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Scrivere per servire, servire per scrivere: sulla fisionomia sociale del guerriero-funzionario

Burocrazia, poesia e ordine sociale negli scritti di Sagara Tadatō (1430-1506?)

2.6 Scrivere per servire, servire per scrivere: sulla fisionomia sociale del guerriero-funzionario

[Questo componimento fu] inviato all’ex-signore di Tōtōmi, Fujiwara Tadatō, quando un incendio divampato vicino casa sua si placò subito dopo:

すむ人の心の水の清きにやもゆるほのほもとほざかるらん

Sumu hito no Sarà stata l’acqua pura

kokoro no mizu no effluvio del limpido cuore

kiyoki ni ya di colui che vi dimora?

moyuru honoho mo Già recedono lontano

tōzakaru ran quelle fiamme distruttrici. (Shūjinshū, KT n. 1016)

In questa poesia, forse risalente agli anni del suo soggiorno a Kyōto, Ōuchi Masahiro paragona a uno zampillo d’acqua limpida la lealtà che “sgorga” dall’animo incorrotto di Sagara Tadatō. Il componimento gioca sull’ambivalenza del termine sumu, che può assumere sia il significato di “abitare” 住む sia quello più astratto di “essere terso, cristallino” 澄む. Le virtù dell’uomo, insomma, sono dette in grado di tenere a bada i pericoli del fuoco, metafora allusiva alle sfide che il capofamiglia Ōuchi – con l’aiuto indefesso del suo fedele segretario – avrebbe dovuto affrontare nel corso di una formidabile carriera politica. L’immagine dell’acqua che “allontana” le fiamme (tōzakaru) sembra legarsi peraltro al titolo onorifico di Tadatō, signore di Tōtōmi 遠江, la provincia della “baia lontana”36 – un

artificio retorico con cui il signore riconosce e celebra gli straordinari meriti del suo vassallo. Anni dopo, Tadatō avrebbe ribadito il suo totale investimento in questo rapporto di servizio componendo un’elegia sulla prematura scomparsa di Masahiro, come attesta lo scambio

36 Lo stesso gioco di parole tra il toponimo Tōtōmi e il verbo “allontanare” si trova anche in un

componimento di Abutsuni in Shokukokinshū, KT n. 933; nel Makura no sōshi (NKBZ 18, p. 451); oppure nel capitolo 15 dello Heichū monogatari (NKBZ 12, p. 479). È del tutto plausibile, quindi, che l’accostamento di Masahiro non sia frutto del caso. Sull’immaginaria lotta tra acqua e fuoco, è interessante operare un confronto con una poesia dello Shigeyukishū, KT n. 94: “Anche il ponte di Hamana, che pur si erge sulle acque, è andato in fiamme: perché mai le onde non le avranno spente?” (Mizu no ue no | Hamana no hashi mo | yakenikeri | uchiketsu nami ya | yorikozarikemu). Da notare che Hamana è uno dei più famosi utamakura di Tōtōmi.

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registrato nell’elogio funebre Ashita no kumo あしたの雲 (“Nuvole al mattino”) ad opera

del famoso poeta Kensai:

Shōjin Hōshi [Tadatō] – che da quando era giovane aveva servito [Masahiro] giorno e notte, finanche nella malattia e sul capezzale – mi scrisse della sua indisposizione. Insieme alla sua lettera, ricevetti questa:

くるしむも中々嬉しかゝらすはなきみかけをや猶も忘れん

Kurushimu mo Persino il dolore

nakanaka ureshi può arrecare gioia.

kakarazu wa Ché, se così non fosse,

naki mikage o ya scorderei forse la perduta

nao mo wasuren luce del Suo volto?37 (GR 29, p. 438)

Il componimento ribadisce la dedizione di Tadatō e la sua profonda empatia con Masahiro. Il cordoglio è tale da tramutarsi in malessere fisico – benché si tratti di una sofferenza benaccetta, nella misura in cui suggella il legame indissolubile tra servo e padrone.

Nella prima parte di questo capitolo mi sono dilungato sul caso dello Shōjinki per offrire una panoramica sulle contrapposte forze che attraversarono l’arena politica del Giappone sud-occidentale al volgere del XV secolo. Come abbiamo constatato, in questo diario Tadatō annota con meticolosità certosina ogni dettaglio sulla campagna di conquista del Kyūshū e lo fa con la pretesa di redigere un resoconto oggettivo dei fatti. Ogni volta che parla del suo coinvolgimento attivo, utilizza la terza persona come se fosse un osservatore esterno. Ipoteticamente, se mancasse il riferimento sul frontespizio, avremmo persino difficoltà a individuare l’autore del testo. Un simile distanziamento sembrerebbe contraddire la natura “intimista” che di norma è attribuita al diario, in quanto genere letterario concepito come messa in pagina di un’esperienza personale.

Il profilo di Tadatō appare sbiadito a una prima impressione e i suoi sforzi dediti soltanto alla supervisione del governo di Chikuzen. Tale pratica richiedeva verosimilmente un distacco cosciente da sé per immergersi appieno nel ruolo di funzionario, notaio, contabile

37 La poesia riprende forse un lamento dello Shinkokinshū, KT n. 801, in cui Go-Toba si dichiara “lieto

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e scriba. Eppure, in ultima analisi, queste sfaccettature rientrano in una strategia coerente di autorappresentazione, che tende a identificare il soggetto col mestiere che esercita, o meglio, con la “Via” che percorre.

