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2. Gli autor

3.3 La storia degli spanier

Dopo la Guerra Civile, sono stati moltissimi gli spagnoli esiliati. Alcuni hanno trovato asilo in altri Paesi, riuscendo a costruirsi un futuro, altri sono riusciti a ritornare qualche tempo dopo, altri ancora hanno aspettato la morte del dittatore e per alcuni di questi l’attesa è stata troppo lunga. La storia della maggior parte di essi è sconosciuta al mondo ma figli e nipoti, nati e cresciuti in Paesi lontani ne mantengono la memoria. Mentre la stampa franchista (López Mozo, 2014) esaltava i successi della crociata contro il comunismo, nessuno parlava dei superstiti dell’esercito repubblicano finiti dei campi per i rifugiati francesi o che erano entrati a far parte della resistenza e avevano ottenuto qualche successo. Molti di loro, circa 7000 come si è detto, dopo essere stati ceduti dalla Francia ai tedeschi, erano poi finiti a Mauthausen perché, offerti a Francisco Franco, questo li aveva rifiutati, così come Stalin. A conferma di ciò, la circolare della SS August Eigruber del 27 giugno 1941:

Quando abbiamo occupato la Francia l’anno scorso, herr (signore) Petain ci ha consegnato seimila spagnoli rossi dicendoci: “Non mi servono e non li voglio”. Abbiamo offerto questi seimila rossi al capo di Stato fascista Franco, il caudillo spagnolo. Li respinse dicendo che mai avrebbe rimpatriato chi aveva combattuto per una Spagna sovietica. Allora li abbiamo offerti a Stalin, proponendo di portarseli. Herr Stalin e il suo Comintern rifiutarono di accettarli125.

125 In PIKE, 2004, pp. 42-43. Si pensa che mandare gli spagnoli a Mauthausen sia stata una decisione

presa durante la visita di Serrano Súñer a Himmler, ma non ci sono prove sufficienti a supportare tale tesi. In realtà c’erano già più di 1000 spagnoli a Mauthausen prima della sua visita a Berlino dal 15 al 25 settembre 1940 e in questa occasione è documentato che, al rifiuto da parte di alcuni

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Anche se il primo convoglio era arrivato ad agosto, dopo la visita di Serrano Súñer, tutti gli spagnoli sono stati mandati a Mauthausen, sebbene anni più tardi, l’ex ministro avrebbe negato che la decisione fosse scaturita durante quella che ha giustificato come una visita di protocollo126. Agli spagnoli sono stati riservati i trattamenti peggiori e, come riferisce Bermejo, non è stato consentito loro neanche di scrivere alle famiglie fino all’ottobre 1943127, salvo poi impedire nuovamente la

comunicazione dopo lo sbarco degli alleati in Normandia.

Se i mezzi di comunicazione hanno cercato di far passare le storie di questi deportati in silenzio, sono stati proprio loro, gli spanier (come erano chiamati in modo dispreggiativo gli spagnoli dai tedeschi)128 a scrivere la loro storia, lasciando

prove e documenti di quel genocidio: è dalle loro testimonianze che nasce la trama de El triangulo azul. Il loro spirito e il loro impegno nella lotta antifascista pure dentro il lager hanno fatto sì che Mauthausen divenisse noto anche come “il campo degli spagnoli” e per questo lo striscione all’entrata per le forze alleate129 era scritto

in spagnolo (esattamente come il testo a p. 112).

prigionieri spagnoli di fare il saluto nazista, Serrano ne abbia bastonati alcuni, definendoli «rossi codardi». Benito Bermejo (2002: 58) aggiunge che tale circolare è stata poi negata agli americani da parte dello stesso Eigruber, che ha dichiarato di non ricordare nulla di ciò o, comunque, di non avere informazioni di prima mano; rimane il fatto che le cifre corrispondono.

