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Lo scenario sopradescritto sottolinea con forza l’urgenza di mirati interventi di riequilibrio degli assetti organizzativi e di revisione della normativa contrattuale che

Nel documento CORTE DEI CONTI ----------------- (pagine 134-137)

GLI STRUMENTI PER LE POLITICHE PUBBLICHE

14. Lo scenario sopradescritto sottolinea con forza l’urgenza di mirati interventi di riequilibrio degli assetti organizzativi e di revisione della normativa contrattuale che

regola la costituzione e l’utilizzo dei fondi unici per riequilibrare le differenze esistenti nei diversi enti e fra le diverse categorie di personale.

Il rischio da evitare, attraverso opportuni accorgimenti operativi, è che

l’assorbimento dei soprannumerari delle Province determini un ulteriore

consolidamento dell’attuale situazione rendendo, quindi, più difficile anziché favorire la predetta necessaria operazione di riordino.

V

ERSO UN RIORDINO DELLE POLITICHE DEGLI INVESTIMENTI PUBBLICI

IL PERCORSO VERSO LATTUALE DISEGNO DI LEGGE DI RIFORMA

COSTITUZIONALE IN MATERIA DI INFRASTRUTTURE STRATEGICHE

1. In materia di infrastrutture strategiche, l’ordine dei problemi che attiene alla complessità territoriale italiana è vasto e noto. In disparte gli aspetti patologici del sistema (anch’essi purtroppo vasti e noti), si tratta in primo luogo delle modalità di funzionamento dei pubblici poteri e del sistema di relazioni tra i diversi livelli territoriali, con tutte le implicazioni di carattere istituzionale, finanziario, amministrativo, giurisdizionale. Implicazioni che hanno trovato uno sbocco naturale in un tessuto normativo, sia generale che tecnico, ormai sovradimensionato, che si continua a implementare con finalità di semplificazione solo apparente ed una ricaduta gravosissima in termini di adeguamento amministrativo. A questo si aggiungono dati obiettivi quali le specifiche caratteristiche territoriali, rappresentate dalla particolare orografia, dalla sismicità, dalla forte antropizzazione, dalla diffusione di un patrimonio artistico e archeologico di pregio.

Tutti elementi che costituiscono le coordinate entro le quali si configura la strategia politica infrastrutturale e che, rispetto ad altri paesi europei, e soprattutto in materia trasportistica, incidono significativamente in termini di differenziali di costo, di tempi di realizzazione e di divario infrastrutturale.

Tempi di realizzazione – Rapporto NU.VER (Nucleo di Verifica) ex UVER. Il fattore tempo costituisce uno degli elementi determinanti del costo dell’infrastruttura e incide in maniera decisiva sulle scelte di investimento nazionali e sulla loro capacità attrattiva. Nel Rapporto 2014 dell’Unità di Verifica degli Investimenti Pubblici, basato sull’analisi di più di 35.000 opere per un valore complessivo superiore a 100 miliardi, si giunge ad alcune conclusioni: il valore economico delle opere incide sostanzialmente sui tempi di realizzazione, in quanto opere al di sotto di 100.000 euro sono completate mediamente in 2,9 anni, mentre quelle al di sopra superano i 14 anni; con riguardo alla natura delle opere, il settore “edilizia” fa registrare una durata media di 3,7 anni, “viabilità” 5,2 anni, “risorse idriche” 4,4 anni; a livello territoriale, le regioni più veloci sono l’Emilia Romagna, il Trentino Alto Adige, la Lombardia e il Piemonte, quelle più lente sono la Sicilia e la Basilicata. Il Rapporto mette, inoltre, in evidenza un altro dato interessante costituito dai c.d. tempi di attraversamento, cioè di passaggio da una fase procedurale alla successiva: il 42 per cento della durata complessiva è rappresentata da tempi di attraversamento, che sale al 61 per cento se si considerano unicamente le fasi di progettazione (preliminare, definitiva, esecutiva) e affidamento dei lavori. Sono le fasi iniziali del progetto quelle che si rivelano più complesse e che richiedono i tempi più lunghi. E’ abbastanza evidente come nella riduzione delle situazioni di incertezza e nel miglioramento delle fasi progettuali risiede la principale chiave di volta per giungere ad un taglio significativo dei tempi di realizzazione complessivi.

Proprio in ragione del suo rapporto con il territorio, la politica delle grandi infrastrutture chiama in causa il vasto insieme di poteri e centri di intervento pubblici e privati, e pone il problema del loro coordinamento e dell’assetto dei rapporti tra Stato, Autonomie e Unione europea.

