BUTARIO SUGLI ACQUISTI ANTERIORI ALL’ACQUISIZIONE DELLA PERSONALITÀ G IURIDICA E NON RATIFICATI
1. Non ci risultano precedenti giurisprudenziali specifici sul caso deciso dalla Corte Suprema con la sentenza in rassegna. Si tratta di
questo: la Corte di Cassazione lia ritenuto legittimo l ’operato dell’uf ficio delle imposte, il quale aveva rettificato il reddito di bilancio di una società non in relazione a rettifiche di determinate impostazioni di bilancio, nè in base alla situazione economica dell’azienda in con seguenza di un giudizio di fondata presunzione di frode fiscale, ma perchè l ’ufficio delle imposte aveva ritenuto di poter sostituire al red dito di bilancio, costituito dal canone ricavato per l ’affitto di uno sta bilimento industriale, il valore locativo dell’opificio stesso, astratta- mente determinato.
Diciamo sin da ora, con tutto il rispetto dovuto all’autorità del S.C., che la soluzione accolta costituisce una palese violazione dei prin cipi che reggono gli accertamenti in base a bilancio e del concetto stesso di reddito di ricchezza mobile, e tale violazione risulta evidente dagli errori che si rilevano nella motivazione che a tale soluzione conduce.
Dalla stringata motivazione in fatto della sentenza annotata non risulta chiaro un punto: se, cioè, la rettifica del reddito fosse la con seguenza della rettifica di una voce del bilancio e cioè dell’entrata costituita dal canone di locazione dell’opificio, o se, costituendo tale canone di locazione l ’unico reddito della società, l ’ufficio avesse effet tuato la rettifica direttamente sul risultato finale del bilancio, e cioè sul reddito risultante dal bilancio. Ma, tanto nell’una ipotesi come nel l ’altra, la sentenza viola i principi ai quali sopra si è fatto cenno.
I due punti esaminati dalla Corte di Cassazione si riassumono nelle
c ed e re a ta s s a z io n e d ei r e d d iti d i R . M. d e lla S o c ie tà A n o n im a M o lin i A lta I t a lia e d e lla S o c ietà A n o n im a S e m o le rie I t a l i a n e p e r g li a n n i 1934 e 1935, r i levò ch e i c a n o n i d i affitto d e g li s ta b ilim e n ti lo c a ti d a lle p r e d e tte d u e So c ie tà a lla S o c ietà E s e rc iz i M o lin i n o n e ra n o c o rris p o n d e n ti a l re d d ito d i cui g li s ta b ilim e n ti m ed e sim i e r a n o s u s c e ttib ili. P e r ta n to re ttific ò le d ic h ia r a z io n i f a t t e d a lle d u e d itte , e le v a n d o il lo ro re d d ito , ris p e ttiv a m e n te , d a L ir e
492.000 a L. 1.700.000 e d a L. 354.000 a L. 1.377.000 p e r il 1934; p e r il 1935
l'U fficio fissò il r e d d ito in L. 1.500.000 e d in L. 1.000.000.
C o n tro l ’a c c e rta m e n to d e ll’Ufficio le d u e S o c ietà fe c e ro re c la m o a ll a Com m is sio n e D is tr e ttu a le d e lle Im p o s te , riv o lg e n d o si q u in d i a lla C o m m issio n e P ro v in c ia le p rim a ed a q u e lla C e n tr a le poi.