126 Intervistato nel 1976 da Montserrat Roig, ha fornito risposte vaghe e il disconoscimento dei fatti.

Ha raccontato che gli era stato accennato qualcosa in aereo, ma i nazisti gli avevano detto che non si trattava di spagnoli, ma di gente che aveva combattuto contro di loro in Francia. Serrano ha inoltre aggiunto che la sua priorità era a quel tempo quella di impedire che le truppe tedesche entrassero in Spagna. In ROIG, 2017, pp. 71-72 e 107-108.

127 Purtroppo, nella conferenza “Republicanos españoles deportados a Mauthausen, Bermejo

riferisce che, al 2014, alcune famiglie non conoscevano ancora il destino dei loro cari. Reperibile in

https://www.youtube.com/watch?v=HHcjNTBG5X4 (Univ. del Barrio. 5ª sesión de Historia "Republicanos españoles deportados a Mathausen"). [ultima consultazione 10/01/19].

In realtà Roig anticipa la concessione delle lettere al novembre 1942. Poiché questo divieto era riservato solo ai condannati a morte, l’idea originaria era probabilmente che i repubblicani spagnoli fossero sterminati nella loro interezza, anche se non c’era un motivo vero e proprio come poteva essere per gli ebrei, e inoltre non venivano da nazioni ostili ai tedeschi. Ma forse proprio questo elemento fornisce una prova della partecipazione del Governo di Madrid alla deportazione dei compatrioti. In ROIG, 2017, p. 191.

128 O rotspanier, spagnoli rossi marchiati con il triangolo blu, come spiegato anche nel testo a p.

17.

129 «LOS ESPAÑOLES ANTIFASCISTAS SALUDAN A LAS FUERZAS LIBERTADORAS»

recitava così lo striscione di 50 m sulla porta principale di Mauthausen, che dava il benvenuto agli statunitensi al loro secondo arrivo, il 6 maggio 1945. Sotto il testo in spagnolo c’era una traduzione inglese (con errori) e una russa (corretta), invisibili in quasi tutte le fotografie. Lo striscione era stato preparato durante la notte dagli ex prigionieri spagnoli su uno sfondo bianco, grazie anche alla collaborazione di un pittore catalano. In PIKE, 2004, p. 393.

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La prima a portare alla luce la vicenda degli spagnoli deportati nei campi di concentramento è stata Montserrat Roig, che nel suo libro Los catalanes en los

campos nazis, pubblicato in catalano nel 1977 e l’anno successivo in castigliano,

raccoglie le testimonianze di questi sopravvissuti130. La cosa è abbastanza paradossale se si considera che quello degli spagnoli era uno dei gruppi nazionali più numerosi nel lager, dato che Mauthausen131 era stata una delle loro destinazioni principali e, proprio grazie alla loro lunga permanenza nel campo, in molti erano riusciti a ottenere posti importanti e ad assistere a numerosi episodi che hanno poi raccontato o di cui sono stati protagonisti in prima persona.

Vari persone e fatti realmente accaduti sono presenti nell’opera: il minuto di silenzio in onore di José Marfil Escalona132, che viene osservato anche durante la rappresentazione, o l’esecuzione del gitano austriaco Hans Bonarewitz, condannato nell’estate del 1942, accompagnata dalle SS che invitano i detenuti a seguire con le mani il ritmo della musica che accompagna l’esecuzione.

Hans Bonarewitz è tristemente noto perché è stato uno dei pochi a riuscire a evadere dal campo, anche se la fuga è stata breve: sono rusciti a catturarlo e dopo averlo colpito davanti a tutti i prigionieri, lo hanno portato a passeggio sopra un carretto mentre l’orchestra suonava J’attendrai, e alla fine lo hanno impiccato. Prima di morire, il condannato pronunciava le sue ultime parole, in francese, il

130 Montserrat Roig è riuscita a raccogliere 41 testimonianze e di queste 27 provengono da deportati

di Mauthausen; c’è probabilmente anche la testimonianza di Antonio García, indicato semplicemente dalle iniziali A. G. Anche questa scrittrice parla della polemica, sorta in Francia, sul ruolo dello stesso García e di Boix nel salvataggio delle foto. In ROIG, 2017, pp. 42-43.

