Saperi e poetiche del quotidiano nella lettera di Tago Tokitaka (1494-1562)
3.2 La vertigine della lista: verso l’elaborazione di una “episteme guerriera”
Il Tago Tokitaka kakun offre uno spaccato unico nel suo genere attraverso cui osservare nel concreto cosa si intendesse per “cultura guerriera” verso la metà del XVI secolo. In questa sezione proporrò un inventario dei contenuti per mettere in risalto la particolare configurazione ivi assunta dal binomio del bunbu.
Per definizione, l’occupazione principale di un guerriero consiste nella pratica delle arti marziali, ovvero quell’insieme di sofisticate tecniche di combattimento corpo a corpo o a mano armata finalizzate all’attacco e all’autodifesa, che richiedono al praticante un faticoso addestramento psicofisico. In periodo medievale, la professione della guerra era nota col termine tsuwamono no michi 兵の道 o “Via del soldato.” L’espressione si riferisce non soltanto all’acquisizione di un solido bagaglio di competenze tecniche, ma anche e soprattutto alla coltivazione delle necessarie qualità interiori, come il coraggio, la prontezza di riflessi e la capacità decisionale. Eppure, in conformità al principio della “duplice Via,” abbiamo visto come al guerriero fosse spesso richiesto di estendere i suoi interessi ben oltre il campo di battaglia per abbracciare un’infinità di arti e discipline ancillari. Uno sguardo d’insieme agli articoli in cui il kakun di Tokitaka è suddiviso restituirà la portata del suo programma educativo:
1. Calligrafia e studio (tenarai gakumon 手習学問) 2. Arcieria (yumi 弓)
3. Matematica (san’yō 算用) 4. Equitazione (umanori 馬乗) 5. Medicina (kusushi 医師) 6. Poesia (renga 連歌)
7. Coltelli [e arte culinaria] (hōchō 庖丁) 8. Danza (ranbu 乱舞)
9. Gioco della palla (mari 鞠) 10. Portamento (shitsuke 躾) 11. Carpenteria (saiku 細工) 12. Fiori (hana 花)
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14. Lotta corpo a corpo (sumō 相撲)
15. Giochi da tavola (ban no ue no asobi 盤ノ上ノアソビ) 16. Falconeria (taka 鷹)
17. Decoro (yōgi 容儀)
La lettera consta di diciassette articoli principali, l’ultimo dei quali suddiviso a sua volta in dieci sottoparagrafi.12 I contenuti sono esposti in modo asistematico tanto nell’ordine di
trattazione quanto nel procedere argomentativo, lasciando supporre una genesi del testo discontinua, più volte interrotta e ripresa. Proseguendo con la stessa numerazione, questi sono i temi che affronta nella sezione finale:
18. Etichetta (rei)
19. Sul disporre degli altri (hito o tsukau koto)
20. Sul disporre degli oggetti (mono o tsukau kokoromochi no koto) 21. Ponderazione (ryōken)
22. Formazione al tempio e rapporti interclasse 23. Capitale umano (hito no mi no uchi no takara) 24. Gerarchia sociale
25. Cultura (hito no tashinami) 26. Scommesse (zeni shōbu) 27. Post scriptum
Anzitutto, si evince l’estrema versatilità del concetto di “Via.” La lista comprende intrattenimenti tipici della nobiltà di corte come la poesia, la composizione floreale o il gioco della palla. La forza omologante di Kyōto in quanto centro propulsore di modelli socio- culturali è un elemento non trascurabile nell’ordinamento etico ed epistemico che Tokitaka indicizza. Al contempo, la giustapposizione con arti e mestieri di più umile estrazione segna
12 Per quanto riguarda la numerazione, capita spesso che nel manoscritto un capoverso sia segnato dal
carattere hitotsu come a indicare l’inizio di un nuovo articolo. Tuttavia, in più occasioni il paragrafo mostra perfetta continuità col punto precedente. Va supposto, quindi, che il suddetto marcatore abbia la funzione di mettere in risalto un concetto particolarmente caro all’autore (o al copista) e che non segnali necessariamente l’inizio di un nuovo articolo. In linea di massima, ho deciso di attenermi alla suddivisione proposta da Ozawa (2003), che enumera gli articoli raggruppandoli in unità semanticamente coerenti.
