W EB 2.0 E TUTELA DELLA PERSONA : CONCLUSION
1. L A SITUAZIONE ATTUALE E LA REGOLAMENTAZIONE DELLA R ETE
Alla luce di quanto fino ad ora considerato, ed in particolare tenendo conto delle questioni emerse nel corso del capitolo precedente, possiamo iniziare a trarre le prime considerazioni relative all’argomento affrontato.
Innanzitutto occorre rilevare come, rispetto a talune delle problematiche e delle perplessità sollevate in merito ad Internet ed alle caratteristiche della Rete, gli sforzi sinora perseguiti dalla giurisprudenza hanno palesato un certo ritardo complessivo riguardante le istituzioni coinvolte1; ritardo che, se in parte può risultare legato alla difficoltà di individuare pienamente sia le implicazioni delle nuove tecnologie che i principi da applicarvi, dall’altro lato appare piuttosto conseguenza di una più generale mancanza, a tutt’oggi, di efficaci scelte politiche di fondo – a livello tanto statale quanto internazionale, e correlate soprattutto al grado e al modo in cui si intende regolamentare il fenomeno della Rete ridefinendone gli equilibri nel bilanciamento dei contrapposti interessi coinvolti.2
Ovviamente, la matrice legislativa predominante in questo campo deve ad ogni modo risultare di origine quantomeno comunitaria; il riferimento generale da tenere in considerazione resta perciò la direttiva sul commercio elettronico, risalente tuttavia a 10 anni or sono e modellata sulla base di un impianto a sua volta ancora precedente (il DMCA statunitense del 1998).3
1 Come ad esempio avviene all’interno del Memorandum di Roma del marzo 2009 (v. infra, par. 4, Web 2.0 e diritti
della personalità: considerazioni finali). Cfr. M. GOBBATO, Social Network, in Altalex, 24 luglio 2010 (cfr.
www.altalex.com/index.php?idstr=85&idu=14913).
2 A. MANEGGIA, La tutela della privacy nell’era delle comunicazioni elettroniche: cosa ha cambiato Internet?, in In
Law, 2006, n. 6, p.303.
3 Digital Millenium Copyright Act (DMCA), 202, Pub. L. No. 105-304, 112 Stat. 2860, 17 U.S.C. 512 (1998), il
quale disciplina la responsabilità dei prestatori di servizi di Rete (“a provider of online services or network access, or the operator of facilities therefore”, definizione ampia al punto da poter comprendere tutti gli operatori che si inseriscono in qualsiasi processo di interazione fra un utente e la Rete). Cfr. G.M. RICCIO, La responsabilità degli
Internet providers nel d.lgs. n. 70/03, in Danno e Responsabilità, 2003, p. 1158, cui si rinvia soprattutto per la
discussione di ulteriori profili di diretta parentela tra le diposizioni della direttiva 2000/31/CE (e di conseguenza del d.lgs. n. 70/2003) e quelle del DMCA.
In tale occasione il legislatore comunitario, spinto da necessità di agevolare un settore in evoluzione, non ha voluto gravare eccessivamente sugli operatori di Internet, facendo sì che risultasse possibile (all’interno delle varie dinamiche verificabili) affidarsi al solo criterio economico e alle logiche di mercato; una condizione che oggi, a 12 anni di distanza, rende tuttavia indispensabile porsi una domanda, ovvero se occorra ripensare tali regole per consentire una tutela più opportuna anche dei diritti e delle libertà dei singoli.
Internet ha dunque bisogno, allo stato attuale, innanzitutto di una regolamentazione di carattere generale che ne disciplini l’uso a qualsiasi livello; un passaggio che, una volta realizzato, possa consentire in seguito di affrontare in maniera altrettanto organica l’ulteriore problema della prevenzione e della repressione dei reati commessi attraverso la Rete. Il Web, nelle le sue varie manifestazioni (come per l’appunto i social network), non può e non deve infatti essere considerata una zona franca, priva di un adeguato diritto; ed alla luce di quanto detto risulta evidente che il vero problema non sia quello di elaborare una qualsivoglia qualificazione giuridica nella quale includere il fenomeno Facebook et
similia, ma sia innanzitutto quello di disciplinare tali manifestazioni ponendosi in un’ottica
internazionalista, oltre che avvalendosi di una preziosa ed opportuna collaborazione da parte degli operatori del settore.4
Quali dunque i passaggi chiave da tenere in considerazione all’interno di un iter orientato ad una nuova regolamentazione del Web 2.0?