D e tte C o m m issioni rite n n e r o in lin e a d i m a s s im a le g ittim a la re ttific a a p p o r ta ta d all Ufficio, m a n e l m e rito , s ta b ilir o n o in L. 1.400.000 e L 1.000 000
il re d d ito del 1934; in L. 907.500 e L . 182.514 q u e llo d e l 1935.
due eccezioni che erano state sollevate dalla società contribuente con tro 1 operato dell’ufficio delle imposte, e cioè; mancata contestazione delia veridicità di una voce esposta in bilancio; erronea identifica zione del reddito di ricchezza mobile con il reddito che in astratto po teva essere ritratto dalla locazione degli opifici. E le due eccezioni vengono esaminate dalla Corte Suprema in questo ordine. Mi sembra pero opportuno invertire l ’ordine di trattazione delle questioni ed esa minare, prima, se il reddito accertato corrisponda al concetto di red dito di ricchezza mobile, quale si desume dalla legge e dalla sua esatta interpretazione, e dopo, se la rettifica del reddito, nel caso specifico, si mantenga nei limiti segnati dalla legge per gli accertamenti che si uiscostaiio dai risultati del bilancio.
Afferma, dunque, la Corte di Cassazione che in materia di im- posta di ricchezza mobile « domina il principio che il tributo debba m ogni caso essere adeguato al valore reale della ricchezza in effetti prodotta, che poi la legge presume percepita ed acquisita al patrimo nio del soggetto passivo dell’imposta ».
i T ‘cf'a propos.izione. si a,mida 11 primo equivoco in cui è caduta la Corte Suprema; infatti, mi sembra una contraddizione affermare, da una parte, che il tributo deve essere adeguato al valore della ric chezza effettivamente prodotta e, dall’altra, parlare di presunzione di percezione ed acquisizione al patrimonio del soggetto passivo dell’im posta, quasiché la percezione e l ’acquisizione della nuova ricchezza siano elementi estranei al concetto di reddito di ricchezza mobile e cioè di nuova ricchezza effetivamente prodotta, frutto di capitale e lavoro, ovvero dell uno o dell’altro separatamente considerati (1).
, 310t? .Clle’ nel.la tassazl°ne dei redditi, si può assumere ad oggetto dell imposizione o il reddito effettivo annualmente prodotto od un red-. „ <-1) . Cf7r - A - D - Gia n n in i, I s t i t u z i o n i , M ilan o , 1951, p . 324 ; L . V Bkrlirt
A p p iin ti s u l c o n c e tto d i r e d d i to , R i v . i t . d ir . fin., 1939, I, p. 30 ¿ segg è
S u ta lu n e c o n tr o v e r s e Q u es tio n i d i a p p lic a z io n e d è i c o n c e tto d i r e d d U o i v i
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Ciò premesso, con atto del 2 agosto 1941, la Molini Alta Italia e le Se* molerie Italiane convenivano in giudizio dinanzi al Tribunale di Genova l’Am- ministrazione finanziaria dello Stato per sentire dichiarare illegittimi gli ac certamenti di cui sopra e sentir conseguentemente disporre il rimborso delle maggiori imposte indebitamente pagate.
Il Tribunale, con sentenza. 24 marzo-13 aprile 1946, accoglieva la tesi delle Società ritenendo doversi computare i fitti degli stabilimenti dati in locazione alla Società Esercizi Molini negli stessi importi risultanti dai bilanci delle Società attrici.
Tale pronunzia fu confermata dalla Corte di Appello di Genova con sen tenza 30 gennaio-27 febbraio 1947, contro la quale ricorre rAmministrazione delle Finanze, deducendo un solo motivo di ricorso, illustrato con memoria aggiunta.
dito medio, desunto, cioè, dalla media dei redditi di un certo numero di anni. Ed ancora, può essere assunto ad oggetto dell’imposizione il reddito effettivamente prodotto da ogni singolo contribuente, o il red dito ordinario, e cioè il reddito che un individuo di media diligenza può ordinariamente ricavare da determinati fattori produttivi, e cioè il reddito dell’azienda tipo, dell’azienda rappresentativa (2).
