilità. Tra queste le opere considerate canoniche, ancora oggi, per la commedia classica sono quelle di Aristofane, perché colui di cui sono stati tramandati più scritti, mentre, per quanto riguarda la tragedia, Eschilo, Sofocle ed Euripide. Ma ciò che interessa per la definizione di canone è che, non potendo leggere i testi perduti, il nostro canone classico deve per forza basarsi sulla selezione di volta in volta fatta dai copisti e dagli eventi che hanno influito sulla conservazione e trasmissione dei testi letterari. Nonostante non si possa verificare che le opere ‘classiche’, oggi conosciute, siano le migliori prodotte in quei secoli dal punto di vista artistico, si considerano, nel loro insieme, canone perché le uniche in nostro possesso. Bisogna, infatti, ricordare che i testi che possiamo leggere oggi sono sopravvissuti a una selezione dovuta anche a fattori di altra natura, e talvolta casuali: il numero limitato di copie, la difficoltà della copiatura, la deteriorabilità dei materiali. Questi fattori, che per secoli hanno

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semplificato agli studiosi la selezione dei testi, non hanno più alcun influsso sulla selezione del canone contemporaneo.21

Le opere dei secoli precedenti, oltre ad essere state scelte dai propri contemporanei, arrivano però fino a noi solo se anche gli studiosi successivi le hanno considerate degne, infatti, il loro lavoro influisce in modi e tempi diversi sulla loro trasmissione.

Un esempio a riguardo risale già al II secolo a.C., quando Aristofane di Bisanzio e Aristarco di Samotracia hanno redatto il canone di Alessandria, una lista di autori di generi molto diversi: poeti epici, giambici, lirici, tragici, comici, storici, oratori, filosofi.22 Analizzando i testi contenuti in questo canone, si deve osservare che gli studiosi che l’hanno composto erano soprattutto grammatici; le loro scelte si basavano quindi su criteri linguistici e non letterari.23 Se la selezione fosse stata fatta da altri, o su altre basi, i testi a noi pervenuti sarebbero stati ovviamente diversi.

Un’altra istituzione che segna profondamente le sorti della selezione di testi almeno fino all’età moderna è la Chiesa cattolica, che diventa l’unica realtà con la forza necessaria per conservare e tramandare il patrimonio letterario. Il rapporto tra la Chiesa e il canone è interessante e complesso perché è proprio all’interno di questa istituzione che nasce l’idea stessa di canone come selezione di una serie di testi che devono essere scelti per essere tramandati ai posteri. Il canone della Chiesa si basa sulla rivelazione della verità che, secondo la religione cattolica, è stata concessa da Dio agli uomini attraverso suo figlio Gesù. I testi considerati canonici sono quindi quelli ortodossi, che rispecchiano la verità,in opposizione a quelli apocrifi, non riconosciuti perché non sono stati ispirati da Dio. I Vangeli sopravvissuti per intero sono sedici, ma, di questi, solo quattro sono considerati portatori di verità. Questa forma di canonizzazione riguarda, in epoche diverse, anche l’Ebraismo e il Protestantesimo: le rispettive versioni dell’Antico Testamento si differenziano tra loro per l’ordine dei libri e l’inclusione o l’esclusione di alcune parti. Nonostante la rigidità della Chiesa porti a legare questa istituzione a un’idea di censura, bisogna guardare oggettivamente ciò che grazie al lavoro di molti chierici, nei secoli, è

21 Cfr. A. Aletta, Libri da ricordare e libri dimenticati. La formazione del canone letterario, in Il Chiasmo,

Treccani, 2018.

https://www.treccani.it/magazine/chiasmo/lettere_e_arti/Memoria/memoria3_isufi_libri_da_ricordare.html

(consultato il 04/10/2020).

22 Cfr. M. Onofri, Il canone letterario, Editori Laterza, Bari 2001, p. 16. 23 Cfr. A. Aletta, Libri da ricordare e libri dimenticati., cit.

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giunto fino a noi.24 Non è necessario sottolineare che la priorità di trasmissione era data alle opere cristiane e quindi l’intento di tramandare anche opere laiche sottostava al limitato numero di copisti e alla penuria di materiali disponibili nei monasteri. La perdita di molte opere antiche nel Medioevo quindi può essere attribuita più che a un progetto strutturato a una scelta passiva, quasi involontaria. La mancata trasmissione è data dal minor interesse e non dalla volontà di selezionare, infatti sono state copiate anche opere licenziose della letteratura classica come l’Ars amatoria di Ovidio o le commedie di Aristofane.25

