• Non ci sono risultati.

Il sacro: tra antropologia e psicanalis

1.2 La dialettica dell’avvenimento come principio di individuazione 1 Brevi precisazioni introduttive

1.2.3 Il sacro: tra antropologia e psicanalis

Giove, metafora del sacro, è «il più ambiguo e profondo e doppio e vermaquilino dei sensi, l’oscura continua negazione della libertà e dell’arte, e, insieme per contrasto, il generatore continuo della libertà e dell’arte» (PL, 132). Il sacro, avvertito dall’uomo, come qualche cosa di inesprimibile e di ineffabile, ingenera una duplice dinamica che si polarizza in due opposti: la negazione della libertà (e quindi dell’arte) e la sua generazione. Prendendo in prestito un vocabolo tratto dalla psicoanalisi freudiana, Levi definisce il sacro come ambivalente67. Infatti, esso viene esemplificato, secondo il neologismo di Levi, dal termine «vermaquilino»68, per metà verme e per metà aquila, dove il primo simboleggia l’attaccamento alla terra e quindi all’oscurità umida della madre69 (in altre parole

67 Cfr. S. Freud, Il tabù e l’ambivalenza emotiva, in Id., Totem e tabù (1912-1913), Torino, Bollati

Boringhieri 2010.

68 È interessante notare come Calvino, in una breve recensione, datata 15 dicembre 1946 e

pubblicata sull’«Unità», ritenga che il linguaggio di Levi sia «d’un estetismo pieno di intelligenza e con una compiacenza di patologismo un po’ decadentistica: l’aggettivo vermaquilino nella prima pagina di Paura può sintetizzare efficacemente il tono». In I. Calvino, Paura della libertà, in Id.,

Saggi 1945-1985, a cura di M. Barenghi, Vol. 1, Milano, Mondadori 1995, p. 1116.

69 Stazzone afferma correttamente che «l’indifferenziato assume dunque la duplice forma del

regressus ad originem» o del «metaforico ritorno ad uterum». In D. Stazzone, Il romanzo unitario dell’infinita molteplicità. Carlo Levi e il ritratto, cit., p. 53.

la regressione e l’incapacità di evolversi dell’individuo); mentre il secondo è immagine della spinta autonomistica dell’uomo verso la libertà e la poesia70. Su questa bipolarità, caratteristica del sacro e presentata fin dall’incipit dell’opera, si gioca l’interezza delle successive argomentazioni che andranno ad ampliare e a sviscerare questo elementare, nel senso di primitivo, meccanismo presente in tutti gli esseri umani. Modello teorico di riferimento71 dell’essenziale passo di Paura della libertà è il testo di Rudolf Otto72, Il sacro (Das Heilige), pubblicato nel 1917 e tradotto in Italia nel 1926 da Ernesto Bonaiuti. Secondo Otto il sacro, che si fonda sulla categoria del Numinöse (il numinoso), «costituisce l’intima essenza di ogni religione, senza la quale religione non sarebbe»73. Esso non può essere

colto per mezzo di un approccio concettuale, ma attraverso la descrizione dell’esperienza che provoca nell’animo dell’homo religiosus. Lo storico delle religioni, Julien Ries, in base al testo di Otto, distingue quattro passaggi che conducono alla comprensione della categoria del sacro. Il primo, das Kreaturgefühl, consiste nel sentimento provocato nell’uomo dal contatto con la realtà numinosa. Segue il tremendum, ovvero la potenza numinosa (potestas) del sacro a causa della quale l’individuo esperisce un sentimento paragonabile al timore demoniaco, all’orrore panico o all’inquietante. Accostato all’aggettivo tremendum, Otto pone il sostantivo mysterium, che, tratto dalla mistica, indica che il sacro è ineffabile per definizione: il suo apparire non può essere definito, ma solo esperito. Non esprime, dunque, un sentimento razionalizzabile, ma qualche cosa di assolutamente altro che irrompe nella coscienza degli uomini. A completare la definizione di mysterium tremendum, Otto accosta un altro aggettivo che si ricollega, insieme con il primo, alla semantica della percezione: il fascinans74. Il sacro attrae, affascina e attira l’individuo nelle maglie della propria

