detto presenta :
a) la dissociazione tra comando e partecipazione azionaria ; lì) attua la raccolta di capitali nel mercato,
c) esercita un grado maggiore o minore di dominio monopo listico del mercato.
Vedremo subito che il primo dato di fatto non è presente in tutte quelle società dette di persone, che assumono forma societaria non tanto per raccogliere del capitale che altrimenti non sarebbe possibile raccogliere, quanto per usufruire dei benefici nei riguardi della re sponsabilità verso terzi, oltre eventuali vantaggi fiscali e tutt’ al più per ottenere più facilmente il credito di esercizio. Ma queste manife stazioni non si presentano sempre neanche nelle piccole società azio narie. Nelle piccole società è presente un altro fenomeno che pur deve essere considerato. In esse generalmente il rapporto di composizione del capitale, quella che i marxisti chiamano composizione organica, e cioè il rapporto tra capitale investito in macchinario e materie prime da un lato (capitale costante) e capitali salari dall’ altro (capi tale variabile) è basso, cioè non vi è una grande prevalenza del capi tale costante. I l fenomeno della diversa composizione organica deve essere tenuto presente ed è legato al tipo di produzione e alla sua am piezza.
Per bene intendere la natura economica di una società e valutarne la sua capacità contributiva è da considerare un altro fenomeno eco nomico e cioè che il mercato dei capitali è aperto solo per imprese societarie che superino una certa dimensione.
Queste raggiungono veramente il loro scopo di società di capi tali. Essa hanno le azioni quotate in borsa, e possono alla loro fon dazione raccogliere capitale con pubbliche sottoscrizioni nel meicato (sia pure con la mediazione del sistema bancario), emettere obbliga zioni. Le altre società non possono ricorrere al «m ercato dei capi tali », ma per il finanziamento iniziale e per i finanziamenti successivi devono ricorrere o alla raccolta « privata » tra pochi capitalisti im prenditori (e quindi molte volte non si verifica la « dissociazione » tra comando della società e soci), o all’autofinanziamento o ottenere le briciole date da istituti sorti nei vari paesi per il finanziamento della media industria e che distribuiscono una parte minima del risparmio nazionale e solo dopo rigorosi controlli sui richiedenti.
Ora l ’ elemento principale che caratterizza la forza economica di una impresa in regime capitalistico è proprio l ’ aspetto finanziario. E che occorra una certa dimensione per entrare nel mercato dei capi tali è un dato di fatto riconosciuto, lo cita il Berle, lo cita il M ar shall e lo esprime la realtà italiana. É a mio parere evidente che questo debba costituire un elemento per graduare la capacità contri
butiva. Infine oltre la possibile teorica vi è possibilità pratica e reale. I dati sul mercato dei capitali nei vari paesi dimostrano che la massa di capitale che si forma e passa attraverso il mercato è assor bita nella quasi totalità dai gruppi monopolistici. In questi p o ..o essere rappresentate anche società formalmente indipendenti che sem brano avere media grandezza, ma che sono m realtà filiazioni ( società madre, appartengono cioè ad un gruppo. La media società veramente indipendente, anche se ha una dimensione teoricamente sufficiente per entrare nel mercato dei capitali, in realta non vi pu
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Infine la realtà attuale ci rivela che una parte crescente di ca pitale non passa attraverso il mercato e viene direttamente investito. Ma anche questa parte, cioè l ’ autofinanziamento, affluisce con asso luta prevalenza ai gruppi monopolistici. I quali poi per 1 molteplici
legami economici e politici che hanno, usufruiscono di altri vantaggi che aumentano il loro dominio, (vantaggi nelle tariffe di energia nelle tariffe ferroviarie ecc., nelle vendite ecc.). _ .
Ne consegue che nella attuale società capitalistica m tutti 1 paesi è possibile delineare una zona di profitti ottenuti in condizioni mono polistiche da parte di un gruppo di società : si tratta di profitti piu elevati. Dopo esiste, sempre nell’ambito delle società, un altra zona in cui vi sono profitti ottenuti in condizioni più difficili e general mente si tratta di profitti più bassi. Naturalmente ciò come fenomeno
medio. . . ,
Le enunciazioni sopra fatte rappresentano fenomeni precisamente rilevati in tutti i paesi e che sono ricordati nelle già citate pubbli
cazioni. . , , .
Per quanto riguarda il nostro Paese abbiamo già ricordato la esistente concentrazione monopolistica quale è risultata dalla inchie sta promossa dalla Commissione economica per la Costituente e d al l ’ esame dalle variazioni successive attentamente seguite attraverso 1 bilanci delle stesse società. Parimenti, per quanto con una certa d if ficoltà perchè espressi in modo non esplicito, nella relazione annuale del governatore della Banca d’ Italia è possibile trovare dati molto interessanti sull’ assorbimento che i gruppi dominanti attuano del ri
sparmio disponibile (13). .