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l’incursione del “popolare” nel tradizionale assetto conoscitivo dell’aristocrazia. Complessivamente, apparirà evidente come questa lettera riassuma in sé un approccio inclusivo e totalizzante, finalizzato a orientare la condotta del guerriero mediante un rigoroso modello comportamentale e gnoseologico.
Il termine bunbu non compare direttamente, me è come “diluito” in una serie di precetti circa l’importanza della cultura scritta. Di per sé la lista suggerisce una sorta di progressione ordinata, che vede proprio nell’alfabetizzazione il primo e più importante passo verso l’edificazione di un ideale “soggetto guerriero.” In questo schema, tenarai o “studio dei caratteri” rappresenta il fondamento di ogni pratica educazionale, laddove gakumon si riferisce alle “studio delle lettere,” che comprende la conoscenza (e dunque l’applicazione) delle norme di decoro pubblico comunemente rubricate sotto il termine di “civiltà” (bun). Leggiamo in apertura:
Al primo posto gli esercizi di calligrafia e lo studio. Saper scrivere, infatti, significa
essere a metà [strada sulla via] della conoscenza.13 Nascere uomini e non saper
scrivere è davvero deplorevole. Impiegare uno scrivano dipende dal momento e dalla circostanza: se ti affidi a qualcuno diverso da te per questioni di importanza capitale, difficilmente queste saranno trattate con discrezione. Nella vita ci sono cose che andrebbero confessate soltanto a un genitore o un figlio. [Perciò un illetterato] è peggio di un cieco. Una grafia squisita o sgraziata dipenderà forse dalle azioni compiute nelle vite passate, ma chi ignora le basi della scrittura e si affida ad altri anche per comporre una lettera galante da inviare a una donna, è soltanto una bestia mascherata da uomo.
Da vecchio troverai mortificante [non saper scrivere], ma anche volendo porvi rimedio sarà ormai troppo tardi, poiché le ossa e i nervi dei tuoi arti si saranno irrigiditi; e non importa se nobile o plebeo, col tempo i tuoi impegni aumenteranno, precludendoti ogni possibilità di apprendere quest’arte. Finché sei giovane, studia
13 Letteralmente, tehangaku 手半学 significa “la mano [presiede] metà dell’apprendimento.” In realtà
non è chiaro cosa intenda l’autore, ma potrebbe trattarsi di una citazione mutuata dal Sekyōshō: «Il pennello rappresenta metà delle infinite virtù civili, l’arco metà delle infinite arti militari» (art. 14; ZGR 32, 1, p. 258).
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ed esercitati nella scrittura giorno e notte. Le persone ignoranti sono incapaci di distinguere ciò che è giusto o sbagliato. Si esprimono in modo insensato e le loro parole non entrano nelle orecchie della gente, quasi fossero peggio del guaito di un cane. Almeno un cane è utile, poiché abbaia quando avvista l’ombra di qualcuno. L’avidità rende sordi e ciechi, annichilisce ogni capacità di giudizio. È essenziale applicarsi nello studio per raggiungere il distacco dalle passioni e imparare a riflettere su come una persona debba esprimersi in pubblico. Non dimenticare che
un singolo carattere vale quanto mille monete d’oro.14 Se metti per iscritto ciò che
impari, non scorderai mai niente.
筆法ヤ信ヲ知リテ物ヲカケ文字バカリハナラベテモウシ
Hippō ya makoto o shirite mono o kake monji bakari wa narabete mo ushi
Questa la legge del pennello: scrivi con sincerità, altrimenti non ha senso riempire sfilze di caratteri.
手習ヲ忘レズカヽバ何トテカ年月ヲヘテタヾニ有ベキ
Tenarai o wasurezu kakaba nani tote ka toshi tsuki o ete tada ni aru beki
Se non trascurerai i tuoi esercizi di calligrafia, come potranno i mesi e gli anni trascorrere invano?