Al fine di superare tale contraddizione sarà necessario ripensare la definizione stessa di “diario” (nikki) tenendo conto del fatto che nel contesto del Giappone premoderno ogni atto di scrittura, pur sorgendo da esperienze e istanze individuali, non è mai inteso come “privato,” bensì presuppone l’esistenza di un lettore interessato a trarre profitto dal testo con la complicità o meno del suo autore.38 In mancanza di un dedicatario, è difficile stabilire

con certezza quale fosse il pubblico modello dello Shōjinki, ma l’orientamento pratico e lo stile succinto lasciano supporre che il manoscritto fosse rivolto al successore di Tadatō, per istruirlo al mestiere e facilitargli la carriera nella cancelleria degli Ōuchi.39

Altri aspetti, tuttavia, meritano di essere posti al vaglio. Pur senza tracciare un vero e proprio arco storico-narrativo, l’autore mette in rilievo e misura le morfologie di una rete estremamente complessa. Se da un lato la gerarchia del kashindan Ōuchi preesisteva alla stesura dello Shōjinki, l’atto di scrittura sembra aver contribuito alla “cattura” di quel network sociale, fissando su carta la sua intrinseca fluidità. Per quanto ridondante possa sembrare, ogni stralcio di informazione che appare in questa cronaca mira a conservare un sapere pratico in accordo alla logica del precedente, definire il “gioco delle parti” sul campo di battaglia (simbolico e non) e, non ultimo, offrire una relazione autorevole su quanto accaduto. È come se mettere per iscritto il flusso degli eventi orientasse un processo storico

in fieri, assimilando elementi tra loro eterogenei in una griglia ordinata e ordinante. Lo Shōjinki accentua questa idea di comunità, ma lo fa senza nascondere gli ostacoli o le

38 Sembrano più che mai valide le considerazioni di Umberto Eco, quando scrive che «per organizzare

la propria strategia testuale un autore deve riferirsi a una serie di competenze […] che conferiscano contenuto alle espressioni che usa. Egli deve assumere che l’insieme di competenze a cui si riferisce sia lo stesso a cui si riferisce il proprio lettore. Pertanto prevederà un Lettore Modello capace di cooperare all’attualizzazione testuale come egli, l’autore, pensava, e di muoversi interpretativamente così come egli si è mosso generativamente» (1979, p. 55).

39 Questa caratteristica accomuna larga parte dei nikki medievali. Per una trattazione concisa sul genere

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controversie – come quella con Sue Hiromori – affiorate in fase di consolidamento del potere.

Alle note di guerra si mescolano note liriche, con cui accrescere questo senso di armonia condivisa. Tadatō tiene traccia di una centuria renga che, oltre agli elevati standard culturali del kashindan Ōuchi, rivela un sapiente uso della retorica poetica ai fini del “buon governo.” Del resto, nessun interludio innocente avrebbe potuto trovare spazio tra le righe di un diario scritto all’insegna della più fine orchestrazione sociale, perciò ogni forma di intrattenimento assume in sottofondo un timbro marcatamente politico.

Nelle sezioni successive ho stretto il focus proprio sugli aspetti culturali, così da esplorare i riverberi che hanno esercitato sulla vita socio-politica del clan. La scarsità di informazioni sussidiarie e la frammentarietà dello Shōjinki rendono questa fonte insufficiente da sola a ricostruire la figura del suo autore, che pure abbiamo visto fungere da anello di congiunzione tra numerosi poeti, letterati, monaci e guerrieri. Di conseguenza, ho proposto una ricca messe di documenti per confortare l’ipotesi che la prassi letteraria, rituale e scrittoria servissero congiuntamente a formare una più solida identità familiare. Abbiamo notato come lo Shinsen Tsukubashū, la seconda antologia semi-imperiale di renga sponsorizzata da Masahiro, fosse il prodotto di un sodalizio erudito il cui accesso era negoziabile con un atto di sottomissione. Sagara Tametsugu, importante daimyō del Kyūshū, avrebbe infatti garantito agli Ōuchi il proprio appoggio militare in cambio di un riconoscimento simbolico, come testimonia il fitto interscambio di lettere con Sōgi e Tadatō. In modo non dissimile, la centralità del potere Ōuchi e della loro sede periferica avrebbe trovato manifestazione nel rito dello shūnigatsue, alla cui conduzione e formalizzazione Tadatō contribuì in prima persona.

D’altro canto, la performatività della cultura materiale è evidente nel manuale di shosatsurei compilato plausibilmente da Sagara Taketō, figlio (o nipote) di Tadatō. I documenti manoscritti ci dicono che un mezzo non è mai fine a se stesso ma consustanziale al messaggio che porta, fungendo da aggancio fisico all’interazione tra soggetti. Inoltre, la

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relazione che si instaura tra materia e potere può essere incanalata per produrre determinati esiti, tra cui la costruzione di una gerarchia sociale o la fondazione di una narrazione storica condivisa. Nel caso specifico dei Sagara di Yamaguchi, la sintassi dell’etichetta epistolare sarebbe assurta a mestiere di famiglia e parametro identificativo del guerriero-funzionario. Negli ultimi concitati anni del governo di Ōuchi Yoshitaka, Taketō fece bandiera di questa eredità culturale, salvo poi essere coinvolto negli intrighi di Sue Harukata e costretto a una rocambolesca fuga in Kyūshū, culminata con la sua morte in battaglia (Fukuo 1959, pp. 155-178). La tradizione si sarebbe dunque spezzata, ma il finale tragico non sminuisce l’importanza di queste figure, che con acribia e sicura padronanza degli strumenti scrittori avrebbero fatto della poesia e della burocrazia un impareggiabile strumento di elevazione sociale.

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