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Specificità dello spagnolo e resa in italiano

4. Commento traduttivo

4.1 Specificità dello spagnolo e resa in italiano

Lo spagnolo è, come l’italiano, una lingua neolatina e, per questo, si riscontrano numerose analogie; ciascuna, però, possiede delle peculiarità che vanno rispettate e tenute in considerazione, in modo da rendere anche la lingua della traduzione il più naturale possibile. Infatti,

un intervento mirante a modificare elementi grammaticali o lessicali […] non va visto necessariamente come una mancanza di fedeltà all’autore, soprattutto laddove una

173 In realtà tale analogia è stata riadattata da una lettura di Enrico Di Pastena de El traductor de Blumemberg di Juan Mayorga, in cui si propone il testo come un’allegoria del processo di

traduzione. DI PASTENA, Enrico (2012), La traduzione è un viaggio insidioso. Una lettura de El traductor de Blumemberg, di Juan Mayorga, in «Rivista di Filologia e Letterature ispaniche», Edizioni ETS, XV, 2012, pp. 112-113.

84 fedeltà eccessiva richiederebbe un uso improprio, o quantomeno forzato, delle strutture naturali della LA174

Ad esempio, il sistema verbale fornisce numerosi esempi. Il pretérito

indefinido spagnolo corrisponde al passato remoto italiano, ma, se il primo tempo

verbale è utilizzato normalmente nelle conversazioni quotidiane, non si può dire lo stesso nella nostra lingua, dove di solito il suo utilizzo presuppone una connotazione diatopica: per questo si è preferito, in traduzione, ricorrere al passato prossimo, che risulta più naturale all’orecchio di un qualsiasi parlante italiano. Un’eccezione si è fatta, in generale, per le canzoni presenti nel testo, ma solo per questioni metriche, perché trattandosi di un tempo composto, si sarebbe prodotto un allungamento eccessivo della traduzione.

Lo spagnolo utilizza il gerundio semplice molto più spesso di quanto lo si faccia in italiano, che di norma preferisce implicitare con una preposizione subordinata e, per questa ragione, si è valutato caso per caso la resa più appropriata: si è utilizzata la proposizione modale come se fluttuasse per tradurre casi flotando (p. 12), una relativa per rendere, nella stessa pagina, Ver a sus gentes pasando

necesidad (Vedere il suo popolo che soffre per le privazioni), o una temporale

esplicita ( a p. 30, Todos los vivos del campo de Mauthausen asistiendo al escarnio: Tutti i viventi del campo di Mauthausen ad assistere allo scherno).

Gli esempi finora mostrati mettono già in luce come la mera traduzione letterale non serva a renderla “naturale”, e ovviamente la questione non si limita al solo sistema verbale. Per esempio, il testo de El triángulo azul è caratterizzato da un uso di aggettivi e pronomi dimostrativi che risulterebbero eccessivi nella resa italiana: in alcune occorrenze si è optato per l’eliminazione, in altre per una traduzione “automatica”, in altre ancora si è preferito ricorrere alla sostituzione con le particelle pronominali italiane. Inoltre, il dimostrativo ese (e tutte le sue forme ovviamente) che corrisponderebbe a codesto, non viene mai tradotto in tale modo perché oggi, nella lingua italiana, tale parola non richiama l’uso originario (qualcosa di fisicamente distante da chi parla ma vicina a chi ascolta, connotazione

174 Per LA si intende lingua d’arrivo. FAINI, Paola (2004), Tradurre: dalla teoria alla pratica,

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fra l’altro, dal punto di vista semantico, persa anche in spagnolo) ma è ormai considerato un toscanismo e, per tale motivo, si sono utilizzati i dimostrativi questo o quello.

Un altro fenomeno largamente riscontrato nell’opera è il cosiddetto leísmo,

el uso innovador del pronombre español de tercera persona le(s), […] que se aparta del canon heredado del latín de acuerdo con el cual los clíticos le(s) son las formas apropriadas para el objeto indirecto o dativo y las formas lo(s) y la(s), para el objeto directo o acusativo.

El cambio che afecta el uso de estos pronombres consiste en que las formas correspondientes etimológicamente al objeto indirecto o dativo pueden aparecer en función de objeto directo o acusativo [...], es decir, en contextos donde según la etimología debiera aparecer un lo(s) o un la(s)175.

Essendo fra l’altro di uso ormai diffuso e accettato dalla comunità linguistica e dalla normativa accademica (Flores Cervantes, 2002:13), si è convenuto di non renderne conto in traduzione, al fine di evitare un effetto di straniamento nel lettore italiano, esattamente come accadrebbe a un lettore spagnolo. Fra l’altro, il leísmo è stato riscontrato non solo in vari personaggi ma anche nelle didascalie, e ciò fa supporre che tale fenomeno rientri nell’idioletto degli autori; pertanto non è da considerarsi una scelta caratterizzante un personaggio rispetto a un altro.

Inoltre, occorre ricordare che non tutti i protagonisti dell’opera sono spagnoli e non tutti hanno lo stesso grado d’istruzione; da ciò, quindi, deriva il fatto che la lingua dei personaggi risulti in qualche modo deviata dallo standard, l’uso ritenuto corretto (sia consentito il termine).

