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Rischio clinico e carico di lavoro: alcuni spunti di riflessione

Paola Gnerre,1Andrea Fontanella,2Domenico Montemurro,3Carlo Palermo4

1Dipartimento di Medicina Interna, Ospedale San Paolo, Savona; 2Presidente Nazionale FADOI; Dipartimento di Medicina,

Ospedale del Buon Consiglio Fatebenefratelli, Napoli; 3Direzione Medica Ospedale Madre Teresa di Calcutta, Monselice (PD); 4Dipartimento di Medicina, Ospedale Poggibonsi (SI), Italia

Corrispondente: Paola Gnerre, Dipartimento di Medicina, In- terna, Ospedale San Paolo, Savona, Italia.

Tel.: +39.019.8404358 - Fax: +39.019.8404583. E-mail: pgnerre@yahoo.it

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QUADERNI- Italian Journal of Medicine 2019; 7(6):35-38

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UADERNI - Italian Journal of Medicine 2019; volume 7(6):/.- /+

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rischio clinico inteso sia come condizione o evento po- tenziale sia come causa di errore attivo o di errore la- tente. La somministrazione di un farmaco sbagliato commesso da un operatore che ha poca dimestichezza con la tipologia del paziente da lui in appoggio rappre- senta un errore attivo, ma è anche un errore latente in quanto conseguente ad un’insufficienza organizzativa- gestionale del sistema, che attraverso il fenomeno degli

appoggi ha creato le condizioni favorevoli al verificarsi

dell’errore. Come sostenuto da molti, quindi, la mag- gior parte degli errori è dovuta a carenze del sistema e non a negligenza dei singoli.5In Tabella 1 è riportato un caso clinico di rischio conseguente a problematiche organizzative e ad un eccessivo carico lavorativo del- l’operatore.

Il mantenere la salute psicofisica dell’operatore clinico e il garantire la sicurezza dell’assistenza ai pa- zienti devono essere obiettivi importanti per le orga- nizzazioni sanitarie in quanto sono fenomeni intimamente correlati. La Direttiva 88/2003 CE sul- l’orario di lavoro rappresenta una tappa fondamentale del modello sociale europeo, poiché assicura una pro- tezione minima a tutti i lavoratori contro orari di la- voro eccessivi e contro il mancato rispetto di periodi minimi di riposo. Nel 2008 in Italia è stata legalizzato una deregulation dell’orario di lavoro attraverso l’a- brogazione per i soli dirigenti del SSN del limite mas- simo di lavoro giornaliero e settimanale e della normativa sui riposi giornalieri e settimanali. Dopo il deferimento del Governo Italiano alla Corte Europea, la legge del 30 Ottobre 2014 ha ripristinato la norma- tiva, anche per i medici italiani.6Una recente survey promossa da ANAAO6 ha comunque evidenziato, come quasi la metà degli intervistati non rispetti la normativa per esigenze di servizio. Ma la mancata fruizione del periodo di riposo o un eccessivo orario

di lavoro può essere una scelta individuale magari anche imposta? La giurisprudenza e la sicurezza del paziente ci dicono di no. Il protrarsi dell’attività lavo- rativa in condizioni routinarie oltre l’orario di lavoro previsto dalle normative vigenti viene considerato in caso di evento avverso una condotta imprudente e co- stituisce un’aggravante ritenendosi come volontaria l’accettazione del turno irregolare e dei rischi con- nessi.7La letteratura ci dimostra come eccessive ore lavorative oltre ad avere importanti ripercussioni sulla salute dell’operatore (aumentato rischio di puntura ac- cidentale, aumentato rischio di malattie cardiovasco- lari e metaboliche, eventi cerebrovascolari e patologie neoplastiche, come il tumore della mammella nelle donne) possono avere importanti ricadute sulla salute del paziente. Eccessive ore lavorative e un eccessivo carico di lavoro specie nel periodo notturno inducono performance cognitive paragonabile a quelle che si hanno con un tasso alcolemico di 0,4-0,5%.8Pertanto l’eccessivo carico lavorativo ricade non solo su chi lo subisce ma su tutta la comunità. È curioso come un editoriale pubblicato su Lung oltre a riportare tutti gli effetti nefasti di un duro lavoro sulla salute degli ope- ratori sanitari sottolinei come essendo la cultura di ore eccessive ben consolidata tra tutti i medici e quindi difficilmente cambiabile è la comunità che deve at- tuare e pretendere il cambiamento ideando nuove stra- tegie di programmazione e pianificazione sanitarie per evitare che i rischi sanitari siano conseguenza di uno stato di fatica cronica degli operatori sanitari.7