Il rafforzamento delle autonomie territoriali avvenuto a cavallo del passaggio di secolo ha reso più complesse le procedure in tema di infrastrutture che trovano nel territorio il primo elemento di connessione e di sviluppo. L’incremento della capacità propositiva e del potere di veto ha inevitabilmente spinto verso una frammentazione di fatto delle scelte, mettendo a rischio la coesione territoriale e creando una spinta decisiva verso una rinnovata centralizzazione delle decisioni in materia di opere di interesse nazionale1.

La competenza in materia di infrastrutture: dalla “Legge Bassanini” alla “Legge Obiettivo” attraverso la modifica del Titolo V della Costituzione. Il c.d. terzo

trasferimento2, ovvero il decentramento di funzioni e compiti amministrativi dall’apparato

statale al sistema delle autonomie, è avvenuto con la legge n. 59 del 1997 (c.d. Legge Bassanini) che, rivedendo “a Costituzione invariata” l’impianto dei rapporti e delle competenze tra queste e lo Stato, introduceva i principi di sussidiarietà, differenziazione e adeguatezza . Con il conferimento (istituto nuovo rispetto a quelli già noti del “trasferimento” e “delega”) si intendeva: a) trasferire alle regioni funzioni e compiti amministrativi su materie per le quali queste detenessero la potestà legislativa ; b) delegare funzioni e compiti amministrativi esercitati dallo Stato su materie non previste dall’art. 117 Cost.; c) attribuire funzioni e compiti amministrativi agli enti locali. Sono state, pertanto, tassativamente individuate le materie escluse dal processo di devoluzione poiché relative a funzioni e compiti da riservare allo Stato, mentre sono state attribuite in via residuale, ai diversi livelli di governo, le restanti materie in quanto non espressamente richiamate. In maniera indifferenziata, invece, sono stati lasciati alle regioni blocchi di funzioni, nelle materie di loro competenza secondo l’art. 117 Cost., che le stesse avrebbero dovuto ripartire tra comuni e province, salvo il necessario esercizio unitario a livello regionale. La fase attuativa è stata condotta a termine attraverso l’emanazione di più di venti decreti legislativi: il decreto n. 112/1998 è il più rilevante ed ha riguardato la materia di sviluppo economico e attività produttive, territorio, ambiente, infrastrutture, servizi alla persona e polizia amministrativa.

Il trasferimento dei beni e delle risorse finanziarie, umane, strumentali ed organizzative negli ambiti trasferiti è stato affidato, invece, a successivi decreti del Presidente del Consiglio dei ministri. Il trasferimento di risorse (mediamente 5 miliardi di euro annui, per un importo complessivo di quasi 50 miliardi) è proseguito fino al 2010, quando gli interventi di contenimento della spesa regionale (art. 14 del decreto legge n. 78/2010) hanno sostanzialmente azzerato il passaggio di risorse, mantenendolo, con diverse caratteristiche, solo per la sanità e per il trasporto pubblico locale.

Fino al 2001, la competenza legislativa in materia di infrastrutture era così ripartita: allo Stato la competenza legislativa per tutte le opere e infrastrutture pubbliche, ad eccezione delle opere ricomprese nella materia “viabilità, acquedotti e lavori pubblici di interesse regionale”. Per queste, la potestà legislativa e la potestà amministrativa spettavano alle regioni: la prima nei limiti dei principi fondamentali stabiliti dalle leggi dello Stato e nel rispetto dell’interesse nazionale e dell’interesse delle altre regioni; la seconda, ad eccezione

1 Si vedano al riguardo gli specifici approfondimenti contenuti nel rapporto “Le infrastrutture strategiche di trasporto: problemi, proposte e soluzioni” elaborato dal Tavolo tecnico promosso dal Ministero per le Infrastrutture e i Trasporti e coordinato dalle Fondazioni Astrid, Italiadecide e ResPublica e il rapporto “Programmazione, decisione e localizzazione degli impianti e delle infrastrutture strategiche” – Fondazione Astrid – Aprile 2010.

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Storicamente, l’utilizzo della delega legislativa, quale strumento privilegiato per adeguare l’assetto della pubblica amministrazione ereditata dal periodo fascista ai principi costituzionali fissati negli articoli 5 e 118, si afferma compiutamente nel corso degli anni settanta del secolo scorso, dapprima con la legge 281 del 1970 (ed i decreti delegati emanati nel 1972) e poi con la legge n. 382 del 1975 (cui si è data attuazione con il d.P.R. 616 del 1977). Dopo un periodo di stasi, negli anni novanta il meccanismo delle “deleghe di trasferimento” riparte. Muove i primi passi il federalismo fiscale (con le leggi n. 549 del 1995, n. 662 del 1996, n. 418 del 1998 in materia sanitaria), poi si realizza il c.d. “federalismo amministrativo a Costituzione invariata” (legge n. 59 del 1997 e relativi decreti attuativi); infine, negli anni duemila, l’attuazione del riformato art. 119 Cost. passa attraverso una legge di delega (la legge n. 42 del 2009 ed i numerosi decreti di attuazione).