70 Giova ricordare quanto scrive il Bronzini che, pur non approfondendo in modo minuzioso,

ricollega l’ambivalenza del sacro ai fondamenti della religione ebraica: «I fondamenti di tale bipolarità del divino e dello stretto rapporto tra filosofia e poesia provengono dalla concezione religiosa giudaica». In G. B. Bronzini, Il viaggio antropologico di Carlo Levi: da eroe

stendhaliano a guerriero birmano, cit., p. 183.

71 La Galvagno suggerisce la lettura, da parte di Levi, delle tesi di Otto per mezzo di alcune

riflessioni di Caillois contenute in R. Caillois, L’uomo e il sacro, Torino, Bollati Boringhieri 2011. Cfr. R. Galvagno, Carlo Levi, Narciso e la costruzione della realtà, cit., p. 110 (n. 20).

72 Uno dei primi critici a sottolineare l’importanza di Otto nel pensiero di Levi è stato Tedeschi in

M. Tedeschi, Carlo Levi e la civiltà contadina, in R. Contarino-M. Tedeschi, Dal fascismo alla

Resistenza, Roma-Bari, Laterza 1980, p. 152. Sull’argomento ritorna anche la Galvagno in Carlo Levi, Narciso e la costruzione della realtà, cit., p. 110.

73 R. Otto, Il sacro. L’irrazionale nell’idea del divino e la sua relazione al razionale, Milano,

Feltrinelli 1984, p. 18.

suggestione; tuttavia, il nocciolo della dinamica che intercorre tra l’aspetto fascinans e quello tremendum del sacro, è racchiuso in una stringente ambivalenza, che è l’aspetto che attira maggiormente l’attenzione di Levi nei confronti del pensiero di Otto: l’individuo è, sì, affascinato dalla potenza evocata dal numinoso, ma al contempo ne è spaventato e pertanto dà vita alle pratiche religiose che tentano di disciplinarlo e confinarlo. «Il sacro – commenta Levi –, che è l’aspetto stesso del terrore, si fa legge, per salvarsi da se stesso» (PL, 132). Dalla sua origine nell’animo dell’uomo segue la nascita degli dei, dei demoni e delle religioni, secondo una scala quantitativa per cui più il senso del sacro è pressante e più gli dei circondano da vicino l’uomo; più esso si attenua e più questi si trasformano in presenze distanti e lontane nei cieli.

Esso – scrive Otto – nella forma del «timore demoniaco» costituisce indubbiamente il sigillo caratteristico della cosiddetta “religione dei primitivi” come primo e rozzo impulso. Tale impulso e il mondo fantastico cui esso dà luogo sono più tardi oltrepassati e spodestati da forme più evolute dell’emanazione numinosa che eruppe da prima in quelle forme, con tutto il suo potere misteriosamente efficace. Ma anche là dove questa emozione ha da tempo toccato le sue più alte e pure espressioni, possono pur bene di nuovo divampare i suoi primordiali tipi di eccitazione ed essere di nuovo rivissuti. […] Nei suoi stadi più elevati il sentimento del Numinoso è nettamente diverso dal puro terrore demoniaco. Ma né pure in essi scompare la traccia della sua scaturigine e delle sue interferenze. Anche là dove la credenza nei démoni ha raggiunto il livello della fede negli dèi, mantengono gli dèi quali «numina» qualcosa sempre di «spiritico». E precisamente il carattere differenziale dell’«inquietante» che forma persino parte della loro «sublimità» o da essa è simboleggiato. Tale momento non scompare né deve scomparire né pure nelle forme più alte dell’esperienza, quando la fede in Dio ha raggiunto il culmine della sua purezza75.

