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101roSario PelleGrino

1. Il viaggio a Roma: motivazioni

Le lettere1 scritte da Charles de Brosses (1709-1777)2, relative alla sua

visita della città eterna, sono numerose e dettagliate. Tuttavia, già da una prima lettura, si evidenziano discrepanze rispetto al modo tradizionale di scrivere dell’autore, il che spinge ad approfondirne lo studio. Gli elementi di novità riguardano, in particolare, toni, descrizioni e giudizi che sembrano estrapolati da riflessioni e commenti di altri viaggiatori che, prima di lui, hanno fornito indicazioni sugli stessi luoghi.

Il viaggio di de Brosses in Italia, compiuto tra il 1739 e il 1740, completa la formazione dell’autore e lo spinge alla ricerca di documenti inediti su Sallustio. Al suo rientro in patria, ha redatto solo nove lettere che, dopo qualche tempo, rielaborerà scrivendone altre senza mai cedere alla tenta- zione di pubblicarle.

Lungi dall’essere istantanee sulla città, che pure predilige, esse contengono descrizioni non sempre idilliache, infarcite di aneddoti e considerazioni sulla storia passata e presente. Non tralascia alcun dettaglio che possa nuocere alla sua fama d’illustre viaggiatore che, ben edotto e attento alle reali condizioni di Roma, esalta, attraverso la scrittura, le vestigia del luogo eterno.

1 ch. de broSSeS, Lettres familières écrites d’Italie, Paris, Perrin, 1885, 2 voll.

2 Charles de Brosses nasce a Digione nel 1709 e vive la sua intensa carriera pubblica

durante il regno di Luigi XV e l’inizio di quello di Luigi XVI. Nel 1730 è eletto consi- gliere del Parlamento di Borgogna. Tuttavia i suoi impegni pubblici non gli impediscono mai di concentrarsi sugli studi, in particolar modo su Sallustio, autore che caratterizza la sua esistenza e del quale traduce l’opera Congiura di Catilina. Sarà, infatti, corrispondente dell’Académie des Inscriptions et Belles-Lettres a partire dal 1746 e giungerà al traguardo con la nomina a Primo Presidente del Parlamento di Borgogna nel 1774 in seguito alla re-istituzione dei parlamenti ad opera di Luigi XVI.

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Sarà ben divertente sentirlo commentare, a proposito e a sproposito, per quanto riguarda specialmente Roma, sulle piazze o sulle gallerie, sulle passeggiate e le fontane, e i costumi e i salotti, gli alberghi e le mance, i cardinali e il papa, i mariti e gli amanti, gli stili e il teatro, i poeti e la musica, e tutto di seguito, come vien viene, un po’ confu- samente seppure, quadretto per quadretto, tutto nitidissimo, con una disinvoltura che rasenta la sicumera e resta nondimeno furbescamente sbarazzina senza diventare insolente3.

Lo studioso Brigante Colonna individua, in maniera puntuale, le ca- ratteristiche della scrittura debrossiana, il suo stile critico ma vivace, che conquista e affascina grazie all’ironia, caratteristica quest’ultima che lo contraddistingue e lo rende interessante ai lettori di ogni tempo.

Le descrizioni di de Brosses non risultano essere frutto dell’immagi- nazione, neanche quando decide di rimandare il lettore a descrizioni e commenti di altri viaggiatori, a suo giudizio, più esperti conoscitori della Penisola. È un’Italia che vanta un passato glorioso antecedente alla barbarie del ‘gotico’ medievale ovvero un paese che, attraverso incertezze e negli- genze, lascia trasparire la grandezza della cultura e della storia di Roma. Diversamente da quanto sostiene Goethe, de Brosses non dispera che gli abitanti della Penisola possano riappropriarsi della loro gloriosa tradizione indispensabile a restituire prestigio a una popolazione inerme e decadente. Da tali premesse de Brosses trae insegnamento e parte alla volta di Roma, unica vera destinazione del suo viaggio, spinto dalla volontà di descrivere luoghi, cose e persone in maniera attenta, sagace e ironica, qualità che gli sono valse fama e successo nonostante le lettere siano state pubblicate postume solo nel 1799.

