2 LA FASE ESECUTIVA DELL’AUMENTO REALE DI CAPITALE SOCIALE 1 Il diritto di sottoscrizione dei soc
2.1.2 La rinuncia del diritto di sottoscrizione e la revocatoria ordinaria ex art 2901 c.c
Il socio ha altresì piena libertà di poter rinunciare ad esercitare il diritto di sottoscrizione115 anche se, a seguito di un’importante sentenza della Cassazione116, tale affermazione necessita di qualche ulteriore riflessione.
La Suprema Corte si è pronunciata su una particolare fattispecie che aveva ad oggetto il tema dell’esercizio dell’azione revocatoria ordinaria nei confronti della rinuncia al diritto di sottoscrizione spettante ai soci in sede di aumento del capitale. In merito i giudici della Suprema Corte hanno disposto che la rinunzia al diritto di sottoscrizione, come atto con cui il socio dispone del proprio patrimonio, potrebbe essere oggetto di revocatoria ex art. 2901 su richiesta di uno o più creditori del medesimo, a patto che tale diritto presenti un valore patrimoniale autonomo in quanto suscettibile di alienazione secondo la legge di circolazione propria delle quote, nel qual caso la successiva azione esecutiva intentata dai suddetti creditori dovrà svolgersi nel rispetto della disciplina dettata dall’art. 2471.
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«L’azione revocatoria ordinaria è un mezzo per la conservazione della garanzia patrimoniale generica di cui all’art. 2470 c.c. ed è volta a tutelare il creditore contro atti pregiudizievoli compiuti dal debitore, finalizzati alla diminuzione dei beni oggetto di tale garanzia. È essenzialmente un’azione conservativa e cautelare, strumentale alla successiva fase, ancorché solo eventuale, dell’esecuzione forzata. L’azione revocatoria colpisce gli atti pregiudizievoli per il creditore, consentendo l’esercizio dell’azione esecutiva su beni che, in quanto oggetto di tali atti, siano fuoriusciti dal patrimonio del debitore; tale risultato è conseguito consentendo al creditore di aggredire i beni oggetto dell’atto revocato presso il terzo ottenendo una dichiarazione di inefficacia relativa dell’atto revocato. I presupposti dell’azione revocatoria sono: l’esistenza di un credito in capo al revocante, l’atto di disposizione del patrimonio del debitore da cui deriva un pregiudizio per il creditore e il c.d. consilium fraudis che si sostanzia in un atteggiamento psicologico del debitore in relazione all’atto posto in essere (il presupposto psicologico del terzo assume rilevanza ai fini della revocatoria solo quando l’atto sia a titolo oneroso, risultando altresì del tutto indifferente nell’ipotesi di acquisto a titolo gratuito. Quando l’atto è a titolo oneroso ed il vantaggio del terzo sia accompagnato da un suo sacrificio, viene conseguentemente meno la ragione di preferire gli interessi del creditore a quelli del terzo. Di qui la necessità di accertare l’elemento psicologico, già richiesto nei confronti del debitore, anche nei confronti del terzo). In generale sono revocabili tutti gli atti, contrattuali o unilaterali, ad efficacia reale oppure obbligatoria, che possono vanificare o rendere più difficile l’esecuzione forzata attraverso una diminuzione o un’alterazione qualitativa della garanzia patrimoniale generale di cui all’art. 2470 c.c. Occorre poi tenere presente che un atto è revocabile se crea pregiudizio, vale a dire se ricorre il requisito del c.d. eventus damni. Gli atti dispositivi rilevanti ai fini della revocatoria ordinaria sono tutti quegli atti che determinano una modificazione sostanziale giuridica ed economica del patrimonio del debitore. La rinuncia è un atto revocabile nella misura in cui si sostanzia in una condotta attiva e volontaria del debitore. È altresì revocabile l’atto di rinuncia che si riferisce a posizioni giuridiche determinate aventi contenuto patrimoniale ed esistenti nel patrimonio del debitore rinunziante o l’atto di rinuncia volto non all’estinzione ma alla modificazione di singole posizioni giuridiche». G.ZAGRA, op. cit., p. 582.