131 È ragionevole supporre che nel 1941 gli spagnoli costituissero il 60% dei prigionieri di

Mauthausen e che oltre il 90% degli spagnoli sia stato mandato proprio in questo campo. In PIKE, 2004, pp. 45 e 72.

132 Dell’episodio parla Brettmeier nell’estate 1942 (con La Bégum a p.42, facendolo risalire a due

anni prima). Pike (2004: 289) colloca infatti la morte di José Marfil ESCABONA al 28 agosto 1940 e narra l’episodio così come viene messo in scena alle pp. 51-52:

PRESO 5: (Como JULIÁN MUR.) Hoy ha muerto José Marfil Escalona, de 52 años, nacido en

Fuengirola.

RICKEN: Aquel mediodía, como todos, se procedió al recuento de los reclusos. Alineados de cinco

en fondo, según la disciplina del campo, los presos esperaban a ser contados. Después se dio la orden de romper filas, pero ningún español se movió.

MUR: Compañeros: hoy ha muerto el primer español en el campo de Mauthausen [...] Vamos a

guardar un minuto de silencio.

RICKEN: [...] Un silencio inmenso, un silencio que invadió el campo, un silencio que gritaba, que

atronaba como nada que antes hubiéramos escuchado en Mauthausen.

(Y todos los españoles del campo de concentración de Mauthausen guardan un minuto de silencio, al término del cual, resuena la campana.)

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versetto del Vangelo di Giovanni “Amatevi gli uni con gli altri”, esattamente come accade in scena, pp. 29-31.

Pike (2004: 220-221) riferisce infatti che la fuga e la successiva cattura erano un evento raro (ci sono state solo due impiccagioni pubbliche per questa ragione in cinque anni a Mauthausen) e, proprio perché si trattava di eccezioni, le SS preparavano lo spettacolo pubblico in ogni dettaglio: l’accompagnamento musicale era fondamentale ma la musica variava in ogni campo, a seconda dei gusti, anche se c’erano dei motivi ricorrenti come i valzer di Johann Strauss, una vecchia ballata tedesca Alle Vöglein sind schon da o la canzone francese Je vous attendrai. La prima impiccagione pubblica di Mauthausen ha avuto luogo nel giugno 1941 e la seconda nel luglio 1942 (Bonarewitz)133: dovevano assistere tutti i prigionieri. L’orchestra era composta da gitani ma più che di una banda musicale si trattava di qualcosa che creava scompiglio e alle SS piaceva questo diversivo. Tra questi c’era anche uno spagnolo al clarinetto. Durante l’esecuzione un carretto, che normalmente veniva usato per trasportare i cadaveri al crematorio, era adibito per l’occasione al trasporto dei condannati e adornato con nastri colorati e cartelli con scritte in tedesco. Anche il kapo che li accompagnava era vestito in modo carnascialesco, atteggiandosi a buffone; insomma sembrava di stare al circo e l’orchestra suonava per tutto il tempo.

A tutte le persone di cui si è parlato, occorre aggiungere, come sottolinea Eszter Katona (2017: 140), anche un gruppo che, sebbene non rientri nella lista delle dramatis personae, è menzionato nei dialoghi e nelle didascalie: di questo fa

133 L’esecuzione di Bonarewitz (30 luglio 1942) è anche tristemente nota perché è ritratta in alcune

fotografie scattate delle SS (tre o quattro sono tra quelle salvate dagli spagnoli): nessuna mostra l’impiccagione, ma si vede la carretta, l’orchestra gitana e si riconoscono perfettamente i musicisti e anche le SS presenti, così come alcuni prigionieri tra i quali Antonio García. Sull’evasione e la condanna di Bonarewitz, si veda PIKE, 2004, pp. 228-230 e ROIG, 2017, pp. 251-252. Queste foto sono state anche presentate al processo di Norimberga, come riferisce BERMEJO,2002, p.189.