Innanzitutto, come premesso, nella nuova Internet bisogna assolutamente evitare qualsiasi approccio nazionale, insegnamento che è possibile ricavare dalle varie esperienze verificatesi in questi anni in diversi Paesi (si pensi al caso noto della Loi Hadopi 2 in Francia5, ma altresì al
Digital Economy Act in Gran Bretagna6 o al corrispondente progetto di legge belga, che
riprende quasi pedissequamente il modello francese; anche il legislatore italiano, del resto,
4 M. IASELLI, Il Web 2.0, in Altalex, 24 luglio 2010 (v. http://www.altalex.com/index.php?idnot=11675). 5 “Loi creation et Internet”, in parte censurata dal Conseil Constitutionnel con la Decision n. 2009-580 DC del 10
giugno 2009. Cfr. S. DEJEAN – T. PENARD – R. SUIRE, Une première évaluation des effets de la loi Hadopi sur
les pratiques des Internautes français, CREM et Université de Rennes, 1 Marzo 2010. In una prospettiva
futura, si segnala anche il recentissimo articolo di G. SCORZA, Hadopi 3, in Wired.it, 19 novembre 2001 (http://blog.wired.it/lawandtech/2011/11/19/hadopi-3.html).
non è risultato esente da critiche: si pensi al cosiddetto decreto Romani7, che ha imposto ai titolari di Web tv8il rispetto delle norme della legge sulla stampa in materia di rettifica).9 In secondo luogo, risulta comunque fondamentale conservare i validi principi contenuti dalla direttiva 2000/31/Ce, all’interno della quale ad esempio non è comunque contemplata una irresponsabilità generale per il provider.10 Qualificandosi infatti un eventuale illecito della Rete come illecito permanente (per via di una ritrasmissione del dato che non consente la possibilità del danneggiato di impedirla)11, è sicuramente ravvisabile – sulla scorta dei principi civilistici, della normativa comunitaria e del codice di autoregolamentazione – una regola di comportamento e un modello di diligenza (obbligo di comunicare le generalità dell’utente che ha compiuto l’illecito, obbligo di attivarsi per rimuovere l’illecito) che colloca il provider in una posizione di garanzia per tutto quello che accade successivamente alla scoperta della condotta lesiva (fermo restando che, come previsto dalla direttiva europea, il prestatore non può mai essere assoggettato ad un generico obbligo di sorveglianza sulle informazioni che trasmette o memorizza, né a un obbligo generale di ricerca attiva di fatti o circostanze che indichino la presenza di attività illecite sui propri sistemi).12
Ciò che semmai costituisce allo stato attuale un vuoto normativo è il fatto che, mentre gli
access provider (i quali offrono alla clientela la connessione, e dunque l’accesso ad
7 Una scelta criticabile sotto un duplice profilo, innanzitutto perché non tiene conto delle peculiarità della
Rete e della difficoltà di trasporvi la disciplina della carta stampata, poi perché non considera soprattutto la natura internazionale della Rete e l’inutilità di una regolamentazione di rango statale. Sul punto, si veda la decisione della Cass. pen., 2 ottobre 2010, che ha statuito l’inapplicabilità` della responsabilità editoriale riprendendo fedelmente i dubbi manifestati dalla dottrina (cfr. V. ZENO-ZENCOVICH, La pretesa estensione alla telematica del
regime della stampa: note critiche, in Dir. inf., 1998, pp. 15 ss.).
8 “La Web television, detta Web TV o web TV, è il servizio di televisione fruita attraverso il Web...
Un’accezione tuttavia molto usata di Web TV corrisponde ad una costruzione di una vera e propria televisione fruibile unicamente via Internet, e dunque non la mera ripetizione della programmazione via etere o satellite. In questi casi il mezzo preponderante è il personal computer e l’interattività che si crea con lo spettatore, che diviene utente: possibilità di creare un palinsesto personalizzato, eliminazione dei tempi morti, riproducibilità senza confini del contributo audiovisivo desiderato, interazione con storie e programmi molto più elevata delle semplici e classiche telefonate alle redazioni”. Fonte: http://it.wikipedia.org/wiki/Web_TV.
