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La guerra di Suez

4.3. Il ruolo dell’Italia

Seppur con diverse sfumature all’interno del partito di maggioranza che guidava il paese, il governo italiano aveva condotto un tipo di politica estera ben precisa: filoatlantica ed europeista. Sin dal giorno della nazionalizzazione del Canale di Suez, tutti i parlamentari, opposizione compresa, erano concordi nel condannare ogni tipo di azione che prevedesse l’uso della forza per risolvere il problema. La scelta del governo Segni, di allinearsi alla posizione moderata degli Stati Uniti, ben spiegava la strada intrapresa da Roma in merito al problema.

Nel giorno dell’attacco israeliano all’Egitto, che catalizzò l’attenzione dell’opinione pubblica mondiale dai fatti d’Ungheria al Medio Oriente, il governo italiano non esitò ad esprimere la sua contrarietà verso quanto stava accadendo condannando il gesto e confermando la sua condotta politica. Difatti appoggiò le decisioni assunte dagli Stati Uniti di ricorrere immediatamente al Consiglio di Sicurezza per un cessate il fuoco e di ricorrere d’urgenza all’Assemblea generale delle Nazioni Unite.

Il Governo italiano ha dato istruzioni al suo rappresentante presso le Nazioni Unite, ambasciatore Vitetti, di associarsi all’iniziativa presa dal Governo statunitense di ricorrere al Consiglio di Sicurezza allo scopo di dirimere il conflitto tra Israele ed Egitto e di salvaguardare la pace. […] L’azione del Governo italiano si ispira a questi tre obiettivi: 1) adoperarsi con ogni mezzo perché la situazione nel Medio Oriente non sia ulteriormente aggravata

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evitando che il conflitto tra Egitto e Israele sia generalizzato; 2) appoggiare gli Stati Uniti nell’opera di salvaguardia della pace da essi intrapresa – che li ha indotti a respingere ogni sollecitazione ad intervenire in Egitto a fianco dell’Inghilterra e della Francia – associandosi ad ogni iniziativa che potrà essere studiata per salvaguardare la pace; 3) far si che l’intera questione venga risolta

nell’ambito dell’ONU133.

Il pomeriggio del 31 ottobre il ministro Martino, all’interno del Consiglio dei Ministri riunitosi per discutere della situazione in Medio Oriente, espresse il suo punto di vista e quello della delegazione, capeggiata dal delegato italiano all’ONU Leonardo Vitetti, che avrebbe partecipato all’Assemblea generale del 2 novembre:

i principi che hanno ispirato la nostra politica per la questione di Suez rimangono immutati. Il Governo favorirà tutte quelle iniziative che potranno contribuire al ristabilimento di una pace durevole nel Medio Oriente e nel Nord Africa. Dal comunicato del Consiglio dei ministri si rileva che il Governo italiano disapprova l’iniziativa israeliana e l’intervento anglo-francese. Pertanto, daremo il nostro leale e fattivo appoggio alle Nazioni Unite nella loro sessione tendente a far cessare le ostilità, confortati in ciò dall’atteggiamento degli Stati Uniti d’America che ha ottenuto la maggioranza dei consensi al Consiglio di Sicurezza. Tuttavia, pur nella delicata situazione che si è venuta a creare, ci adopereremo perché non sia gravemente compromessa la solidarietà e l’unità dell’Occidente, che è il fondamento della politica estera italiana.

È ancora troppo presto, tuttavia, per parlare di passi ufficiali del nostro Governo presso i belligeranti. La nostra diplomazia intende piuttosto appoggiare le iniziative americane all’ONU e fuori, cercando, nello stesso tempo, di non aggravare le fratture fra i Paesi occidentali con troppo accentuati atteggiamenti di censura verso inglesi e francesi: in questo senso sono state date anche oggi istruzioni, da Palazzo Chigi, all’ambasciatore Vitetti, delegato

italiano all’ONU, e agli altri nostri ambasciatori134.