L’art. 8 del T.U. 24 agosto 1877, n. 4021, dispone che « l ’imposta sarà applicata ai contribuenti a norma dei redditi certi o presunti che essi percepiscono ogni anno », e che « vi saranno compresi non so lamente i redditi certi ed in somma definita, ma anche i variabili ed eventuali derivanti dall’esercizio di qualsiasi professione, industria, od occupazione manufattrice o mercantile, materiale od intellettuale ». La prima espressione, che si riferisce ai redditi certi o presunti, trova la sua spiegazione nella seconda, che contrappone ai redditi certi ed in somma definita quelli variabili ed eventuali. I redditi certi sono quelli la cui misura può essere direttamente determinata senza che occorra uno speciale procedimento di valutazione, come i redditi di ca tegoria A e di categoria C/2, i redditi presunti sono quelli variabili ed eventuali, cioè quelli che devono essere tradotti in una somma de terminata attraverso un procedimento di valutazione, quali i redditi di categoria B e di categoria 0/1. I redditi presunti non sono dunque, secondo il tenore della legge, i redditi che si potevano produrre e non si sono prodotti, e cioè i redditi ipotetici; ma l’espressione vuol significare che quando la Finanza manchi di elementi diretti di va lutazione, può ricorrere a presunzioni per la determinazione dell’esatto ammontare del reddito imponibile che, nel sistema della legge, deve essere sempre un reddito effettivo e non un reddito ordinario od ipotetico, inteso quest’ultimo come un reddito che, secondo le valuta zioni della Finanza e tenuto conto dei fattori di produzione di cui il contribuente dispone, poteva essere prodotto. 2
(2) Su questi concetti cfr. il mio lavoro : Il Reddito, Milano, 1953, pp. 61-62 e 92 e segg.
Resistono le Società Molini Alta Italia e Semolerie Italiane con contro- ricorso e memoria.
Diruto. — Gli accertamenti fiscali avverso i quali le due resistenti So
cietà hanno fatto opposizione riguardano il fitto per gli anni 1934 e 1935 degli Opifici dati in locazione alla Società Anonima Esercizi Molini.
La quale Società Esercizi è in realtà una creazione delle resistenti mede sime, unitesi ad altre due Società similari al dichiarato scopo di gestire in comune, attraverso l ’Anonima Esercizi, i rispettivi Molini di loro proprietà.
E certo, peraltro, che la legge applicabile al tempo della impugnata tas sazione è l ’art. 5 del R. D. 30 dicembre 1925, n. 3069, il quale, contrariamente alla legislazione precedente ed a quella immediatamente successiva (art. 28 R.D.L. 24 ottobre 1935, n. 1887), assoggettò alla imposta di R. M. « quale parte del complessivo reddito di categoria B » il reddito degli opifici, anche quando il proprietario dei medesimi non fosse l ’esercente dell’industria e li Q.V6SS6 dati in locazione a terzi, come è nel caso in specie.
In sostanza, l ’espressione « redditi presunti » può essere intesa in due significati: o in contrapposizione a reddito effettivo, ed in tal caso essa assume il significato di reddito ordinario e medio; od in contrap posizione al reddito determinato analiticamente ed in base a prove dirette, ed in tal caso essa assume il significato di redditi determinati in via presuntiva, tanto nella loro esistenza come nel loro ammontare. Ora, l ’espressione «redditi presunti», nell’applicazione della imposta di ricchezza mobile, deve essere intesa in questo secondo significato, cioè nel senso che i redditi possono essere determinati attraverso prove indirette, e cioè attraverso presunzioni ed induzioni. Ma tanto nel caso in cui il reddito venga determinato sulla base di prove dirette e con metodo analitico, tanto nel caso in cui venga determinato induttiva mente attraverso prove indirette, oggetto della tassazione rimane sem pre il reddito e fe ttiv o ) e cioè il reddito che si è effettivamente prodotto nell’anno di commisurazione. La espressione «reddito presunto», nel l ’applicazione della imposta di ricchezza mobile, si riferisce quindi agli elementi di prova sui quali si basa l’esistenza e l’ammontare del reddito.
