Burocrazia, poesia e ordine sociale negli scritti di Sagara Tadatō (1430-1506?)
2.2 Scrivere di/in guerra: campi contesi e geografie di potere nello Shōjink
Gli Ōuchi raggiunsero l’apice dell’espansione al culmine del XV secolo. Tuttavia, come spesso accade, la loro supremazia “incontrastata” si affermò a fatica e fortuna lungo un terreno accidentato, seguendo percorsi tortuosi e imprevedibili. Se esaminate da vicino, le fonti dell’epoca costringono lo storico a respingere ogni narrazione teleologicamente orientata in favore di un’indagine poliedrica, che enfatizzi la multidimensionalità e la natura
in fieri del processo di costruzione e assestamento del potere. A tale scopo, sarà utile
osservare le scelte compiute da Masahiro in relazione alle mosse di altri agenti sociali, puntando lo sguardo verso le battute d’arresto, le difficoltà e gli elementi di rottura che costellarono un percorso solo in apparenza lineare, verso la conquista di un ruolo egemonico nelle regioni occidentali del paese.
Lo Shōjinki 正任記 (“Cronache di Shōjin”) restituisce uno spaccato trasversale ai diversi “campi”11 in cui Masahiro impose il proprio modello di governance, descritto dal punto di
vista privilegiato di Sagara Tadatō. Una copia autografa del testo sopravvive parzialmente negli archivi del Sonkeikaku Bunko, che ospita la ricca collezione libraria di Maeda Tsunanori (1643-1724).12 Secondo lo storico Saeki Kōji (1996) si tratta di uno dei primissimi
diari compilati da un guerriero di provincia. In quanto tale, lo Shōjinki costituisce una testimonianza preziosa ai fini della presente ricerca, poiché consente di esplorare le modalità di costruzione di un discorso storiografico-identitario sulla frontiera tra Honshū e Kyūshū. Dell’originale resta solo un mese conservato per intero, il decimo dell’era Bunmei (1478). Eppure, nonostante la sua incompletezza e laconicità di stile, lo Shōjinki fornisce dettagli di
11 Questo approccio metodologico si ispira alla “teoria dei campi” di Pierre Bourdieu (2013b, pp. 288-
289), che dimostra come diversi ambiti d’azione contribuiscano parimenti alla costruzione del sociale. Una formulazione più recente di questa teoria può essere individuata nel concetto di “rete” o network, impiegato con profitto in numerose ricerche sociologiche. Vedasi, ad esempio, Vásquez (2008).
12 Esiste una copia al Naikaku Bunko, sebbene risalga al periodo Meiji. Per quanto riguarda il
manoscritto del Sonkeikaku, un improprio lavoro di restauro ha confuso l’ordine delle pagine ostacolando gravemente la comprensione dei contenuti. Solo di recente, gli sforzi patrocinati dallo Yamaguchi Kenshi Hensanshitsu hanno prodotto una trascrizione filologicamente attendibile del testo. Tutte le citazioni e i riferimenti a seguire sono tratti da questa versione a stampa.
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straordinario interesse sulla spedizione militare degli Ōuchi.13 All’epoca Tadatō aveva
quarantanove anni e il suo signore trentatré. Masahiro si era distinto come condottiero dell’Armata Occidentale durante i conflitti Ōnin, ma la sua temporanea assenza aveva visto insorgere numerosi oppositori a Suō e nelle zone limitrofe. Lasciata la capitale, Masahiro ripiegò prontamente a ovest per sedare i ribelli, ritiratisi nella provincia di Chikuzen. Tadatō, già al suo seguito durante gli anni a Kyōto, lo accompagnò in veste di segretario e consigliere. Scrisse questo diario durante il suo soggiorno a Hakata (odierna prefettura di Fukuoka) presso il tempio Shōfukuji, padiglione Keikōan, dove con ogni probabilità Masahiro aveva stabilito il suo quartier generale.