133 L’Italia aderisce all’ONU per la pace, in ‹‹Il Popolo››, 31 ottobre 1956.

134 A. A., L’Italia favorirà tutte le iniziative che contribuiranno a ristabilire la

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Nella seduta dell’Assemblea generale, la delegazione italiana discusse della crisi egiziana e non solo. Il rappresentante italiano Vitetti portò all’attenzione dei presenti la situazione critica che stava imperversando in Ungheria. Egli affermò che le due crisi avevano la stessa importanza sia a livello politico sia a livello umano, dal momento che i due paesi avevano fatto esplicito ricorso alle Nazioni Unite per risolvere i problemi che li attanagliavano. Secondo lui - e secondo il ministro degli esteri Martino - il blocco occidentale non poteva comportarsi allo stesso modo del nemico sovietico e doveva rimanere compatto.

Invece, sul problema di Suez, l’Italia votò a favore di due risoluzioni: la prima, quella proposta dagli Stati Uniti che chiedeva il cessate il fuoco nel canale; la seconda, quella presentata dai canadesi riguardante la costituzione di una forza di polizia, gestita dall’ONU, che doveva garantire la pace in Egitto e sostituirsi alle potenze occupanti.

Nel successivo dibattito parlamentare del 6 novembre - alle due Camere si discusse della politica estera italiana e del lavoro svolto in seno all’Assemblea ONU - alla Camera dei Deputati il segretario della DC Fanfani espresse soddisfazione per il lavoro svolto dal governo e per la sua condotta diplomatica all’interno della crisi

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Suez. Il ministro degli esteri lo ringraziò e pronunciò il seguente discorso:

All’inizio dell’azione israeliana è subito seguito l’intervento anglo- francese nella forma di una ingiunzione ai contendenti, diretta a salvaguardare la sicurezza della zona del canale. Respinta l’ingiunzione dal governo egiziano che, per accoglierla, avrebbe dovuto astenersi dal compiere azioni militari in una parte del suo stesso territorio, ha avuto inizio l’azione militare anglo-francese. Il Governo italiano ha chiaramente espresso il suo pensiero. Esso si è inoltre associato alla raccomandazione rivolta dall’assemblea delle Nazioni Unite agli Stati responsabili di operazioni militari affinché immediatamente le sospendano. Desidero chiarire quello che nel pensiero del Governo italiano significa l’adesione data alla raccomandazione delle Nazioni Unite relativa alla sospensione delle ostilità. […] La nostra adesione significa che noi abbiamo scelto la politica delle Nazioni Unite, pur se riconosciamo che la presente crisi è derivata in gran parte dal fatto innegabile che questa importante organizzazione non è stata pari al suo compito né alle sue responsabilità. Se non abbiamo potuto approvare le ultime decisioni anglo-francesi, ciò è dipeso dal nostro giudizio circa la necessità di evitare ogni atto che possa ulteriormente menomare l’autorità delle Nazioni Unite. […] Il Governo italiano, interprete dei sentimenti più profondi del nostro popolo, ha compiuto il proprio dovere, assumendo chiaramente le sue responsabilità. Ciò facendo esso è certo di non aver rotto nessun legame importante con i governi dei paesi amici e alleati, pur se ha dovuto dolorosamente dissentire da loro nella valutazione degli avvenimenti e degli atti che hanno determinato la presente fase della vertenza per il canale di Suez. Noi affermiamo solennemente dinanzi alla coscienza del paese che faremo ogni sforzo per ricomporre la più salda unità con tutti i nostri alleati ed amici, certi che questa unità è tra le garanzie più valide e sicure della pace, del progresso e della libertà dei popoli nell’Europa

e nel mondo135.

Il governo Segni era pronto nel partecipare attivamente alla formazione della forza internazionale di polizia incaricata di sostituirsi alla Francia e all’Inghilterra che avevano occupato il

135 https://storia.camera.it/lavori/dibattiti/19561002-discussione-sulla-

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Canale di Suez. Il ministro Martino diede infatti piena disponibilità al segretario generale dell’ONU di utilizzare l’Italia – in questo caso l’aeroporto di Capodichino - come ponte e punto nevralgico in cui far confluire tutti gli aerei e i militari che dovevano decollare alla volta dell’Egitto. Come affermano Marcello Saija e Angela Villani,

il governo di Roma decide di contribuire alle spese di finanziamento della missione, organizzando una base logistica a Capodichino e collaborando al trasporto aereo della forza internazionale in Egitto, ma evita l’invio di forze nazionali nel contingente di pace perché, come sosteneva il direttore degli Affari Politici, Alberto Straneo, in caso di fallimento dell’iniziativa, o peggio, della resistenza anglo- francese ad abbandonare il territorio, un coinvolgimento eccessivo

avrebbe esposto il governo a decisione scomode136.