9 Cfr. G.M. RICCIO, Social network e responsabilità civile, in Dir. inf., 2010, p. 859. L’ultimo orientamento citato
suscita del resto incertezze in quanto appare dubbia l’equiparazione del titolare del sito al direttore di una testata giornalistica, tanto più in ragione del fatto che spesso l’effettiva attività di controllo dei messaggi appare difficilmente attuabile dal medesimo titolare, che non ha alcuno strumento concreto di verifica dell’attività posta in essere dall’utilizzatore del sito. Sulle specifiche differenze tra la diffamazione via Internet e a mezzo stampa e sulla responsabilità per la diffusione di dati e opinioni su Internet (anche alla luce delle valutazioni del Garante per le comunicazioni), P. COSTANZO, Ancora a proposito dei rapporti tra diffusione in Internet e pubblicazione a mezzo
stampa, in Dir. inf., 2000, p. 657.
10 Prevista, al contrario, la possibilità che gli stessi operatori possano essere invece regolarmente chiamati dalle
autorità a fornire varie forme di collaborazione, cfr. art. 17, comma 2, d.lgs. 70/2003; da ciò si ricava, tra l’altro, che gli access provider devono ad esempio necessariamente controllare la veridicità dei dati personali spesi dal cliente (v. infra), se non altro nel contratto di fornitura di accesso alla Rete. Per ulteriori considerazioni, sia rinvia a F. DI
CIOMMO, Evoluzione tecnologica e regole di responsabilità civile, Napoli, 2003, in particolare cap. V.
11 V. Trib. Catania, sent. n. 2286 del 29 giugno 2004.
12 S. MELE, Privacy e user generated content (UGC), in L.BOLOGNINI –D.FULCO –P.PAGANINI (a cura), Next
Internet) necessariamente devono assicurarsi della veridicità dei dati personali del cliente attraverso il contratto di fornitura di accesso alla Rete (anche per poter eventualmente intervenire in caso di illeciti), lo stesso obbligo non risulta al momento vigente per altri fornitori come gli host provider (che invece fornisce semplice “ospitalità” a siti e contenuti): un aspetto, questo, che sicuramente richiederebbe invece una più opportuna regolamentazione, avendo oggi tale fenomeno assunto delle dimensioni impensabili negli anni dell’emanazione della direttiva. In questo caso sembrerebbe infatti lecito anche considerare la possibile applicazione di una eventuale responsabilità per colpa, dovuta alla violazione di uno standard di diligenza professionale a cui nessun provider dovrebbe potersi sottrarre. È pertanto in tale direzione che appare opportuno aspettarsi degli aggiornamenti, all’interno di un più ampio testo di legge concernente la materia appena richiamata.
In ultimo, occorre infine ricordare come oggi anche l’anonimato13 possa rappresentare un buco legislativo rinvenibile nelle varie casistiche che potrebbero essere prese in esame (costituendo di conseguenza anche questa una questione bisognosa di adeguata regolamentazione, in vista di una sua coesistenza con le minime garanzie necessarie); tuttavia tale inefficienza può, allo stato attuale, essere eventualmente risolta anche in via interpretativa, poiché da un punto di vista per lo meno tecnico non è poi così difficile risalire a chi in teoria opera dietro a un computer (sebbene l’indirizzo di una macchina non corrisponda necessariamente a un unico cittadino della Rete).14
Sulla base di tali premesse, che tendono genericamente ad inglobare le possibili casistiche di nostro interesse rinvenibili in Rete, è da valutarsi la validità dell’attuale strumentario di regole in funzione del complesso sistema del Web 2.0; è infatti solo all’interno di tale ottica che può semmai essere presa in considerazione l’eventualità di rivisitare i vecchi istituti, laddove necessario e nonostante la loro complessiva attualità, modellandoli in relazione alle nuove ed intricate fattispecie. Ciò che ad ogni modo bisogna invece evitare di pensare è che diventi necessario, ogni qual volta ci sia un’evoluzione tecnica, ridiscutere non tanto le regole (che, come premesso, possono anche richiedere un eventuale aggiornamento) quanto quel complesso di principi fondamentali che al contrario con gli
13 Intendendosi in questo caso l’anonimato “non protetto”, slegato cioè da meccanismi che consentano alle autorità
di risalire ad un determinato utente nel caso in cui se ne verificasse il bisogno. Per un approfondimento sul tema dell’anonimato protetto, v. L. BOLOGNINI – P. PAGANINI, Libertà di Internet e reati: sì all’anonimato
protetto, in Corriere.it, 28 dicembre 2009 (http://mediablog.corriere.it/2009/12/liberta_di_internet_e_reati_si.html).
