L’atteggiamento dell’Unione Europea nei confronti della Cina prima e dopo la crisi
1. La strategia dell’UE nei confronti della Cina: un “impegno incondizionato”
Sin dalla metà degli anni ’90, la politica dell’Unione (prima Comunità) Europea nei confronti della Cina è stata una politica di “rapporto costruttivo”, orientata a “promuovere il più pieno coinvolgimento possibile della Cina nell’arena internazionale, nelle dimensioni economiche, sociali, politiche, militari e di sicurezza”.20
Questo rapporto costruttivo si basava sulla concezione che l’Unione Europea ha di sé come “potere normativo” ed è stato portato avanti come un progetto volto a trasformare la politica cinese secondo il modello europeo, ma il suo presupposto si è rivelato fallace.
20 Communication from the Commission “A long term policy for China-‐‑
Europe relations” COM (95) 279 final, 5 July 1995, available at < http://eeas.europa.eu/china/docs/com95_279_en.pdf>.
L’Unione Europea era anacronisticamente convinta che la propria influenza potesse avere sulla Cina un impatto tale da indurre Pechino a liberalizzare il proprio sistema economico, rendere più democratiche le proprie politiche e migliorare lo stato di diritto. Questo atteggiamento è sfociato in una rete di accordi bilaterali , summits e visite ministeriali, nei quali l’idea di fondo era che l’impegno con la Cina fosse vantaggioso di per sé e che, con riferimento a specifici comportamenti cinesi, la conditionality non fosse un requisito necessario.
La costruzione dell’identità dell’Unione Europea come potere normativo non trovava base in alcuna iniziativa politica tangibile, ma traspariva dal modo in cui molti Paesi europei si figuravano e gestivano le proprie relazioni con la Cina. Se ne potevano poi trovare riscontri nella “Dichiarazione di Laeken relativa al futuro dell’Unione” (2001), che definiva l’Europa come il “continente dei valori umani (…) di libertà, solidarietà, e soprattutto diversità”, e in “The European Union: Furthering Human Rights and Democracy across the Globe“21, brochure pubblicata dalla Commissione Europea che identificava in “libertà, democrazia, rispetto dei diritti umani, libertà fondamentali e stato di diritto” i principi fondanti dell’Unione. L’idea che l’UE rivestisse nell’ambito delle relazioni internazionali un ruolo di “forza tendente al bene” dotata di potere trasformativo era condivisa anche dagli Stati Membri. Un esempio a conferma di ciò: Germania, Regno Unito e Francia
21Luxembourg, Office for official publications of the European Communities, 2007:5
alla fine degli anni ’90 erano concordi nel ritenere che l’Unione Europea dovesse essere un “attore etico” nelle relazioni internazionali.
Enfatizzando la propria natura di potere normativo impegnato nella promozione di democrazia, libertà, stato di diritto, diritti umani e buon governo, l’UE implicitamente relegava la Cina al rango di attore “meno etico” che aveva bisogno dell’impegno dell’UE per imparare dall’esperienza di quest’ultima.
Questo approccio presentava molti punti deboli: da un lato sopravvalutava il potere trasformativo dell’Unione; dall’altro non teneva conto della forza economica e politica della Cina e ne sottovalutava l’abilità ad utilizzare il rapporto con l’Unione Europea per i propri fini.
L’ambizione di catalizzare il cambiamento in Cina (persuadendo le autorità cinesi che fosse nel loro interesse fare ciò che l’Unione chiedeva) non regge, infatti, allo scontro con la realtà: difatti la Cina non sembra aver tenuto finora in considerazione i valori europei nella sua politica estera e interna. Le speranze europee che l’ingresso della Cina nell’OMC nel 2001 costituisse l’inizio di un processo di riforma che sarebbe terminato nella liberalizzazione del suo sistema economico sono state ripetutamente frustrate; il controllo statale sulle imprese cinesi è aumentato; le barriere informali di accesso al mercato sono state rafforzate; nel contesto delle Nazioni Unite, la Cina ha formato una coalizione e può contare su un numero di voti all’interno dell’Assemblea Generale che spesso usa in opposizione a valori e obiettivi politici europei (tutela dei
diritti umani in primis); le politiche cinesi verso Zimbabwe e Darfur e l’esercizio del proprio veto nel Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite per contrastare l’irrogazione di sanzioni a Sudan e Zimbabwe sono stati discordanti con le politiche europee.