Il passo, che presenta notevoli affinità ad alcune considerazioni leviane, confluisce in un paragrafo di Paura della libertà in cui viene specificato quanto scritto da Otto.

Tanto più – commenta Levi – affiorerà alla coscienza il sacro informe, tanto più le forme religiose nelle quali troverà fine e ricetto saranno incerte, terrestri e molteplici. Tanto più il sacro sarà relegato nel profondo, e nascosto, tanto più alto in cielo si alzeranno gli dei, quando in noi il sacro sarà ridotto a un punto vivo ma remotissimo, a un centro solo e celato, il dio unico si nasconderà al di là delle nuvole, fuori del tempo e dello spazio, nell’assoluta trascendenza. (PL, 133)

L’irruzione improvvisa di un sentimento tremendo e fascinoso costituisce la conditio sine qua non per la formazione della religione, che è dunque un prodotto succedente al sacro in quanto manifestazione emozionale e perturbante. Vista la cospicua mole di trattazioni dettagliate sul sacro, Levi compie una scelta strutturale che ricalca quella operata da Roger Caillois ne L’uomo e il sacro, comparso in Francia nel 1939 per Gallimard. Il testo, cui Levi ha probabilmente avuto accesso durante il suo ‘esilio’ francese nel 1939, enuclea i punti centrali del rapporto tra l’uomo e il sacro non per mezzo della sua «inesauribile morfologia» – come si legge nella Premessa all’opera – ma attraverso l’analisi della sua «sintassi»76. Il tentativo di Levi in Paura della libertà risponde a questa necessità,

mostrando come l’aspetto terrifico del sacro venga trasformato (sia nelle sue manifestazioni individuali che collettive) in un’entità meno ineffabile e, pertanto, sublimato in un controllo ossessivo e in una ripetizione liturgico-religiosa:

Esperienza del sacro – scrive lo storico Stefano Levi Della Torre – è l’incontro turbolento con dimensione del mondo, della storia, di noi stessi che non sappiamo contenere e comprendere; trauma che trapassa i confini che definiscono le cose, induce un cambiamento di stato, una trasfigurazione. Come Giacobbe che lotta con l’angelo, e ne esce zoppo e con un altro nome, Israele. Al sacro, il religioso si oppone come la cicatrice alla ferita, come il placebo al dolore, la misura allo smisurato, il previsto all’imprevedibile. Funzione del religioso è il dominio sul sacro; l’atto sacramentale evoca il sacro per negativo: proprio in quanto lo previene inscrivendolo in una norma e in un ritmo rituale, ne è sintomo, lo segnala come gli anticorpi segnalano un perturbamento dello stato fisico77.

L’antropologo H. Hubert sostiene, a questo proposito, che «la religione è l’amministrazione del sacro»78, affermazione che Caillois così commenta: «Non si potrebbe rilevare con più forza fino a che punto l’esperienza del sacro vivifichi l’insieme delle varie manifestazioni della vita religiosa. Quest’ultima si presenta come l’insieme dei rapporti tra l’uomo e il sacro. Le credenze li espongono e li garantiscono. I riti sono i mezzi che li confermano sul piano pratico»79. Dalla definizione si evince come l’interesse di Caillois sia rivolto alla relazione che intercorre tra l’individuo e il sacro e sulla quale è fondata la vita religiosa.

76 R. Caillois, L’uomo e il sacro, cit., p. 10.

77 S. Levi Della Torre, Zone di turbolenza: intrecci, somiglianza, conflitti, Milano, Feltrinelli 2003,

pp. 16-17.

