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Segue: 3) mutuo riconoscimento probatorio e intercettazioni

di Michele Panzavolta

7. Segue: 3) mutuo riconoscimento probatorio e intercettazioni

L’impegno dell’Unione nel settore delle intercettazioni è stato dunque quello di accresce-re l’efficienza nella mutua assistenza giudiziaria, senza però perdeaccresce-re di vista le garanzie. Anzi, l’impressione è che il legislatore europeo, quando efficienza e garanzie fossero irrimediabil-mente in collisione, sia stato tendenzialirrimediabil-mente disposto a privilegiare le seconde.

Questa chiave di lettura potrebbe forse spiegare il difficile rapporto fra il mutuo ricono-scimento e le intercettazioni.

La logica del mutuo riconoscimento è ormai l’ideologia imperante dell’Unione anche nell’ambito dello spazio di libertà, sicurezza e giustizia55, come prima lo era stata nell’ambito del mercato interno56. Negli ultimi anni essa ha iniziato a contaminare anche la materia delle prove. L’esempio per eccellenza è costituito dal mandato europeo di ricerca della prova (MER), adottato con decisione quadro del 18 dicembre 2008 (2008/978/JHA)57. Modellato sul mandato di arresto europeo, il mandato probatorio prevede, in essenza, che la decisione di un’autorità statale di raccogliere una prova all’estero sia trasmessa all’autorità di un altro Sta-to membro per l’esecuzione; l’auSta-torità straniera richiesta può rifiutarne l’esecuzione solo per i motivi espressamente elencati nell’art. 13 della decisione quadro e dispone di ridotti termini temporali per raccogliere la prova. Dall’ambito di applicazione dello strumento restano però espressamente escluse, come si è anticipato, tutte le operazioni di acquisizione di informazio-ni in tempo reale, fra cui l’intercettazione di comuinformazio-nicazioinformazio-ni (art. 4, § 2, lett. c)58. Una scelta replicata nella recentissima proposta di direttiva per un “ordine europeo di indagine” (OEI)59, nuovo strumento sempre ispirato al principio del mutuo riconoscimento e finalizzato a far

55 Nella vastissima bibliografia sul mutuo riconoscimento all’interno dell’area di libertà, sicurezza è giusti-zia, v., senza pretesa di completezza, S.ALLEGREZZA, Cooperazione giudiziaria, mutuo riconoscimento e

circo-lazione della prova penale nello spazio giudiziario europeo, in T. RAFARACI (a cura di), L’area di libertà

sicu-rezza e giustizia: alla ricerca di un equilibrio fra priorità repressive ed esigenze di garanzia, Milano, 2007, p.

691 ss.; G.MELILLO, Il mutuo riconoscimento e la circolazione della prova, in T. RAFARACI (a cura di), L’area

di libertà sicurezza e giustizia, cit., p. 691 ss.; O.MAZZA, Il principio del mutuo riconoscimento nella giustizia

penale, la mancata armonizzazione e il mito taumaturgico della giurisprudenza europea, in Riv. dir. proc., 2009,

p. 393 ss.; S.GLESS, Mutual recognition, judicial inquiries, due process and fundamental rights, in J.A.E.V ER-VAELE, European evidence warrant: transnational judicial inquiries in the EU, Intersentia, Antwerpen-Oxford, 2005, p. 121 ss.

56 La convergenza fra l’area del mercato unico e quella di libertà e sicurezza e giustizia, con la contamina-zione di quest’ultima da parte dei principi che caratterizzavano la prima, è illustrata in particolare da A.KLIP,

European Criminal Law, Intersentia, Antwerp-Oxford-Portland, 2009, p. 15 ss,

57 Sul mandato di ricerca della prova, v. G. DE AMICIS, Il mandato europeo di ricerca della prova:

un’introduzione, in Cass. pen., 2008, p. 3033; R.BELFIORE, Il mandato europeo di ricerca delle prove, in Cass.

pen., 2008, p. 3894 ss; EAD., Movement of Evidence in the EU: The Present Scenario and Possible Future

Deve-lopments, in 17 European Journal of Crime, Criminal Law and Criminal Justice (2009), p. 1 ss. V. anche J.A.E.

VERVAELE, Il progetto di decisione quadro sul mandato di ricerca della prova, in G.ILLUMINATI (a cura di),

Prova penale e Unione europea, Bologna, 2009, p. 153 ss.