delle opere di interesse esclusivamente locale, di competenza comunale o provinciale. La decisione finale sulla localizzazione e i tracciati delle opere competeva alla regione per le opere di interesse regionale, pur mantenendo lo Stato la potestà legislativa di principio. La localizzazione delle opere di interesse statale era rimessa ad intese fra lo Stato e le Regioni interessate, salvo che per alcune materie (difesa) e salva la previsione di una deliberazione finale del Consiglio dei Ministri in caso di mancata intesa. Quindi, la linea di confine tra competenza statale e regionale ricalcava la diversa dimensione degli interessi coinvolti: da una parte gli impianti e le infrastrutture strategiche di interesse nazionale, con esternalità nazionali o ultraregionali, di “naturale” competenza del legislatore statale; dall’altra, le infrastrutture di interesse regionale e locale, di “naturale” competenza del legislatore regionale.

La riforma del titolo V della Costituzione, avvenuta con legge Cost. 3/2001, ha influito

profondamente sulla ripartizione costituzionale delle competenze, ribaltando

completamente l’impostazione della suddivisione delle competenze tra i diversi livelli di governo, tutti equiparati ad organi dello Stato-comunità. Si è realizzato, così, un notevole rafforzamento dell’autonomia legislativa regionale (residuale) su ogni materia non espressamente riservata alla legislazione esclusiva dello Stato e alla legislazione concorrente Stato-regioni, riducendo corrispondentemente il potere legislativo statale, estrinsecantesi prevalentemente attraverso norme di principio e non più di dettaglio. Il forte potenziamento regionale non ha consentito la previsione di una clausola di

supremazia, diffusamente prevista negli ordinamenti federali, che prevedesse,

legittimandolo, l’intervento del legislatore statale a tutela dei fondamentali interessi unitari della comunità nazionale, né la centralizzazione del potere di coordinamento politico e finanziario che chiarisse gli ambiti della competenza legislativa Stato-regioni e ridefinisse la sussidiarietà verticale fra Stato, regioni, province e comuni, con inevitabili effetti moltiplicativi sui conflitti di attribuzione Stato-Regioni dinanzi alla Corte Costituzionale. La confusione è divenuta massima in materia di opere e infrastrutture pubbliche, non menzionata nell’art. 117 ed, in quanto tale, con i caratteri di una “non materia”. Ha affermato la Corte Costituzionale, passando al vaglio di legittimità costituzionale la legge n. 443/2001 (c.d. Legge Obiettivo), che l’attribuzione di un’opera alla sfera di pertinenza della regione dipende dall’inerenza di essa a finalità proprie delle materie assegnate dall’art. 117 Cost. alla competenza concorrente o residuale della regione stessa. In mancanza di una espressa indicazione nel nuovo art. 117 Cost., i lavori pubblici “non integrano una vera e propria materia, ma si qualificano a seconda dell’oggetto al quale afferiscono” (sentenza 303/2003) e pertanto possono essere ascritti, di volta in volta, a potestà legislative statali o regionali. Ne è derivato che non è “configurabile né una materia relativa ai lavori pubblici nazionali, né tantomeno un àmbito materiale afferente al settore dei lavori pubblici di interesse regionale” (sentenza n. 401 del 2007). Per la Corte, elemento valutativo essenziale per giudicare se una legge statale avente ad oggetto la predisposizione di un programma di infrastrutture pubbliche e private e di insediamenti produttivi sia invasiva delle attribuzioni regionali o non costituisca invece applicazione dei principî di sussidiarietà e adeguatezza è la previsione di un'intesa fra lo Stato e le Regioni interessate. Ai principî di sussidiarietà e adeguatezza va annessa “una valenza squisitamente procedimentale, poiché l'esigenza di esercizio unitario che consente di attrarre, insieme alla funzione amministrativa, anche quella legislativa, può aspirare a superare il vaglio di legittimità costituzionale solo in presenza di una disciplina che prefiguri un iter in cui assumano il dovuto risalto le attività concertative e di coordinamento orizzontale, ovverosia le intese, che devono essere condotte in base al principio di lealtà” (sentenza 303/2003).

LE INTESE TRA LOSTATO E LEREGIONI:PROBLEMATICHE

2. L’imprescindibilità dell’intesa affermata dalla Corte Costituzionale, se da un

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