2. Lo stile declinato con la città eterna

Hermann Harder4 uno dei più noti studiosi di Charles de Brosses,

dopo un’attenta analisi dello stile dell’illustre viaggiatore, afferma che «il possède à merveille tout l’éventail des moyens rhéthoriques du style épistolaire [..] et avec un raffinement particulier dans ses lettres postiches», elencandoli un po’ tutti in buona sostanza: «le jeu de rôle de l’épistolier et 3 G. briGante colonna, Roma del Settecento dalle lettere familiari scritte dall’Italia nel

1739-1740, Roma, Eden, 1946, p. 6.

4 Cfr. voltaire, Correspondance inédite de Voltaire avec P. M. Hennin, Paris, Merlin édi-

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du destinataire, la fiction du dialogue, l’écriture comme objet de la lettre, le laisser-aller de la langue, etc.»5.

Non si tratta certo di artifici, bensì di abilità che contribuiscono all’uso sistematico di una tavolozza ampia e variegata, cui l’autore attinge di volta in volta, tralasciando volutamente alcune sfumature e accentuandone altre a seconda dei casi. Certo non si limita a descrivere le mura, come ricorda Stendhal6. Per comprendere lo spirito sagace che anima la sua scrittura è

sufficiente rifarsi ai suoi commenti quando descrive la lunga agonia del papa: «Que dites-vous de la galanterie de notre Saint-Père qui a la politesse de se laisser mourir pour nous faire voir un conclave?»7.

Fin dalla sua partenza da Digione, avvenuta il 30 maggio 1739, ogni evento e ogni monumento diventano occasioni utili alla redazione di lettere da inviare agli amici: Buffon, Charles-Claude de Blancey, deputato degli Stati di Borgogna e Jean de Bouhier, Président à mortier del Parlamento di Borgogna.

Pretesto ufficiale del viaggio nel Belpaese sono gli scritti di Sallustio, cui tiene particolarmente, e che diventano motivo di commenti e riflessioni quando decide di annotare ogni singolo ritrovamento, senza mai trascurare nulla riguardo biblioteche e personale ivi impiegato. Sforzi e ricerche di una vita vengono coronati dalla pubblicazione, avvenuta solo qualche setti- mana prima della morte, della sua Histoire de la République romaine dans le

cours du VIIe siècle. Il volume, oltre alla biografia di Sallustio, contiene circa

settecento frammenti delle opere dell’autore latino. Appare ovvio che, al di là del pretesto dichiarato, vi siano altre ragioni che animano de Brosses e lo incitano a partire. Prima tra tutte il desiderio di visitare Roma culla delle vestigia dell’Antichità che tanto lo appassionano e a cui dedica studi di un certa importanza. Non è, infatti, la Roma capitale della cristianità ad attirarlo, dal momento che, come molti altri suoi contemporanei, è interessato a Roma antica, in netto contrasto con la città pagana, e spesso confusa con quella papalina. D’altronde neanche la vista di San Pietro, tempio della cristianità, che avrebbe dovuto suscitare in lui stupore, sembra confermare quello che il lettore si sarebbe aspettato: «Quand vous serez ici quelle impression croyez-vous que vous fera le premier coup d’œil de 5 h. harder, Le président de Brosses et le voyage en Italie au dix-huitième siècle, Genève,

Slatkine, 1981.

6 Ivi, p. 267.

7 Stendhal, Rome, Naples et Florence, préface di P. Brunel, Paris, Folio classique, 1997,

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Saint-Pierre? Aucune»8. Non manifestando alcuna emozione alla vista della

basilica, preferisce continuare a utilizzare termini quali surpris/surprise per sottolinearne l’assenza: «Rien ne m’a tant surpris à la vue de la plus belle chose qu’il y ait dans l’univers, que de n’avoir aucune surprise»9. La doppia

negazione (aucune, rien) viene associata al termine surprise per sottolineare l’assenza di qualsivoglia sentimento alla vista del monumento considerato il più bello al mondo. Una successione di termini in contraddizione tra loro rivela l’esatto contrario almeno a quanti avevano letto le descrizioni redatte da viaggiatori più tradizionalisti. L’autore indulge alla successione di negazioni «ni grand, ni petit, ni haut, ni bas, ni large, ni étroit», sostenendo di aver provato la stessa sensazione anche all’interno della basilica di San Pietro, che si caratterizza per assenza e vuoto. Ancora una volta si tratta di descrizioni a lui note e, in particolar modo, quelle di Maximilien Misson10.

Solo successivamente si scoprirà che de Brosses non intende demonizzare né negare le bellezze della basilica. Il suo intento è, invece, soffermarsi su una caratteristica trascurata: l’eleganza della semplicità.