Nel passaggio dal Medioevo all’Età Moderna nascono le università e le accademie che assumono un ruolo fondamentale come centri di produzione culturale. I nuovi intellettuali sono prevalentemente di formazione laica, sono filologi e intellettuali umanisti che si concentrano sulle qualità formali delle opere e su un insieme di valori civili e morali. In Italia, ad esempio, gli umanisti si soffermano anche sugli aspetti linguistici. Bembo, nel Cinquecento, sceglie come lingua letteraria il fiorentino illustre del Trecento, dal suo canone sono quindi esclusi scrittori probabilmente di uguale valore artistico e linguistico, ma che semplicemente utilizzavano un dialetto diverso: è un canone basato su una discriminazione linguistica.26

Il canone in Europa inizierà ad avere fondamenti politici dall’Ottocento. In Italia con l’Unità una delle priorità fu l’intervento sulla formazione e educazione di tutti i cittadini, per questo si iniziò a riflettere su un insieme di autori rappresentativo della nazione da insegnare in tutte le scuole del Regno. Il critico che svilupperà il primo canone post-unitario in Italia sarà Francesco De Sanctis. Questo studioso di impostazione romantica e con una visione della letteratura patriottico-militante è stato anche il primo ministro dell’Istruzione. Secondo Carlo Dionisotti, Storia della letteratura italiana, pubblicato nel 1870, è «il solo libro che alla maggioranza degli Italiani abbia offerto e tuttavia offra una suggestiva rappresentazione e interpretazione unitaria della loro storia»27 De Sanctis, basandosi sullo storicismo idealista di matrice hegeliana, aveva creato una storia letteraria nazionale come se fosse già insita in essa la nascita del Regno d’Italia. Nella sua ricostruzione segue un processo di accentramento degli elementi unificanti, tralasciando gli

24 Cfr. R. Ceserani, Le antologie e le grandi opere come contributi alla costruzione dei canoni, in

«Enthymema», XVII 2017, pp.16-17.

25 Cfr. A. Aletta, Libri da ricordare e libri dimenticati., cit. 26 Cfr. Ibidem.

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aspetti di complessità geografica, storica e sociale, che caratterizzano ancora oggi l’Italia. Questi aspetti erano stati invece riconosciuti e difesi dal predecessore settecentesco Girolamo Tiraboschi.28 Il canone creato da De Sanctis condiziona ancora oggi quello attuale, soprattutto per quanto riguarda i programmi scolastici vigenti.29

Un altro aspetto che oggi non può più essere ignorato è quello della cultura di massa. Le istituzioni educative non sono più le uniche a influenzare la formazione del canone: fattori economico-commerciali hanno un ruolo sempre più condizionante. Le case editrici e il grande pubblico hanno sempre più voce nella scelta delle opere da canonizzare.30 Infatti, il canone odierno non rispecchia più il dominio della cultura borghese, come era avvenuto fino all’Ottocento, ma si trasforma, e può anche farsi rappresentativo di diverse classi sociali e minoranze oppresse.

Per quasi due secoli la cultura occidentale ha rappresentato in realtà due culture: quella di tipo tradizionale, che definiremo Alta Cultura, riportata dai libri di testo, e quella narrativa, fabbricata per il mercato. Quest’ultima può essere definita Cultura di Massa, o meglio Masscult, dal momento che non si tratta affatto di cultura. Il Masscult è una parodia dell’Alta Cultura.31

Negli anni ‘60 del Novecento, con la pubblicazione di Masscult and Midcult di Dwight Macdonald, si identifica il concetto di ‘Midcult’, una categoria intermedia fra Highbrow e Lowbrow, che, come spiega l’autore, copia e minaccia la cultura alta «spargendo ovunque il suo tiepido velo fangoso».32 Anche a causa di questo fenomeno e delle strategie promozionali dell’editoria ad esso legate si diffonde una distorsione nell’interpretazione del canone. Distorsioni che permettono, da un lato, la nascita di concetti ossimorici quali l’instant classic, cioè un libro che viene considerato best-seller prima ancora di essere messo sul mercato e che venderà numerose copie garantendo un fruttuoso guadagno.

Altri studi sulla cultura di massa si soffermano invece sul rapporto con la cultura popolare. Questa, infatti, non può non risentire dell’influenza dei media, anzi, finisce spesso per assorbirli, anche involontariamente, tendendo a rielaborarli e a reinterpretarli, attribuendo loro nuovi significati. Lo studio di questo processo si inserisce nel più ampio ambito dei Cultural studies, un insieme di ricerche che, nel 1963 a Birmingham, viene

28 Cfr. G. Sulis, Ridefinire il canone: i dialetti e le antologie poetiche del Novecento, in «The Italianist», 24,

2004, p. 81.

29 Cfr. A. Aletta, Libri da ricordare e libri dimenticati., cit. 30 Cfr. Ivi.

31 Dwigth Macdonald, Masscult e Midcult, edizioni e/o, 1997, Roma, p. 19. 32 Ivi, p. 85.

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identificato sotto tale etichetta da Richard Hoggart. Questa disciplina conosce il suo maggiore sviluppo nelle università statunitensi, dove si radicalizza per le nuove prospettive orientate alla difesa di ogni tipo di minoranza e attribuendo legittimità a gruppi in precedenza discriminati.33 È qui che il canone si apre anche a scrittrici, a scrittori neri e a omosessuali. Questi studi hanno però incontrato molte resistenze, anche perché, come sostiene il loro primo oppositore Harold Bloom, relativamente alla definizione del canone, i criteri di scelta utilizzati sottomettono la qualità letteraria dell’opera al messaggio che essa vuole trasmettere.