58 E la stessa acquisizione di tabulati (art. 4, § 2, lett. e).

59 La proposta sull’OEI si può ora leggere anche nella Gazzetta Ufficiale dell’Unione europea, C 165, del 24 giugno 2010.

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compiere in un altro Stato membro “uno o più specifici atti d’indagine”60, da cui resta esclusa l’effettuazione di intercettazioni61.

Non è dunque possibile – né dovrebbe esserlo nel prossimo futuro – che un provvedimen-to auprovvedimen-torizzativo d’intercettazione emesso in un paese membro riceva riconoscimenprovvedimen-to ed ese-cuzione all’estero; si dovrà ancora procedere con le regole previste dalla Conv. EU 2000 o – per gli Stati che non abbiano ratificato quella Convenzione – con le tradizionali regole fissate dalla Conv. 1959 (come integrate dalla Convenzione di applicazione dell’accordo di Schen-gen del 1990). L’esclusione delle intercettazioni dal campo applicativo del MER lascia intatta la sovranità nazionale nel decidere se, quando e come intercettare. La possibilità di incidere sulla libertà di comunicare dei cittadini rimane ancorata alle regole di ciascuno Stato. La presa d’atto della marcata distanza fra le varie discipline nazionali, combinata con la peculiare insi-diosità ed invasività di questo mezzo di ricerca della prova, hanno condotto all’emarginazione delle intercettazioni dall’ambito del mutuo riconoscimento. Eppure non in via assoluta.

Si deve tenere in considerazione che, se le operazioni di raccolta di informazioni in tempo reale restano fuori dal mandato di ricerca, all’interno di quest’ultimo ricade invece la trasmis-sione dei risultati di intercettazioni già autonomamente ottenuti da parte di uno Stato (v. art. 4, § 4 della decisione quadro)62.

Non è dunque possibile che uno Stato emetta un mandato perché siano condotte all’estero forme di sorveglianza telefonica, ma è consentito invece che si richiedano gli esiti di intercet-tazioni compiute da un’autorità straniera, le quali sono dunque trattate alla stregua di una pro-va precostituita. Per dirla con uno slogan: no al mutuo riconoscimento delle decisioni d’inter-cettazione, sì al mutuo riconoscimento dei risultati delle intercettazioni.

Da un lato, dunque, la scelta di ledere la riservatezza delle comunicazioni tramite un atto intercettivo rimane nella piena disponibilità dei singoli Stati, affidata sovranamente alle regole nazionali. Dall’altra, invece, si comincia a prefigurare lo scenario di una circolazione dei ri-sultati delle intercettazioni compiute in ciascun paese. È una tendenza di cui peraltro si posso-no cogliere già i segni nella prassi giurisprudenziale. Diverse decisioni della Corte di cassa-zione italiana hanno ritenuto legittima la ricecassa-zione dei risultati delle intercettazioni estere63,

60 Per un primo commento alla proposta, v. L.BACHMAIER WINTER, European investigation order for

obtaining evidence in the criminal proceedings. Study of the proposal for a European directive, in Zeitschrift fuer Internationale Strafrechtsdogmatik, 2010, p. 580 ss. e G.DE AMICIS, L’ordine europeo di indagine penale, in http://www.europeanrights.eu/index.php?funzione=S&op=5&id=440.

61 Ai sensi dell’art. 3 della proposta, l’OEI non comprende “l’intercettazione e la trasmissione immediata di telecomunicazioni ai sensi dell’articolo 18, paragrafo 1, lett. a) della convenzione” (art. 3 lett. b) e “l’intercet-tazione di telecomunicazioni ai sensi dell’articolo 18, paragrafo 1, lettera b), laddove riguardino le situazioni di cui all’articolo 18, paragrafo 2, lettere a) e c), e l’articolo 20 di tale convenzione” (art. 3, lett. c). Va segnalato, invece, che nel Libro verde sulla ricerca delle prove in materia penale tra Stati membri e sulla garanzia della

loro ammissibilità (COM/2009/624), la Commissione proponeva uno strumento di acquisizione delle prove

fon-dato sul mutuo riconoscimento, che comprendesse anche le “informazioni acquisite in tempo reale, ad esempio l’intercettazione di comunicazioni” (p. 5).