Un incremento importante e prolungato dell’orario di lavoro e del carico di lavoro sono associati non solo ad un aumentato rischio di malattie organiche dell’ope- ratore, ad un peggioramento oggettivo delle perfor- mance cognitive e quindi ad un incremento del rischio clinico per il paziente, ma anche a disturbi della sfera

Rischio clinico in sanità

Tabella 1. Caso clinico.

Paziente di 74 anni giunge in Pronto Soccorso per dispnea ingravescente. In anamnesi cardiopatia ischemica-ipertensiva sottoposta ad angioplastica. Paziente fumatore. Per il riscontro di versamento pleurico massivo a destra si decide di ricoverare il paziente. Per mancanza di posti letto in Medicina il paziente viene ricoverato in appoggio in Ortopedia. Il giorno successivo l’internista esegue toracentesi diagnostica. Vengono evacuati 1500 cc di liquido giallo paglierino. L’internista richiede indagini chimico-fisiche da inviare al laboratorio analisi, indagini colturali da inviare alla microbiologia ospedaliera e indagine citologica da inviare in anatomia patologica. Esegue personalmente per via telematica le richieste per l’indagine chimico-fisiche e per le indagini colturali da inviare al laboratorio analisi e alla microbiologia ospedaliera. Esegue personalmente la richiesta cartacea dell’Anatomia Patologica (non era presente la possibilità di inviare la richiesta per via telematica) ma non segnala all’infermiera che la richiesta dell’anatomia patologica è cartacea e non specifica che i prelievi sono da inviare in tre posti differenti. L’internista eseguita la manovra si allontana dal reparto velocemente senza accertarsi che gli esami vengono inviati nei posti corretti perché deve vedere altri 7 pazienti in appoggio dislocati in reparti differenti oltre a dover visitare 12 pazienti degenti in corsia. Il paziente nel pomeriggio viene trasferito in Medicina e l’internista si accorge che non è stato inviato il campione in anatomia patologica. Il giorno successivo viene nuovamente eseguita toracentesi diagnostica per poter effettuare l’indagine citologica. La manovra è complicata dalla comparsa di pneumotorace. Viene segnalata la criticità al Coordinatore infermieristico e al Direttore dell’Ortopedia che vorrebbero intentare un procedimento disciplinare nei riguardi dell’infermiera che era incaricata all’invio dei campioni. Il gruppo di risk management aziendale decide invece di eseguire un audit. Nel corso dell’audit si mette in evidenza come alla base dell’errore siano presenti problematiche organizzative:

1. La toracentesi è un’indagine che non viene eseguita di routine in Ortopedia per cui gli infermieri non hanno dimestichezza nella procedura. L’errore commesso dall’infermiera era in parte conseguenza di un’errata allocazione del paziente dettata da esigenze organizzative. 2. L’internista ammette che non ha specificato dove dovessero essere inviati i tre campioni e non si è accertato che i campioni fossero inviati

nei posti giusti non avendo tempo a sufficienza e dovendo ancora visitare altri pazienti in appoggio oltre ai pazienti degenti in corsia. L’errore è quindi anche conseguenza di un eccessivo carico lavorativo.