1.2 Il canone Occidentale di Harold Bloom

Il canone Occidentale (Western Canon)34 di Harold Bloom è il titolo di un volume molto discusso, pubblicato nel 1994, che ha aperto un dibattito a livello mondiale sul canone. Questo testo ha provocato molte reazioni sia per le posizioni chiare e definitive che l’autore porta avanti sia per il modo in cui le esprime; per capire perché, tra i tanti libri scritti sull’argomento, questo continui ad essere ricordato, basta leggere la Prefazione e

preludio nel quale si precisa da subito il punto di vista netto di Bloom.

La posizione del docente di Yale si inseriva nel dibattito statunitense degli anni ottanta, per il quale il canone letterario tradizionale, ereditato dall’Europa ottocentesca, non era più considerato idoneo.35 I contestatori ritenevano che la tradizione non tenesse conto delle minoranze etniche, religiose e di genere che costituivano allora la realtà statunitense, e oggi, anche quella europea. Andrea Cortellessa spiega che i due fronti vedevano da un lato i Giovani Turchi Multiculturalisti, che avevano conquistato l’egemonia nei campus più prestigiosi del paese, e dall’altro i Grandi Umanisti, i rappresentanti della Vecchia Scuola. La contestazione parte proprio dallo strumento di potere intellettuale e culturale degli

33 Cfr. Giovanni Busino, Sergio Belardinelli, Maria Chiara Turci, Cultura, in Enciclopedia del Novecento III

supplemento, 2004.

https://www.treccani.it/enciclopedia/cultura_%28Enciclopedia-del-Novecento%29/ (consultato il 04/10/2020).

34 H. Bloom, Il canone Occidentale. I libri e le scuole dell’età, Rizzoli, 2008. 35 H. Bloom, Il Canone Occidentale, Bompiani, Milano, 1996, p.3.

Per completezza è giusto dire che Bloom nega la volontà di inserirsi nel dibattito riguardo al canone: «Non sono interessato, come il presente libro ripetutamente chiarisce, all’attuale dibattito tra i difensori di destra del Canone, i quali mirano a preservarlo per i suoi supposti (e inesistenti) valori morali, e la rete accademico-giornalistica che ho denominato Scuola del Risentimento, la quale vorrebbe abbattere il Canone allo scopo di promuovere i suoi supposti (e inesistenti) programmi di cambiamento sociale.»

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studiosi: il canone. Canone che viene impugnato perché rappresentativo solo dei «Maschi Europei Bianchi Defunti», tralasciando appunto qualsiasi altra minoranza.36

Bloom seleziona ventisei autori della letteratura occidentale, scelti dunque tra quella letteratura prodotta in Europa e nelle Americhe, e inizia dando una definizione di autore canonico:

Ho tentato di istituire un diretto confronto fra gran parte di questi ventisei scrittori e la grandezza, chiedendomi che cosa renda canonici l’autore e le opere. Per lo più, la risposta è risultata essere la singolarità, un tipo di originalità che non può essere assimilata o alla quale ci abituiamo tanto da cessare di considerarla singolare. […] Chi legga per la prima volta un’opera canonica, si imbatte in un estraneo, in una arcana sorpresa anziché in una verifica di aspettative.37

Quindi l’autore canonico, secondo Bloom, è colui che disorienta il lettore al punto da farlo sentire straniero in casa propria,38 nonostante ciò individua come centro del canone Shakespeare, che viene così descritto:

Shakespeare, il massimo scrittore che mai conosceremo, spesso dà un’impressione opposta: quella di farci sentire a casa fuoriporta, stranieri, all’estero. I suoi poteri di assimilazione e contaminazione sono unici e rappresentano una sfida all’universa produzione e alla critica.39

L’ammirazione del professore per il poeta inglese è tale da spingerlo a sostenere che «senza Shakespeare, nessun canone perché, senza Shakespeare, nessun io è riconoscibile in noi, chiunque noi siamo».40

Inoltre, il canone pensato da Bloom prevede un rapporto diretto scrittore-lettore. Un lettore identificato solo nella sua umanità, senza distinzioni di sesso, colore e origine perché il canone di Bloom si basa su un’estetica interpretata come «un interesse individuale anziché sociale»41. Lo studioso non teme di esprimere la sua visione elitaria della letteratura canonica: il valore estetico non può, secondo lui, essere conosciuto e sperimentato da tutti, e a coloro che non colgono le emozioni generate dall’esperienza estetica non è neanche possibile trasmetterlo. Per Bloom è un errore aver pensato che la

36 Cfr. A. Cortellessa, Introduzione: Insegnare la solitudine in H. Bloom, Il canone Occidentale. I libri e le

scuole dell’età, Rizzoli, 2008, pp. 8-9.

