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Lo sdoppiamento della narrazione: il racconto di II grado

NARRATIVA SISTEMA PERSONAGG

1.3. Lo sdoppiamento della narrazione: il racconto di II grado

Il meccanismo dello sdoppiamento della narrazione contribuisce alla decostruzione del testo, alla distruzione di una sua possibile unità.

Il primo racconto di II grado, o metadiegetico112, nel primo capitolo, viene

narrato da Andreas Kain, chiuso nella sua stanza che è «wie eine Klause gebaut, die Wände entlang liefen glänzende Bücherreihen», un luogo isolato dal mondo che rispecchia l'isolamento del suo abitante.

Alla paura di Eva per la bandiera sulla facciata della casa, avvertita come un funesto presagio, Andreas risponde con la storia dell'oste del villaggio113.

Fin dalla sua prima apparizione, il personaggio di Andreas Kain affida all'affabulazione la possibile difesa da una realtà eccessiva e aggressiva.

Come abbiamo già ricordato, il Weinbauer, che si è rifiutato di appendere la bandiera con la svastica alla propria casa, viene infine costretto a farlo.

Il giorno dopo, la bandiera è sparita. I nazisti ne appendono un'altra, che, però, il terzo giorno appare stracciata.

Le SA ne portano una terza, che, questa volta, rimane appesa, ma per suscitare l'ilarità di tutto il paese, poiché, durante la notte, è diventata completamente rossa.

Una quarta bandiera nazista viene appesa allora alla facciata della casa e la svastica (das schwarze Kreuz») viene marchiata a fuoco. Anche questa volta, però, l'oste reagisce:

109 S. Freud, Der Witz, op. cit.

110 S. Freud, Die Traumdeutung, op. cit. 111 Genette, op. cit. p 262.

112 Genette, op. cit. p. 279.

Den nächsten Tag ist ein Kreuz da, aber nicht das Hakenkreuz. Ein braunes Marterholz mit dem Heiland hängt in der Mitte, mit Christus, der sich verblutet und mit seinem Blut die Fahne färbt.

Naturalmente, l'oste paga questo atto di coraggio: «Seither hat der Weinbauer keine Fahne mehr, aber dafür das Kreuz. Und das Kreuz wird ihm bleiben.»

Rispetto alla diegesi, questo racconto intrattiene un evidente rapporto di continuità tematica114; la bandiera nazista e, indirettamente, la persecuzione dell'oste

anticipano ciò che Eva comunicherà al marito, cioè che devono lasciare immediatamente il paese, pur non avendo ancora un lasciapassare per l'estero.

Il racconto, introdotto da Andreas Kain, presentato inizialmente come un intellettuale isolato dalla realtà che lo circonda, contribuisce a darci di questo personaggio un'immagine diversa, quella di un uomo, cioè, perfettamente in grado di vedere ciò che deve essere visto.

Anche in questo caso, un espediente narrativo fornisce all'autrice la possibilità di scardinare le certezze del lettore, in questo caso rispetto a un personaggio, fornendo una contro immagine, che mette in discussione la prima e, contemporaneamente, la completa, aprendola a una trasformazione.

È ancora Andreas Kain a svolgere la funzione di narratore intradiegetico nel terzo capitolo e a introdurre due racconti di II grado.

Durante una conversazione col marito, Eva, con un'interessante analessi, funzionale a fornire al lettore nuove informazioni su Kain, gli ricorda una sua buona azione: l'uomo ha comprato una mucca e l'ha regalata al locatario, che in quel momento si trovava in difficoltà per un cattivo raccolto.

Kain ribatte: «Damit alle Kinder im Hause frische Milch haben […].»

Ma Eva lo incalza: «Nicht alle Kinder. Als er die Kuh bekam, hat er nicht nach dem Taufschein gefragt. Aber wenn er jetzt Milch verkäuft, dann nur an blonde Kinder.»

La donna, con questa precisazione, riporta il tema sulle persecuzioni ai danni degli ebrei e sull'atteggiamento complice di molte persone.

Kain le offre una spiegazione di questo atteggiamento che potremmo definire di necessità, usando il paragone del giardiniere che dipende dal tempo: «Weil er sich fürchtet, er ist eingeschüchtert. Das sind jetzt alle Leute, wie erst ein Gärtner, der vom Wetter abhängig ist.»

In realtà, però, le due storie che l'uomo narra immediatamente dopo, introducendole come etwas Aktuelles, contraddicono questa sua stessa spiegazione, rovesciando il cliché della complicità dovuta alla paura.

