• Non ci sono risultati.

La storia di Mpié è legata ad un problema: ha prolungato per troppo tempo la sua

Rispondono alle domande alternativamente: Julien Sombié e Mamadou Sombié.

R. La storia di Mpié è legata ad un problema: ha prolungato per troppo tempo la sua

permanenza in terre straniere, mi riferisco al suo lungo viaggio d’avventura in Senegal. Quando tornò dal Senegal, in quanto componente della famiglia, aveva maturato il diritto al “coltello”, quindi gli fu concesso il “coltello”. Ma dopo che ottenne il “coltello” fece l’er- rore di confonderlo con l’esercizio della chefferie, che qui presso di noi è ben altra cosa.

Aveva perso l’abitudine di vivere qui nel villaggio, per cui si era dimenticato di alcune cose fondamentali. Gli anziani lo riprendevano spesso per ricordargli quali fossero le pro- cedure corrette, in quanto essi non avendo viaggiato a lungo e avendo sempre vissuto al vil- laggio avevano sempre ben presente quali fossero le regole previste dalla tradizione. Al che lui si alterava molto spesso, convinto di essere in realtà lui a sapere tutto: per questo moti- vo non finiva mai di fare le storie. Quando videro che non c’era la possibilità di trovare un rimedio, al suo comportamento, gli fu definitivamente tolto il diritto al “coltello”.

Voglio dire sono sempre i figli ad aver diritto al “coltello”, e sono loro che devono pre- senziare al corretto svolgimento dei sacrifici. Quando invece ci sono dei problemi, a causa delle mancanze dei figli, si può provvisoriamente incaricare un forgeron in attesa che qual- cuno arrivi.

Ecco qua! La ragione per la quale a Mpie a suo tempo fu tolto il “coltello”, ci costrin- se a fare questa scelta che portò alla rovina di tutto.

[Dal punto 17.40 alla fine non è molto chiaro, ma si potrebbe prendere in considerazione l’ipotesi che la conclusione alla quale arrivano sia le seguente: il protagonista di questa vicen- da – Mpié – ha deliberatamente confuso i vari piani nei quali era tradizionalmente suddiviso l’esercizio del potere, questo a causa del suo allontanamento dal villaggio, percepito come avventura in un mondo contaminato.

Un modo di comportarsi che danneggiò il delicato equilibrio dei poteri al villaggio. Tale condotta costrinse poi i notabili del paese a prendere dei severi provvedimenti in merito, al fine di salvaguardare i rapporti che si trovavano alla base di questi istituti culturali.

È lampante il disagio con il quale affrontano tutta la vicenda, indubbiamente le ragioni che danno impulso a questo disagio sono il risultato di una condizione psicologica estremamente complessa; ma è certo che tutta la problematica ha origine da uno stesso nucleo costitutivo, quello relativo al processo storico di ridefinizione dei poteri all’interno del villaggio.

39. Colui che ricopre questa carica: “détenteur du couteau”, presiede i rituali in quanto è l’unica persona del villaggio che può uccidere gli animali destinati ai sacrifici.

Una scelta necessaria e dolorosa40, che comportò sicuramente anche un profondo squilibrio

nelle relazioni con le divinità, non è un caso che il ricordo della scelta fu accompagnato dalla seguente considerazione: «... ci costrinse a fare questa scelta che portò alla rovina di tutto». Probabilmente, in questo luogo, ci si trova di fronte alla «corposa e drammatica concretezza di un certo mondo culturale sorpreso in atto di scegliere e di produrre valori»41]. – 17.54

D. 15) Vorrei sapere qualcosa circa la storia di SHCUA: il figlio dello chef coutumier, a cui non fu consentito di esercitare la chefferie, si dice spesso a causa di un problema ai piedi.

R. (risponde Julien Sombié)

Shcua era un “figlio” che aveva sicuramente diritto al “coltello”, ma poteva ambire anche alla chefferie, in ogni caso aveva più diritto al “coltello” che alla chefferie, poiché, per conferire il “coltello”, si scelgono i figli più anziani.