37 H. Bloom, Il canone occidentale. I Libri e le Scuole delle Età, Bompiani, Milano, 1996, p. 2.

38 Ivi, p. 2-3. «a leggerli ex novo, tutto ciò che la Divina Commedia, Il Paradiso perduto, il Faust, Parte

seconda, Chadži-Murat, Peer Gynt, Ulisse e il Canto general hanno in comune è la loro misteriosità, la loro

capacità di far sentire il lettore un estraneo a casa sua.»

39 Ivi, p. 3. 40 Ivi, p. 35. 41 Ivi, p. 14.

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critica letteraria potesse diventare la base per un’educazione democratica, o essere utile a un miglioramento sociale. Infatti, per l’autore la critica letteraria nasce dall’analisi estetica di un’opera, ed è dunque un’arte che «sempre è stata e sempre sarà un fenomeno elitario», al contrario della critica culturale di un testo, che rientra, invece, tra le scienze sociali; due discipline, dunque, ben distinte. Nonostante in quegli anni il concetto di canone acquisisca una forte politicizzazione, il professore tenta comunque di proporre un «grande canone» contro i nuovi movimenti di critica culturale, che sono nati negli Stati Uniti e hanno guadagnato sempre più spazio all’interno del mondo accademico. Bloom è fermamente convinto che la perdita di terreno della letteratura, negli anni Novanta, e la conseguente fuga di molti giovani da questa materia, dipenda anche dal nuovo approccio dato, che tende a basarsi su una critica socio-culturale più che sull’analisi estetica del testo.42 Per il professore statunitense i veri traditori dalla letteratura, etichettati sotto il nome di «scuola del risentimento»43, sono gli esponenti della critica femminista, del neo-storicismo e dei

Cultural studies. Sebbene ammetta che la propria posizione sia sostenuta da una

minoranza, e quindi sia destinata a perdere, sostiene comunque che dimenticare il potere del testo di produrre piacere, anche solo tramite la fruizione puramente estetica, mette in pericolo il canone stesso.

Le difese ideologiche del Canone Occidentale sono altrettanto perniciose, per i valori estetici, degli attacchi di assalitori che cercano di distruggere il Canone oppure, come proclamano, di “spalancarlo”. Nulla è altrettanto essenziale al Canone Occidentale quanto i suoi princìpi di selettività, che sono elitari solo nella misura in cui si fondino su criteri severamente artistici. 44

Per gli oppositori di Bloom, non è sufficiente il valore artistico fine a sé stesso per la creazione del canone, poiché in ogni scelta non si può prescindere da un’ideologia.45

Per Bloom invece non esiste una funzione sociale, politica, educativa del canone, «tutto ciò che il Canone Occidentale può apportare, consiste nell’adeguato uso della propria solitudine, quella solitudine la cui forma conclusiva è il proprio confronto con la propria mortalità».46 Quello di Bloom è quindi un canone che serve solo a godere del piacere estetico e a riconoscere aspetti della propria umanità e della propria solitudine, e dunque «se leggiamo il Canone Occidentale per plasmare i nostri valori morali, sociali, politici o personali, credo

42 Ivi, p. 15.

43 Cfr. R. Ceserani, Appunti sul problema dei canoni, cit., p. 65. 44 H. Bloom, Il canone occidentale, cit., p. 19.

45 Cfr. Ivi, p. 19. 46 Ivi, p. 26.

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proprio che diverremmo mostri di egoismo e sfruttamento».47 Bloom rifiuta un canone basato sull’armonia sociale e sulla riparazione delle ingiustizie storiche: gli autori scelti devono essere i migliori, siano essi donne, africani, ispanici. Per Bloom l’unico criterio valido per stabilire un canone è il valore estetico, per questo non accetta le contestazioni che, a suo parere, nascono solo dal risentimento, e che non per forza riflettono quella singolarità e quella originalità che dovrebbero essere le caratteristiche distintive di un autore canonico. Questo è il fulcro e la fonte delle tante polemiche che il suo libro ha suscitato. Il suo è un canone della “trascendenza”, che deve essere in grado di condurre il lettore altrove, spingendolo a desiderare di essere diverso. La letteratura deve rimanere una spinta verso l’assoluto, una sfida che può essere eterna e sempre presente: è proprio questo l’aspetto per lui indispensabile che esula totalmente dai Cultural studies, che invece storicizzano e contestualizzano la letteratura e i suoi valori, che non possono più essere considerati assoluti ma relativi a determinati contesti locali.48