Le moyen le plus simple pour se démarquer des autres, et pour choquer ses lecteurs conformistes, consiste, pour de Brosses, à contrecarrer systé- matiquement leur attente. C’est chose facile dans un genre aussi rigide que l’est le Voyage d’Italie au XVIIIe siècle11.

Harder coglie in tutto questo il senso dell’opera debrossiana: l’atteg- giamento anticonformista dell’autore giustifica la sua tendenza a stupire il lettore confutando le convinzioni generate da letture e stereotipi culturali e mondani su costumi e monumenti italiani. Tuttavia, la semplicità che caratterizza le sue lettere non deve indurre a pensare che l’autore inten- da banalizzare le descrizioni. Il suo intento, pur divulgativo, supera tanti luoghi comuni e tiene desta l’attenzione del lettore attraverso espedienti linguistici, giustapposizioni tematiche e accostamenti arditi.

Ricordiamo che per de Brosses la semplicità è un elemento positivo che lo induce a svilire, invece, quanto si rifà all’arte gotica. Nella lettera XXXVI indirizzata a M. de Neuilly, in maniera lapidaria, afferma che nella basilica d San Pietro «tout y est simple, naturel, auguste et par conséquent sublime»12. Si noti come nella frase venga impiegato l’aggettivo ‘sublime’

8 ch. de broSSeS, Lettres d’Italie du Président de Brosses, Texte établi, présenté et annoté

par F. D’Agay, Le temps retrouvé, Paris, Mercure de France, 2005, t. I, p. 395.

9 Ivi, p. 4.

10 M. MiSSon, Nouveau Voyage d’Italie, La Haye, H. van Bulderen, 1691.

11 h. harder, Le président de Brosses et le voyage en Italie au dix-huitième siècle, cit., p. 318. 12 ch. de broSSeS, Lettres familières écrites d’Italie, cit., p. 4.

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che, nell’accezione comune, rimanda a eccelso. Di pari livello la sensazione che de Brosses prova al cospetto delle fontane che definisce «La plus belle partie de Rome»13, giudizio che estende all’intero viaggio in Italia. Sulla

falsariga di quanto già affermato, l’autore non si accontenta di definire Roma secondo lo stereotipo della città più bella del mondo, aggiunge un’ulteriore qualità quando la paragona a Parigi.

Enfin, pour vous dire en un mot ma pensée sur Rome, elle est, quant au matériel, non-seulement la plus belle, ville du monde, mais hors de comparaison avec toute autre, même avec Paris, qui d’autre coté l’emporte infiniment pour tout ce qui se remue14.

Un francese del secolo dei Lumi non avrebbe potuto certo spingersi oltre, tuttavia riconoscere il primato di Roma, all’epoca, non era certo cosa trascurabile per i viaggiatori d’oltralpe, più inclini alle critiche che agli apprezzamenti. D’altronde l’unicità della città eterna è dovuta a un insieme di elementi tra cui l’atmosfera di libertà nonché la cordialità della gente, valori ben più radicati «qu’en nul endroit d’Italie»15. Che de Brosses

abbia apprezzato la città, ne sono dimostrazione i confronti costanti con il resto della penisola e con Parigi. Colpisce, in modo particolare, la distanza dell’autore rispetto ai luoghi comuni, come accade nella descrizione della vigna di Frascati a proposito della quale afferma: «Je vous dirai là-dessus que les Italiens les estiment trop, et les Français trop peu»16. In tal caso,

è evidente che l’autore voglia affermare la sua autonomia, evitando sia giudizi esaltanti che denigranti. Questo lo mette in condizione di espri- mere valutazioni autentiche, sintetiche e ponderate proponendosi come viaggiatore nuovo che non si lascia influenzare dai pregiudizi.

Incuriosisce, ma non stupisce, l’incipit della Lettre XXXVII in cui de Brosses si rivolge ai destinatari, MM. De Blancey e de Neuilly,

Vous êtes endiablés tous tant que vous êtes, de vous obstiner ainsi à vouloir que je vous parle en détail de cette Rome, pour vous en dire mille choses communes que vous savez déjà et que personne n’ignore? N’auriez-vous pas dû être contents de ce que j’ai dernièrement écrit en bloc à Neuilly sur ce sujet? 17