Quando si deve scegliere avendo come riferimento i figli, il criterio che si adotta, per la scelta, è sempre la maggiore età: è, infatti, il più anziano di tutti che ha diritto al “coltello”. Ogni volta che se ne presenta il bisogno si cerca, tra tutti i figli, quello più anziano: se non dovesse essere presente, nel momento del bisogno, si sceglie il più vecchio tra i presenti al villaggio. Dunque si può anche pensare di avere diritto al “coltello”, in relazione alla chef-

ferie, ma solo se manca una discendenza diretta, qualcuno che ha diritto al “coltello”, può

pensare di poter aspirare anche all’esercizio della chefferie. Possiamo prendere l’esempio di SONGOLIMAN. Era un “figlio” che ebbe diritto alla chefferie solo perché era contempo- raneamente “figlio” e “nipote”. Normalmente sono i nipoti ad avere diritto alla chefferie, ma in questo caso specifico, siccome era figlio e nipote allo stesso tempo, gli fu in modo stra- ordinario concesso il diritto alla chefferie.

[La riflessione sulle vicende legate ai due personaggi, quella di Mpié nella domanda prece- dente e quella di Schua ora, è utile sopra tutto in riferimento al periodo più critico vissuto dagli abitanti del villaggio, nel corso dell’anno del 1985, quello che indico come il periodo d’interre- gno42. I conflitti presi qui in considerazione ricordano molto da vicino la situazione venutasi a

determinare nel 1985, anzi non si può escludere a priori che siamo di fronte ad avvenimenti determinatisi in quel periodo storico; in ogni caso la soluzione al problema, prospettata in queste due risposte, potrebbe benissimo essere assunta anche come risposta all’empasse politico-istitu- zionale del 1985, nulla sembra vietarlo.

40. «L’esserci nel mondo come centro di decisione e di scelta è esposto al rischio radicale di non esserci, di perdersi e di alienarsi, dando luogo a tutta una serie di inautenticità esistenziali, che nei loro modi più compromessi costituiscono le malattie della psiche», de Martino E., Furore Simbolo Valore, p. 63.

41. De Martino E., Storia e metastoria, p. 57.

42. Mi riferisco alle risposte n. 5, 6, 7 e n. 13, 14 del 14 novembre; compresa quella che si pone un orizzonte storico di riferimento molto più ampio la n. 9 del 24 novembre.

Affrontando la tematica da un punto di vista prettamente simbolico è da fare molta attenzio- ne alla relazione esercizio del potere-malformazione dei piedi, per capire se per i nativi la legitti- mità del esercizio del potere dipenda anche, in qualche modo, da una rifrazione dell’autoctonia43.

In molti luoghi i Turka si sono misurati con questo problema, la chiave sta nel modello di relazioni instaurato con i Karaboro, in quanto sono molti i dati che possono suggerire l’idea che i primi arrivati e quindi il primato dell’autoctonia appartenga a quest’ultimi. Non è da escludere che ci sia stato, in un arco temporale abbastanza lungo, uno sviluppo storico che gradualmente abbia portato alla supremazia dei Turka. Questa ipotesi può essere percorribile, in quanto in mito- logia è frequente che ragionando sulla dinamica indigeni/immigrati, si approdi facilmente ad affrontare la tematica dell’origine del potere44. Di solito questo avviene articolando un discorso

simbolico che implica una riflessione sulla legittimità dell’esercizio del potere in riferimento alla autoctonia, che nel linguaggio simbolico evoca quasi sempre «una difficoltà a camminare drit- to»45]. 19.42

43. Lévi Strass C., Antropologia strutturale, pp. 231-259.

44. Massenzio M., Sacro e identità etnica, pp. 140-159, dove si trova una dotta ed esauriente riflessione circa questa tematica in riferimento alle opposizioni capi/sudditi, indigeni/immigrati, mediazione/potere alla luce di una vasta com- parazione.

1. Al punto 0.22 pronuncia una parola non chiara.

2. Dal punto 1.03 al punto 1.06 non è chiaro: si riferisce a qualcosa/qualcuno che non ha la possibilità/capacità di comu- nicare, o comunque ad un impedimento. Stessa cosa al punto 1.57, pronuncia una parola che non riesco a tradurre. 3. Dal punto 1.27 al punto 1.32 sembra dire: «un gruppo e un débâ con due nomi»; la frase è cifrata, non mi è stato pos- sibile decriptarla.

4. Questa digressione è veramente cifrata, apparentemente sembra veramente irrelata dal prima e dal dopo. 5. Dal punto 2.02 al punto 2.06 non si sente nulla.

6. Intorno al punto 2.33 sviluppa alcune considerazioni purtroppo poco chiare; ma, con molta cautela, potremmo avan- zare l’ipotesi che il riferimento è ad un’azione di riparazione, di un ritorno sui propri passi.

1.5 Colloquio del 4 dicembre 2004