14 M. DI PENCO, L’identità digitale: un problema irrisolto, in Information security, 2001, n. 2, già citato nel capitolo
anni hanno invece dimostrato ampiamente la loro efficienza e la loro tenuta nel campo della libertà.15
In chiusura, occorre segnalare come sufficientemente consolidata sembri ormai essere anche una generale soluzione ai problemi relativi all’individuazione della giurisprudenza tenuta ad esprimersi in caso di illecito perpetuato all’interno di social network o motori di ricerca, casistica che potrebbe in teoria vedere chiamate in causa le giurisprudenze di diversi Paesi. È infatti risaputo che, in caso di illecito extracontrattuale, proprio la capillare diffusione di Internet e di qualunque informazione immessa in Rete potrebbe creare incognite relative all’individuazione del giudice competente16, risultando ciò tuttavia in netto contrasto con il dettato dell‘art. 25 Cost. secondo cui “nessuno può essere distolto dal giudice naturale precostituito per legge” (motivo per il quale le problematiche di ordine procedurale hanno occupato ampio spazio anche tra quelle affrontate in questi anni dalle corti italiane, con particolare riferimento proprio all’individuazione della competenza per territorio del giudice chiamato a pronunciarsi su un fatto illecito compiuto in Rete).17
Sebbene siffatto dibattito sia rimasto per lungo tempo aperto18, tuttavia già negli anni precedenti da parte di autorevole dottrina19 era stato anticipato quanto di recente poi sancito dalla Corte di giustizia Europea, ovvero di come debba essere il soggetto leso a determinare la giurisdizione di competenza.20 Chi ha subìto un danno alla persona via Internet, quindi, può rivolgersi
direttamente ai giudici del proprio stato di residenza per chiedere la soddisfazione integrale del danno; in altre parole, nella pratica è il giudice italiano a dover tutelare i soggetti italiani,
15 V. G.FINOCCHIARO, intervento al congresso Il futuro della responsabilità sulla Rete. Quali regole dopo la
sentenza sul caso Google/ViviDown?, organizzato dalla Fondazione “Centro di iniziativa giuridica Pietro
Calamandrei”, 21 maggio 2010, i cui atti risultano pubblicati in La memoria della rete e il diritto all'oblio, in Dir.
inf., 2010, pp. 391 ss.
16 Il problema della competenza territoriale del giudice chiamato a risolvere controversie riguardanti Internet
– al pari delle questioni sulla legge applicabile e sulla giurisdizione di riferimento – coinvolge fattispecie molto eterogenee. Le incertezze concernono sia ipotesi di inadempimento contrattuale che di fatto illecito (sebbene, in relazione alle prime, il d.lgs. 22 maggio 1999, n. 185 – attuazione della direttiva 97/7/CE relativa alla protezione dei consumatori in materia di contratti a distanza – disponga all’art. 14 che “la competenza territoriale inderogabile è del luogo di residenza o di domicilio del consumatore, se ubicati nel territorio dello stato”). La norma da ultimo citata è applicabile ai soli cosiddetti contratti business to
consumer e non anche ai contratti business to business, ma certo contribuisce a fissare – in ambito
contrattuale e per fattispecie sottoposte alla legge di stati facenti parte dell’Unione Europea – alcuni necessari punti fermi.
17 Vedi T. SEGRÈ, voce Competenza civile, in Novissimo dig., appendice II, Torino, 1980, p. 100.
18 Come evidente, l’incertezza investe direttamente l’applicazione dell’art. 20 c.p.c. relativo al giudice
territorialmente competente, da individuare “nel luogo dove è sorta o deve eseguirsi l‘obbligazione”, in alternativa invece a quello del foro generale delle persone fisiche e giuridiche fissato dagli artt. 18 e 19 c.p.c.
19 V. ZENO-ZENCOVICH, intervento al congresso Il futuro della responsabilità sulla Rete. Quali regole dopo la
sentenza sul caso Google/ViviDown?, organizzato dalla Fondazione “Centro di iniziativa giuridica Pietro
Calamandrei”, 21 maggio 2010, i cui atti risultano pubblicati in Dir. inf., 2010, pp. 377 ss. e 617 ss.
