• Non ci sono risultati.

Decadentismo e modernismo: due etichette critiche a confronto

3.2 Il decadentismo in Italia

3.2.2 Salinari e de Castris

Per comprendere la difficoltà e la fluidità delle etichette e dell’inquadramento storico degli autori di inizio Novecento è interessante fare un breve confronto tra il saggio di Binni, che rimane il primo studio completo e strutturato sul decadentismo, e due volumi di alcuni decenni successivi che riprendono in modo diverso il tema: Miti e coscienza del

decadentismo italiano di Carlo Salinari e Il decadentismo italiano di Arcangelo Leone de

Castris.

Miti e coscienza del decadentismo italiano viene pubblicato per la prima volta nel 1960

da Feltrinelli. Per contestualizzare lo studio è necessario dire che Salinari non aveva intenzione di concentrare il suo lavoro sul decadentismo italiano e i sui suoi autori, bensì di «lavorare intorno alla letteratura del decennio giolittiano, spinto soprattutto da interessi di carattere storico».177 Questo era il progetto originario dello studioso:

il progetto inviato allora all’editore (con un centinaio di pagine di saggio) prevedeva un volume sulla letteratura dell’età giolittiana diviso in tre parti: la prima dedicata agli orientamenti dello spirito pubblico (e quindi, in connessione con essi, ai problemi della storia politica ed economica), la seconda alle politiche, la terza alle principali personalità artistiche.178

Approfondendo l’età giolittiana nelle sue varie componenti economico-socio-politiche, Salinari si rende conto che quasi tutte le maggiori personalità letterarie del periodo – Croce, d’Annunzio, Pascoli, Pirandello, Fogazzaro – si erano affermate già a fine Ottocento (anche Italo Svevo, non ancora riconosciuto, aveva già pubblicato due romanzi). Ciò che fa cambiare progetto allo studioso è la constatazione che l’origine delle correnti di pensiero di inizio Novecento non sono da ricercare nell’età giolittiana, ma nell’ultimo

174 Ivi, p. 120. 175 Ivi, p. 129. 176 Cfr. Ivi, p. 129.

177 Ivi, C. Salinari, Miti e coscienza del decadentismo italiano, Feltrinelli, Milano, 1988, p. 7. 178 Ivi, p. 8.

68

decennio dell’Ottocento. Per questo motivo l’arco temporale inizialmente scelto dall’autore doveva essere rivisto; il termine a quo andava spostato al 1889, anno di pubblicazione di

Mastro don Gesualdo, ultima opera verista italiana, e, per Salinari, data che segna il

passaggio dalla cultura ottocentesca a una sensibilità culturale nuova.

Le innovazioni che segnano il cambiamento letterario sono, per lo studioso: la battaglia «antizoliana» e antinaturalistica «in nome del sogno, dell’illusione, dell’ignoto, dell’ideale»179

portata avanti da d’Annunzio; il tentativo di Fogazzaro di conciliare la scienza positivistica e il principio di evoluzione naturale con il dogma cattolico; l’indirizzo «simbolista» scelto da Pascoli per la sua poesia e la scelta di Pirandello e Svevo di abbandonare, già nei loro primi romanzi, i «fondamenti di naturalismo».180

L’opera di Salinari, senza dare una precisa definizione di decadentismo, crea uno schema critico che è poi rimasto fondamentale per questo ambito di studi. Gli autori da lui scelti sono divisi in due gruppi: da un lato i «miti» rappresentati dalle opere di Fogazzaro, Pascoli e d’Annunzio, dall’altro la «coscienza», la consapevolezza del momento di crisi dell’opera di Pirandello. Salinari dedica ad ogni «mito» un capitolo: «Il superuomo», «Il fanciullino», «Il santo», che, in maniera diversa, presentano modelli alternativi per affrontare il momento di crisi che la società sta vivendo. Nell’ultimo capitolo, «La coscienza della crisi», viene presentato Pirandello, che si distingue dagli altri per aver raggiunto la consapevolezza di vivere in un periodo critico:

Perché, contrariamente agli altri tre, che solo apparentemente si ponevano all’opposizione, ma in realtà erano protagonisti di quella crisi, egli è davvero uno scrittore d’opposizione. Non già che in lui vi sia la denuncia di una società ingiusta e crudele […]: ma v’è la coscienza della condizione anarchica dell’individuo, la quale, se non consente lo scatto ribelle, tuttavia ci dà l’amara e sfiduciata constatazione dell’assurdità della vita e dell’impossibilità di cambiarla. Pirandello, insomma, assai più dei chiassosi gruppi del Leonardo o dei futuristi rappresenta quell’avanguardia che, in altri paesi d’Europa, con nomi diversi (dal surrealismo all’espressionismo) seppe esprimere l’angoscia e l’opposizione dell’uomo moderno, dopo la crisi della società ottocentesca. Quell’avanguardia che, nell’ambito della civiltà decadente, rappresenta il filone più autentico, più ricco di acquisizioni, più capace di conoscere il mondo in cui viviamo.181