I giudizi sull’opera di Bloom sono contrastanti. Giulio Ferroni, ad esempio, pur non condividendo a pieno la posizione dello studioso, riconosce l’intento di riportare la letteratura alla sua essenza e alla sua capacità di creare un’«esperienza totale e coinvolgente». Il suo obiettivo è ritrovare una letteratura che si allontani dagli usi professionali, dagli aspetti tecnici e analitici e che regali la capacità di riconoscere l’altro e di creare nei lettori un senso critico. Ferroni riporta anche lo studio del filosofo Richard Rorty, un filosofo che, partendo da Bloom, identifica una chiusura dei dipartimenti umanistici nei confronti dei classici per un maggiore interesse verso i Cultural Studies. Questi ultimi, secondo Rorty, portano tutto l’interesse solo sul presente, quindi a un’autoreferenzialità e a un’incapacità di avere degli effetti su ciò che ci circonda: lo studio letterario, pensato solo come strumento di conoscenza, sterilizza l’arte letteraria. L’idea della letteratura come “religione atea”, che permette di sognare il miglior mondo possibile, viene quindi abbandonata.49

Altri studiosi invece sottolineano gli aspetti critici dell’opera, tra questi non si può tralasciare la discutibilità della scelta personale dei ventisei autori fatta da Bloom. Se il libro fosse stato scritto in Italia, in Francia o in Germania, invece che da un docente

47 Ivi, p. 25.

48 Cfr. G. Ferroni, Al di là del canone, in Sul canone «Allegoria» anno X, Numero 29-30, maggio-dicembre

1998, p. 78.

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statunitense di letteratura anglo-americana, la selezione sarebbe stata sicuramente diversa: anche il canone occidentale risponde alla soggettività di colui che lo crea. Ne è conferma la sicurezza con cui Bloom attribuisce indiscutibilmente – come abbiamo visto in diversi punti dell’opera – il primato al poeta inglese Shakespeare. In Italia, ad esempio, questo primato sarebbe invece, senza ombra di dubbio, attribuito esclusivamente a Dante, al quale Bloom invece, come leggiamo, concede pari considerazione rispetto all’autore inglese:50

Shakespeare e Dante costituiscono il centro del Canone perché superano tutti gli altri scrittori occidentali in fatto di acutezza cognitiva, energia linguistica e forza d’invenzione.51

Come testimone delle origini della classe borghese, ad esempio, sceglie Chaucer, mentre Boccaccio è indicato solo come testo di approfondimento. La conferma definitiva è l’assenza di Petrarca. Nonostante il poeta sia stato fondamentale nella cultura aristocratica europea con la capillare diffusione del suo Canzoniere, non è presente nell’indice.52

1.3 L’Ottocento italiano e la Storia della letteratura italiana di Francesco De Sanctis

Ma perché nel contesto italiano Dante, Boccaccio e Petrarca sarebbero invece stati dati per scontati?

Per trovare una risposta si analizza ora il contesto italiano, ripercorrendo il processo storico che ha determinato il primo canone elaborato su base nazional-patriottica nel quadro del processo di riunificazione nazionale: La storia della letteratura italiana di De Sanctis.

1.3.1 Il contesto storico dell’Italia dell’Ottocento

Mentre nel contesto europeo ottocentesco erano presenti stati con una fisionomia territoriale stabile, in alcuni casi molto simile a quella odierna, nella penisola italiana a fine Settecento ne esistevano dodici, diversi per storia e forma di governo. I confini territoriali inoltre segnavano profonde differenze nella vita quotidiana, nelle pratiche agricole, nelle

50 Cfr. M. Domenichelli, Il canone letterario occidentale, cit., p. 32. 51 H. Bloom, Il canone occidentale, cit., p. 39.

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tradizioni, nelle leggi e nelle istituzioni. L’indipendenza di ogni stato aveva quindi contribuito a diversificare le storie e le caratteristiche dei vari popoli. Per tutti questi motivi l’idea di una comunità nazionale coesa e di un sentimento di italianità erano molto più labili rispetto ad altri stati europei. Ma non per questo mancarono voci di molti intellettuali che credevano nella possibilità di vedere l’Italia sotto ad un unico governo.53 La penisola non conosceva neanche una rete di scambi tra i diversi territori, anzi i collegamenti interni erano scarsi e disincentivati dalle politiche protezionistiche in vigore che andavano ad alimentare le rotte commerciali verso gli stati europei, che erano più ricchi. La forza degli stati della penisola era quella di produrre materia prima e materia lavorata di alta qualità, cosa che richiedeva la ricerca degli acquirenti tra coloro che avevano un’economia forte. I mercati meridionali, infatti, erano mal strutturati al loro interno e non producevano una grande domanda, per questo non potevano costituire la destinazione dei prodotti industriali del Nord e, viceversa, i prodotti agricoli come l’olio, il vino e gli agrumi prodotti al Sud erano molto apprezzati e richiesti all’estero e il loro valore commerciale era troppo elevato per la neonata economia settentrionale, ancora troppo povera per poterseli permettere.54 Oltre alla presenza di uno scenario commerciale non integrato tra gli stati della penisola, non si può tralasciare il contesto linguistico: coloro che parlavano correttamente l’italiano erano ancora una percentuale minima, tutti gli altri utilizzavano i dialetti o, come in Piemonte, addirittura una lingua straniera (in questo caso il francese).