78 R. Caillois, L’uomo e il sacro, cit., p. 13. 79 Ivi, p. 14.

L’aspetto relazionale, ripreso dall’antropologia di Lévy-Bruhl80, dimostra come, in discontinuità con la scuola durkheimiana, Caillois ritenga che il sacro sia una proprietà mutevole che può investire gli oggetti, spostandoli dall’ambito profano verso quello sacro e viceversa. Non è, dunque, il reale in sé a essere sacro, ma lo diviene quando una forza misteriosa si sovrappone a esso: «Sotto la sua forma elementare, il sacro rappresenta dunque innanzitutto un’energia pericolosa, incomprensibile, poco maneggevole, sommamente efficace»81. Nel tentativo di costituire una vera e propria sociologia del sacro, grazie anche alla fondazione insieme con Michel Leiris e Georges Bataille del Collège de sociologie82, l’autore de L’uomo e il sacro mira a restituire all’interno del tessuto sociale francese un sacro attivo, che smuova e metta in moto le energie collettive all’insegna di una maggiore coesione sociale83: «Più di una pagina del presente volume – scrive

Caillois – si spiega con questa origine ambigua, in cui il bisogno di restituire alla società un sacro attivo, indiscusso, imperioso, divorante, si combina con il gusto di interpretare lucidamente, correttamente, scientificamente ciò che allora chiamavamo, forse con ingenuità, le risorse profonde dell’esistenza collettiva»84. Del pensiero di Caillois, Levi è affascinato dal tentativo, interno anche al Collegio di sociologia, di recuperare il sacro al fine di rivitalizzare le forze comunitarie. Tutto Paura della libertà, come si è già detto, è volto non solo alla descrizione dei meccanismi su cui è fondata la società, ma anche all’auspicio di una rigenerazione dei tessuti morti della religione sociale per mezzo della potenza originaria del sacro, così come ha rilevato Roberto Esposito all’interno del pensiero di Vico. Alla forza rigenerante del sacro Caillois ha dedicato numerose pagine della sua opera, attuando una netta distinzione tra sacro destro e sacro sinistro. Il primo, definito anche il «sacro di rispetto», racchiude tutti quei fenomeni sociali volti al mantenimento dello status quo, interno a una determinata società. Nelle società moderne, esso coincide con il principio di individuazione, a causa del quale un gruppo sociale o un singolo acquisiscono su di sé il dominio del potere. «In

80 Cfr. L. Lévy-Bruhl, La mentalità primitiva, Torino, Einaudi 1971; e Id., Sovrannaturale e

natura nella mentalità primitiva, a cura di L. Lugarini e S. Lener, Roma, Newton Compton 1973.

81 R. Caillois, L’uomo e il sacro, cit., p. 21.

82 Sulla fondazione del Collegio di sociologia s.v. l’indispensabile volume curato da D. Hollier: G.

Bataille, R. Caillois [et al.], Il Collegio di sociologia: 1937-1939, a cura di D. Hollier, Torino, Bollati Boringhieri 1991.

83 Così anche J. Ries, L’uomo e il sacro nella storia dell’umanità, cit., p. 274.

84 Il testo è tratto dalla Prefazione all’edizione Gallimard del 1963 de L’uomo e il sacro. La

citazione è stata qui ripresa da U. M. Olivieri, La traccia del sacro, in R. Caillois, L’uomo e il

definitiva, l’autorità – scrive Ries – è nata da una malattia che ha colpito la società primitiva. Attraverso una sacralizzazione, questa malattia sociale dà origine all’obbedienza. Il principio del sacro di rispetto, in vigore nella società tribale, ha ceduto il posto al sacro di dipendenza, caratteristica della società evoluta»85. Per controbilanciare la stasi generata dal sacro destro, sopravvive nella società il «sacro di trasgressione» (o sacro sinistro). Questo, per lo più incentrato sulla funzione della festa, interrompe i tabù dettati dal sacro di rispetto e, all’interno del ciclo naturale di crescita e declino, ristabilisce un nuovo ordine che «congeda il tempo logorato. Così, con i suoi eccessi, la festa è un rimedio contro il logoramento; è una ricreazione del mondo» 86. Per entrare nel tessuto

argomentativo del saggio di Levi è necessario tenere presente questi due aspetti distinti del sacro, perché a un approccio puramente superficiale potrebbe sembrare che il sacro sia esclusivamente fonte di angoscia nella percezione dell’individuo e che, pertanto, sia necessario un profondo movimento di desacralizzazione della società contemporanea. In realtà, l’autore si sofferma, spesso, sull’importanza della sopravvivenza dell’istanza sacrale nella società, come motore di coesione della comunità di uomini liberi.

