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Le฀ripercussioni nella฀vita฀sociale

e฀politica,

nell’oratoria,

nell’arte

8.1

Problemi฀di฀politica฀interna฀dopo฀le฀guerre฀puniche

e฀orientali

L’ampliamento฀dell’imperium La฀crisi฀dei฀piccoli฀e฀medi proprietari฀terrieri

Il periodo compreso fra la vittoria di Zama (202 a.C.) e la presa di Numanzia (133 a.C.) vide Roma impadronirsi di gran parte del mondo conosciuto: l’Oriente cadde in suo possesso dopo le due guerre macedo niche e quella contro Antioco di Siria; l’Africa, distrutta Cartagine, fu ridotta a provincia romana; la Spagna fu defi- nitivamente sottomessa. L’enorme allargamento del dominio portò a pro fonde e convulse trasformazioni e i problemi che ne derivarono investi rono con violenza le istituzioni politiche e sociali romane.

L’esercito romano, il cui nerbo era ancora costituito da contadini, era stato conti- nuamente impegnato dall’epoca della I guerra punica fino al 133 a.C.; di conseguen- za i soldati erano stati costretti a ferme lunghissime, che li avevano tenuti per molti anni lontani dalle proprie case. L’allontanamento dei proprietari determinò, nel vol- gere di pochi anni, la rovina delle piccole e medie proprietà ter riere: per l’assenza dei capifamiglia le aziende decaddero rapidamente e non di rado i piccoli proprietari, oppressi dai debiti, furono costretti a ven dere. I grandi proprietari terrieri furono invece favoriti da un tale stato di cose: dopo le conquiste essi si trovarono a disporre di ingenti ricchezze, ricavate dal bottino di guerra, grazie alle quali poterono acquistare i pic coli fondi in vendita, ingrandendo così ulteriormente i propri possessi.

ROMA฀CIVILIS Schede.L’arringatore฀–฀Le฀imagines฀maiorum e฀il฀ritratto

LE฀PAGINE฀DELLO฀STUDENTE TAVOLA฀SINOTTICA

8.

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Problemi฀di฀politica฀interna฀dopo฀le฀guerre฀puniche฀e฀orientali

8.

2

Le฀lotte฀del฀ceto฀servile

Un’altra classe approfittò della situazione: quella, in ascesa, dei finanzieri, per lo più appartenenti al ceto degli equites (cavalieri), che si erano enormemente arric- chiti con l’espansione del dominio di Roma, con l’acquisizione di nuovi mercati e con i servigi, ampiamente remunerati dallo stato, resi durante le guerre.

Una parte del capitale così accumulato veniva impiegato nell’ac quisto di terre, sia perché un tale investimento era ancora considerato il più sicuro, sia perché, allo stesso modo dei proprietari terrieri, i finanzieri speravano di poter entrare a far parte dell’aristocrazia.

Grandi masse di schiavi erano state immesse sul mercato in seguito alle guerre di espansione: secondo notizie antiche, sul solo mer cato di Delo veniva trattata la ven- dita di ben diecimila schiavi al giorno. Un’offerta così copiosa faceva precipitare il prezzo degli schiavi, ren dendo possibile ai grandi capitalisti romani l’acquisto a condizioni favorevoli di mano d’opera da impiegare nei latifondi. I piccoli e medi proprietari, invece, oltre ad essere costretti a vendere le proprie terre, vedevano sfu - mare l’ultima possibilità di lavoro in campagna (quella, cioè, di trasfor marsi in sala- riati agricoli), data la concorrenza degli schiavi. Di conseguenza essi finirono col riversarsi a Roma, attratti dalla speranza di trovare un lavoro e dalla possibilità di sbarcare il lunario o approfittando delle elargizioni di denaro e di viveri da parte dello stato o mettendosi al servizio di qualche esponente della nobilitas. Nasce in tal modo il sottoproletariato urbano, una massa declassata e pronta a essere usata dai vari esponenti della nobiltà nella lotta per il potere.

Un’altra fonte di ricchezza per i finanzieri era l’usura, che provocò la nascita del- le prime banche romane (argentariae), dove agivano agenti di cambio (argentarii). I finanzieri erano interessati, inoltre, ai traffici commerciali, che ebbero un’enorme espansione al tempo delle guerre d’Oriente. Il grande afflusso di ricchezze in Italia aveva causato, infatti, un notevole aumento del tenore di vita delle classi abbienti, che diven nero consumatrici dei beni di lusso, mentre per sfamare la grande massa della popolazione urbana era necessario organizzare un sistema effi ciente di scambi con le province.

La classe dei cavalieri acquistò, dunque, un peso politico notevole a causa delle ingenti ricchezze accumulate. Ma anche la stessa aristocrazia, pur restando una clas- se legata alla proprietà ter riera, si era progressivamente interessata al commercio. In definitiva la fine del II sec. a.C. vide notevoli mutamenti sociali, e tutto ciò doveva ave- re necessariamente un riflesso nel campo politico.