Eppure, nonostante la penisola fosse attraversata da questi evidenti divisioni e autonomie interne, dai primi anni dell’Ottocento, l’idea di una nazione unitaria si rafforza e diventa gradualmente uno dei temi più discussi tra gli intellettuali italiani. Tra loro anche molti poeti, narratori e pittori sposano la causa e, grazie a loro, il discorso nazional-patriottico raggiunge un’ampia parte di popolazione.55 Alberto Mario Banti riconosce il valore degli intellettuali risorgimentali grazie ai quali si avvia un processo di ricostruzione storico della nazione italiana: è attraverso la creazione di specifiche mitologie che questa idea di patria si diffonde anche nella nostra penisola.

Ed è proprio in nome della patria che molti giovani furono disposti a rischiare l’esilio, la prigione e la vita, per quella nazione italiana che verrà poi realmente costituita in forma

53 Cfr. A. M. Banti, La nazione del Risorgimento. Parentela, santità e onore alle origini dell’Italia unita,

Einaudi editore, Torino, 2000, p. 17.

54 Cfr. Ivi, p. 23. 55 Cfr Ivi, p. 29.

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statale. I giovani coinvolti provenivano da classi sociali molto diverse, vi era una cospicua partecipazione delle classi benestanti ma non mancavano persone di estrazione socio-economica più disagiata. La spinta alla ribellione non era data dalla ricerca di un miglioramento sociale ma dalla forza dell’idea di nazione creata e diffusa dagli intellettuali e attecchita in tutta la penisola. Le ragioni della ribellione, soprattutto giovanile, non hanno radici generazionali, poiché è proprio all’interno della famiglia che si riceve l’educazione che sprona al patriottismo, fenomeno che riconosce il vincolo famigliare tra generazioni come uno dei suoi capisaldi.56

La pubblicazione e diffusione della letteratura nazional-patriottica era dovuta soprattutto alla sua natura fortemente ideologica: alcuni raccontavano un evento significativo legato al momento politico culturale che l’Italia stava vivendo, questo portava a un grande successo di pubblico e quindi a molteplici pubblicazioni in pochi anni, per poi scomparire; altri, pubblicati nel periodo risorgimentale, continuarono ad avere successo anche dopo l’Unità. Molti libri erano editi all’estero, alcuni, con un basso numero di tirature riuscivano a raggiungere e ad essere apprezzati negli ambienti patriottici italiani, altri invece pur diffondendosi all’estero venivano censurati nella penisola. I dati sulla stampa e la diffusione di questi libri non sono affidabili, ma si può comunque notare che i volumi che Banti raggruppa sotto il nome di «canone risorgimentale», stampati tra il 1802 e il 1861, furono complessivamente 534; questo dato indica che ogni anno furono pubblicate circa nove edizioni nelle zone più diverse della penisola. Quindi sia che i libri si potessero comprare liberamente sia che si dovessero ricevere in privato attraverso un contrabbandiere, gli italiani erano disposti a sfidare le leggi e la censura pur di accedere alla lettura.57

1.3.2 Il canone nazional–patriottico italiano e De Sanctis

Nel 1871 viene pubblicato il secondo volume di Storia della letteratura italiana di Francesco De Sanctis; è interessante soffermarsi su questo libro perché è uno degli strumenti che ha creato il senso di appartenenza alla nazione italiana e ha nello stesso tempo formato il canone della letteratura italiana dai poeti siciliani alla seconda metà dell’Ottocento.

56 Cfr. Ivi, pp. 30-34. 57 Cfr. Ivi, pp. 51-53.

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La tradizione letteraria diventa per il neonato stato italiano uno strumento per offrire al paese un progetto di unificazione linguistica e culturale. Secondo Remo Ceserani mentre il romanzo di formazione poteva in quegli anni diventare un modello di «autoeducazione alla nuova individualità», la Storia della letteratura di De Sanctis rappresentava l’unico modello di «autoeducazione dell’italiano».58 Il lavoro svolto da De Sanctis è stato molto

apprezzato da René Wellek che scrive:

Gran parte delle storie letterarie o non sono letterarie o non sono storie. Sono o la storia sociale di un paese, per la quale la letteratura serve solo da documento, o una serie di saggi critici, disposti in ordine cronologico.59