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L’atto di rinuncia è un atto dispositivo, unilaterale, che si perfeziona senza la partecipazione di un altro soggetto con cui si verifica la dismissione di un diritto – in questo caso del diritto di sottoscrizione – senza che il rinunciante acquisti una corrispettiva attribuzione patrimoniale.
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Cass., 11 maggio 2007, n. 10879, in Giur. comm., 2007, II, p. 1194. La fattispecie che ha dato luogo alla pronuncia della Corte di cassazione è costituita, in sintesi, dalla delibera di trasformazione di una società per azioni in società a responsabilità limitata con contestuale aumento di capitale sociale da Lire 1.000 a Lire 20.000. Nell’ambito delle suddette operazioni straordinarie i due soci titolari dell’intero capitale sociale della società deliberante rinunziano al diritto di opzione sulle nuove quote e l’intero aumento di capitale viene sottoscritto da un terzo soggetto con la conseguenza che i soci rinuncianti passano da una partecipazione totalitaria al capitale sociale ad una partecipazione pari allo 0,50%. I due soci rinuncianti erano poi debitori nei confronti di un terzo soggetto di ingenti somme di denaro. Il creditore propone così una serie di azioni volte a dichiarare l’inefficacia degli atti compiuti in quanto pregiudizievoli delle proprie ragioni, tra le azioni vi è anche l’azione revocatoria ordinaria nei confronti della rinuncia al diritto di opzione sull’aumento di capitale sottoscritto dal terzo soggetto.
Alla luce di questa importante sentenza della Cassazione emerge chiaramente il rapporto di interdipendenza che c’è tra il tema della revoca della rinuncia del diritto di sottoscrizione e l’altro tema prima esaminato, quello cioè dell’alienabilità del diritto di sottoscrizione stesso.
Come detto supra, il diritto di sottoscrizione ha un indubbio valore economico, pertanto una sua cessione a terzi soggetti permetterebbe al socio di attenuare l’eventuale depauperamento economico che a lui deriverebbe in caso di mancato esercizio del diritto di sottoscrizione stesso.
Se allora il diritto di sottoscrizione ha un valore economico che può essere monetizzato dal titolare, l’atto di rinuncia del socio all’esercizio del diritto stesso comportando la diminuzione del patrimonio del titolare – come fa notare la parte ricorrente nella sentenza in commento – potrebbe altresì essere oggetto di revocatoria ai sensi dell’art. 2901 c.c.
Questa affermazione per i giudici della Suprema Corte è si corretta, ma solo in linea di principio e in termini astratti. Infatti i giudici, avallando quell’orientamento dottrinario visto supra che in tema di cessione del diritto di sottoscrizione ha concluso per la libera alienabilità dello stesso avuto riguardo tuttavia delle eventuali clausole statutarie previste la circolazione delle partecipazioni sociali, sottolineano come in ogni caso occorra altresì tenere in considerazione e verificare la legge statutaria di circolazione delle partecipazioni societarie la quale potrebbe influire sulla trasferibilità del diritto di sottoscrizione e di conseguenza sulla possibilità per il socio di monetizzarne il valore117.
In altri termini gli eventuali limiti al trasferimento della partecipazione, previsti nell’atto costitutivo, incidendo sulla cessione del diritto di sottoscrizione potrebbero avere conseguenze importanti sul valore economico del diritto stesso. Ad esempio a fronte di una clausola statutaria che preveda l’intrasferibilità assoluta della partecipazione ovvero un meccanismo di preventivo mero gradimento, il valore di realizzo del diritto di sottoscrizione si riduce e sovente si annulla, essendo di fatto preclusa per il socio la possibilità di trasferirlo a terzi.
Applicando tali principi al tema della revocatoria ordinaria della rinuncia del diritto di sottoscrizione, si giungerebbe inevitabilmente alla conclusione che, non avendo il diritto di sottoscrizione un apprezzabile valore economico di scambio in presenza di clausole statutarie che limitano o escludono il trasferimento delle partecipazioni, la rinuncia all’esercizio del diritto non costituirebbe un atto dispositivo pregiudizievole ai sensi dell’art. 2901 in quanto non provocherebbe alcun depauperamento del patrimonio del rinunciante.