Ma che esista una differenza notevole di forza economica tra le società, risulta anche da una serie di pubblicazioni di carattere uffi ciale della stessa Associazione delle Società per Azioni, nonché da studi particolari compiuti.
Già è da ricordare che il censimento industriale del 1951 aveva rilevato molti fenomeni interessanti. In primo luogo l ’ importanza della forma societaria di organizzazione. Su 724 mila ditte industriali circa con 4 milioni e 232 mila addetti, le ditte non individuali
(so-(13) Sono stati da me espressamente ricordati e ricostruiti in discorsi parlamentari.
cìetà di vario tipo) rappresentano in numero solo il X,7o% , ma per consistenza dì addetti il 64,47% .
Occorre poi tener presente che delle (24 mila ditte, 596 mi a con 952 mila addetti circa sarebbero ditte artigiane. Quindi } a “ , ‘ vità industriale sarebbe costituita da 69.008 ditte (9,5 % ) con 3.160.8 addetti (74 7 % ). Se si considerano i dati delle imprese societarie su quest’ ultima cifra si vede che esse raggruppano due milioni e mezzo di addetti, cioè il 79,8% circa e nel quadro della attività artigiana 120 mila addetti, cioè l ’l l % . . , . .
Nel settore dell’industria vera e propria le ditte con piu di 1000 addetti del nostro paese sono solo 676 (1%_ c i r c a ) ma accentrano 1 2 8 1 .5 1 2 addetti (circa il 4 0 ,5 % ), nella quasi totalità (9 8 ,4 /,) so ditte societarie. Le ditte censite con più di cento addetti sono 4157 con due milioni di addetti (62,5 % ), 93,8 % in ditte societarie
3.542 società su 69.008 ditte raggruppavano il 58,6% di tutti gli addetti all’ industria. Però la forma societaria era fortemente pene trata anche nel campo della produzione artigiana.
Ancora altri elementi interessanti si possono trarre dalla pubbli cazione della Associazione delle Società per azioni : « Le società ita liane per azioni nel 1938, 1945, 1951 ». Intanto si può rilevare il rap porto tra enti tassati in base a bilancio — circa 70 mila — e società per azioni, 24 mila. Poi è da rilevare che nel 1951 su 22.136 società 3.063, pari come numero al 13,83% avevano un capitale nominale in feriore a 100.000 lire con capitale nominale totale di 642 milioni pari al 0 05% del capitale totale delle società per azioni. Con capita e nominale fino a 10 milioni erano 18.262 società su 22.136, cioè 1 8 2 ,5 0 % , ma il loro capitale era solo 38,862 miliardi pari cioè solo al 3 % del capitale investito in quell’anno nelle società per azioni. Si tratta certo di società non di « capitali » nel senso che la loro costituzione non era certo avvenuta “ per associare ” dei capitali. Ma anche nella quota superiore tra 10 a 50 milioni di capitale esistevano 2441 società, su 22.136 cioè l ’l l ,0 2 % , con capitale complessivo di 64 miliardi, pari al 5,02% del capitale totale, anche in questo caso non si può parlare di vere società di capitali. Da 50 a 250 milioni erano 265 su 22,136 pari al 4 ,3 6 % , con capitale totale di 132 miliardi. Tutte queste so cietà fino a 250 milioni rappresentavano come numero il 97,88% del numero delle società e le altre solo il 2,12 % , ma come capitale rap presentavano solo il 16,53% del capitale totale. Questi dati confer mano l ’alta concentrazione del capitalismo italiano.
Però essi indicano nello stesso tempo che la forma societaria è ampiamente usata anche nel nostro paese non soltanto per racco gliere capitali, ma per esercire una impresa sotto una forma che la protezione giuridica fa ritenere più conveniente.
Esse indicano pertanto sostanze economiche diverse. Non solo, ma l ’esame susseguente del mercato dei capitali, dei profitti e degli ammortamenti confermerebbe che vi è un salto notevole tra le grandi società solitamente rilevate dalla Banca d’ Italia — cioè i gruppi mo nopolistici __ e le altre società, sicché vi è un’altra distinzione da fare
tra grandi e piccole società (naturalmente indipendenti), inerente ai finanziamenti e ai profitti.
Per quanto riguarda il problema degli investimenti e dell assoi bimento del risparmio annuo attraverso Pautofinanziamento e il ri corso al mercato dei capitali, chi scrive ha compiuto analisi som marie, dati i pochi elementi di giudizio pubblicati, e dallo Schema di Sviluppo e dalle relazioni della Banca d’ Italia ; dati che egli ha po esposto in discorsi al Senato sui bilanci finanziari. È da rilevare co munque che gli investimenti lordi nell’ industria nel triennio 19o2- 1954 sono stati nel complesso di 2353 miliardi.