13 Ibidem. 14 Ivi, p. 6. 15 Ivi, p. 7. 16 Ibidem. 17 Ivi, pp. 8-9.

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Espediente quest’ultimo di natura umoristica finalizzato a creare suspen- se, anche se si tratta di Roma, di cui si conosce già tutto e su cui è inutile aggiungere altro. D’altronde nella prefazione alle lettere, egli stesso definisce i suoi scritti un «rebâchage perpétuel» ovvero un rimaneggiamento di dati identici rimescolati in maniera alchemica da un viaggiatore convinto di diffondere idee inedite. Nel caso specifico è da notare che nell’incipit della lettera XXXVII l’autore sostiene di voler inviare ai destinatari una «demi- douzaine de feuilles» su cui afferma di aver «griffonné quelques remarques indigestes» procedendo, poi, ad annotarvi tutto ciò che gli sarebbe passato per la mente. Per tale motivo precisa che i destinatari delle lettere non vi avrebbero riscontrato «ni ordre ni suite» e, nel caso esse avessero destato un qualche interesse, i lettori avrebbero dovuto «débrouiller ce fratras». Segue una nota di grande interesse, in cui l’autore si dichiara in preda alla «fainéantise» al punto che, alla sola vista dello scrittoio, è tentato di fuggire per nascondersi sotto il letto. Ancora un’immagine sarcastica per rendere il senso e la misura di un’esperienza che lo coinvolge al punto da indurlo a disertare la scrittura che pure ama molto. Di quale esperienza si tratti è più che evidente. La città eterna lo coinvolge e lo travolge al punto da non lasciargli tempo né volontà per dedicarsi alla descrizione di luoghi, eventi e opere d’arte. Poche parole di introduzione alla visita della città chiariscono il senso dell’intero viaggio. Egli ribadisce che «cette bien-aimée ville de Rome» è «le principal but de notre course». Una volta definita la tappa come destinazione prima e obiettivo principale dell’itinerario, si addentra nei meandri della città, ne descrive i dettagli, ne apprezza le scelte architettoniche, ne resta impressionato, affasci- nato, ribadendo, al tempo stesso, la sua ammirazione nei confronti di Sallustio. Ormai è ben chiaro che la ragione del suo viaggio in Italia è proprio l’autore latino oggetto delle sue ricerche. Roma è la patria di Sallustio e questo lo ha spinto a intraprendere un viaggio faticoso che gli procura emozioni e lo ripaga di tante controversie.

3. Scrittura, trascrizione e confutazione

Sorprendere e attirare l’attenzione del lettore non rappresentano lo scopo ultimo dell’opera debrossiana. Si accennava al desiderio di sfatare luoghi comuni e l’effetto non sempre è ottenuto attraverso l’esaltazione della città. Ne è un esempio eloquente la descrizione accattivante del «triangle» di piazza del Popolo che accoglie mirabilmente i turisti a Roma. Dopo aver descritto la «magnificence» sintesi tra forma e prospettiva, di cui, a suo dire, difetterebbe Parigi, evidenzia come accanto a tanta perfezione

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siano collocati «de grands vilains magasins à foin», mentre a sinistra «l’église Sainte-Marie, assez médiocre bâtiment, suivi de plusieurs maisons parti- culières très piètres»18. Il contrasto tra magnificenza e povertà è evidente e

rivela il desiderio di non indulgere oltre nella descrizione di luoghi secon- do cliché oleografici. D’altronde l’autore non tralascia di definire questo aspetto «disparate», quasi si tratti di una sorta di consuetudine secondo la quale «un bâtiment superbe est entouré de cent mauvaises maisonnettes»19.

Tuttavia egli non si limita a una semplice denuncia, preferisce indagare sulle ragioni che hanno indotto a costruire in modo tanto deplorevole.

Con uno stile sempre originale e pungente introduce un argomento a lui caro: il rapporto tra fede e cultura. Autore di un’opera sugli dei feticci20,

nota quanto la superstizione nel Belpaese prevalga o si innesti nella fede autentica fino a sfociare in forme di pura idolatria o indegna credulità. Emblematico il riferimento al miracolo di San Gennaro a Napoli21, cui

non assiste, ma che gli offre l’opportunità di esprimere un giudizio pe- rentorio sugli artifici escogitati dal clero per facilitare un processo datato. Lo fa citando le Odi di Orazio: «et otiosa, credidit Neapolis».