Nonostante venga classificato come “diario militare” (jinchū nikki 陣中日記), la natura dello Shōjinki è tutto fuorché “bellicosa.” Al contrario questa cronaca, redatta in sobrio stile sino-giapponese, sembra tessere i fili di un progetto laborioso, ponendo l’accento piuttosto sull’idea di “pacificazione” della regione, violenta o meno. Un’analisi contestuale rivela l’agenda insita nel testo e getta luce sulle tattiche di controllo adottate in un territorio altamente conteso. Come si vedrà, il Kyūshū settentrionale costituiva da sempre un’area critica per gli Ōuchi, soprattutto a causa degli Shōni e della loro ostinata resistenza. Pertanto, negli ultimi decenni del Quattrocento, Masahiro dispiegò ogni strumento in suo possesso per imporre un controllo capillare sulla regione. Nelle sezioni successive definirò in maggior dettaglio le arene politiche, istituzionali, religiose, economiche e culturali in cui si svolse quest’aspra battaglia simbolico-materiale, tentando di ricostruire la narrazione che il testo offre pur nella sua frammetarietà. Introdurrò anche alcuni episodi, luoghi e personaggi, la cui conoscenza servirà da prerequisito per sviluppare una più ampia visione d’insieme. Si noterà, infatti, come questi campi fossero dotati di un altissimo grado di permeabilità e, precisamente nella loro mutua integrazione, avrebbero spianato agli Ōuchi la strada per il potere.
13 Esplorare il mondo che si estende oltre le pagine dello Shōjinki sarebbe impraticabile senza avvalersi
del paziente lavoro di ricostruzione condotto da alcuni storici giapponesi. Per le riflessioni che propongo in questa sezione, sono debitore soprattutto agli studi di Kawazoe Shōji e Saeki Kōji.
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2.2.1 Campo politico-istituzionale: rotture e suture tra le righe di un diario
Per cominciare, lo Shōjinki offre preziose informazioni sulla struttura organizzativa del clan Ōuchi quando ancora si trovava in fase di consolidamento. Dalle ceneri della guerra Ōnin emersero infatti nuovi loci di potere, che resero necessaria una profonda riconfigurazione del kashindan 家臣団, termine con cui gli storici sono soliti indicare l’assetto istituzionale delle famiglie guerriere nel tardo medioevo. Come rilevato da Spafford, tali gruppi costituiscono «the most complex and contradictory of medieval corporate identities» (2013, p. 123) e certamente gli Ōuchi non fanno eccezione.
Seguendo la classificazione proposta da Kawazoe (1998, p. 25), i soggetti del kashindan Ōuchi sono raggruppabili nelle seguenti macro-categorie: membri interni (o-uchi), vicini (kinju) ed esterni (tozama). Questa tripartizione appare sin dalle prime pagine dello Shōjinki e viene applicata per organizzare la società in anelli concentrici, come se la prossimità al capofamiglia servisse da criterio per stabilire il posizionamento gerarchico di ciascuno.
L’organo consultivo per eccellenza era il Comitato Direttivo (hyōjōshū), che insieme a un gruppo di anziani (otona) adempiva il compito di assistere il capofamiglia negli affari giuridico-amministrativi.14 Un clan guerriero, tuttavia, non era solo il prodotto di interazioni
verticali, ma anche orizzontali, che potevano coinvolgere gruppi di persone affini ma non necessariamente legate da un vincolo di consanguineità. Un posto di rilievo in questo organigramma era occupato dai magnati locali (gōzoku), dai latifondisti (kokujin) e dai proprietari terrieri minori (ikki), aggregati sotto l’egida di un daimyō che potesse garantire loro protezione militare e benefici economici. Contadini, artigiani e commercianti erano anch’essi parte di questa complessa galassia sociale.15 Lo Shōjinki rivela le traiettorie
convergenti (o divergenti) tra questi individui e istituti, cercando di orientarle verso la
14 Per il termine otona 老者 adotto la lettura proposta da Saeki (1978, p. 379, nota 238). Sempre secondo
Saeki (1982, p. 52), quella nello Shōjinki è la prima attestazione del termine hyōjōshū in qualsiasi fonte relativa al clan Ōuchi.