LE฀RIPERCUSSIONI฀NELLA฀VITA฀SOCIALE฀E฀POLITICA,฀NELL’ORATORIA,฀NELL’ARTE I฀finanzieri฀e฀la฀proprietà terriere Investimenti฀di฀capitale Schiavi฀e฀sottoproletariato urbano Le฀banche฀e฀l’usura I฀guadagni฀dei฀cavalieri La฀nuova฀aristocrazia

8.2

Le฀lotte฀del฀ceto฀servile

Le฀rivolte฀degli฀schiavi Negli anni immediatamente anteriori alla riforma politica dei Gracchi l’Italia fu

travagliata, per la prima volta nella sua storia, da vaste rivolte di schiavi: esse interes- sarono soprattutto la Sicilia, la terra del lati fondo, in cui gli schiavi venivano larga- mente impegnati nei lavori agri coli. Roma fu costretta a inviare un esercito, che subì diverse sconfitte: si dovette attendere il 132 a.C. per la pacificazione dell’isola. Poiché contemporaneamente scoppia rono rivolte anche a Roma e in Grecia, tale circostanza indur rebbe a pensare a un collegamento fra i ribelli; in ogni caso esse furono rapida mente sedate.

La condizione degli schiavi, a causa del loro basso prezzo e dell’abbondante of - ferta, era molto dura; significative, a questo riguardo, sono le pagine che Catone dedica al trattamento degli schiavi nel De agri cultura. Egli, senza mezzi termini, con-

L’educazione฀greca Tiberio฀Gracco e฀la฀sua฀legge฀agraria

8.3

Il฀programma฀politico฀dei฀Gracchi฀e฀la฀loro฀oratoria

Evoluzione฀politica฀in฀senso oligarchico Tribunato฀e฀patrizi I฀Gracchi

In seguito a questi rivolgimenti sociali e all’ampliamento del dominio romano, le isti tuzioni andarono evolvendosi in senso oligarchico: la rovina dei piccoli e medi proprietari terrieri determinò la perdita di potere dei comizi e la concentrazione del potere politico nelle mani del senato.

Lo stesso tribu nato della plebe appare snaturato della sua originaria funzione, una volta venuta meno la necessità di difendere la plebe nei confronti della nobiltà. L’esplosione incontrollata del latifondismo determinò l’esigenza di una riforma agraria che riequilibrasse la situazione: di tale esigenza si fecero interpreti i Gracchi.

Agli Scipioni erano strettamente imparentati Tiberio e Gaio Gracco, la cui madre, Cornelia, era figlia dell’Africano Maggiore. Grazie ai matri moni essi stessi si erano legati ad altre potenti famiglie della nobilitas: il primo aveva sposato la figlia di Appio Claudio, il secondo la sorella di Scipione Emiliano. La loro fami- glia godeva di grande prestigio e i due Gracchi ricevettero nella casa materna un’educazione degna del loro status. Greci furono i loro maestri; e alcuni storici hanno ipotizzato che l’educazione greca possa aver influito sull’imposta zione democratica dei due fratelli, futuri riformatori.

Sull’opera politica e sulle leggi di cui i Gracchi furono autori grava, purtroppo, una notevole incertezza a causa della discordanza e della frammentarietà delle fon- ti (basti pensare alla perdita dei libri di Livio che narravano le loro vicende). È cer- to, tut tavia, che nella loro opera di riformatori si riflettono tutti i problemi sociali più scottanti dell’epoca.

Tiberio Gracco si interessò prevalentemente del problema agrario e per risol- verlo pensò di usare l’ager publicus, la terra demaniale dello stato romano. Essa, fin dai tempi più antichi, veniva affidata a citta dini (possessores) in cambio di un cano- ne, nella misura massima di 500 iugeri, fissata da vecchie leggi del IV sec. a.C. (leges

Liciniae Sestiae). In pratica da tempo tali disposizioni non erano state più rispettate:

i possesso res più ricchi si erano impadroniti di terre ben più vaste di 500 iugeri e le usa vano come proprietà privata, dandole in eredità o vendendole. Tiberio Gracco, resosi conto della gravità della crisi agraria, tentò di salvare dalla rovina la massa dei medi e piccoli pro prietari. Nel 133 a.C., allorché era tribuno della plebe, pre- sentò una legge agraria secondo la quale a quanti già possedevano terre dell’ager

publicus venivano riconosciute proprietà per non più di 500 iugeri, ai quali anda -

vano aggiunti 250 iugeri per ogni figlio. Ciò che rimaneva della terra demaniale doveva essere diviso in piccoli lotti da affidare ai contadini poveri col divieto di siglia di vendere lo schiavo malato, di dare cibo e vestiario ai servi per lo stretto necessario e di tenerli sempre impe gnati, perché non abbiano il tempo di ordire congiure ai danni del padrone. Altri autori ci informano che le strade della Sicilia erano infe state da orde di schiavi affamati e laceri, che con le rapine cerca vano di rifarsi di ciò che non potevano ottenere dal padrone.