La prima storia racconta di un gruppo di ebrei, ein ganzer Wartessal che, a causa di un disguido, anziché essere deportati a Dachau, vengono condotti all'estero.

Sebbene questa vicenda sia evidentemente fantastica, Eva ci crede.

Anche solo immaginare che le cose possano andare diversamente, anche solo avere il coraggio dell'immaginazione, risulta un atto rivoluzionario, in quanto ribalta la spiegazione naturale, inevitabile di un accadimento e permette di scorgere un'alternativa, anzi, permette di capire che esistono alternative.

La seconda storia narra di una giovane donna, non ebrea, legata a un ebreo. Quando il giovane viene arrestato, la ragazza riesce a corrompere il poliziotto e 114 Per la classificazione dei vari tipi di racconto metadiegetico, cf. Genette, Figure III, op. cit. p.28.

a entrare nella cella del fidanzato con l'intenzione di liberarlo.

Questi, però si rifiuta di lasciare il carcere se non vengono liberati anche i suoi undici compagni; la ragazza accetta e, uno ad uno, fa uscire i dodici prigionieri «durch einen geheimen Gang».

Anche in questo caso, la storia, chiaramente inventata, ha un carattere rocambolesco, iperbolico; eppure, ancora, Eva reagisce credendo a quanto narrato da Andreas: «Das ist herrlich! Wie hast du es erfahren?»

Il marito le risponde che in realtà si è inventato tutto.

Altrettanto interessante della volontà di credere l'impossibile da parte di Eva, che pure, nel romanzo, è, insieme a Werner, il personaggio più lucido, è la motivazione che Andreas dà delle sue invenzioni: «Man erzählt sich, wie alle hinauskommen, aus dem Gefängnis, aus dem Haus, aus der Stadt, aus dem Land, hinaus […]».

Come per Sherazade, anche per i personaggi di questo romanzo, la narrazione può mantenere in vita e, sebbene sia un gioco, è un gioco terribilmente serio.

Nel capitolo nono, Das Versöhnungsfest, i racconti metadiegetici sono addirittura quattro.

Felberbaum racconta la sua avventura in Egitto (già ricordata nel secondo paragrafo).

L'istanza narrativa, con un commento metanarrativo, presenta il racconto come un diversivo, sebbene, come scopriremo in seguito, non sia esattamente così: «Die Erzählung wirkte wie ein Sack Gold ins Haus des Bettlers. Es gab eine Stadt namens Kairo, es gab Mumien, Tote von Menschen mit Kultur bewahrt.»

Poco avanti, infatti, questa stessa storia consente all'istanza narrativa di evocare un dio inesistente: «Man war in Kairo in Ägypten, weg aus der Stadt, in der kein Gott die Frevler mit den zehn Plagen schlug.»

E, ancora, «Und es rührte sich kein Gott, kein Rächer erschien, es schlug nicht die Decke über ihnen zusammen.»

La narrazione metadiegetica, che permette ai personaggi di mantenersi in vita nella disperazione, conducendoli lontano, in un'altra realtà, è anche il medium attraverso il quale quegli stessi personaggi, e noi lettori con loro, prendiamo atto dell'hic et nunc, grazie a un significativo scambio temporale.

La storia raccontata da Andreas Kain, invece, intrattiene col livello diegetico un rapporto di commento.

L'avventura dello scrittore arrestato e trattenuto nell'appartamento del suo carceriere, offre, anche questa volta, un'alternativa, la vittoria dell'intelligenza sulla stupidità e il trionfo del giusto su chi lo ha incolpato ingiustamente.

L'istanza narrativa ci offre un cambio di prospettiva, mentre, con un salto metaletterario, elenca tutti i motivi sufficienti per venir arrestati:

Mochte es seine pazifistische Gesinnung sein, seine Freundschaft mit einem Kardinal, sein letztes Essay über moderne Kunst, seine Parteikarte aus der Zeit der Regiurung, die noch vor einigen Monaten die herrschende war, die Zeichnungen eines weltberühmten Karikaturisten115.

Felberbaum dà poi la parola a Eva, che, prima di iniziare il suo racconto, commenta i primi due: «Ich kann keine so gute Geschichte erzählen. Und nicht 115 Ibidem, p. 183.

einmal eine, die ich selbst erlebte. Aber sie wurde mir berichtet, und zwar mehrmals116

L'importanza della storia che la donna andrà raccontando, negata da queste affermazioni, viene ristabilita suggerendo che si tratta di una storia raccontata molte volte, una sorta di leggenda.