15 Kurashige (2011) propone una convincente analisi comparativa, mettendo in luce il funzionamento
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costruzione concertata di una comunità stabile e autonoma. In tal senso, potremmo dire che il resoconto mette in luce la natura composita del kashindan Ōuchi nel suo divenire storico.
Dal punto di vista istituzionale, la scelta più lungimirante di Masahiro per assicurarsi i territori contesi fu quella di riformare gli organi locali – un’operazione che condusse attraverso la nomina di fidati mediatori. Prendiamo Chikuzen come esempio. Agli occhi del governo centrale, gli Ōuchi erano i responsabili della provincia in quanto governatori militari (shugo). Tuttavia, questi vivevano nella lontana città di Yamaguchi, così come il vicegovernatore della provincia (shugodai), scelto direttamente dal capofamiglia tra un ristretto gruppo di vassalli (Saeki 1980). Lo Shōjinki, però, fa menzione di uffici minori che si suppone agissero in veste di sostituti ufficiali, tra cui figurano sottosegretari (shimo-
shugodai), dirigenti (daikan) e rappresentanti di distretto (gundai). Nella maggioranza dei casi,
questi funzionari erano kokujin di comprovata lealtà, inviati sul posto a riscuotere le tasse, coordinare azioni militari e risolvere i contenziosi. Sempre dalle pagine dello Shōjinki si inferisce come questa parcellizzazione delle responsabilità abbia portato alla formazione di un sistema altamente localizzato ed efficiente.
Prima di procedere con l’analisi del testo, sarà utile abbozzare una storia degli Ōuchi in Kyūshū a partire dalla generazione di Yoshihiro (1356-1400), quando le loro mire espansionistiche assunsero forma concreta.16 Durante il periodo Nanbokuchō, il governo
centrale nominò Imagawa Ryōshun 今川了俊 (1326-1420) suo rappresentante ufficiale in Kyūshū (tandai), assegnandogli il compito di sradicare le ultime frange legate alla Corte del Sud. Hiroyo, allora a capo degli Ōuchi, mandò il figlio adottivo Yoshihiro ad assistere Ryōshun in questa missione. Come ricompensa, tre anni dopo Yoshihiro fu insignito del protettorato su Buzen. Questo episodio segnò il primo passo verso una più decisa politica di intervento nella regione. Non appena Ryōshun fu rimosso dall’incarico, Yoshihiro assunse il controllo del commercio con la Corea, ma la crescente ostilità del bakufu –
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culminata con la Ribellione Ōei – e la sua prematura scomparsa in battaglia produssero una momentanea battuta d’arresto.
Risolta una disputa interna per la successione, fu il fratello di Yoshihiro a ereditare il titolo di capofamiglia. Le ambizioni territoriali degli Ōuchi esplosero di nuovo con Moriakira (1377-1431), ma gli Shōni vi si opposero risolutamente. Il loro clan discendeva da Mutō Sukeyori, un gokenin di Minamoto no Yoritomo, e poteva contare su una solida rete di legami in loco. Come pure lo Shōjinki testimonia, gli Shōni divennero la principale nemesi degli Ōuchi e l’escalation di tensione tra le rispettive fazioni raggiunse il culmine proprio all’epoca di Masahiro. Nel 1425, mentre Moriakira si trovava alla capitale, Shōni e Kikuchi attaccarono in tandem il suo quartier generale, ma senza successo. Sbaragliati i nemici, Moriakira godette di piena autonomia nel proporre Shibukawa Mitsunao come nuovo tandai del Kyūshū, confidando in un candidato facilmente manipolabile ai suoi scopi. Tuttavia, una lega anti-Ōuchi tra Shōni, Kikuchi e Ōtomo insorse nuovamente contro l’“invasore” e nel 1431 eliminò Moriakira in battaglia.
