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Ho viaggiato molto, visitando tutti i villaggi Turka della regione: dopo aver parlato a

Risponde a tutte le domande Alphons Hébié

pretendente 9 Un padre [prima di getto aveva pronunciato la parola “zio” poi si è immediata-

R. Ho viaggiato molto, visitando tutti i villaggi Turka della regione: dopo aver parlato a

lungo con tutti gli anziani che vi abitano, sia donne sia uomini; sono giunto alla conclusione che il tchourama rischia di sparire. I sintomi sono sia la trasformazione dei nomi25sia l’insi-

26. Non è semplice capire l’accezione con la quale usa questo termine, ma più avanti nel corpo dei capitoli della tesi cer- cherò di chiarire, possiamo comunque partire dal dato che sicuramente lui è da considerare tale.

27. Quel “comportarsi male” va inteso in senso olistico: esattamente come quando qui da noi, nel corso del medioevo, era considerato un peccato mortale solo pensare che fosse la terra a ruotare intorno al sole.

28. Segue subito dopo la bizzarra affermazione: «le pédre esclave».

nuarsi, sempre più frequente, di parole francesi e dyoula nel lessico del tchourama. Per que- sto mi sono domandato: per caso la nostra lingua rischia di essere dimenticata? Anche se nei piccoli villaggi isolati può capitare di sentire famiglie intere che comunicano utilizzando ancora la nostra lingua tradizionale; invece, quelli che abitano nei centri più grandi o più vicini alle città parlano quasi tutti una lingua diversa; i più diffusi sono il moré e il dyoula.

[Dal punto 12.45 al punto 13.10 troviamo delle considerazioni fatte a voce molto bassa e dimessa, non tutto si intende con chiarezza, ma sul fatto che Alphons sia impegnato ad elencare i pericoli principali che minacciano la loro lingua non ci sono dubbi: vede nel matrimonio con- tratto con donne provenienti da etnie diverse forse la minaccia più grande].

In quanto i Turka sono molto restii a mandare a scuola i figli, sopra tutto se si tratta di bambine, gli “intellettuali”26spesso scelgono come mogli donne di altre etnie. Spesso in que- sti casi, ed è naturale che ciò avvenga, la donna insegna ai propri figli innanzitutto la propria lingua d’origine, così in queste famiglie non si parla più il tchourama. Arrivati a questo punto, ci siamo chiesti cosa si può fare per contrastare tale fenomeno? Sono arrivato così all’idea di scrivere la nostra lingua. È importante scriverla, anche per evitare la scomparsa della nostra tradizione culturale. Inoltre c’è il rischio di perdere il sapere dei guèrisseur, che per esercitare questo mestiere utilizzano molte piante; di queste piante loro sanno tutto, ma nulla è scritto: conoscono bene i luoghi dove nascono, le malattie che curano e come si devo- no conservare. Qualora i nipoti, come ora spesso accade, si comportano male27, gli anziani rinunciano spesso ad educarli, e tutto questo sapere rischia di perdersi per sempre.

[Dal punto 13.54 fino alla conclusione della risposta l’esposizione di Alphonse non è pro- priamente limpida, ma la tematica oralità e scrittura, che non approfondisco in questa sede poi- ché esula dall’economia della ricerca, è solo in parte confluita nel paragrafo destinato al tchou- rama, l’idioma tradizionale dei Turka]. – 14.20

D. 11) Qual è stata la prima parola presso i Turka?

R. Fufodii! Nei tempi antichi i Turka, fuggivano per non esser catturati come schiavi28.

Pensa che c’è persino un villaggio che ha preso il nome di Moussodougou: il villaggio abi- tato da sole donne. Quando infatti arrivarono i Saufa per catturare schiavi, tutti gli uomini del villaggio si sono nascosti, sono poi scappati lasciando lì le donne sole. Dunque quando la gente è arrivata... cominciarono a dire fufodii: è stata la prima parola pronunciata.

29. Questa affermazione non contraddice la regola, sulla quale non nutro nessun dubbio, tra l’altro più volte lui stesso vi ha fatto riferimento, che è nipote uterino ad ereditare dallo zio, dice solo che in principio non era così presso i Turka. Il racconto è appunto un mito di fondazione di un istituto culturale.

30. Alphons qui da protagonista, qual era stato fin ora, assume il ruolo distaccato del narratore.

[Quest’ultimo passaggio, è intervallato da brevi tratti di vuoto che compromettono seriamen- te la comprensione. Posso comunque acquisire come dato certo la interessante relazione che la tradizione pone tra il linguaggio, quindi la possibilità di comunicare e scambiare, e la salvezza dalla schiavitù, che ne è sicuramente la negazione, in quanto viene di norma connotata come con- dizione di isolamento e sottomissione. La “prima parola” è quindi concepita innanzitutto come il principale strumento di “salvezza”]. – 15.05

D. 12) Come si origina la trasmissione dell’eredità presso i Turka?

R. L’eredità per noi non era per il nipote29: da dove viene allora quest’usanza? Si rac-

conta che30:

«Tanto tempo fa un chef de village mentre era nel suo villaggio viene avvertito dell’ar- rivo di gente malintenzionata, che voleva fare razzia e portare via tutto: gli oggetti del vil- laggio, le scorte di cibo e gli animali allevati etc. Quindi per evitare che il villaggio subisse questo cattivo destino bisognava sacrificare un ragazzo. Si rivolse alla prima moglie per chiedergli in sacrificio uno dei suoi ragazzi, ma la donna non acconsentì. Si rivolse allora alla seconda moglie, chiedendo la stessa cosa, anche quest’ultima si rifiutò. In fine, dopo aver chiesto inutilmente a tutte le sue donne, si rivolse alla sorella per esporgli la stessa richiesta, la sorella accettò di donargli il figlio per il sacrificio». Effettivamente il villaggio fu salvato, solo grazie a questo gesto disinteressato fatto dalla sorella del capo villaggio. Dunque a partire da questo giorno... sono i figli di mia sorella ad aver diritto all’eredità...

[A partire da quel giorno, secondo il racconto di Alphonse, l’eredità presso i Turka si trasmette per via uterina, da zio materno a nipote. Non ci sono dubbi che egli ci stia narrando un mito di fon- dazione di un istituto culturale; un mito che mette in risalto il ruolo importante che svolge nella socie- tà la relazione zio-nipote. Infatti il villaggio è salvo solo grazie al soccorso generoso della sorella del capo villaggio. Anche se, come abbiamo visto, la risposta a questa domanda comincia con una mani- festa contraddizione, la negazione è funzionale all’introduzione del mito che rimette ordine a tutto, e conferma la trasmissione dell’eredità tra zio e nipote. Tutti gli altri elementi del racconto sono asso- lutamente coerenti con il contesto generale delle regole sull’eredità degli autoctoni. Quindi la con- traddizione iniziale potrebbe benissimo essere risolta all’interno della logica del mito]. – 16.34

D. 13) Quali sono le cose proibite?