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parte Heinrich Himmler134, Ernst Kaltenbrunner135, August Eigruber136, Franz Ziereis137, Karl Schulz138, l’architetto Albert Speer e il medico Eduard Krebsbach (il Banderillero)139, oltre al già citato Bachmayer che, come il suo omologo nell’opera, era un crudele e un sadico. La lista non include solo carnefici, ma anche vittime (2016: 108) e, oltre ai già menzionati, vanno ricordati anche Francisco Boluda, di cui Krebsbach conserva il cranio nello studio (p. 64), Julián Mur Sánchez140, che ha chiesto il minuto di silenzio in memoria di Marfil Escalona e

Juan de Diego141.

Altri personaggi, invece, sono stati eliminati dalla trama per ragioni economiche: tra queste persone figura José Cereceda Hijes, il terzo spagnolo del laboratorio fotografico (l’unico del laboratorio di cui Benito Bermejo ha raccolto la testimonianza personalmente)142 e ballerino della Compagnia di Celia Gámez che

134 Capo della Gestapo e ministro dell’interno dal 1943, si è recato a fare visita a Mautausen almeno

due volte, il 27 aprile ’41, dopo l’arrivo dei primi ebrei, e il 31 maggio 1943, in occasione della scoperta di alcuni scavi archeologici, di cui era grande appassionato, come riferisce PIKE, 2004, pp. 242-243. In occasione delle visite di “Enriquito” sono state scattate delle foto, come si evince anche dal testo a p. 36.

135 Dal 1937 responsabile austriaco delle SS, poi dal ’38 come segretario di Stato per la sicurezza,

partecipa al progetto di costruzione di Mauthausen e diviene nell’anno successivo anche responsabile della polizia di Vienna, arrivando praticamente nel 1943 a divenire il vice di Himmler nell’apparato respressivo del Terzo Reich. In Bermejo (2002: 97)

136 Gauleiter di Oberdonau (la provincia di cui faceva parte Mauthausen), si sa per certo che ha

visitato il campo, come testimoniano le fotografie che di fatto hanno sancito la sua condanna. In PIKE, 2004, p. 97.

137 Comandante e intimo amico di Eigruber, rimane al comando di Mauthausen praticamente durante

tutta la guerra da febbraio 1939. Ha fatto carriera nelle SS in breve tempo e ha solo trentaquattro anni quando Himmler gli affida la massima carica di Mauthausen, riuscendo perfino a ottenere una promozione senza aver preso parte ad alcuna azione militare. A differenza delle altre SS, non amava farsi fotografare da Ricken. Perfino in occasione di una nuova promozione nel 1944, quando hanno appeso in suo onore una sua foto alla parete nella sala degli ufficiali, ha ordinato di rimuoverla dicendo: «Troppo presto per appendermi». In PIKE, 2004, pp. 97-100.

138 Capo della Politische Abteilung.

139 Dei sette medici che hanno avuto la carica di ufficiale medico in capo a Mauthausen, il più

conosciuto è il quinto, il dottore delle SS Eduard Krebsbach, un pediatra di Colonia arrivato al campo nel luglio 1941, divenendo il medico principale a ottobre. Dalla sua passione per le iniezioni deriva il soprannome di “Spritzbach” (da Spritze, puntura) e, tra gli spagnoli, quello di Banderillo (da banderilla, palo lungo da 70 a 80cm, con una linguetta di ferro a uno degli estremi che, rivestito e adornato a volte con una banderuola, serve ai toreri come strumento da conficcare nel collo del toro). Questo medico è noto per la sorte che ha riservato allo spagnolo Francisco Boluda Ferrero, la cui unica colpa era quella di essere straordinariamente bello; decapitato il 10 settembre 1941, il suo cranio è stato svuotato, lavato e messo in bella mostra sulla scrivania del dottore. In PIKE, 2004, p. 147.