I giudici di legittimità concludono perciò ribadendo che:
«l’assoggettamento a revocatoria dell’atto di rinuncia o del mancato esercizio di tale diritto, essendo diretto alla declaratoria d’inefficacia dell’atto abdicativo ed all’assoggettamento del diritto all’azione esecutiva da parte del creditore del socio, comporta la dimostrazione che il bene oggetto della
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Sul punto la Suprema Corte si è così pronunciata: «per la società a responsabilità limitata il diritto di opzione non ha automaticamente un valore patrimoniale autonomo, perché tale valore discende dalla disciplina in concreto adottata in ordine alla circolazione delle quote nell’ambito dello statuto sociale, statuto che, come si è detto, può sia vietare la circolazione della quota per atto inter vivos sia sottoporla a vincoli più o meno rigorosi, vincoli che incidono sulla trasferibilità ai soci o ai terzi del diritto di opzione».
rinuncia sia sottoposto all’azione esecutiva secondo la legge di circolazione delle quote così come stabilita in concreto dallo statuto sociale. (…)la rinuncia o il mancato esercizio del diritto di opzione non è suscettibile di revoca ai sensi dell’art. 2901 c.c. (…)La revoca è tuttavia consentita quando l’opzione costituisca un bene in sé, dotato di autonomo valore di mercato (…) Di conseguenza nell’ambito della disciplina della società a responsabilità limitata la revoca è subordinata alla dimostrazione che il diritto di opzione sia suscettibile di alienazione secondo la legge di circolazione delle quote stabilita dallo statuto sociale».
In dottrina vi è anche chi ha ritenuto non convincente il percorso argomentativo seguito dalla Suprema Corte118. In particolare non è condivisa dall’Autore l’opinione secondo cui la patrimonialità del diritto di sottoscrizione del socio di società a responsabilità limitata, al contrario di quanto accade nelle società per azioni, debba essere provata sulla base dell’assenza nell’atto costitutivo di clausole che vietano o limitano la circolazione delle quote. Infatti, pur essendo vero che i limiti al trasferimento delle partecipazioni sociali influiscono sulla circolazione del diritto di sottoscrizione, la disciplina dettata dalla legge per il trasferimento delle partecipazioni sociali nella società a responsabilità limitata risulta essere caratterizzata dal principio della libera circolazione delle quote per cui, in mancanza di prova contraria, i giudici di legittimità avrebbero dovuto attenersi alla disciplina legale affermando l’intrinseca patrimonialità del diritto di sottoscrizione e non, come invece hanno sostenuto, che il valore economico di tale diritto debba essere provato in concreto dimostrando l’assenza nell’atto costitutivo di clausole limitative della circolazione delle quote.
In ogni caso, alla luce anche delle considerazioni espresse dai giudici di legittimità, emerge chiaramente come la libertà del socio di disporre del proprio diritto di sottoscrizione incontri a dire il vero un limite importante, questo limite risiede nella tutela che viene riconosciuta ad eventuali creditori personali del socio i quali potrebbero subire un pregiudizio a seguito dell’atto di rinuncia del socio all’esercizio del diritto di sottoscrizione. Pertanto qualora questi riuscissero a dimostrare, tenuto conto delle regole di circolazione delle quote stabilite dall’atto costitutivo, che il diritto di sottoscrizione costituisca un bene in sé, dotato di un autonomo valore di mercato, ben potrebbero richiedere la revoca dell’atto di rinuncia del diritto di sottoscrizione, al fine di ottenere la declaratoria d’inefficacia dell’atto e assoggettare così il bene oggetto di rinuncia all’azione esecutiva, che in tal caso dovrà svolgersi nel rispetto della disciplina dettata all’art. 2471 c.c.
118 L. C
APRIOLI, La revocatoria dell’atto di rinuncia al diritto di opzione tra vecchio e nuovo diritto societario, in Giur. comm., 2007, II, p. 1205.
2.2 L’esclusione o la limitazione del diritto di sottoscrizione dei soci: la clausola statutaria