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psichica come la sindrome da burnout.8Il burnout, tra- dotto letteralmente dall’inglese in bruciato, fuso, indica una condizione di esaurimento emotivo irrequietezza, apatia, depersonalizzazione e senso di frustrazione che colpisce prevalentemente gli operatori di professioni ad elevato investimento relazionale come quelli del settore sanitario. I medici o gli infermieri sottoposti a carichi di lavoro e stress eccessivi iniziano a perdere progres- sivamente l’empatia fino al raggiungimento della morte

professionale, ossia la completa indifferenza verso la

propria professione. E tutto ciò, oltre ad avere degli evi- denti effetti drammatici sul piano individuale, ha degli indubbi effetti negativi particolarmente sul piano orga- nizzativo e lavorativo con il calo della qualità del ser- vizio, il calo della performance e l’aumento dell’assenteismo. Nonostante in letteratura pochi studi indaghino la correlazione obiettiva tra burn out dell’o- peratore e sicurezza del paziente alcuni lavori dimo- strano come medici e infermieri affetti da burn out riportano più eventi avversi. L’operatore in burn out non ha più le energie necessarie per affrontare il proprio la- voro e potrebbe non investire l’energia necessaria a for- nire assistenza sicura al paziente, ad esempio trascurando l’igiene delle mani o evitando il doppio controllo durante la preparazione del farmaco. Potrebbe anche essere meno attento e pronto ad affrontare situa- zioni impreviste come il peggioramento repentino della salute del paziente. La realizzazione personale è con- cettualmente vicino all’auto-efficacia (self-efficacy), vale a dire la convinzione di essere in grado di svolgere un compito contribuisce allo svolgere con successo un compito impegnativo. Le persone con self efficacy hanno prestazioni migliori perché vedono il compito da svolgere come una sfida piuttosto che una minaccia. Le persone affette da burn out hanno una netta diminu- zione del senso di realizzazione personale e della con- vinzione di poter completare il proprio compito dando un contributo significativo.9In una recente survey, La-

vorare sotto pressione, promossa dal Royal College of Physicians rivolta ai medici inglesi l’82% degli inter-

vistati riteneva il personale sanitario estremamente de- moralizzato dall’eccessivo carico lavorativo conseguente alla carenza di personale sia medico che infermieristico. Il 55% dei medici riteneva che la sicu- rezza del paziente si fosse ridotta negli ultimi 12 mesi per un contemporaneo notevole peggioramento della qualità delle cure e il 74% affermava quindi di essere estremamente preoccupato per l’assistenza che avrebbe potuto fornire ai pazienti nei successivi 12 mesi.3Anche una recente survey italiana promossa dall’ANAAO, sindacato medico, aveva evidenziato alti tassi di burn

out tra gli operatori sanitari italiani.10-12

In un sistema di organizzazione industriale inteso come un insieme non solo di uomini ma anche di mac- chine e attrezzature finalizzato alla produzione e al profitto l’aumento del carico lavorativo può sicura-

mente avere indubbi vantaggi. Ma in ambito lavora- tivo dove la forza lavoro è fatta solo di persone e il

prodotto finito è il paziente questa programmazione

lavorativa comporta solo evidenti criticità. In conclu- sione, la sicurezza delle cure è uno specifico processo che mira a evitare, prevenire e mitigare effetti avversi o danni derivanti dal processo di assistenza sanitaria. L’eccessivo carico di lavoro degli operatori mette a re- pentaglio la sicurezza delle cure che essendo parte co- stitutiva del diritto alla salute deve essere sempre perseguita nell’interesse soprattutto dell’individuo e della collettività.7

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3. Royal College of Physicians. NHS reality check Deliv- ering care under pressure. Available from: https:// www.rcplondon.ac.uk/projects/nhs-reality-check-deliv- ering-care-under-pressure

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7. Gnerre P, Montemurro D, Troise C, Palermo C. Il lavoro ai tempi del Burn out. pubblicato sul Sole 24 ore Sanità il 18 novembre e su Dirigenza Medica (Marzo 2015). 8. Arnedt JT, Owens J, Crouch M, et al. Neurobehavioral

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[QUADERNI- Italian Journal of Medicine 2019; 7(6):e5] [page 37]

Rischio clinico e carico di lavoro: alcuni spunti di riflessione

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Rischio clinico in sanità

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UADERNI - Italian Journal of Medicine 2019; volume 7(6):/9- -2

Introduzione

La sicurezza dei pazienti è una priorità che gli Enti dei Servizi Sanitari Regionali (SSR) pongono a garan- zia della qualità e dell’equità delle cure. Per il suo per- seguimento è necessario l’impegno di tutti, attraverso programmi di Governo Clinico e di miglioramento continuo della Qualità che pongono al centro le neces- sità dei cittadini e valorizzano il ruolo e la responsa- bilità di tutte le figure professionali che operano all’interno del sistema.