140 Membro dell’anarchica CNT, sarebbe poi morto a Gusen. In PIKE, 2004, p. 289.

141 È nominato da Paco a p. 35. Anche se non ha mai scritto le proprie memorie, è stato uno dei

testimoni più importanti della vita a Mauthausen.

142 Era entrato a metà del 1944, grazie a Boix che nel frattempo era diventato kapo, secondo PIKE,

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ha contribuito alla realizzazione della rivista, Fritz Kornatz (che ha diretto il laboratorio prima di Ricken) e gli alti aiutanti del laboratorio (un austriaco e tre polacchi). Lo stesso García ha infatti raccontato che collaborava con un polacco, Grabowski, per realizzare una copia aggiuntiva delle foto.

Dopo il suicidio di Hitler, il 30 aprile 1945, Franz Ziereis ha ordinato di distruggere tutte le foto e i negativi143, che nel frattempo erano però state consegnate ad Anna Pointner. È stato poi Francisco Boix a recuperarle e a farle pubblicare dai giornali francesi, tra luglio e agosto, come il settimanale Regards e il quotidiano Ce

soir144.

La storia del salvataggio delle foto, eccetto per il ruolo di Anna Pointner è stata quindi una questione totalmente spagnola che ha suscitato grandi controversie. Pike (2004, 478-479) riassume così la questione: occorre distinguere tra la collezione salvata da Antonio García (secondo la sua testimonianza 200 fotografie, tutte su carta) e quella di Francesc Boix (20 000 secondo la sua testimonianza al processo, tutte negativi). L’attività del primo è durata quasi 4 anni, mentre il secondo ha probabilmente approfittato della situazione degli ultimi mesi (lo stesso Boix ha generato confusione sui fatti), quando è stato rinnovato l’ordine di distruggere le foto alla fine del 1944145, con la liberazione dei primi campi: a Mauthausen ciò sarebbe avvenuto l’ultima settimana di aprile del 1945, durante la quale Boix avrebbe aggiunto materiale a quanto già raccolto precedentemente, per due anni e mezzo. García, che non parlava di Boix probabilmente perché

sulla vita al laboratorio, Benito Bermejo si è anche avvalso della collaborazione di una SS, l’ultimo responsabile del laboratorio, che si ricordava perfettamente dei tre spagnoli (Toni, Franz y Josef, el artista, come li chiamava lui). Il suo personaggio, confida la Ripoll, così come altre persone (e sono tanti gli spagnoli) hanno avuto un ruolo fondamentale nel conservare le prove di Mauthausen. In

https://www.youtube.com/watch?v=-8UYkd0AiY0 [ultima consultazione 14/01/2019]

143 In PIKE, 2004, p. 378, esattamente come accade a p. 86 de El triángulo azul, poco prima della

liberazione del campo, Ricken si trovava al laboratorio anche se ormai non ne era più a capo. Il lavoro di distruzione delle foto è durato tre giorni ma, quando Ricken si allontanava per mangiare, si portava qualche foto o negativo fuori dal laboratorio. In quei momenti, García ha recuperato circa 40 istantanee da 36x24 anche se il grosso della sua raccolta era già sparito nel febbraio 1945.

144 In ROIG, 2017, p. 55 si afferma che è impossibile dare il numero esatto dei negativi rubati perché

essi sono stati sparsi in vari fondi di differenti Paesi, Queste fotografie sono state utilizzate dalla studiosa per completare le testimonianze ed erano allora inedite per la Spagna, mentre all’estero circolavano abbondantemente già dopo la liberazione. In Spagna sono arrivate 536 foto di Mauthausen (e 800 successivamente grazie a Boix).

145 Pare che già nel febbraio 1943, dopo la sconfitta di Stalingrado, fosse stato emesso un ordine

analogo; da allora, in ogni caso, si era deciso di non scattare più certi tipi di foto (delle fughe ad esempio, o le foto ufficiali).