Attraverso questi brevi accenni all’opera di Salinari si può notare che i nomi scelti per il periodo decadente non coincidono completamente con quelli proposti da Binni. D’Annunzio e Pascoli si confermano come le figure maggiori, a cui si aggiunge Fogazzaro,

179 Ivi, p. 9. 180 Cfr. Ivi, p. 9. 181 Ivi, p. 281.

69

autore a cui Binni non aveva dedicato un capitolo ma che cita all’interno di «La poetica di Gabriele d’Annunzio e l’estetismo». Salinari invece non tratta i crepuscolari e i futuristi, ma inserisce la figura di Pirandello pur riconoscendogli caratteristiche diverse rispetto agli altri autori.

Per quanto riguarda Il decadentismo italiano di de Castris, invece, è chiaro fin dall’inizio, a differenza di Salinari, l’intento di fare un bilancio, a distanza di tempo, di quello che è stato il decadentismo. L’opera comincia, quindi, con la distinzione tra decadenza e decadentismo e propone una definizione di quest’ultimo:

l’oggettiva necessità di distinguere tra crisi dei valori (decadenza) e critica dei valori (decadentismo), cioè il rifiuto storicamente fondato di una nozione di Decadentismo come prodotto della crisi, dell’involuzione imperialistica della borghesia, delle contraddizioni economiche e dei processi sociali inerenti, e la tendenziale definizione di Decadentismo come risposta di ordine ideologico all’angoscia sociale prodotta da quella crisi, proprio tale necessità di superare criticamente ogni genere di determinismo storiografico dovrebbe suggerire – crediamo – una verifica più sorvegliata e analitica delle dimensioni reali, della contraddittorietà specifica, di un fenomeno storico così articolato e complesso.182

De Castris, in un altro passaggio, specifica che, nonostante dal punto di vista economico la borghesia in questo periodo si stesse espandendo, il decadentismo è la dimostrazione della sua perdita di egemonia in campo culturale. La società civile in questi anni smette di identificarsi nei valori borghesi.183

Ci concentriamo ora su coloro che lo studioso considera i protagonisti del decadentismo, nominati nel sottotitolo: Svevo, Pirandello e d’Annunzio. Pirandello e Svevo sono presentati come decadentisti perché hanno compreso come lo sviluppo industriale e il cambiamento della società di inizio Novecento abbiano travolto e alienato l’individuo. Ogni tentativo di socialità da parte del soggetto diventa nullo perché ha perso qualsiasi capacità di interazione e di consapevolezza della sua coscienza.184 Secondo de Castris, Pirandello in modo consapevole formalizza nelle sue opere i limiti della letteratura come strumento ideologico nel primo periodo di industrializzazione della società italiana, e nello stesso tempo riconosce «l’ampia articolazione delle possibilità critiche di quello strumento e delle sue mediazioni tematiche e figurative».185 In Svevo, invece, riconosce, oltre alle posizioni antinaturalistiche e antinarrative, la consapevolezza della perdita di

182 de Castris, Il decadentismo italiano, De Donato, Bari, 1974, p. 28. 183 Cfr. Ivi, p. 30.

184 Cfr. Ivi, p. 48. 185 Ivi, p. 47.

70

centralità della letteratura e del ruolo dell’intellettuale nel momento in cui nasceva la società di massa.

Il critico definisce inoltre questi due autori «come le punte più alte del Decadentismo italiano, le sole nostre espressioni qualitative omogenee ai momenti più rappresentativi e maturi della grande letteratura europea del primo novecento»,186 sottolineando il fatto che, a differenza di ciò che succede in Europa, sono «esperienze singolarmente eccentriche nella nostra tradizione» e «elaborazioni in ogni senso isolate».187

Facendo, quindi, un breve confronto con le due opere di Binni e Salinari, si può notare una concordanza sulla figura di d’Annunzio che viene inserita da tutti e tre gli autori; de Castris a differenza degli altri tralascia Pascoli e si spinge su autori che scrivono solo in prosa, proponendo in posizione predominante Svevo accanto a Pirandello.