Una donna ebrea, inseguita «im Zuge einer Menschenjagd», terrorizzata, si rifugia nel parco del principe Sch., ma un nazista riesce a scoprire dove si è nascosta e le intima di uscire.

Interviene a questo punto il guardiano, «mit dem Ruf eines grimmigen Wachhundes», e spiega all'SA che il suo padrone considera suo ospite chiunque entri nel parco e non ama che gli venga arrecato danno.

Il nazista, colpito dal tono autorevole del servitore, se ne va e la donna è salva. Non solo, «der Diener späht nach allen Seiten aus, ob man ihr nicht auflauert. Dann erst läßt er sie fort»117.

L'alternativa offerta qui dal racconto di II grado è evidente e veicola una presa di posizione ideologica dell'autrice: basterebbe un'azione coraggiosa e decisa dei non ebrei per mettere in crisi il perfetto sistema nazista di persecuzione e di annientamento degli ebrei.

L'ultima storia è quella raccontata da Werner ed è strettamente legata alla realtà nella quale vivono gli stessi personaggi.

Werner racconta dell'istituto di geologia, dove lavorava fino a quando ne è stato allontanato perché ebreo; tutti i suoi colleghi, anche coloro che accettano il nazismo, sono concordi nel voler salvare il lavoro fatto negli anni e, naturalmente, la preziosa collezione di pietre.

Decidono pertanto di affidarla al Museo di Storia Naturale, prima che i giovani della Hitlerjugend prendano possesso dei locali dell'istituto.

Il giorno fissato per la consegna della collezione all'inserviente del museo, le SA irrompono nell'edificio e gettano tutte le pietre nella discarica sul retro.

A differenza degli altri personaggi – narratori, Werner non riesce quasi a portare a termine il racconto per i sentimenti di rabbia e di sdegno che lo travolgono; s'interrompe più volte, mentre Kain cerca di calmarlo con una salvietta imbevuta di acqua fresca.

È tuttavia un ulteriore elemento a contrassegnare con uno status particolare questo racconto: Werner evoca, con la sua narrazione, i nazisti che, poco dopo, suonano effettivamente alla porta.

È ancora Eva a fornire un commento metaletterario che attira la nostra attenzione sulla metalessi118 del personaggio, sul passaggio, inquietante, di un

personaggio dal livello della metadiegesi a quello della diegesi.

Il significato metaforico di questo passaggio è evidente: la letteratura mantiene in vita, ma non ha il potere di cancellare la realtà.

Da un punto di vista meramente narrativo, il racconto di II grado svolge nel romanzo la stessa funzione delle tre figure analizzate nei precedenti paragrafi, quella cioè di mettere costantemente in discussione lo statuto stesso della narrazione, la sua presunta superiorità ordinatrice rispetto alla realtà.

Il racconto di Werner costituisce, in questo senso, una sorta di commento sulla 116 Ibidem, p. 188.

117 Ibidem, p. 188. 118 Genette, op. cit.

letteratura, sulla sua forza ma, anche, sulle sue infinite debolezze. 1.4. Lo scrittore come «fabbricante di alternative»

Le precedenti analisi sulla tipicità narrativa del romanzo Die Schildkröten, estensibili all'intero corpus dell'autrice, esprimono con insistenza l'idea dell'atto narrativo come un atto temporale che permette al soggetto di sottrarsi al flusso indistinto, perciò atemporale, e di creare, in modo fittizio, attraverso la figura del narratore, un Mittelpunkt119 dal quale poter seguire e dare conto delle infinite

possibilità offerte dalla narrazione (a livello della lingua, della storia, dei personaggi).

Accettare la frammentarietà come unica espressione ancora percorribile significa accettare la sfida della messa in scacco di un modello interpretativo onnicomprensivo, significa accettare il moderno, con la lucida coscienza che il ritorno alla alte Sprache120 è sbarrato per sempre.

Musil, contemporaneo di Veza Taubner - Calderon, sceglie la metafora e la similitudine, che, assunte come modello di esistenza, gli rendono possibile percorrere un tracciato non rettilineo, nel quale ogni passo successivo non sia determinato, nei termini di una necessità causale, dal passo precedente.

Com'è noto, metafora e similitudine, per Musil, liberano l'uomo dalla pietrificazione di ogni ordine prestabilito, dagli automatismi della Zivilisation e gli aprono la prospettiva di divenire un «grande fabbricante di alternative»121.

Metafora e similitudine rendono insomma possibile una visione molteplice dove anche gli opposti possono coincidere, così come due corpi distinti possono costituire un'unica unità122.