De Sanctis invece, secondo il critico, è riuscito a fondere insieme i due elementi: la storia e la letteratura, con una rappresentazione storica della letteratura italiana, immersa nella storia politica, sociale e morale della nazione e presentando i grandi testi della letteratura attraverso le sue valutazioni personali.60 Per creare il suo “romanzo di formazione”, De Sanctis sviluppa la narrazione anche sul nodo del conflitto generazionale: durante lo sviluppo della coscienza nazionale italiana non mancano scontri, riconciliazioni, decadenze e rinascite. Tutto questo è stato possibile attraverso la creazione di una serie di «padri della patria», primo tra tutti «padre Dante»: il poeta, da politico fiorentino difensore dell'imperatore, viene presentato da De Sanctis come il primo «italiano».61

Per De Sanctis la letteratura è l’essenza della storia di una nazione. Essa non si limita a esserne il riflesso, è la storia della nazione. La letteratura non è solo intimamente collegata con il processo storico, ma è una rappresentazione simbolica dell’evoluzione dello spirito italiano. De Sanctis crede infatti che esista un tutto unico che egli chiama la «coscienza» italiana (egli la immagina e la ricostruisce): «coscienza» è un termine che ha un doppio significato, di autocoscienza di sé o consapevolezza nazionale e responsabilità morale.62

Il protagonista della storia desanctiana non è un singolo individuo ma un intero popolo, è «la coscienza del popolo italiano», che attraverso errori e correzioni e una progressiva presa di coscienza di sé raggiunge la sua maturazione. L’impostazione è teleologica: la nascita del Regno d’Italia è insita in ogni passaggio della storia della penisola italiana. Leggendo il primo capitolo «I Siciliani», si può vedere come De Sanctis parli già di una

58 Ivi, p. 70.

59 R. Wellek, Introduzione in Storia della letteratura italiana, Rizzoli, Milano, 2018, p. I. 60 Cfr. Ivi, p. IV.

61 Cfr. R. Ceserani, Appunti sul problema dei canoni, cit., p. 70. 62 R. Wellek, Introduzione, cit., p. IV.

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«vita nazionale», per lui quindi esistente fin dall’origine, che non dialoga con la produzione siciliana perché quest’ultima era stata influenzata da una cultura straniera:

Ma la coltura siciliana avea un peccato originale. Venuta dal di fuori, quella vita cavalleresca, mescolata di colori e rimembranze orientali, non avea riscontro nella vita nazionale. […] il movimento si fermò negli strati superiori della società, e non penetrò molto addentro nel popolo, e non durò. […] Essendo idee, sentimenti e immagini una merce bella e fatta, non trovate e non lavorate da noi, si trovarono messe lì come tolte di peso, con manifesto contrasto tra la forma ancor rozza e i concetti peregrini e raffinati.63

La struttura dell’opera di De Sanctis si presenta nei primi due terzi con capitoli concentrati su grandi testi: la Divina Commedia, il Canzoniere, il Decameron, le Stanze di Poliziano, l’Orlando furioso, la Gerusalemme liberata; gli autori minori sono raccolti in gruppi e analizzati brevemente a volte anche con citazioni o rievocazioni di scene. L’autore chiese all’editore di avere a disposizione un terzo volume per poter continuare a strutturare il discorso in questo modo ma non gli fu concesso.64 Per questo, dopo i capitoli su Tasso, Marino e Metastasio, il discorso si trasforma in una storia del pensiero filosofico e scientifico italiano, nonostante l’autore stesso dichiari «non fo storia di filosofia. Ma debbo notare le idee e le tendenze che ebbero una decisa influenza sul progresso umano».65 Leggendo l’intera opera sembra di incontrare due libri. Il primo presenta, attraverso la poesia e la narrazione, da Dante a Metastasio, un processo di decadenza, di cui Asor Rosa scrive:

Pensate al paradosso contenuto nella Storia della letteratura italiana di De Sanctis. Essa è l’opera più significativa dedicata a celebrare, attraverso la letteratura, la civiltà italiana moderna e la sua identità nazionale: pure, il diagramma, che il De Sanctis disegna, è quello di una decadenza. Questa decadenza comincia in limine, e precisamente quando, tra Dante da una parte e Petrarca e Boccaccio dall’altra, alla figura del poeta si sostituisce quella del letterato e dell’artista.66

Il secondo, da Machiavelli a Vico e Leopardi, propone un progresso dell’uomo e delle sue conoscenze e una maggiore consapevolezza del suo posto nell’universo. La continuità dell’opera è data da una costante: la «coscienza del popolo italiano».67

63 F. De Sanctis, Storia della letteratura italiana, Bur Rizzoli, Milano, 2018, pp. 71-72. 64 Cfr. R. Wellek, Introduzione, cit., p. IX.

65 F. De Sanctis, Storia della letteratura italiana, Bur Rizzoli, Milano, 2018.

66 Letteratura italiana, diretta da Asor Rosa, I. Il letterato e le istituzioni, Torino: Einaudi, 1982, pp. 22-23. 67 Cfr. R. Wellek, Introduzione, cit., p. XIII-XIV.