La città eterna diventa fonte d’innumerevoli considerazioni sul senso della fede e sulle scelte dettate da falsi valori, incuranti delle reali necessi- tà della gente e dell’importanza del luogo in cui essa vive. In particolare riporta una frase lapidaria a proposito della decorazione della basilica di San Giovanni in Laterano, realizzata al posto della bonifica delle rive del Tevere, indispensabile, a suo dire, per risanare e abbellire la città. Molto critico nei confronti del popolo romano, afferma: «En vérité, cette nation est tout à fait dévote, et n’en est pas plus sage»22. Al popolo attribuisce

responsabilità di scelte che non fanno onore alla tradizione illustre della città, caput mundi. Alla chiesa contesta un eccesso di zelo nel voler arricchire Roma di luoghi di culto e di decorazioni al posto di opere che potrebbero testimoniarne il passato glorioso. Tutte le risorse vengono destinate alle sole esigenze di culto e de Brosses, colto illuminista, ne resta indignato. Si vendica ironizzando sugli angeli di Castel sant’Angelo che, secondo lui, non avrebbero dovuto essere collocati sul ponte né sull’edificio in quanto «Les anges et les saints se trouvent si bien dans les églises! Pourquoi ne

18 Ivi, p. 11. 19 Ibidem.

20 id., Du culte des dieux fétiches, ou Parallèle de l’ancienne religion de l’Egypte avec la religion

actuelle de Nigritie, Genève, Cramer, 1760.

21 id., Lettres familières écrites d’Italie, t. I, cit., pp. 336-337. 22 id., Lettres familières écrites d’Italie, t. II, cit., p. 18.

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les y pas laisser? Ils n’ont pas l’air de se plaire ici, du moins y font-ils une figure assez déplacée»23. Quest’ultimo giudizio esprime il chiaro disappunto

del viaggiatore. Egli è convinto che molto spesso la Chiesa si conceda di superare i limiti imposti dalla spiritualità, esercitando il potere temporale senza riserve. Non crede, tuttavia, che il potere politico esercitato dal Papa nel suo Stato sia deplorevole, anzi ne apprezza il taglio liberale. In proposito lo studioso Théodore de la Rive afferma:

D’ailleurs Brosses qui ne fermait point les yeux, on le pense bien, sur les quelques lacunes que pouvait présenter le gouvernement des Papes, ne se lasse pas de vanter ce que ce gouvernement avait de doux, de pacifique et de modéré. Dans une de ses Lettres, et non la moins curieuse, il loue l’extrême liberté de penser et même de parler qui règne à Rome. Plus tard aussi il écrivait à Voltaire que ce langage, je me représente, devait pas mal étonner: «J’aime bien pis que les rois : j’aime les Papes. J’ai vécu près d’un an à Rome; je n’ai pas trouvé de séjour plus doux, plus libre, de gouvernement plus modéré»24.

Le riflessioni dell’illustre viaggiatore sono chiare e inequivocabili. Si esprime a favore della funzione politica esercitata dai Papi, nonostante non provi simpatia per la Chiesa. Infatti Roma gli offre non solo spunti di riflessione e di critica pungente, ma anche di un moderato consenso sulla Chiesa. Non bisogna assolutamente dimenticare che il viaggio a Roma è intrapreso anche per visitare alcune delle sue meraviglie «l’église de Saint- Pierre, les Fontaines, le coup d’œil du Janicule»25. Fin qui nulla di nuovo o

quasi rispetto ai luoghi comuni e alle convinzioni di altri viaggiatori. Dal punto di vista linguistico l’autore mette in risalto la grandezza della città non tanto e non solo nella sua totalità quanto nei suoi elementi costitutivi che, presi singolarmente, rappresentano punte di eccellenza e di unicità. Segue a questa considerazione un aspetto interessante che vede de Brosses rifarsi costantemente all’Antichità, a quei romani che avevano abilmente disseminato la città di fontane anche grazie all’abbondanza di acqua. Al- cuni giudizi tradiscono il pensiero effettivo di de Brosses non in linea con quello di altri viaggiatori al punto che «Il en a coûté depuis deux à trois siècles, des frais énormes pour en remettre en état une partie seulement, qui, avec quelques nouvelles adjonctions, a suffi pour fournir la ville d’une

23 Ivi, p. 19.

24 th. dela rive, Deux voyages en Italie. Montaigne et le président de Brosses, in «Le

Globe», Revue Genevoise de Géographie, 28, 1889, p. 136.

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innombrable quantité de fontaines, grandes ou petites»26. Occorrono ad-

dirittura due o tre secoli per ripristinare in parte le opere realizzate dai Romani, da lui definite «ouvrages prodigieux». Si tratta di un’ulteriore