Veza Taubner - Calderon sceglie altri strumenti (le tre figure che abbiamo illustrato e lo sdoppiamento in racconto di primo e di secondo grado), ma il terreno scivoloso (das Gleitende di Hofmannsthal) sul quale i due autori poggiano i piedi è lo stesso.

La coscienza della crisi espressa in modo lucidamente straziante da Hofmannsthal in Ein Brief von Lord Chandos, tuttavia, anziché immobilizzarli in un gelido impasse li spinge a una presa di posizione che è, contemporaneamente, estetica e etica.

Musil stesso, nei diari, sintetizza questa visione nell'espressione «lebendiges Ethos»123, un'etica declinata in letteratura, nell'attenzione vigile e costante al

linguaggio.

Da Hofmannsthal in poi, agli intellettuali austriaci è chiaro il rischio al quale vanno incontro: le parole ordinatrici, sigillo di verità, aderenti esattamente, e in modo rassicurante, alla realtà, si sono rovesciate nel loro contrario, sono modrige Pilze124,

ein lärmendes Schweigen125.

119 L'espressione, di Musil, è ampiamente discussa da Gargani nel primo capitolo del testo A. Gargani, Il coraggio di essere, Laterza, Roma – Bari 1992.

120 Hermann Bahr.

121 Cf. A. Gargani, Freud, Wittgenstein, Musil, I capitolo, Shakespeare & Company, Milano 1982. 122 L'incesto tra Agatha e Ulrich costituisce un chiaro esempio di questa visione.

123 R. Musil, Diari, pp. 1600 – 1602, R. Musil. Diari 1899 – 1941, Einaudi, Torino 1980, a cura di E.

De Angelis.

124 H. von Hofmannsthal, Ein Brief von Lord Chandos, BUR, Milano 1985.

Veza Taubner - Calderon, immersa in questa realtà culturale, erede suo malgrado di una crisi del linguaggio che è anche crisi esistenziale, sceglie la strada della parola incerta, oscillante tra le infinite possibilità che essa è in grado di evocare. Pazientemente, come quando si rammenda uno strappo, la scrittrice tesse un ponte tra i fili spezzati, riconoscendo come luogo privilegiato della scrittura quello del durare o, se vogliamo, della sopravvivenza lucida.

Se il pensiero procede «su delle buche», se è un setaccio nel quale «i buchi non sono meno importanti del saldo graticcio»126, sembra che Veza Taubner - Calderon si

assuma il compito di vagliare la sabbia grezza che passa dal setaccio, alla ricerca di ogni minuscola traccia di metallo prezioso, quasi la ricerca sia più importante, per un intellettuale, del risultato stesso.

In questo lavoro incessante, la scrittrice esplicita, d'altra parte, il farsi continuo del linguaggio, concretizza linguisticamente il concetto di Verwandlung.

Una parola, un'espressione, in virtù del loro movimento all'interno del testo, si trasformano in altro, pur portando con sé il loro significato originario: sono, allo stesso tempo, una parola, un'espressione altra, ma anche le stesse dell'origine.

Nel venire alla luce il processo di passaggio da un significato all'altro, le decisioni estetiche assumono così una valenza di conoscenza, in quanto approssimazione della verità.

L'autrice, d'altra parte, si trova a far fronte a un'ulteriore situazione critica, la sua posizione di ebrea nel momento in cui i nazisti prendono il potere anche in Austria.

Le due figure dell'opposizione e del rovesciamento, allora, assumono un'ulteriore valenza, quella di metafora linguistica di una realtà rovesciata, dove l'oppresso viene indicato come criminale, dove il crimine diventa legge assoluta, dove non esiste più nessuna speranza di giustizia.

Lo slittamento, infine, ci costringe, a rivedere la neutralità della lingua, a riflettere, drammaticamente, su quanto poco neutrale sia il linguaggio, su quanto esso possa dire tutto e il contrario di tutto, su quanto dietro a luoghi comuni e banali frasi fatte si possa nascondere l'orrore127.

Nel passaggio da una parola all'altra, per slittamenti apparentemente insignificanti, per scarti minimi della lingua, i significati acquistano un'eco sinistra, evocando, appunto, la pericolosa non neutralità del linguaggio, che, per alcuni, può diventare mortale.

126 Su queste espressioni cfr. A. Gargani, Lo stupore e il caso, Laterza, Roma – Bari 1985, p. 106. 127 L'intuizione di Veza Taubner - Calderon riecheggia, in modo sorprendente, la riflessione di Hannah

2. La tela di Penelope. Fare, disfare, rifare