I redditi di categoria A e C/2, considerati dalla legge « redditi certi ed in somma definita» vengono accertati nel loro ammontare effettivo in base ad elementi diretti di prova, ad eccezione del caso in cui, per i redditi di categoria A, gli interessi non risultino determinati dal ti tolo; nel qual caso, il reddito potrà essere determinato in via presun tiva, sia per quanto riguarda la sua esistenza, sia per quanto riguarda il suo ammontare (art. 50 del T.U. citato). E d’altra parte, per i red diti sopra indicati, gli istituti della ritenuta diretta (art. 11 del T.U. citato) e dell’accertamento con diritto di rivalsa (artt. 15 a 17 del T.U. citato) hanno anche lo scopo di assoggettare all’imposta il reddito effettivo.
Anche per i redditi definiti dalla legge « variabili ed eventuali » vale il principio dell’accertamento del reddito effettivo. Ed infatti l ’art. 51
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La denunciata sentenza ha ritenuto illegittimo l'accertamento compiuto dal competente Ufficio delle Imposte in ordine al maggior valore del reddito imponibile rispetto a quello dichiarato nei bilanci della società, per un du plice ordine di considerazioni che il ricorso censura con unico mezzo.
Secondo la sentenza, in primo luogo mancherebbe il fondamentale pre supposto, in vista del quale la legge consente, nelle tassazioni in base a bi lancio, la rettifica di ufficio di una voce di esso, vale a dire mancherebbe in concreto la contestazione della veridicità della partita esposta in bilancio.
In secondo luogo avrebbe errato l’Amministrazione nel volere identifi care il reddito tassabile con quello che effettivamente si poteva ritrarre da una comune locazione degli opifici in questione.
del regolamento 11 luglio 1907, n. 560, dispone che nella dichiarazione devono specificarsi distintamente per ciascun cespite e per ciascuna ca tegoria, i redditi lordi, le spese, i redditi netti e le annualità passive. Gli artt. 31 e 32 del T.TJ. del 1877 stabiliscono la detrazione delle an nualità passive ed elencano le spese inerenti alla produzione che sono ammesse in detrazione dai redditi di categoria B.
Le disposizioni richiamate contengono gli elementi di maggior ri lievo da cui è dato desumere che oggetto dell’imposta di ricchezza mo bile è il reddito effettivo e non già il reddito ordinario, anche se que sto principio può avere subito delle deviazioni in sede di applicazione pratica, quando si è trattato di determinare i redditi sulla base di prove indirette, quali la situazione economica dell’azienda, il giro degli affari, i mezzi di produzione impiegati nell’esercizio dell’attività pro duttiva di reddito.
3. Chiarito questo punto preliminare, l ’errore in cui è caduta la Corte di Cassazione risulta evidente. Essa osserva che, tenuto conto della vera natura del reddito, il quale era di carattere immobiliare, anche se per contingenti fini fiscali era soggetto ad imposta di ric chezza mobile, l ’ufficio delle imposte operò legittimamente determinando il reddito sulla base del valore locativo degli opifici ricavato dagli af fitti Correnti per Stabilimenti industriali similari. Bisogna tenere pre sente che l ’accertamento in contestazione riguardava gli anni 1934 e 1935 e quindi, al caso in esame, era applicabile non già l ’art. 28 della legge 8 giugno 1936, n. 1231, ma l ’art. 5 del R.D. 30 dicembre 1923, n. 3069, il quale assoggettò ad imposta di ricchezza mobile, con decor renza dal 1° gennaio 1925, il reddito dei fabbricati e delle altre stabili costruzioni che, a termini delle leggi vigenti, costituivano opifici indu striali, senza fare alcuna distinzione tra il caso in cui l ’industria fosse esercitata dallo stesso proprietario dell’opificio ed il caso in cui l ’opi ficio stesso fosse dato in affitto; in questo secondo caso doveva essere assoggettato ad imposta di ricchezza mobile il canone di locazione per cepito dal proprietario dell’opificio.