A seguirne le orme fu Mochiyo (1394-1441), che con l’appoggio del sesto shōgun Ashikaga Yoshinori riportò in auge le sorti della famiglia istituendo a Chikuzen i primi rappresentanti distrettuali. Inoltre, cercò di assicurarsi l’appoggio delle corporazioni mercantili, dei templi e dei kokujin di Hakata – una strategia che anche Masahiro avrebbe perseguito e potenziato. Tuttavia, il governo di Yoshinori terminò ex abrupto col colpo di stato dell’era Kakitsu e Mochiyo, che quel giorno faceva parte della scorta shogunale, rimase gravemente ferito e morì poco dopo l’incidente.
Gli successe Norihiro (1420-1465), che oltre all’eredità di famiglia raccolse anche il progetto d’espansione in Kyūshū. Questi avrebbe dovuto affrontare una coalizione tra Shōni Noriyori, Ōtomo Mochinao e il dissidente Ōuchi Noriyuki, ma la nomina di Niho Moriyasu a vicegovernatore di Chikuzen lascia supporre che alla fine fu Norihiro ad avere
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la meglio.17 Nello stesso periodo, Shōni Noriyori fuggì sull’isola di Tsushima trovando
rifugio presso il clan dei Sō, mentre gli Ōuchi assunsero il controllo sulle rotte commerciali estere. Col supporto di Norihiro, un primo convoglio salpò alla volta della Cina Ming nel 1453 e – stando a un editto dello Ōuchi-shi okitegaki (art. 10) – entro l’inizio del decennio successivo l’autorità degli Ōuchi si era ormai estesa fino a Hizen.
Norihiro morì nella provincia di Iyo, dove si era recato per sostenere una rivolta contro l’esercito shogunale a guida Hosokawa. Nel 1465 Masahiro subentrò alla guida della famiglia e due anni più tardi, con lo scoppio della guerra Ōnin, si trasferì a Kyōto, dove assunse il comando dell’Armata Occidentale per conto degli Yamana. Tuttavia, la stabilità della sua leadership fu messa a repentaglio a causa di una ribellione interna provocata da suo zio Noriyuki, che, approfittando della temporanea assenza di Masahiro, tentò ancora una volta di impadronirsi del potere. Sembra che in quel frangente gli Hosokawa abbiano agito da eminenza grigia al fine di creare un diversivo, fomentando da lontano la rivolta. D’altra parte, è lecito supporre che Noriyuki stesse tramando vendetta già dai tempi di Norihiro, perciò mosse il suo attacco non appena riuscì ad assicurarsi l’appoggio di Ōtomo Chikashige e del già citato Niho Moriyasu. Con ogni probabilità, Masahiro avrebbe perso questo scontro se non fosse stato per la prontezza di Sue Hiromori 陶弘護 (1455-1482),18 allora
vicegovernatore e suo diretto rappresentante a Yamaguchi. Le truppe di Hiromori, infatti, respinsero Noriyuki a Buzen e ne annientarono la minaccia.
Questa lotta intestina non rappresentò l’unico rischio alla precaria stabilità del clan. Appena Masahiro partì per Kyōto, anche gli Shōni si lanciarono all’assalto per cacciare da
17 Niho Kaga no kami Moriyasu è menzionato due volte nell’antologia di Shōkō (Shōkashū, KT n. 621
e n. 677), quando il funzionario si unì al poeta durante il suo pellegrinaggio in Kyūshū. Con ogni probabilità, Moriyasu scortò Shōkō attraverso Chikuzen in qualità di vicegovernatore della provincia. Sembra che Moriyasu mantenne questa posizione sotto il regno di Masahiro almeno fino alla metà degli anni Settanta, quando si macchiò di tradimento spalleggiando la ribellione di Ōuchi Noriyuki. Per uno studio sul potere degli Ōuchi letto attraverso le fonti letterarie, vedasi Tsurusaki (1974).
18 Tadatō mostra un certo rispetto nei suoi confronti chiamandolo “Signore” (dono). Peraltro, il tempio
zen Ryūhōji possiede un prezioso ritratto di Hiromori ad opera di Sesshū Tōyō, accompagnato da un lungo elogio alle sue virtù civili e militari. Come vedremo, tuttavia, questa immagine di servitore ideale semba essere il frutto di un’idealizzazione postuma, che riduce al silenzio i contrasti insorti con l’amministrazione di Masahiro.