62 Lo stesso vale per i tabulati che siano già in possesso dell’autorità straniera.

63 Si veda, ad esempio, Cass., sez. I, 6 luglio 1998, Bonelli, in CED, rv. 211301 (“Possono essere utilizzate in un procedimento italiano le intercettazioni disposte in procedimenti penali svoltisi all’estero, acquisite per ro-gatoria dall’autorità giudiziaria italiana, purché siano rispettate le condizioni eventualmente poste dall’autorità estera all’utilizzabilità degli atti richiesti e sempre che le intercettazioni stesse siano avvenute nel rispetto delle regole formali e sostanziali che le disciplinano e altresì nel rispetto dei fondamentali principi di garanzia, aventi rilievo di ordine costituzionale, propri del nostro ordinamento (fattispecie in tema di intercettazioni disposte dal-l’autorità giudiziaria tedesca)”); Cass., sez. V, 26 novembre 1996, Lavorato, in CED, rv. 207867 (“In tema di utilizzazione dei risultati delle intercettazioni telefoniche in altri procedimenti, possono essere utilizzate in un procedimento italiano le intercettazioni telefoniche disposte in procedimenti penali esteri, acquisite per rogatoria

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anche ove la trasmissione fosse avvenuta al di fuori delle formalità rogatoriali64. Orientamenti equivalenti si riscontrano anche in Francia65 e nel Regno Unito66.

La disciplina del mandato europeo di ricerca della prova fa emergere la nuova cifra dell’approccio dell’Unione in tema di prove penali: la libera circolazione in Europa della pro-va (raccolta secondo le regole della lex loci), senza preventive armonizzazioni. Per un verso, non si interferisce con le scelte nazionali sul se, quando – sulla base di quali presupposti – e come intercettare. Per l’altro, si legittima che le conversazioni captate nazionalmente possano essere trasmesse alle autorità di un altro Stato membro con l’obiettivo di essere utilizzate pro-cessualmente. In questo modo si crea tuttavia una scissione tra i momenti della raccolta/for-mazione della prova e quello, successivo, della spendita processuale. Due rischi opposti si in-travedono così all’orizzonte: da un lato, quello di un rigetto in fase processuale dell’inter-cettazione effettuata all’estero67; dall’altro, quello di un’acritica ricezione all’interno del con-testo processuale dei risultati di intercettazioni disposte all’estero, come, si è visto, sta in parte già accadendo in sede giurisprudenziale68.

La critica a questa tendenza europea favorevole alla libera circolazione della prova rac-colta in uno Stato membro – in cui rientrano anche i risultati delle intercettazioni – potrebbe essere sviluppata anche sotto altro profilo: la separazione forzata fra acquisizione/formazione della prova e suo uso dibattimentale si fonda su un isolamento del dato probatorio, il cui

valo-dall’autorità giudiziaria italiana, purché siano rispettate le condizioni eventualmente poste valo-dall’autorità estera all’utilizzabilità degli atti richiesti, come previsto dall’art. 729 cod. proc. pen.”).

64 Così Cass., sez. I, 31 ottobre 2002, Moio, in CED, rv. 222984: “In tema di utilizzabilità di atti assunti per rogatoria, le intercettazioni telefoniche ritualmente compiute da un’Autorità di Polizia straniera e da questa tra-smesse di propria iniziativa, ai sensi dell’art. 3, comma 1, della Convenzione Europea di assistenza giudiziaria firmata a Strasburgo il 20 aprile 1959, ratificata con l. 23 febbraio 1961, n. 215, e dell’art. 46 dell’Accordo di Schengen, ratificato con l. 30 settembre 1993, n. 388, senza l’apposizione di ‘condizioni all’utilizzabilità, alle Autorità italiane interessate alle informazioni, rilevanti ai fini dell’assistenza per la repressione di reati commessi sul loro territorio, possono essere validamente acquisite al fascicolo del pubblico ministero, ai sensi dell’art. 78, comma 2, disp. att. c.p.p., trattandosi di atti non ripetibili compiuti dalla polizia straniera”. Sul punto, v. anche E. APRILE, Nuovi strumenti e tecniche investigative nell’ambito dell’U.E., cit., p. 446.

65 V., ad esempio, nel senso dell’ammissibilità di “un rapport relatant diverses investigations effectuées en

Espagne, dont des écoutes telephoniques autorisées par les tribunaux de Gava et Malaga”, trasmesso dalle

auto-rità di polizia spagnole ai sensi dell’art. 39 della Convenzione di applicazione dell’accordo di Schengen del 1990, Cour de cassation, chambre criminelle, Audience publique du 9 juillet 2003, Bull. Crim. 2003, n. 134 (n. de pourvoi: 03-82.163).