Nel caso in esame, il canone ricavato dalla locazione dell’opificio risultava dal bilancio e da regolare contratto e nè l’ufficio delle im poste nè le commissioni avevano contestato che il canone riscosso fosse
La prima affermazione della sentenza impugnata contraddice fortemente con le risultanze di causa emerse in sede di merito e poste in evidenza dalla sentenza medesima. Contraddizione che si può spiegare unicamente col fatto che la Corte di merito si è lasciata guidare da un concetto quanto mai forma listico e ristretto di quel che deve intendersi, ai fini della imposta di R. M., per contestazione di una determinata voce del bilancio.
La Corte ha, infatti, ritenuto che gli Uffici delle Imposte hanno facoltà di discostarsi e rettificare le dichiarazioni delle parti solo quando sia negata la veridicità di una specifica affermazione del contribuente o di uno specifico dato contabile segnato in bilancio e non già quando sia contestato l’intrinseco e reale valore di una qualsiasi entrata attiva.
Viceversa, anche in materia di imposte di R. M., domina il principio che
in effetti di ammontare superiore a quello risultante dal bilancio. Ri tennero però sia l ’ufficio che le commissioni di merito, e tale loro opi nione è stata approvata dalla Corte di Cassazione nella sentenza in rassegna, che potesse essere accertato ed assoggettato all’imposta di ricchezza mobile non il canone effettivamente pattuito e riscosso, ma un canone astratto desunto dal valore locativo degli opifici, applicando così il criterio di tassazione stabilito per l ’imposta sui fabbricati, cri terio desumibile dall’art. 3 della legge 11 agosto 1870, n. 5784, il quale dà agli uffici finanziari la facoltà di rettificare non solo i redditi de nunziati come presunti (redditi degli immobili occupati dallo stesso proprietario), ma anche quelli dichiarati come effettivi (costituiti dai canoni di locazione). È noto, infatti, che l ’imposta sui fabbricati non colpisce il reddito effettivo, ma il reddito ordinario, desumibile dal valore locativo dell’immobile. La ordinarietà del reddito si desume an che dal fatto che la epurazione del reddito lordo non avviene mediante la detrazione delle spese effettivamente sostenute per la produzione del reddito, ma mediante la detrazione a forfait di una percentuale del reddito lordo, dal fatto che lo sgravio viene ammesso quando l ’immobile rimanga sfitto per lo meno per un anno, dal fatto, infine, che le ret tifiche in aumento ed in diminuzione in tanto sono ammesse in quanto raggiungano una determinata percentuale del reddito già assoggettato ad imposta (3).
Ora, una volta assoggettato alla imposta di ricchezza mobile il reddito degli opifici industriali, l ’accertamento in questo reddito non può essere fatto che con le norme che regolano l’applicazione dell’im posta di ricchezza mobile, la quale colpisce redditi effettivi e non red diti ordinari; e quindi non poteva tenersi conto del valore locativo del l ’opificio, ma l’imponibile doveva essere determinato con i criteri fis sati per l’applicazione dell’imposta di ricchezza mobile, e cioè sulla base del reddito effettivo costituito dal canone di locazione. Del resto, que sto principio si desume in modo specifico e diretto dallo stesso art. 5, capoverso, del R.D. 30 dicembre 1923, n. 3069, il quale dispone
testual-(3) Cfr. : art. 3 della legge 26 gennaio 1865, n. 2136, art. 5 del R.D.L. 12 agosto 1927, n. 1463, art. 1 della legge 4 novembre 1951, n. 1219. art. 9 della legge 11 luglio 1889, n. 6214, art. 21 della legge 26 gennaio 1865, n. 2136.
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il tributo debba in ogni caso essere adeguato al valore reale della ricchezza in effetti prodotta, che poi la legge presume percepita ed acquisita al patri monio del soggetto passivo dell’imposta.