Nel testo non sono stati riscontrati degli elementi ascrivibili, con assoluta certezza, a una particolare zona piuttosto che a un’altra, ma c’è un’eccezione (due occorrenze per l’esattezza), come si può evincere dalle parole che seguono:

Zoy de la raza calé

175 FLORES CERVANTES, Marcela (2002), Leísmo, laísmo y loísmo, Universidad Nacional

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y marrón tengo que zé176

Prima di riportare la traduzione che ne è stata fatta, si farà una brevissima analisi: la stessa prigioniera che parla, anzi canta, dato che si tratta di una strofa della canzone El triángulo azul, fornisce, in queste poche parole, l’informazione fondamentale per comprendere gli elementi che sono stati sottolineati, ossia, dichiara di appartenere alla razza kalé, una popolazione gitana stanziata in diverse zone della Spagna, e quindi di parlare l’omonima lingua. Sostanzialmente, in questo caso, sta utilizzando la lingua spagnola, ma sostituisce il suono reso da <s> con <z>

in entrambi i casi sottolineati. Poiché le due occorrenze sono una voce del verbo “ser” (la seconda, in particolare avrebbe dovuto essere proprio un infinito, ma si ricordi che tale strofa è cantata), la resa italiana sarebbe quindi stata “Sono della razza kalé e marrone devo essere”. Proprio per mantenere la rima originaria, si è quindi optato per:

Sono della razza kalé e il marrone ho qui con me

tenendo in considerazione anche il fatto che si sta parlando del colore dei triangoli cuciti sulle divise che i detenuti indossano e, dunque, pronunciando “qui”, la prigioniera potrebbe indicare il triangolo marrone.

Come si può vedere, non è stata possibile una resa equivalente nella lingua italiana e ciò rientra nel caso che Berman definisce distruzione o esotizzazione dei

reticoli linguistici vernacolari Lo stesso studioso, che definisce la cancellazione

degli elementi vernacolari come «un grave attentato alla testualità» ritiene tuttavia che l’esotizzazione, utilizzata come tradizionale soluzione del problema (resa di un vernacolare straniero con uno locale) «finisca solo per ridicolizzare l’originale»177..

Per quanto riguarda l’aspetto diastratico, sono subito saltati all’occhio “axfisiado”, “tiés” e “samontonen” 178: la prima è la resa errata di “asfixiado”, la

176 Nell’opera a p. 16. Il sottolineato è mio.

177 Esso rientra tra le tredici tendenze deformanti elaborate da BERMAN, Antoine (2003) in La traduzione e la lettera o l’albergo nella lontananza, Quodilibet, Macerata, p. 53.

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seconda sta per “tienes” e l’ultima è la fusione di “se amontonen”. Se per la prima e la terza, la resa ha cercato il medesimo criterio dello spagnolo, adattandolo ai corrispondenti italiani (“sfissiato” invece di “asfissiato”179 e “sammassino” per “si

ammassino”), per la seconda, la migliore soluzione trovata è stata quella di ricorrere a qualcosa di più informale, come richiesto dal contesto, e di rendere la battuta ¡Qué

cosas tiés! con Come te ne esci!

Probabilmente attribuibili a una dimensione diastratica (ma non è da escludere quella diatopica), sono le apocopi come usté, realidá, na, verdá, tó, pa, e la caduta della consonante intervocalica in montao180, trattati in traduzione come se al loro posto ci fossero rispettivamente usted, realidad, nada, verdad, todo, para e

montado. A tale perdita (si ricordi che alcune di queste parole si trovano in parti

che sono cantate) si è cercato di porre rimedio mediante compensazione, cercando, in generale, di utilizzare un registro più colloquiale. L’informalità caratterizza, infatti, la maggior parte delle scene e, se della loro resa nelle canzoni si parlerà in modo approfondito più avanti, per quanto riguarda i dialoghi, in alcuni casi non ci sono stati problemi a trovare equivalenti nella lingua di arrivo, come nel caso di «¡Toma castaña! (p. 44): Gli sta bene!», «Pues os librasteis de una buena (p. 47): Dunque l’avete scampata bella», «¿Eres imbécil o te lo haces? (p.88): Ci sei o ci fai?» o per il diminuitivo abrazaditos (a p. 33, reso con reduplicazione), mentre in altri è stato più complicato e non sempre si è riusciti nello scopo, ma si è spesso fatto ricorso a dei calchi dallo spagnolo, che ben si adattavano al contesto; ad esempio quando la Bégum dice «Ya verás tú donde le pongo yo la soberbia a los españoles» (p.72), in italiano è diventato «E tu vedrai dove gliela metto io la superbia agli spagnoli». Inoltre, poiché in spagnolo la norma non prevede di solito il modo infinitivo al posto dell’imperativo, ma esso è comunque utilizzato, si è pensato di rendere la frase di Toni «Pues hacer lo que queráis con vuestros

179 Per utilizzare questa parola si è inoltre dovuta modificare la resa del termine “gaseado”, che

ricorre per la prima volta poco prima di “axfisiado”, e, dato che, a differenza dello spagnolo non esiste un’unica parola per esprimere tale concetto (e in questo caso specifico occorreva un’esplicitazione totale), si è dovuto ricorrere a un allungamento con l’espressione “soffocato dal gas”. Questa corrispondenza sarà poi mantenuta per tutto il testo.

180 Tutti questi elementi sono rintracciabili nelle scene de “La canción de la cantera di

Wienergraben” e nel “Chotis del crematorio”, dove a parlare (e a cantare) sono i prigionieri del campo ma non i protagonisti dell’opera, e solo un’occorrenza di pa viene rilevata in un dialogo successivo (a p. 79), pronunciato da Jacinto.

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negativos, y a mí dejarme en paz»181 con «Allora fate quello che volete con i vostri negativi, e a me lasciatemi in pace», dove l’imperativo segue la regola grammaticale ma, in compenso, si lascia il doppio pronome che in italiano è considerato un errore ma, purtroppo, è abbastanza diffuso.