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A inizio Novecento De Sanctis venne riscoperto ed elogiato da Benedetto Croce. Il filosofo valuta il valore storico dell’opera che considera «tutta la vita italiana, religiosa, politica, morale» e ne esalta lo stile e la valenza estetica. 68

Il canone desanctiano possiamo considerarlo ancora oggi uno dei più influenti in Italia, nessuno di quelli proposti in seguito ha condizionato le antologie scolastiche come ancora oggi fa Storia della letteratura italiana.69 La difficoltà di definire il canone italiano inizia, infatti, proprio tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento e la questione risulta ancora oggi complessa e aperta.

1.4 Il canone novecentesco

Il tema del canone torna in voga negli anni Ottanta negli Stati Uniti e si diffonde anche in Italia tra la fine degli anni Novanta e nei primi Duemila. Le motivazioni sono diverse: la principale è sicuramente la necessità umana di fare bilanci, quasi sempre in corrispondenza di fattori esterni, e proprio per questo gli anni sono quelli a cavallo della fine del secolo. I professori e i critici letterari si ponevano domande soprattutto sul Novecento, secolo che non aveva avuto un riferimento forte come quello di De Sanctis. I rappresentanti del mondo educativo si interrogavano su quali fossero gli autori rappresentativi, quali le opere e le poetiche degne di essere salvate, e quali le priorità, ovvero le conoscenze indispensabili alla formazione degli studenti e quindi da tramandare alle generazioni successive.

Nonostante siano passati vent’anni dalla fine del Novecento il canone di questo secolo rimane però, in parte, ancora soggetto alla discrezione degli editori scolastici, degli studiosi e dei singoli insegnanti. Infatti, accanto ad una lista di nomi indiscussi sempre presenti, si incontra una rosa di autori satelliti che variano a seconda del periodo storico. La breve distanza temporale è da considerarsi all’origine della difficoltà di fornire un riferimento definitivo, come invece avviene per i secoli precedenti: il canone, infatti, si basa sui valori che rispecchiano una determinata società e questi necessitano di tempo per potersi sedimentare e per essere poi riconosciuti in quanto tali.

68 Cfr. R. Antonelli, De Sanctis e la storiografia letteraria italiana, in Quaderns d’Italià 16, 2011, p. 35. 69 Cfr. R. Ceserani, Le antologie e le grandi opere come contributi alla costruzione dei canoni, in

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Secondo il professor Giuseppe Langella sono due gli aspetti che hanno prepotentemente condizionato il clima letterario del XX secolo e, quindi, di conseguenza la definizione del canone novecentesco: l’elevata diffusione dell’alfabetizzazione e l’inclinazione alla sperimentazione degli autori novecenteschi.

La rinascita europea, infatti, dopo la seconda guerra mondiale e il boom economico, migliora la qualità della vita e permette di raggiungere un buon livello di alfabetizzazione anche tra le classi sociali meno abbienti. Questo fenomeno comporta lo sviluppo di nuove e differenti categorie di lettori, spingendo l'industria editoriale ad arricchire il catalogo degli autori e delle opere, ampliando così la potenziale rosa dei nomi canonizzabili.

Sempre seguendo la riflessione di Langella, la forte spinta alla sperimentazione e all’innovazione nel Novecento è una conseguenza di quel meccanismo inconscio che Harold Bloom identifica come «Angoscia dell’influenza», la paura, cioè, di risultare troppo simili ai grandi del passato.70 Nonostante questo timore, però, neanche gli scrittori del Novecento possono sganciarsi dalla tradizione: la memoria, sia che sia individuale, sia che sia collettiva, è sempre selettiva, e per questo in continuo divenire, in un processo inarrestabile di assestamento. Quando all’interno di una comunità c’è un cambiamento culturale questo comporta cambiamenti anche sulla memoria e su ciò che era stato scelto per costruire l’identità del presente.71

Come riporta Andrea Battistini in un articolo di «Allegoria» del 1998, Aristotele considerava due tipi di memoria: la mneme, cioè quel tipo di memoria che immagazzina tutto, in modo passivo, quasi patologico; l’anamnesis invece corrisponderebbe a un processo attivo, che funziona attraverso un lavoro di selezione e ricostruzione che il soggetto compie coscientemente. Secondo Battistini per riuscire a definire un nuovo canone è necessario sfruttare l’anamnesis. Questa modalità di selezione, in epoca contemporanea, è ancora più necessaria che nel passato, anzitutto perché la facilità di accesso ai dati a disposizione moltiplica esponenzialmente la quantità di conoscenze, rendendo impossibile la loro totale conservazione. Inoltre nel Novecento si sviluppa un approccio interdisciplinare, che richiede un lavoro di sintesi capace di rispecchiare il passato alla luce delle esigenze del presente. Eppure, almeno in ambito universitario,

70 Cfr. G. Langella, La letteratura del Novecento e il problema del canone, in il Novecento a scuola, pp.

47-48.

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