3.2.3 Giovannetti

L’ultimo volume che è interessante considerare per questo confronto è il libro, già citato, di Paolo Giovannetti, edito nel 2016 e intitolato proprio Decadentismo. Giovannetti indica come periodo di riferimento per questa etichetta gli anni compresi tra il 1883 e il 1903, visti come un’età di transizione attraversata da tensioni contraddittorie e da una particolare difficoltà di identificazione. Secondo lo studioso i decadenti francesi riconoscevano la consapevolezza della precarietà e della emarginazione della figura dell’intellettuale; in Italia, invece, i decadenti cercano di difendere il ruolo del letterato come portatore di valori a-storici assoluti, quindi non suscettibili al tempo o ai cambiamenti della civiltà.188

La «triade italiana» proposta da Giovannetti include Fogazzaro, Pascoli e d’Annunzio. La posizione di Fogazzaro è quella più difficile da definire, è l’autore nato prima dei tre e risente maggiormente di tratti ottocenteschi, oltre ad essere un fermo difensore della fede cattolica. In Piccolo mondo antico, ad esempio, si trovano alcuni aspetti manzoniani come la centralità dei valori cattolici, che hanno un forte peso in tutta la narrazione, e il modo di rappresentare e inserire i personaggi minori, i quali, in modo comico, diventano quasi un coro che distrae dalla narrazione principale. Anche in quest’opera si può trovare però un

186 Ivi, p. 48. 187 Ibidem.

71

personaggio rispondente ai tratti decadenti, Franco Maironi, descritto come un personaggio nevrotico incapace di agire sia socialmente che privatamente. La narrazione si conclude, però, con la soluzione dei problemi sia familiari sia sociali, rispondendo quindi ai valori religiosi e borghesi nei quali Fogazzaro crede. L’obiettivo delle opere di Fogazzaro è quello di conciliare le idee del positivismo con i dogmi cattolici. Inoltre, non accetta gli sviluppi politico-sociali dell’Italia postunitaria e il fallimento delle promesse risorgimentali; ma a differenza della scapigliatura che si limitava a denunciare, il suo scopo è quello di proporre degli strumenti che tramite l’arte possono suggerire una soluzione per la collettività: la conciliazione tra beni materiali e beni spirituali.189

Anche Salinari, per caratterizzare la poetica decadente di Fogazzaro, sceglie Piero Maironi, figlio del protagonista di Piccolo Mondo Antico e protagonista del libro il cui titolo è il suo soprannome: Il Santo. Questo personaggio è considerato decadente per la morbosa mescolanza tra religione e desiderio sessuale; inoltre, Giovannetti rileva anche in Fogazzaro il tentativo di far riconoscere il ruolo dell’intellettuale all’interno della società, caratteristica che, secondo lo studioso, è propria del decadentismo italiano.190

La posizione di Giovanni Pascoli all’interno del decadentismo, invece, si basa sul particolare uso del linguaggio da parte del poeta e sull’interesse per la forma in quanto tale. La sua poesia si allinea agli esperimenti della letteratura a lui contemporanea; il linguaggio diventa uno strumento per creare suoni ed effetti melodici per il lettore. Per queste ragioni Giovannetti avvicina Pascoli al simbolismo francese più che al decadentismo.191 Un altro tema pascoliano considerato decadentista è la poetica del fanciullino, intesa come una sensibilità presente in ogni uomo che però ognuno è costretto a reprimere. Inoltre, anche qui il poeta svolge una funzione pubblica di guida della società, colui che prima degli altri dice ciò che loro avrebbero voluto dire.192

Infine, d’Annunzio rispecchia, secondo Giovannetti, l’immagine convenzionale del poeta decadente ed estetizzante, colui che riesce a fare «della propria vita un’opera d’arte» e a «trasformare la poesia in un prodotto quasi organico, luogo in cui palpitano forze che il soggetto lirico solo in parte controlla».193 D’Annunzio, nonostante sfrutti e lavori sulla

189 Cfr. Ivi, pp. 70-71. 190 Cfr. Ivi, pp. 75-76. 191 Cfr. Ivi, pp. 76-77. 192 Cfr. Ivi, pp. 84-86. 193 Ivi, p. 88.

72

promozione delle sue opere, invita il pubblico all’incontro con un’opera in cui si cercano soluzioni lessicali, sintattiche e retoriche ricercate.