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Chikuzen gli acerrimi rivali. Fiancheggiato da Sō Sadakuni, Shōni Yoritada colse il momento per riconquistare terreno e nel 1469 occupò le città di Dazaifu e Hakata. Intanto alla capitale, verso la metà degli anni Settanta, una riconciliazione con lo shōgun Ashikaga Yoshimasa ammorbidì le tensioni tra i rispettivi schieramenti e nel 1477 Masahiro si vide ripristinato d’ufficio il governatorato sulle province di Suō, Nagato, Buzen e Chikuzen. Oltretutto, gli vennero affidati alcuni incarichi amministrativi presso Aki e Iwami, espandendo virtualmente la sua autorità a tutto il Chūgoku. La guerra Ōnin giungeva al termine, ma altre sfide attendevano Masahiro al suo ritorno in patria. Nell’ottavo mese dell’anno Bunmei 10 (1478) prese la guida del suo esercito, salpò verso il Kyūshū e in poco più di un mese ribaltò la situazione sconfiggendo i nemici Shōni. Qui è dove inizia la storia dello Shōjinki.
Masahiro si trattenne a Hakata fino al settimo giorno del dodicesimo mese per consolidare la posizione conquistata (Kawazoe 2003, p. 201). In effetti, molti erano i problemi irrisolti e la “pacificazione” di Chikuzen tutt’altro che completa. Il diario di Tadatō riporta ciò che accadde durante il decimo mese di quell’anno, gettando luce sulle complesse dinamiche di potere imbastite da Masahiro per assicurarsi il primato sulla regione. Scendendo nel merito, si osserva come la sua preoccupazione più urgente fosse arginare la minaccia dell’asse Shōni–Sō. In data 10.2⑨,19 lo Shōjinki riporta dell’uccisione di un certo
Sō Samanosuke, la cui testa fu presentata come trofeo a Sue Hiromori, e pochi giorni più tardi informa che il tandai Shibukawa Noritada scrisse di suo pugno una lettera per comunicargli una possibile strategia contro gli Shōni. Il 10.13④, un messaggero di Noritada fornì notizie sulle truppe nemiche sopravvissute e sul loro probabile nascondiglio, auspicando un intervento tempestivo. Annotazioni simili (10.27⑫; 10.30②) suggeriscono che le forze degli Ōuchi stessero continuando a incalzare i nemici, e questo è forse il motivo per cui l’alleanza tra Sō e Shōni iniziò a sgretolarsi. In una nota al giorno 10.12⑤, Tadatō
19 Per ragioni di chiarezza espositiva, ogniqualvolta mi riferisco a un passo dello Shōjinki ometto
volutamente il riferimento all’anno. Di conseguenza, seguendo l’ordine giapponese, “10.2” sta per “il secondo giorno del decimo mese” del 1478. Ogni giornata del diario è organizzata in forma di elenco (hitotsugaki) e il numero cerchiato indica la voce specifica in cui quell’informazione appare.
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osserva come Sō Sadakuni avesse ormai preso le distanze dal suo associato e riferisce del “compiacimento” (go-shūchaku) di Masahiro.
Tuttavia, nonostante gli Shōni fossero stati respinti, Tadatō segnala altre difficoltà. Tra lotte di strada e insubordinazioni, infatti, la crisi sul fronte alleato pare non fosse meno acuta. Per esempio, una lotta di successione nei clan Asō e Chiba mise a dura prova la loro intesa con gli Ōuchi (10.17③). Masahiro cercò di estinguere i potenziali focolai intervenendo direttamente nelle dispute interne ai vari gruppi per assicurarsi il loro appoggio. Parallelamente, cercò di ampliare la sua base d’appoggio intrecciando nuove alleanze con le famiglie Akizuki, Senju, Harada, Munakata, Katsuki, Nakama e Kawazu – per nominare solo le più rilevanti. Nello Shōjinki leggiamo di come i loro massimi esponenti avrebbero reso omaggio al nuovo signore di Hakata, riconoscendone l’autorità.