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amareggiato dal tradimento, ha invece sempre sostenuto che le foto portate ad Anna Pointner fossero tutte sue. Il paradosso sta nel fatto che se le copie fossero state effettivamente distrutte o perse, il numero di negativi, in numero di gran lunga superiore, avrebbe fornito al mondo tutte le prove necessarie.

Boix è stato convocato come testimone oculare a Norimberga il 28 e il 29 gennaio 1946, pur non avendo assistito fisicamente ai fatti (era sempre stato dentro il laboratorio), perché aveva visto le foto prima di qualsiasi contraffazione e conosceva le date: testimonia la visita di Himmler e Kaltenbrunner (che grazie a ciò viene condannato e poi giustiziato per crimini di guerra e crimini contro l’umanità) e riconosce Speer in tribunale (che viene condannato a vent’anni per sfruttamento ma aveva negato di sapere dello sterminio). Boix testimonia anche a Dachau contro il comandante, le guardie e i medici di Mauthausen: Eigruber viene condannato e giustiziato146.

Boix, provato dal campo, muore giovanissimo il 7 luglio 1951, a trent’anni, in Francia; solo il partito comunista spagnolo e francese si sono occupati della sua memoria. Roig (2017: 56-57) obietta infatti che siano dovuti passare vent’anni prima che fosse ricordato e onorato come meritava. Alla sua sepoltura nel cimitero di Thiais, infatti c’erano poche persone e nessun familiare, tanta tristezza e silenzio, un silenzio lungo vent’anni, esattamente l’età che aveva quando era entrato a Mauthausen, che è stato rotto il 23 maggio 1971, quando la commissione spagnola della FNDIRP e l’Amical di Mauthausen hanno inaugurato una targa commemorativa sulla sua tomba:

Francisco BOIX CAMPO. Déporté en 1941, a l’âge de 20 ans au camp de concentration de Mauthausen, décédé le 7-7-1951 des suites de sa déportation. Animé d’un grand courage, il subtilisa aux SS des documents photographiques accablants pour les Nazis qui imposèrent le régime concentrationnaire.

146 Al processo di Norimberga, Boix non ha detto nulla sul modo in cui le foto sono state

conservate, ma a Dachau ha dichiarato di aver messo da parte, dopo la sconfitta di Stalingrado, le più interessanti e di averne poi raccolte circa 20 000, anche se potrebbe trattarsi di un errore di trascrizione della testimonianza dal francese e che in realtà abbia indicato con questa cifra il totale delle foto del suo archivio. In BERMEJO, 2002, p. 130.

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Inoltre, il 16 giugno i resti sono stati traslati al cimitero parigino Père- Lachaise, grazie al sostegno delle amicales francese e spagnola.

García ha sempre dimensionato il suo ruolo di eroe nella storia delle fotografie (lo stesso che gli si attribuisce ne El triángulo azul), accusandolo persino di collaborazionismo e opportunismo, come testimonia il volume curato da David Wingeate Pike147, ma Cereceda, il terzo spagnolo del laboratorio, conferma la tesi per cui Boix è passato alla storia. Benito Bermejo riferisce che Boix ha lasciato circa 700-800 foto, ma agli americani ha parlato di 20 000 foto conservate delle 60 000 di quegli anni. Boix avrebbe detto che le circa 19 300 foto mancanti si trovavano a Parigi, ma è morto prima di rivelare il luogo esatto148.

Francesc Boix è morto prima del processo di Colonia (1966-67) ma Antonio García, che non aveva testimoniato nei due processi precedenti, ha potuto farlo; si era stabilito nel sud di Parigi, dove sarebbe morto nel luglio 2000.

È significativo che l’ultima frase, pronunciata nell’opera a p. 114 da uno dei prigionieri: «Para ustedes, la noche. Para nosotros, el día», sia stata veramente detta, da uno spagnolo, Juan De Diego per l’esattezza, a Bachmayer che stava scappando