タイガイニカヽバ手習ヨリモ先朝ナ夕ナニ文字ヲタシナメ
Taigai ni kakaba tenarai yori mo mazu asana yūna ni moji o tashiname
Ogniqualvolta scrivi, ancor prima della calligrafia, coltiva giorno e notte la passione per le lettere. (Ozawa 2003, pp. 146-147)
Lettura e scrittura vengono paragonate a occhi e orecchie, organi percettivi che abilitano il potenziale d’azione consentendo all’uomo di interagire appieno con l’ambiente circostante. Queste capacità, inoltre, assommano le più alte virtù ponendo in essere un distinguo netto tra bene e male (rihi 理非), umano e disumano. L’argomentazione del testo sembra ricalcare nell’uso delle metafore alcuni passi nevralgici del Sekyōshō e attinge al genere della didattica esortativa formule canoniche, perlopiù di matrice confuciana. Di più difficile individuazione sono i riferimenti letterari, che contribuiscono a innalzare il tono prosastico. Ad esempio,
14 Una citazione dal Dōjikyō, manuale per bambini estremamente diffuso all’epoca: «Un carattere al
giorno fa trecentosessanta in un anno. Ogni carattere vale mille pezzi d’oro (ichiji senku ni atau 一字当 千金). Anche un singolo tratto [di pennello] può salvare molte vite» (ZGR 32, 2, p. 7).
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è emblematica la critica mossa al guerriero incapace di dare forma scritta ai propri sentimenti secondo gli stilemi tipici dell’epistolografia amorosa (ensho 艶書). Il passo allude forse a un aneddoto del Taiheiki, in cui Kō no Moronao commissiona a Kenkō Hōshi una lettera d’amore per conquistare la moglie di En’ya Takasada senza tuttavia ottenere il successo sperato (SNKZ 56, pp. 53-54). O ancora, non sembra fortuito l’accenno all’ululato dei cani, topos aulico della letteratura medievale, che a sua volta rimanda a un celebre passo del Genji (SNKZ 25, pp. 190-191; Inada 2003).
Nel complesso, Tokitaka fornisce una serie di esempi per demarcare una soglia di tollerabilità tra ciò che è giusto e sbagliato: impiegare o meno uno scrivano per proteggere dati sensibili; intrattenere privatamente una corrispondenza amorosa; esprimersi in pubblico con la giusta attitudine, soppesando ogni parola. Il ricorso a modelli situazionali concreti serve a iscrivere nella dimensione del quotidiano nozioni d’ordine etico-morale, altresì difficilmente afferrabili, come a voler mediare tra dimensione ideale e reale, concettuale e pragmatica, operando una più efficace presa normativa sul lettore.
Al potere elevante della cultura si affianca la violenza simbolica di cui il soggetto guerriero si fa portatore nell’appropriarsi dell’arco in quanto “oggetto-concetto,” contraltare del pennello nel solito quadro di riferimento metonimico.15 Recita infatti
l’articolo a seguire:
Al secondo posto l’arco. Non a caso un guerriero è chiamato anche yumitori, “colui che impugna l’arco.” Grazie a quest’arma sottometterai ogni demone o nemico.
チカラダテセイビヤウダテハ無用ナリキリテノ内ヲ習ヲボヘヨ
Chikara date seibyō date wa muyō nari kirite no uchi o narai oboeyo
A niente portano forza bruta e vanagloria. Sforzati piuttosto di centrare il bersaglio!