Le rivolte servili del 135. a.C. furono la prima esplosione del disagio che covava in Italia e segnarono una tappa importante nella storia di questo periodo. La rabbia degli schiavi si indirizzò contro il lati fondo e contro i latifondisti, perché essi rap- presentavano quella realtà econo mica che aveva determinato tante negative trasfor- mazioni sociali.

vendita, in modo che essi non potessero più cadere preda dei grandi latifondisti. La lotta politica si sviluppò subito violentissima intorno al pro getto di legge e l’elo- quenzaconobbe, di conseguenza, uno sviluppo notevole.

Tiberio Gracco fu considerato un eccellente oratore e i suoi discorsi, benché scritti in uno stile non incline agli orpelli retorici, furono ritenuti di grande effetto. Cicerone afferma che «di Gracco esistono orazioni, non abbastanza brillanti nello stile, ma acute e ricchissime di saggezza» (Brutus 104). Plutarco ci tramanda alcuni brani di suoi discorsi; in uno di essi Ti berio Gracco difende la necessità di una nuo- va legge agraria (Vita di Tiberio Gracco 9,4):

«le bestie che pascolano in Italia hanno una loro tana e un ovile, ma quanti per l’Italia combattono e muoiono non hanno nient’altro che l’aria che respi rano [...]. Nessuno di questi Romani possiede un altare paterno, un sepolcro degli avi, ma essi vanno a combat- tere e a morire per aumentare il lusso e la ric chezza di altri, padroni del mondo solo a parole, ma in pratica privi anche di una zolla di terra».

Le forze conservatrici accusarono Tiberio Gracco di mirare al potere e di ser- virsi di metodi illegali e cercarono di offuscarne l’immagine agli occhi del popo- lo. Non tutti i membri della nobiltà erano però completamente ostili a un cambia- mento della situazione e alcuni di loro si rendevano conto dell’urgenza dei pro- blemi sollevati dal tribuno.

È difficile dire se l’opera di Tiberio Gracco possa essere definita “rivoluzio naria”: certo, egli non proponeva un nuovo modello di società; anzi, voleva salvare proprio quei ceti che da sempre erano stati depositari dei valori della tradizione romana. In ogni caso gli interessi con cui venne in conflitto erano così vasti e importanti, che ben presto la lotta degenerò in scontro armato e i suoi avversari ricorsero all’assassi - nio pur di eliminarlo dalla scena. Il costume dello scontro politico, che si trasforma in lotta armata fra fazioni e, poi, in guerra fra eserciti di parte, ha inizio proprio con Tiberio Gracco.

Il suo falli mento mise a nudo la fragilità della base su cui egli confidava: la nobilitas gli era quasi totalmente ostile, a eccezione di poche famiglie; i piccoli e medi proprie- tari che erano con lui non avevano il peso politico di un tempo; inoltre con la legge agraria egli aveva colpito non solo gli interessi dei grandi latifondisti romani, ma anche quelli degli Italici, spe cie dei ricchi, che ugualmente avevano occupato l’ager publicus.

Gaio Gracco, divenuto tribuno dieci anni dopo la morte del fratello, si propose di dare al suo programma riformatore una base sociale più vasta e più forte. Egli non ebbe presente solo il problema agrario, ma elaborò in pochi anni un vero e proprio sistema di leggi e toccò i punti più delicati della politica interna romana: ripropose la lex agraria, diede inizio alla costruzione di grandi strade per assorbire un gran numero di disoccupati, fece votare l’istituzione di colonie per lo sfrutta- mento di terre vaste e fertili, propose distribuzioni di grano a prezzo politico alla plebe urbana, allo scopo di allentare il vincolo che la legava al patriziato, tolse – a quanto sembra – al senato i tribunali che giudi cavano questioni di malversazione e li affidò ai cavalieri, cercando così di legare alla sua politica riformatrice la potente classe dei finanzieri; pro pose, infine, l’estensione della cittadinanza romana ai Lati- ni e di quella latina agli Italici, per compensarli dei sacrifici sopportati durante le guerre e dei danni provocati dalla legge agraria.