20 “Lo chiarisce la Corte di giustizia europea nelle sentenze a proposito delle cause C-509/09 e C-161/10 mettendo a
punto quanto aveva già in precedenza stabilito per il solo caso della diffamazione su organi di stampa”. Si rinvia a G. NEGRI, Illeciti online, indennizzi più facili, in Norme e tributi – Il sole 24 ore, 26 ottobre 2011.
consentendo così loro di evitare di spostarsi in cerca invece di una tutto sommato incerta giurisdizione straniera. Sarebbe del resto impensabile immaginare una sede lontana dall’interessato per far valere i propri diritti, che magari possa richiedere anche sforzi eccessivi rispetto alle effettive disponibilità della persona coinvolta.21
Inoltre, se la nazionalità del soggetto leso può essere una regola de facto della giurisprudenza, anche il domicilio di quest’ultimo risulta d’altro canto indicatore della competenza territoriale: due elementi, quindi (giurisprudenza domestica più competenza domestica), che se sommati consentono comunque di cogliere un complessivo favor per il soggetto danneggiato, condizione tramite la quale si vuole più in generale porre una sorta di rimedio anche allo sconveniente paradigma grande operatore – piccolo utente.22
Si è trattato, in altre parole, di una regola fino ad ora non scritta ma periodicamente già affermata dalla giurisprudenza, il cui significato all’atto pratico è che la diffusione planetaria dell’attività dei soggetti imprenditoriali della Rete sottopone comunque questi ultimi non al giudizio delle aree dove ci sono gli impianti, bensì al giudizio di tutte le giurisprudenze dei vari paesi all’interno dei quali essi operano. In tale senso, i giudici europei hanno infatti ritenuto che l'impatto sui diritti alla personalità di un’informazione messa in Rete può essere meglio valutato dal giudice del luogo dove la vittima ha il proprio centro di interessi, località che coincide di regola con quella della residenza abituale della persona fisica (o con quello della sede statutaria per le persone giuridiche). Nei confronti di questo giudice dunque è possibile la richiesta di risarcimento integrale.23
Almeno in merito a quanto appena valutato, pertanto, è possibile cogliere come la regolamentazione del mercato non può dunque più, allo stato attuale, essere impropriamente deliberata da coloro i quali prevalentemente realizzano in esso degli interessi patrimoniali: la soluzione alla complessa casistica riscontrabile non può assolutamente consistere infatti nel riconoscere l’autonomia privata nel potere di autodeterminazione, o meglio nel potere assoluto della volontà. Tale identificazione non trova infatti alcun supporto normativo. Sono piuttosto gli
21 In maniera più generica, il problema era stato precedentemente trattato anche da C. GIURDANELLA, Problemi di
giurisdizione, in G. CASSANO (a cura), Internet. Nuovi problemi e questioni controverse, Milano, 2001, p. 373, secondo il quale per quanto riguarda la specifica tutela dei diritti della personalità si preferisce promuovere l’applicazione della legge dello stato in cui la vittima ha subito il danno, se questo era prevedibile da parte dell’autore dell’illecito e, in subordine, la legge dello stato dell’uploading dei dati che hanno causato il danno. Cfr. anche regolamento (CE) n. 44/2001 (in G.U.C.E., 16 gennaio 2001, L 12), concernente la competenza giurisdizionale, il riconoscimento e l’esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale.
22 V. ZENO-ZENCOVICH, intervento al congresso Il futuro della responsabilità sulla Rete. Quali regole dopo la
sentenza sul caso Google/ViviDown?, organizzato dalla Fondazione “Centro di iniziativa giuridica Pietro
Calamandrei”, Roma, 21 maggio 2010, i cui atti risultano pubblicati in Dir. inf., 2010, pp. 377 ss. e 617 ss.
23 “Resta poi sempre possibile chiedere l’intervento, per un indennizzo integrale, dell'autorità giudiziaria dello stato
dove ha sede il soggetto che ha diffuso i contenuti contestati, come pure agire, ma solo per una parte del danno, in ognuno degli stati dell'Unione nei quali è stato veicolato il messaggio dannoso”. G. NEGRI, Illeciti online, indennizzi
interessi a dover venire analizzati nella loro reciproca dipendenza, in un quadro normativo in
ragione del quale l’autonomia dei privati non deve assolutamente risultare ispirata a principi corporativistici, ma va al contrario resa funzionale prima di tutto alla realizzazione di quei valori intangibili qualificanti il nostro ordinamento giuridico.24