人ノ上トカクナイヒソワレ人ニ笑ハレヌ程道ヲタシナメ
Hito no ue tokaku na ii so ware hito ni warawarenu hodo michi o tashiname
15 L’analisi che segue riprende le considerazioni formulate nel capitolo 1 del presente elaborato, in
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Non sparlare degli altri. Segui la Via con impegno affinché nessuno si prenda gioco di te. (Ozawa 2003, p. 147)
Si noterà che questo punto è estremamente più conciso del primo, limitandosi a celebrare la forza dirompente dell’arco e la sua capacità di tenere a bada gli influssi maligni. A tal riguardo, il testo è prossimo alla posizione espressa nel Sekyōshō, che esalta in un elogio di arco e frecce le virtù semidivine del politico ideale. Inoltre, in accordo col discorso educazionale dominante, anche il cavallo forma insieme all’arco un’endiadi inscindibile (kyūba) che Tokitaka rielabora poche pagine dopo:
Al quarto posto l’equitazione. In passato nessuno poteva disporre di un cavallo su propria iniziativa: eccezion fatta per coloro ai quali l’Imperatore ne concedeva il possesso, erano in pochi a cavalcare. Per questo si diceva “uomini del cavallo” invece di “uomini a cavallo.” Oggigiorno, in questa epoca di degrado, pur essendo cresciuti in numero è raro vedere in pubblico uomini a cavallo. Devi imparare a conoscere la mente e il morso del tuo destriero, ma ti sarà impossibile se ignori l’etichetta quando sei in arcione. Poiché è argomento riservato a chi è esperto in quest’arte, non ne tratterò in modo dettagliato.
アラ馬ヤ曲乗ダテハ無用也タヅナヲ知リテ足ナミヲ乗レ
Arauma ya kyokunori date wa muyō nari tazuna o shirite ashinami o nore
Un cavallo selvaggio non si doma con inutili acrobazie. Afferra le briglie e vai al passo!
イキゾカヒ口クラノ内アブミマデヘウシホドコソ大事ナリケレ
Ikizokai kuchi kura no uchi abumi made hyōshi hodo koso daiji narikere
Dall’uso del respiro al morso del cavallo, dalla sella alle staffe, il ritmo è tutto! 手サキニテ馬持ダテハ成ルマジヤ我ト心ニイレテカフベシ
Tesaki nite uma mochi date wa naru maji ya ware to kokoro ni irete kau beshi
Non portare in giro il tuo cavallo per sola vanteria. Occupati di lui come fosse te stesso. (Ozawa 2003, p. 150)
Non passerà inosservato il distinguo ontologico tra “uomini a cavallo” (umanori 馬乗) e “uomini del cavallo” (umahito 馬人). È lecito supporre che il secondo termine fosse un
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arcaismo dall’eco altisonante, simile a un titolo nobiliare, ma la risultante profonda è una differenza di potenziale tra colui che impiega il cavallo come mero strumento (rapporto metonimico) e il cavaliere che invece si immedesima nel suo destriero, “occupandosi di lui come fosse se stesso” (rapporto sineddotico).
Ancora una volta, il bunbu assurge a matrice identitaria producendo una serie di oggetti e competenze intimamente connessi tra loro, che Tokitaka assegna al guerriero mediante l’espediente retorico della lista. È importante ribadire che nominare ed elencare sono azioni dal grande potere istitutivo e sanzionatorio. Analogamente, colui che nomina e classifica implementa la realtà con una rappresentazione percepita come “più vera del reale.” Questo atto locutorio, descrittivo e prescrittivo al contempo, insignisce l’enunciatore di un enorme autorità: quella di «ordinare l’esistente ma anche – e soprattutto – di prevedere l’avvenire» (Squarcini 2007, p. 49). In sostanza, si tratta di un’operazione che punta non soltanto a definire la forma di vita del soggetto in quanto tale, ma anche a produrre una teoria onnicomprensiva della conoscenza, attraverso cui poter esercitare un controllo simbolico sul mondo e chi lo abita. Ne deriva una “vertigine” (Eco 2009) di apparente esaustività che costituisce un tratto tipico di molte enciclopedie medievali. Nelle sezioni successive sottoporrò a esame le componenti più salienti di questo progetto ordinatore, ricollocando il didascalismo del testo nel suo contesto storico di produzione e ricezione.
3.3 Le regole dell’arte: ratio, discretio e metafore di (auto)controllo