Oltre alla triade, Giovannetti propone Lucini: il poeta milanese si avvicina al decadentismo in modo convinto e tenendo come riferimento le avanguardie europee. Il suo progetto era quello di creare «un’arte simbolista italiana»194

ma presentava spesso obiettivi ideologici e letterari non definiti. L’opera di Lucini rimane quindi, secondo lo studioso, ricca di intenzioni e di spunti polemici ma anche immatura: il desiderio di comunicare e il tentativo di esprimere un messaggio è ostacolato dalla mancanza di selezione e di sicurezza.195

Parlando, invece, dell’eredità del decadentismo, Giovannetti accenna anche a Pirandello e Svevo. In questi autori riconosce aspetti ottocenteschi quali le ambientazioni medio- borghesi, dove si privilegiano gli spazi chiusi e il dialogo è dominante, e la scelta di uno stile e di un linguaggio spesso faticosi. Lo studioso riprende la tesi di Salinari secondo cui le opera di Fogazzaro, Pascoli e d’Annunzio rappresentano i «miti» del decadentismo mentre Pirandello rappresenterebbe la «coscienza». La differenza sta, quindi, in coloro che credono di poter ancora indicare una strada e un modello alle masse e coloro invece che hanno perso la fiducia nel ruolo dell’intellettuale e presentano nella loro letteratura, senza pregiudizi, il ruolo dell’uomo moderno nella società di inizio Novecento.196

Svevo usa la malattia come strumento che permette di guardare la propria vita da un punto di vista diverso e ironico; Pirandello, invece, si serve di una sensibilità umoristica che permette di smascherare il reale, visto non solo nelle forme da sempre proposte ma anche nei suoi risvolti più inquieti.197 La conclusione di Giovannetti è però che Svevo e Pirandello non possano essere inseriti sotto la stessa etichetta decadente:

gli uni [Svevo e Pirandello] ci sono culturalmente e psicologicamente vicini, sono a tutti gli effetti nostri contemporanei poiché hanno avviato una stagione di esperienze letterarie che quasi senza discontinuità è giunta fino a noi, la stagione che chiamiamo della «modernità» o «del Novecento»; mentre gli altri Fogazzaro, Pascoli, D’Annunzio, ci sembrano essere rimasti un gradino al di qua di tale soglia, anche se hanno fatto molto per avvicinarla.198

194 Ivi, p. 98. 195 Cfr. Ivi, p. 99. 196 Cfr. Ivi, pp. 113-114. 197 Cfr. Ivi, pp. 115-116. 198 Ivi, p. 117.

73

Giovannetti identifica, quindi, il periodo decadentista tra il 1883 e il 1903 e distingue le posizioni di Fogazzaro, Pascoli e d’Annunzio da quelle di Svevo e Pirandello, autori che avvicina a Mann, Joyce, Musil e Proust.199 Non identifica, però, questi ultimi sotto l’etichetta di modernismo, di cui ora ci occuperemo. Accenna a questo termine solo in un passaggio del suo saggio su cui è interessante soffermarsi:

Ma soprattutto quella peculiare contraddizione sta convincendo non pochi studiosi a inserire il mondo «minore» del decadentismo entro la cornice storiografica viceversa «grande» del modernismo: cioè una corrente letteraria che in particolare i lettori e i critici di lingua inglese vedono dominare il campo letterario mondiale fra gli anni Ottanta-Novanta dell’Ottocento e l’avvento del postmodernismo, cioè fino al 1960 circa.200

E aggiunge, riportando la posizione di Matei Calinescu:

se in certi libri italiani sul decadentismo la parola decadentismo venisse sempre sostituita dalla parola modernismo, qualsiasi lettore di lingua inglese vi riconoscerebbe con facilità le caratteristiche più note appunto del modernismo.201

Giovannetti, nonostante riconosca la portata rivoluzionaria di autori quali Svevo e Pirandello, sembra non condividere l’adozione della categoria letteraria di modernismo e anzi sembra dichiararne l’inutilità con le parole di Calinescu. In opposizione all’opinione di Giovannetti qualche studioso «negli ultimi anni ha proposto di mandare in soffitta una categoria opaca come il “decadentismo” […] per inserire alcuni poeti e narratori in costellazioni più ampie e transnazionali».202 Come si vedrà meglio in seguito, le ipotesi di periodizzazione del modernismo sono molto variabili sia verso l’alto, comprendendo d’Annunzio o perfino Verga – invadendo quindi l’arco temporale del decadentismo – sia verso il basso, comprendendo Gadda. La varietà di proposte dipende dal fatto che il modernismo non pretende di delimitare un’epoca o designare un movimento ma di definire una «somiglianza di famiglia», un insieme di caratteristiche presenti in opere create nel medesimo arco di tempo.203

199 Cfr. Ibidem. 200 Ivi, pp. 14-15 201 Ibidem. 202

F. Bertoni, Il romanzo, in Il modernismo italiano, a cura di M. Tortora, Carocci, Roma, p. 18.

74

3.3 Il modernismo

3.3.1 Nascita e diffusione del termine modernismo nella letteratura