In applicazione di questo fondamentale principio di giustizia tributaria l’art. 20 del R.D.L. 24 ottobre 1935, n. 1887, ora R.D.L. 13 gennaio 1936, n. 120, avente per questa parte un incontestabile valore interpretativo e, come tale, utilmente invocabile nella specie, dispone che gli Uffici, oltre alle facoltà di verificare le voci del bilancio sulla scorta delle scritture contabili, hanno pure la facoltà di tener conto di tu tti gli elementi e dati concreti di valu tazione e comparazione da essi raccolti fuori del bilancio e delle scritture contabili, al fine di rettificare il reddito da assoggettare al tributo.
È chiaro, pertanto, che, oltre alla vera e propria omissione od
altera-mente che « quando l ’industria non venga esercitata direttaaltera-mente dal proprietario, il fitto che questi ne ritrae è tassato a suo nome come reddito mobiliare di cat. B ». Quindi, oggetto dell’imposta di ricchezza mobile, in tal caso, è il reddito effettivo, e non già il valore locativo dell’opificio.
La Commissione Centrale si è espressa in tal senso con giurispru denza costante, affermando il principio che il reddito degli opifici in dustriali e degli altri fabbricati costruiti per le speciali esigenze di una specifica attività industriale o commerciale deve determinarsi non già in base alle disposizioni della legge sulla imposta sui fabbricati (con riferimento al valore locativo), bensì ed esclusivamente con i criteri ed i principi propri dell’imposta di ricchezza mobile (4). È vero che le decisioni della Commissione Centrale vennero emesse sulla questione della determinazione del reddito di opifici e fabbricati temporanea mente esenti e quindi, nei casi decisi, si trattava di calcolare il reddito imputabile agli opifici ed ai fabbricati per detrarne l’ammontare dal reddito complessivo; ma tale criterio, di carattere generale, non può evidentemente non valere per il caso in cui la valutazione del reddito sia necessaria non già per calcolare la quota esente, ma per determi nare il reddito imponibile. ... ■ • ?. \ 4. La sentenza del S.C. sulla questione in esame viola ancora un altro principio, e precisamente quello che vieta la duplicazione (5). L’art. 32 del T.U. delle leggi sull’imposta di ricchezza mobile, tra le spese di produzione detraibili, menziona anche « il fitto dei locali ». Nel caso deciso, la società che aveva preso in locazione gli opifici aveva incluso, evidentemente, tra le sue spese il canone di locazione effetti vamente corrisposto alla società proprietaria degli opifici stessi e non
(4) Comm. Centr. Sez. Un. 30 giugno 1939, n. 1G967, Giur. imp. dir., 1940, n. 59; Comm. Centr. Sez. Un. 25 marzo 1942, n. 53290 a 53293, Giur. imp. dir., 1942, n. 58; Comm. Centr. 10 febbraio 1942, n. 51005, ivi, 1943, n. 22; Comm. Centr. 25 febbraio 1946, n .81060, ivi, 1948, n. 13.
(5) L’art. 8, comma 3», del T. U. 24 agosto 1877, n. 4021, dispone che sono esclusi dalla imposizione i redditi già una volta assoggettati all’imposta di R. M..
zione contabile, la quale, a parte le eventuali responsabilità a carattere penale, provoca, senz’altro, l’accertamento diretto e globale del reddito presunto, la legge considera anche la diversa ipotesi che il bilancio sia contabilmente rego lare ed attendibile, ma che tuttavia esso contenga valutazioni obiettivamente ed intrinsecamente inesatte, e come tali, inaccettabili dal Fisco. In tal caso non viene in discussione la veridicità del documento posto a base della par tita di bilancio o la dichiarazione formale della parte, ma viene contestata la valutazione di una determinata entità tassabile.
E nel caso concreto fu contestato l’effettivo valore locativo del fabbricato industriale.
Non ha, pertanto, alcun rilievo l’osservazione contenuta nella impugnata sentenza, secondo cui le Commissioni di merito avrebbero riconosciuta la