Nelle pagine del saggio di Levi, il sacro possiede almeno tre sinonimi: «indifferenziato», «indistinto originario» e «caos». Questi, usati in modo alterno, sono funzionali a esplicitare il momento logico che precede la formazione delle religioni:

Il mito di generazione dal caos è veramente pieno di senso. Esiste un indistinto originario, comune agli uomini tutti, fluente nell’eternità, natura di ogni aspetto del mondo, spirito di ogni essere del mondo, memoria di ogni tempo del mondo. Da questo indistinto partono gli individui, mossi da una oscura libertà a staccarsene per prender forma, per individuarsi – e continuamente riportati da una oscura necessità a riattaccarsi e fondersi in lui. (PL, 134)

Il religioso, e quindi la religione, è il «figlio poco rispettoso del sacro» (PL, 132). Il terrore suscitato dall’irruzione del sentimento del sacro spinge l’uomo a imbrigliare il suo carattere inesprimibile e ineffabile «in fatti e in parole […]

85 J. Ries, L’uomo e il sacro nella storia dell’umanità, cit., p. 277. Sulla distinzione tra i due

aspetti del sacro, cfr. anche U. M. Olivieri, La traccia del sacro, cit., pp. XXI-XXIV.

86 J. Ries, L’uomo e il sacro nella storia dell’umanità, cit., p. 277. La ciclicità del sacro sinistro

viene esplicitata da un breve passaggio contenuto nel saggio di Levi, in cui il peccato originario viene connesso alla trasgressione di un limite che modifica l’assetto sociale: «Quello che è comune all’uomo e all’uomo, è un misterioso peccato, originario e mai commesso, una trasgressione da un limite, e da tutti i limiti, e l’angoscia dell’illimitato; finché un dio uomo verrà a liberarcene, sostituendovisi e sobbarcandosene» (PL, 135).

Religione è relegazione. Relegazione del dio nel legame delle formule, secondo la sua inafferrabile natura»87. Per mezzo di questo processo psichico, l’essenza del sacro viene compromessa in quanto ciò che è ineffabile per definizione diventa conoscibile, si aliena per divenire altro da sé negando così la sua intima natura. Questa è l’essenza della religione che ha lo scopo di consentire all’uomo di sopravvivere all’esperienza terrifica e affascinante del sacro. Già in Vico, nello specifico nella XXX° Degnità della Scienza nuova, si afferma che «’l mondo de’ popoli dappertutto cominciò dalle religioni»88. L’affermazione, che costituisce uno dei principi primi dell’opera, viene approfondita, oltre che all’interno della Metafisica poetica, sezione letta con certezza da Levi date le cospicue citazioni89,