L’episodio più interessante, tuttavia, resta l’impasse diplomatica che coinvolse Masahiro e il “fidato” Sue Hiromori. Apparentemente, la crisi assunse una portata tale che quest’ultimo arrivò a minacciare la proprie dimissioni dalla carica di vicegovernatore. Tadatō riporta che Masahiro in persona visitò l’accampamento di Hiromori nel tentativo di dissuaderlo (10.23⑨). Le ragioni della contesa pare siano da ricercare nello scontro avvenuto tra Hiromori e l’influente clan degli Iida, in particolare nella lite che esplose durante la notte del 10.15, quando Yamaga Iki no kami, assistente personale di Iida Hirohide, fece giustiziare per strada l’uomo che offriva rifugio a Hironaka Genshirō, un subalterno di Hiromori. In cerca di vendetta, Genshirō attaccò a sua volta un membro della scorta di Yamaga e diede fuoco alla sua casa con l’aiuto di un certo Tada Tōzaemon no jō. Sembra che all’epoca Yamaga fosse responsabile della sicurezza cittadina e, come scusante, avrebbe incolpato la vittima di crimini tanto gravi da meritare una punizione esemplare. Ciononostante, il suo comportamento venne interpretato come un atto di insolenza nei confronti di Hiromori.
Il sanguinoso incidente sollevò quindi un problema ben più serio. Gli Iida, infatti, occupavano da anni un ruolo dirigenziale nell’area di Hakata e potevano contare su
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preesistenti legami comunitari. D’altro canto, Hiromori si era trasferito in Kyūshū solo di recente per combattere gli Shōni. Il suo improvviso estraniamento dà adito all’ipotesi che il disaccordo tra i due adombrasse un più profondo malcontento per le politiche locali di Masahiro. In effetti, pare fossero molte le questioni in sospeso tra i due: ad esempio, Hiromori aveva chiesto più volte un compenso per i suoi uomini e Tadatō era stato inviato il giorno 10.10⑥ a contrattare con lui i termini e le condizioni. La settimana dopo, lo stesso Masahiro avrebbe tributato a Hiromori una visita “inaspettata” (hakarazaru on’ide, 10.19①). La conversazione restò privata e i dettagli oscuri persino a Tadatō, ma apparentemente la situazione si era fatta “ingestibile” (kanaigatashi, 10.20④ e 10.23⑨) e Hiromori avrebbe senz’altro lasciato l’incarico se Masahiro non avesse perseverato. Dopo estenuanti trattative, Tadatō riporta i vincoli imposti dal vicegovernatore per ritrattare la sua posizione:
[Masahiro] offre il Suo responso alle cinque richieste avanzate da Bishū [Hiromori] il ventitreesimo giorno. Tutto si è svolto senza ostacoli:
1. Il posto di vicegovernatore [sarà mantenuto] fino al prossimo anno; 2. [Approvata] una ricompensa per gli uomini della provincia [di Chikuzen]; 3. [Risolte le] questioni sui territori sotto la giurisdizione del governatore; 4. Questioni relative alla baia [di Hakata];
5. Altri affari d’ordine pubblico. (Shōjinki, 10.26⑦)
Sfortunatamente nulla di preciso è dato sapere sulle clausole sopraelencate. È plausibile, però, che Masahiro abbia discusso con Tadatō e gli altri consiglieri quali strategie adottare per riconquistarsi la fiducia di entrambi i Sue e gli Iida, il cui appoggio era indispensabile per tenere Hakata (e gli Shōni) sotto scacco. Come promesso, Hiromori si congedò l’anno successivo lasciando il titolo di shugodai al fratello minore Hiroaki. In conclusione, l’arte della diplomazia appianò le asperità più rimarchevoli, scongiurando una rottura brusca dei rapporti interclan.
Nel complesso, l’agilità con cui Tadatō si mosse sul campo politico dice molto della sua autoconsapevolezza come consigliere, portavoce e negoziatore. A una prima lettura, gli appunti del suo diario appaiono freddi e lucidamente obiettivi, ma abbiamo constatato