66 Nel caso R. v P deciso dalla House of Lords l’11 dicembre 2000, in 2 All England Reports (2001), p. 58, sono state ritenute ammissibili come prova le intercettazioni effettuate in una giurisdizione straniera. Per l’utilizzabilità di tabulati ricevuti dalla polizia straniera (anche alla luce delle regole sull’hearsay evidence) v., R. v. O’Connor, Court of Appeal (Criminal Division), 22 giugno 2010, in England and Wales Court of Appeal

Criminal Division, 2010, p. 2287.

67 Analizzando questa disciplina da un punto di vista italiano, si sono espresse perplessità sulla sua reale ef-ficacia alla luce delle previsioni del codice di rito italiano. In quest’ultimo, “la circolazione tra procedimenti de-gli esiti di intercettazioni di comunicazioni, esulando dal sistema di cui ade-gli artt. 78 disp. att. c.p.p. e 238 c.p.p., è oggetto di un’apposita disciplina contenuta nell’art. 270, comma 1, c.p.p. in base al quale i risultati delle intercet-tazioni non possono essere utilizzati in procedimenti diversi da quelli nei quali sono stati disposti, salvo che ri-sultino indispensabili per l’accertamento di delitti per i quali è obbligatorio l’arresto in flagranza. L’art. 270 c.p.p. riduce quindi la permeabilità di un procedimento ai risultati di intercettazioni ad esso estranee; il che diffi-cilmente si concilia con la deroga di cui alla decisione quadro in esame”. Se ne è tratta la conclusione che, salve diverse scelte in sede di attuazione, “il già ristretto scopo del mandato d’arresto europeo di ricerca delle prove risulterebbe particolarmente circoscritto nell’ordinamento italiano, e ciò soprattutto rispetto alla deroga apparen-temente comprensiva a favore della prova pre-acquisita” (R.BELFIORE, Il mandato europeo di ricerca, cit., p. 3900 s.).

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re viene individuato a prescindere dalle modalità di raccolta. All’opposto, va ricordato che le regole che presiedono alla creazione della prova incidono sulla sua forza probatoria e sulla sua capacità persuasiva.

8. Scenari

Gli scenari descritti sollecitano alcune riflessioni. Sul fronte della libertà, l’impegno del-l’Unione è stato prevalentemente quello di evitare surrettizie elusioni delle tutele predisposte da uno Stato all’interno del proprio territorio. Uno sforzo apprezzabile, perché permettere che la restrizione delle libertà entro i confini di uno Stato possa avvenire sulla base di regole este-re comporteeste-rebbe un generalizzato abbassamento della soglia di protezione offerta ai cittadini. Ripristinare la sovranità è dunque il primo passo per tutelare la garanzia di comunicare riser-vatamente.

In un’ottica di cooperazione europea rimane però aperto il tema della profonda divergen-za fra le discipline nazionali, che può minare l’efficacia della collaborazione investigativa. Il problema è acuito dalla tendenza a permettere la circolazione dei risultati delle intercettazioni raccolte in uno Stato. Diventa così sempre più evidente la necessità di procedere ad uno sfor-zo di armonizzazione, quantomeno in termini di regole minime, in materia di intercettazioni telefoniche. Alla luce della capacità dell’intercettazione di muoversi tanto facilmente fra i confini statali, la soluzione teorica migliore sarebbe quella di armonizzare i presupposti di ri-corso allo strumento e di stabilire norme minime comuni di registrazione e trascrizione delle conversazioni: diverrebbe così più agevole anche il trasferimento dei risultati delle intercetta-zioni.

Da un punto di vista prettamente italiano, invece, non si può che caldeggiare un maggiore rispetto da parte del legislatore delle soluzioni elaborate in sede europea. In particolare, sareb-be opportuno non procrastinare oltre l’attuazione della Conv. EU 2000. In un dibattito politico attuale ossessionato dall’esigenza di tutelare maggiormente la libertà di segretezza delle co-municazioni, non si vede perché si debba attendere ancora, dopo più di un decennio, per dare esecuzione ad un atto europeo che saprebbe garantire le istanze di libertà molto più delle o-dierne prassi giurisprudenziali. Sebbene circoscritto alla sola cooperazione giudiziaria, sareb-be un segnale che l’obiettivo veramente perseguito dal legislatore è quello di tutelare la lisareb-bertà di comunicare riservatamente di tutti i cittadini.

Eleonora Colombo 86

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