Gaio Gracco fu un oratore eccezionale, il più grande del tempo a giudi zio di Ci - cerone, che certo non ne condivideva le idee politiche. Nei suoi discorsi egli ammi- rava la gravitas dell’espressione e la sapientia con cui era organizzato il contenuto,

LE฀RIPERCUSSIONI฀NELLA฀VITA฀SOCIALE฀E฀POLITICA,฀NELL’ORATORIA,฀NELL’ARTE L’oratoria฀di฀Tiberio฀Gracco Carattere฀dell’opera฀ di฀Tiberio฀Gracco Le฀ragioni฀del฀suo฀insuccesso Il฀programma฀politico di฀Gaio฀Gracco L’eloquenza฀di฀Gaio฀Gracco

ed affermava che la sua oratoria, ricca e ricercata quanto semplice era stata quella del fratello, era di tale effetto drammatico da commuovere gli stessi avversari.

Molto incerte sono le leggi promulgate da Gaio Gracco: non è noto, infatti, se es - se siano state proposte tutte in blocco o in momenti succes sivi. Dell’orazione o delle orazioni che le accompagnavano sono rimasti solo frammenti.

In uno di questi Gaio Gracco afferma la propria fedeltà alla causa della plebe:

«se giudicate con discernimento e saggezza, Romani, anche se lo cercherete, non trove- rete nessuno di noi che venga sulla tribuna disinteressatamente. Tut ti noi che parliamo, chiediamo qualcosa e nessuno si presenta a voi se non per portarvi via qualcosa. Io stes- so, che vi parlo affinché aumentiate le vostre ren dite e più facilmente possiate ammini- strare i vostri beni e la repubblica, non mi presento a voi senza motivo; ma non vi chiedo denaro, bensì stima e ono re» (Oratorum Romanorum Fragmenta, 44 Malcovati).

Il vasto e articolato programma di Gaio Gracco riuscì per qualche anno a creare intorno a lui il consenso; ma esso urtava contro interessi costituiti di notevole peso e creava problemi sociali di difficile soluzione. Oltre ai latifondisti anche la plebe urbana, timorosa di perdere i suoi privilegi, sembrava ostile al suo progetto di con- cedere la cittadinanza romana ai Latini. Una parte della nobilitas, disposta a seguire Gracco nelle riforme in favore dell’agricoltura e dei disoccupati, non era però pro- pensa a sottoscrivere un allargamento della cittadinanza, timorosa di nuove trasfor- mazioni sociali.

Tra le fazioni in lotta si riprodussero le violenze e gli scontri dei giorni dell’ucci- sione del fratello. Per eliminare definitivamente il riformatore, si ricorse a un sena-

tus con sultum; in esso si dichiarava lo stato di pericolo per le istituzioni e si con -

ferivano ai consoli poteri straordinari, in forza dei quali il console Lucio Opimio fece uccidere Gaio Gracco e molti dei suoi seguaci (121 a.C.).

Il periodo dei Gracchi può considerarsi un momento centrale della storia di Roma: con la loro opera riformatrice essi toccarono i problemi più gravi dell’epoca e, si può dire, dell’ultima Repubblica. Anche se non è sempre possibile stabilire con chiarezza quale fosse il fine che si propo nevano, gli interessi con cui vennero a scon- trarsi erano enormi e non si limitavano alle trasformazioni economiche, ma investi- vano il costume, la morale e soprattutto gli interessi politici.

Proprio nei momenti cruciali della lotta divenne chiara la straordinaria impor- tanza dell’arte della parola, che accordava a chi ne era dotato la capacità di conqui- stare l’uditorio e di creare il consenso attorno al proprio operato. L’oratoria diven- ne, proprio nel corso delle drammatiche vicende che videro coinvolti i Gracchi,

Lo฀schieramento฀ antigraccano

Sviluppo฀dell’oratoria La฀legislazione฀graccana

Palestrina, Santuario della Fortuna Primigenia (veduta generale).

uno strumento usato dalle varie fazioni della nobilitas per esercitare il potere e per controllare l’opinione pubblica. Come la storiografia, essa fu ritenuta degna del patriziato romano. I Gracchi stessi avevano avuto celebri maestri greci di retorica, ma già Catone aveva dedicato una parte dei suoi precetti all’oratoria, che non aveva disdegnato di praticare. Da tempo, poi, aveva preso piede tra i giovani dell’aristo- crazia la moda dei viag gi d’istruzione in Grecia: i precetti delle scuole ellenistiche tenevano banco a Roma e i più eminenti uomini politici li seguivano, affinando alla loro luce il proprio eloquio. Ce lo attesta Cicerone, secondo cui Gaio Gracco, quan- do pronunziava un discorso, si faceva seguire da un suonatore di flauto, che con un piccolo strumento d’avorio lo aiutava a dare il giusto tono alla voce e a moderarla quando gli veniva troppo acuta o, al contrario, ad elevarla, quando il tono era trop- po basso.

LE฀RIPERCUSSIONI฀NELLA฀VITA฀SOCIALE฀E฀POLITICA,฀NELL’ORATORIA,฀NELL’ARTE