nelle Degnità che rappresentano la sintesi dei principi teorici sui quali è fondata l’intera struttura dell’opera. In particolare, nella XXXI° Degnità Vico scrive che «nello stato eslege la Provvedenza divina diede principio a’ fieri e violenti di condursi all’umanità ed ordinarvi le nazioni, con risvegliar in essi un’idea confusa della divinità, ch’essi per la loro ignoranza attribuirono a cui ella non conveniva; e così, con lo spavento di tal immaginata divinità si cominciarono a rimettere in qualche ordine» (SN, §178). La sottomissione dei giganti a un principio di auctoritas, oltre a segnare un confine alla loro strabordante corporeità e ferinità, implica la creazione di una divinità, e quindi di una religione la cui nascita dà il via alla nuova storia e al tempo dell’uomo. Vico immagina, a questo proposito, due storie differenti, cui corrispondono due temporalità diverse: la prima coincide con la storia sacra e implica il dispiegarsi della divina provvidenza nella storia; la seconda è, invece, quella profana che è avviata non dalla nascita del mondo, ma dall’attribuzione del fulmine a una divinità. L’enfasi con cui il filosofo napoletano si dedica alla ricostruzione della storia profana dimostra che «tra le due resta uno iato incolmabile che costituisce contemporaneamente la molla e il freno dello sviluppo storico. Mentre la storia sacra si snoda senza soluzione di continuità in una forma che, appunto per la sua compiuta coincidenza col principio divino, non può definirsi a tutti gli effetti storica, quella profana si origina solo

87 Battistini commenta così la connessione tra religione e relegazione: «Anche Vico, a margine del

mito di Prometeo incatenato, […] intendendo che la religione vincola, condiziona e lega il comportamento umano, essendo il timore per la divinità un “ligamentum” (SN, §503), ovvero nelle parole concordi di Levi, il “legame stesso del sacro” e il “reciproco legame della comunanza di fronte alla divinità”». In: A. Battistinti, La presenza di Vico in “Paura della libertà” di Carlo

Levi, cit., p. 15.

88 G. Vico, Princìpi di scienza nuova, cit., p. 141: §176. 89 Cfr. C. Jørgensen, L’eredità vichiana nel Novecento, cit.

successivamente senza mai ricongiungersi alla prima»90. Questa evidente dicotomia, che attraversa tutto il percorso della Scienza nuova, viene superata dall’impostazione laica e atea di Levi che, dopo aver negato l’esistenza della provvidenza divina, si dedica in particolare alla “storia profana”91, stigmatizzando il ruolo di ogni divinità in quanto simbolo concreto della schiavitù dell’uomo. Tuttavia, la religione assolve alla salvifica funzione di disciplinamento del sacro e rende comprensibile il divenire storico, in quanto ne è il fondamento. «Senza il senso della limitazione religiosa – scrive Levi – che trascina il mondo nelle sue vie sanguinose e adorate, la storia sarebbe incomprensibile»92 (PL, 143). Giove, come si legge93 nel primo capitolo della Metafisica poetica, ha liberato gli uomini

dalla paura, ma li ha soggiogati all’interno di un sistema idolatrico in cui l’esistenza del singolo è concessa dalla perdita di una parte di sé. L’oggettivazione del sacro nel religioso neutralizza il suo carattere di inesprimibilità, permettendo all’uomo una prima forma di individuazione. Gli individui tuttavia pur tentando di distanziarsi da esso, al fine di individuarsi, sono di continuo portati a rifondersi nel sacro. Il costante «sforzo» (PL, 134), cui è sottoposto l’uomo, si colloca tra «due morti: la caotica prenatale, e il naturale spegnersi e finire». Tra questi due stati di non essere possono sorgere, tuttavia, altri due tipi di morte che si polarizzano nella seguente coppia: «il distacco totale dal flusso dell’indifferenziato, vuota ragione egoistica, astratta libertà» e «l’incapacità totale a differenziarsi, mistica oscurità bestiale, servitù dell’inesprimibile». L’uomo, posto così al centro di un campo di tensioni opposte e convergenti entrambe verso la perdita di sé, ha dinnanzi tre possibili evoluzioni che Levi sintetizza dialetticamente in «natura», «azione» e «avvenimento»94. La prima consiste nel

90 R. Esposito, Pensiero vivente, cit., p. 74.

91 Ciò potrebbe apparire in contraddizione con il fatto che Levi dedica un intero capitolo di Paura

della libertà alla Storia sacra. Come si vedrà nel seguente paragrafo, la storia sacra viene ridotta