Il fatto di aver dato disponibilità in sede ONU ad utilizzare l’Italia come paese ponte inseriva la nazione in modo più diretto in questa importante questione, a differenza dei mesi precedenti in cui aveva mostrato un atteggiamento più modesto.

Il lavoro diplomatico svolto all’interno delle Nazioni Unite dal ministro degli esteri Martino e dai rappresentanti italiani fu importante e soprattutto più vivace - in relazione alle prime uscite delle conferenze di Londra di agosto e settembre - specialmente dopo l’azione congiunta anglo-francese e israeliana e la repressione della rivolta Ungherese, due eventi pronti a sconvolgere il quadro politico internazionale di riferimento per l’Italia. L’attività di Gaetano Martino era molto chiara e proseguiva

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lungo due obiettivi: garantire la pace sostenendo l’alleanza atlantica e lavorando in ottica europeista; ricucire lo strappo tra Stati Uniti, Francia e Inghilterra creatosi a seguito dell’invasione egiziana per evitare ingerenze e moralismi da parte dell’Unione Sovietica che in Ungheria stava adottando lo stesso atteggiamento dei due alleati NATO e voleva distogliere l’attenzione dell’opinione pubblica mondiale dai problemi del suo blocco. Su quest’ultimo aspetto Alessandro Brogi afferma:

i rappresentanti italiani, e Martino in particolare, assunsero una posizione prudente, concordando con Washington sulla necessità immediata di ristabilire la pace nel Mediterraneo, ma ritenendo essenziale innanzitutto contribuire a unire nuovamente quei tre grandi che oggi sono profondamente divisi. Non a caso, il ministro degli Esteri si distinse in misura molto maggiore rispetto agli altri leader nei consigli interalleati e alle Nazioni Unite per la sua dura

condanna dei paralleli eventi ungheresi137.

Di rientro da New York, il giorno prima dell’Assemblea generale dell’ONU del 24 novembre in cui si doveva votare la mozione sul ritiro delle truppe anglo-francesi da Suez, Martino riferì al presidente del consiglio il suo lavoro svolto alle Nazioni Unite sino a quel momento:

alle Nazioni Unite abbiamo difeso con il massimo vigore la politica di cui è strumento questa grande organizzazione. È giusto che le Nazioni Unite abbiano posto fine alle ostilità in terra egiziana, come premessa necessaria per la risoluzione dei problemi di fondo da cui è nata la grave situazione in quel delicato settore; per le stesse ragioni, è indispensabile che esse intervengano in Ungheria. Se le Nazioni Unite adoperassero due pesi e due misure, perderebbero

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fatalmente il consenso di quelle grandi forze morali che sono diffuse in ogni Paese.

A Nuova York, un buon lavoro è stato fatto e i frutti si vedranno assai presto. È bene che il popolo italiano sappia, in quest’ora di ansietà, che potremo eliminare i pericoli che minacciano il mondo se riusciremo a rendere attivo, continuo e risolutivo l’intervento delle Nazioni Unite, in ogni controversia internazionale.

Secondo le impressioni che il ministro ha espresso ai suoi collaboratori, la situazione, per quanto concerne il Medio Oriente, non sarebbe pericolosa, ma ancora poco chiara, poiché gli anglo- francesi interpretano il Corpo di polizia dell’ONU come una garanzia dell’internazionalizzazione dei Suez, e gli egiziani, invece, come una condanna dell’azione anglo-francese. Hammarskjoeld non ha ancora

trovato il punto di incontro fra queste due tesi138.

Al momento di votare l’importante mozione proposta dai paesi afro-asiatici riguardante il ritiro delle truppe anglo-franco- israeliane dall’Egitto, la delegazione italiana si astenne dal prendere posizione e non espresse il suo voto in seno all’Assemblea generale. In Italia tale decisione fu motivo di acceso dibattito all’interno del Parlamento, anche perché non in linea con quanto sostenuto, da sempre dal governo, di essere contrario ad ogni operazione militare. Questo rifiuto di non votare il ritiro delle truppe dall’Egitto mal si accordava con la politica condotta sino a questo delicato momento da Segni e Martino. Quest’ultimo nel Consiglio dei Ministri del 24 novembre espresse il suo punto di vista in merito alla situazione e alla decisione assunta dalla delegazione:

138 A. A., Martino riferisce a Segni sulla sua missione all’ONU, in ‹‹Il Corriere

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Rendere pienamente efficiente la solidarietà occidentale e risolvere i problemi di fondo del Medio Oriente: queste sono le direttive di massima che la nostra diplomazia ha seguito e intende mantenere nell’attuale situazione internazionale, e che il ministro degli Esteri ha stamane riaffermato, illustrando al Consiglio dei ministri l’opera della delegazione italiana all’ONU. Martino ha fatto un ampio resoconto dei lavori delle Nazioni Unite, sottolineando l’importanza dell’ONU e delle sue procedure per la soluzione dei problemi

internazionali. In tale ambito l’Italia ha affiancato e affiancherà

l’azione degli Stati Uniti nel Medio Oriente, tenendo contemporaneamente presente la necessità di non sminuire il prestigio anglo-francese e di non incrinare l’unità atlantica. Il ministro ha pertanto escluso un passo unilaterale italiano presso la Francia e l’Inghilterra affinché affrettino il ritiro delle loro truppe da

Suez139.

Questa fu la spiegazione data da Martino all’interno del Consiglio dei ministri durante il quale ricevette le critiche di una parte del suo partito (la corrente dei neoatlantisti), - in questo, in linea con l’opposizione comunista e socialista - non concordi con la decisione di non condannare in sede ONU quanto commesso dagli alleati NATO ai danni dell’Egitto, dopo aver ripudiato ogni intenzione di azione violenta dal 26 luglio in poi.

La critica più diretta e ficcante giunse al ministro degli esteri tramite le pagine del quotidiano di riferimento del governo e della stessa Democrazia Cristiana, ‹‹Il Popolo››, per non aver votato a favore della risoluzione afro-asiatica:

negli ultimi due giorni si sono sviluppate vivaci polemiche attorno all’astensione italiana all’ONU nella votazione di sabato scorso, che vide approvata la mozione che richiedeva energicamente l’immediato ritiro delle truppe anglo-francesi e israeliane dalle zone

139 A. A., Martino sottolinea la necessità di mantenere la solidarietà occidentale,

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occupate attorno al Canale di Suez. […] L’astensione era stata decisa dalla delegazione italiana prima ancora che l’on. Martino lasciasse New York. Secondo altri ambienti si è cercato anche di giustificare tale comportamento in base alla valutazione di ‹‹realtà che sono geografiche ed economiche prima ancora che politiche›› e con l’intento comunque di contribuire al ristabilimento della solidarietà tra i paesi dell’Occidente europeo. Il fatto è che il voto della delegazione italiana all’ONU di sabato scorso appare contraddittorio con quanto il Consiglio dei ministri poche ore prima aveva opportunamente deciso nella riunione al Viminale ove il Ministro degli Esteri aveva sottolineato che condizione necessaria per risolvere la questione egiziana e di riflesso quella del Medio Oriente è il ritiro delle forze anglo-francesi e israeliane riaffermando con ciò la necessità che l’Italia continui ad operare nell’ambito dell’ONU appoggiando l’azione degli Stati Uniti.

L’astensione italiana sulla mozione votata dall’ONU per l’immediato ritiro delle truppe anglo-francesi e israeliane non sembra d’altra parte neppure coerente con tutta la meritoria e saggia azione svolta fin qui nei mesi scorsi dal nostro Governo e da personalità del mondo politico italiano allo scopo soprattutto di garantire gli interessi del nostro Paese e ad un tempo di salvaguardare il bene supremo della pace. Del resto le stesse difficoltà economiche che cominciano a gravare anche sul nostro Paese a seguito della situazione determinatasi nella zona del Canale dovrebbero suggerire a tutti la più ferma coerenza con quella con quella politica di chiara riprovazione di ogni ricorso particolare alla forza e di totale fiducia nell’intervento generale dell’ONU, politica che alla suprema dei fatti si è fin qui dimostrata consona agli interessi del nostro Paese e nello stesso tempo condivisa dalla stragrande maggioranza della Nazioni Unite140.