Di questi 1330, cioè il 56,6% erano da attribuirsi ad una settan tina di società appartenenti a 11 grandi gruppi (Fiat 8 società Mon tecatini 9 società, Pirelli e Centrale 6 società, Edison 13 società, Me ridionale elettricità 6 società, S A D E 10 società, Strade Ferrate M e ridionali 2 società ; Snia Viscosa 6 società, Italcementi 3 società, tre
gruppi saccariferi e otto grandi società tessili).
Il valore degli impianti degli stessi gruppi indicava dal 1952 al 1951 un aumento di ben 922 miliardi (essendo passato da 1453,6 m i liardi a 2375.6) con un aumento del 6 3 ,4 % . Nè a conclusioni meno importanti porterebbe l ’esame degli ammortamenti, secondo i dati
pubblicati dalla Banca d’ Italia. . . .
Infine un pregevole studio del Dr. Lena pubblicato in « Critica Econom ica» rilevava altri elementi interessanti e tra questi per esempio che nel 1950 gli utili dichiarati in bilancio m percentuale del capitale così si distribuivano: 10 società 1 1 ,9 % , 40 società 1 0 ,3 /Q 14 796 3 .0 °/ . Tra il 1948 e il 1954 l ’incremento annuo degli utili era stato del 30% per le 10 massime società e del 32% per le 40 maggiori.
Del resto l ’accrescersi della potenza dei maggiori gruppi è con fermato dal fatto che mentre le 180 società maggiori controllavano nel 1938 il 44,1 del capitale azionario italiano nel 1952 ne controlla vano il 68,39 e nel 1954 il 71,1% e assorbivano annualmente il 90% del capitale investito nel settore industriale. Sta poi crescendo come rileva anche l ’ ultima relazione della Banca d’ Italia, il ricorso all au tofinanziamento, reso possibile dai profitti di monopolio.
Tutti questi dati e altri che si potrebbero citare, dimostrano a mio parere chiaramente che occorre riconoscere una differenza di ca pacità contributiva anche in seno alla stessa categoria di società per azioni. E mi soffermo su questo punto perchè considero pacificamente acquisito il concetto di differente capacità contributiva tra società per azioni e altri Enti. Questa differenza di capacità contributiva non può essere riconosciuta che con un sistema (li progressività nella tassa zione. Quale debba essere questo sistema, su quali indici debba cioè basarsi ed essere articolato, ed è un argomento che non intendo qui trattare, poiché mi basta aver sollevato la questione di principio. Potrà essere il capitale, il profitto o altro evento economico. Nè vale l ’ argomentazione che anche una imposizione proporzionale ad a li quota cioè costante, colpisce in modo diverso in relazione all’ entità dell’ evento economico considerato. Tale obiezione era già stata
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perata per la tassazione dei redditi personali, ma nessuno oggi mette in dubbio la superiorità della tassazione progressiva, il cui principio è tra l ’altro sancito dalla nostra Costituzione.
Nel caso delle società, la cui produzione rappresenta il nucleo del sistema produttivo in tutti i paesi e nel nostro, la progressività rappresenta una esigenza ancor più forte. Ed essa è attuata del resto in quasi tutti i paesi, dove le entrate da imposte sulle società rappre sentano una notevole percentuale delle entrate del bilancio. Non solo la progressività risponde ad una più realistica concezione della ca pacità contributiva. Si pensi del resto ai particolari vantaggi che go dono i gruppi monopolistici attraverso il dominio che essi esercitano sulla opinione pubblica con la stampa e la pubblicità e sullo stesso stato : basta considerare le tariffe doganali. La progressività può, ret tamente attuata, correggere —- l ’imposta non è mai neutrale — gli squilibri che la struttura monopolistica genera sul mercato, in par ticolare sul mercato dei capitali e togliere uno degli ostacoli ad un più rapido, ampio ed equilibrato sviluppo economico. Regolare l ’ au tofinanziamento, limitare i profitti, agire sulla struttura economica sia pur con le scarse possibilità che offre il sistema fiscale, e quindi — diciamolo chiaramente — agire in senso antimonopolistico deve oggi essere sentito un dovere per chi ha la responsabilità della cosa pubblica.
E N B E L G IQ U E
I . - L ’évolution du régim e des sociétés en général
La Belgique ne connaît l ’ imposition moderne, sur les revenus que depuis la lin de la première guerre mondiale. Ce n’ est en effet, que par une loi du 29 octobre 1919 que. les anciennes contri butions directes furent transformées en un système comprenant des impôts cédulaires sur les différentes catégories de revenus et un impôt sur le revenu global. Ce système est toujours en v i gueur (1).
Les impôts cédulaires frappent les bénéfices, rémunérations et profits produits par le travail, par le capital ou par l ’association du capital et du travail. Ils comprennent :
1) La contribution foncière, qui est établie sur le revenu net