Garantire la sicurezza delle cure ai pazienti attra- verso la prevenzione e la gestione del rischio clinico ri- chiede, per le organizzazioni sanitarie, un profondo e radicale cambiamento della cultura organizzativa e pro- fessionale che trasformi l’errore da qualcosa da nascon- dere per il timore delle conseguenze, ad una risorsa da utilizzare ed analizzare per migliorare le conoscenze e adottare misure correttive volte a ridurre la probabilità che si ripeta. La necessità di strutturare un sistema or- ganizzativo per affrontare il tema della sicurezza dei pa- zienti emerge da raccomandazioni del Ministero della Salute Italiano e dell’Unione Europea oltre che da evi- denze scientifiche sulla necessità di una funzione per il coordinamento centrale dello stesso.

Una corretta ed efficace Gestione del Rischio Clinico dipende sicuramente dal grado di consapevolezza dei medici e del personale sanitario, ma non può prescindere da un adeguato modello organizzativo che veda coin- volta in modo organico e integrato l’intera filiera Re- gione-Aziende Sanitarie-professionisti-cittadini.

Livello regionale

Molte Regioni hanno sviluppato modelli organiz- zativi per la gestione integrata del rischio clinico. Le dimensioni della Regione Friuli Venezia Giulia (FVG) consentono di affrontare la Gestione del Rischio Cli- nico attraverso un’organizzazione unitaria, in accordo con le linee d’indirizzo e con i programmi sviluppati, a livello nazionale, dal Ministero della Salute, dall’A- genzia Nazionale per i Servizi Sanitari Regionali (AGENAS), dal tavolo tecnico specifico presso la Conferenza Stato-Regioni e, a livello europeo, dall’U- nione Europea e dall’European Centre for Disease Prevention and Control (ECDC).

La filosofia di lavoro prevede un forte indirizzo e coordinamento regionale accompagnato dalla promo- zione e valorizzazione delle iniziative delle Aziende del SSR, degli IRCCS e delle Case di Cura private ac- creditate convenzionate. Questa sinergia si declina at- traverso incontri mensili con i referenti aziendali (Risk

Manager), con la costituzione di una rete di Referenti

Aziendali per l’attuazione dei singoli programmi, con l’attivazione di gruppi di esperti coinvolti di volta in volta su specifiche tematiche e con il coinvolgimento finalizzato dei cittadini.

I programmi riguardano l’uso sicuro dei farmaci, il sistema di segnalazione di incident reporting e l’ap- plicazione di strumenti di analisi degli eventi avversi più gravi, la corretta identificazione del paziente, la si- curezza del percorso chirurgico, la qualità e sicurezza della documentazione sanitaria, l’informazione al pa- ziente e l’acquisizione del consenso informato, la pre- venzione e il controllo delle infezioni correlate all’assistenza, l’uso corretto degli antibiotici (antibio-

tic stewardship), la prevenzione delle lesioni da pres-

sione, la prevenzione delle cadute accidentali, il controllo del dolore, la promozione delle buone prati- che e la promozione del coinvolgimento attivo e con- sapevole dei pazienti/cittadini.

Nel 2016 è stata istituita la Rete Cure Sicure FVG, coordinata da un Comitato Strategico Regio- nale, che nasce con il fine di garantire la sicurezza di tutte le prestazioni sanitarie, dal singolo esame dia- gnostico al percorso assistenziale. Attraverso la Rete, la Regione coordina e governa, in forma integrata, le attività connesse alla sicurezza dei pazienti, dalla