Il 29 novembre mattina, a seguito della discussione politica che si creò in Parlamento relativamente all’astensione italiana all’Onu, il Senato decise di votare la fiducia al governo sulla politica estera. Dopo aver incassato il voto di fiducia, l’onorevole Martino pronunciò ai senatori il suo discorso difendendo la sua scelta:

L’azione delle Nazioni Unite nella crisi egiziana, azione alla quale l’Italia ha attivamente partecipato, ha avuto nella prima fase il più

140 Oggi il Senato inizia il dibattito sui maggiori problemi di politica estera, in ‹‹Il

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soddisfacente successo, conseguendo sia la cessazione delle ostilità che l’invio di un corpo internazionale in Egitto. La previsione da lui fatta il 6 novembre, secondo cui la crisi egiziana sarebbe stata il banco di prova delle Nazioni Unite, è stata dunque confortata dai fatti, poiché l’ONU ha dato prova della sua autorità e di un intervento efficace. Raggiunto il primo obiettivo e superato il momento pericoloso, occorrerà affrontare la fase più difficile risolvendo i problemi da cui è nata la crisi: nel frattempo avrà luogo lo sgombero delle truppe anglo-francesi che, essendo stato accettato dai Governi interessati, non presenta difficoltà salvo che nei modi e nei tempi di attuazione. […] La posizione assunta dalla delegazione italiana è il risultato della meditata decisione del Governo. L’Italia aveva già votato a favore della precedente risoluzione, chiedendo il ritiro delle forze anglo-francesi; successivamente, il Governo francese e quello del Regno Unito aderirono all’invito dell’ONU e decisero lo sgombero dell’Egitto; la nuova risoluzione, anche per la forma con cui era redatta, aveva solamente un chiaro significato polemico nei confronti della Francia e della Gran Bretagna, mentre nulla aggiungeva alle precedenti risoluzioni adottate dall’Assemblea. […] Astensione che non significa davvero che sia mutata la valutazione italiana degli avvenimenti del Vicino Oriente, né che si sia voluto procedere per tentativi. Del resto, il Governo italiano non aveva mai mancato di far conoscere il suo chiaro pensiero, favorevole allo sgombero delle forze armate anglo-francesi dal territorio egiziano, pur tuttavia senza disconoscere la giusta esigenza che ciò avvenisse parallelamente e contemporaneamente all’arrivo in territorio egiziano del Corpo di polizia dell’ONU. […] Occorre quindi eliminare, attraverso la via che passa per le Nazioni Unite, tutto quanto c’è di pericoloso nell’ambito del Vicino Oriente, rendendo possibile la convivenza pacifica di tutti i popoli, ivi compreso quello Stato di Israele che deve la sua origine e la sua esistenza proprio ad una decisione dell’ONU e che deve poter essere posto nelle condizioni di vivere pacificamente e di essere un elemento di progresso e di

equilibrio, tanto nell’ambito interno quanto nell’ambito

internazionale141.

L’intenzione del ministro degli esteri era quella di non arrivare ad una crisi diplomatica con i governi di Londra e Parigi, evitando una rottura insanabile e irreversibile con i principali esponenti di una

141 Il Senato conferma la fiducia al Governo a conclusione del dibattito sulla

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possibile futura unità europea. Sin qui aveva lavorato e condotto la sua politica estera proseguendo il cammino intrapreso da Alcide De Gasperi: riabilitare l’Italia agli occhi dei vincitori e renderla un fedele satellite degli Stati Uniti; una valida risorsa per un’Europa unita e coesa al suo interno. Così Alessandro Brogi commenta le scelte del ministro siciliano:

Martino, appoggiato dai vertici del ministero degli Esteri e dagli ambasciatori a Parigi e Londra, non voleva quindi esasperare il contrasto con i due alleati europei per non rendere ancora l’Italia bersaglio del loro rancore, per non lasciare che l’“entente anglo-

francese” si consolidasse e compromettesse il processo di

integrazione europea così ardentemente da lui sostenuto ma che già avanzava in un clima distratto e, forse come ragione principale, per tema che la rottura anglo-francese con gli Stati Uniti si risolvesse in

un nuovo agonizing reappraisal, il ‹‹riesame straziante›› che

avrebbe riproposto tentazioni isolazioniste dell’amministrazione

Eisenhower142.

Un velato richiamo polemico alla scelta del governo Segni di non condannare totalmente l’attacco anglo-francese, arrivò direttamente dal Presidente della Repubblica Gronchi a margine di