La Cina è ormai diventata un potere globale. La sua crescita economica non conosce pari nel mondo moderno; la sua politica industriale e commerciale, assertiva e talvolta aggressiva, insieme alla sua propensione al risparmio piuttosto che alla spesa, ha fatto uscire i cinesi dalla povertà e ha messo ampi fondi a disposizione del governo. Su uno sfondo di crisi economica globale, è ora chiaro che il futuro dell’economia mondiale dipende dalle decisioni della Cina tanto quanto dipende da quelle dell’Europa; nondimeno, l’Unione Europea sembra non vedere tutto ciò e tratta la Cina come se questa fosse ancora una potenza emergente.
Il risultato è una politica dell’UE nei confronti della Cina che Fox e Godement descrivono come un “impegno incondizionato”22: sarebbe a dire, una politica che consente a Pechino di avere accesso ai benefici insiti nella cooperazione con l’Europa in maniera quasi unilaterale.
Tuttavia, l’UE si rende conto che il grado di reciprocità è, soprattutto in ambito commerciale, insufficiente: le imprese europee intenzionate ad accedere al mercato cinese devono
22 FOX John, GODEMENT François, “A Power Audit of EU-‐‑China Relations”, ECFR publications, 2009, p. 2
avere a che fare con procedure eccessivamente complesse e ostacoli e restrizioni di gran lunga più grandi di quelli che le compagnie cinesi fronteggiano nel mercato europeo. Anche la non condizionalità della politica estera cinese è stata aspramente criticata.
Talvolta la Cina ha modificato le proprie posizioni in senso gradito all’Occidente, ad esempio appoggiando la forza di peacekeeping dell’ONU in Darfur o disponendo un controllo navale antipirateria lungo la costa somala; ma nella maggior parte dei casi questi cambiamenti sono stati frutto di diretti interessi cinesi. Inoltre, la Cina aderisce al principio di non-‐‑ interferenza negli affari interni degli altri Paesi e questo atteggiamento, specialmente per quel che riguarda l’Africa, risulta antitetico rispetto all’interventismo caratteristico dell’UE. La crisi economica mondiale richiede che la Cina adotti misure di sostegno della stabilità finanziaria internazionale; ma rivela anche la misura in cui molti Stati membri UE sono diventati dipendenti dal mercato cinese, offrendo alla Cina un’opportunità di rafforzare la propria posizione pur dando un contributo modesto ai piani di salvataggio internazionali.
Nel Settembre 2003 è stato varato il Partenariato Strategico Globale tra l’UE e la Cina. Si tratta, per usare la definizione fornita da Wen Jiabao, di una “prospettiva condivisa” dalle due parti per stabilire una relazione strategica globale.
L’attributo “globale” significa che la cooperazione è onnicomprensiva, abbraccia vasti campi e si articola su più livelli: infatti, copre i campi scientifico, economico, politico,
culturale e tecnologico, comprende sia il livello bilaterale che quello multilaterale ed è attuata sia dai governi o che da gruppi non governativi. L’aggettivo “strategico” sta a indicare la stabilità della cooperazione e il suo inserimento in un sistema più ampio di relazioni tra le parti coinvolte, che contribuisce a rafforzare. Per “partenariato”, invece, si intende una cooperazione paritaria, reciprocamente vantaggiosa e win-‐‑win. Scopo della partnership non è solo far convergere e tutelare gli interessi delle due parti contraenti ma contribuire alla pace, alla stabilità e allo sviluppo.
Nel periodo compreso tra il 2003 e il 2004 il partenariato strategico tra Cina e Ue ha conosciuto una fase di “luna di miele”. Anche gli scambi di visite tra i leader delle due parti sono diventati più frequenti, fino a raggiungere le 206 visite in un anno (considerando soltanto quelle prestate da ufficiali dell’UE ai colleghi cinesi); tanto che, al Business Forum sinoeuropeo del maggio 2004, l’allora presidente della Commissione Europea Romano Prodi si è espresso in merito dicendo che le relazioni tra Cina ed Unione Europea fossero, se non proprio un matrimonio, quantomeno un fidanzamento ufficiale.23
Tuttavia, un numero sempre maggiore di studiosi europei appare scettico sul partenariato in questione. Questo scetticismo
23 PRODI Romano,”Relations between EU and China: more than just business”, 6 maggio 2004, consultabile all’indirizzo
si è diffuso a partire dalla pubblicazione ad opera di John Fox e François Godement della relazione “A Power Audit of EU-‐‑ China Relations” nel 2009. Stanley Crossick, senior fellow del Brussels Institute of Contemporary China Studies e membro fondatore dell’European Policy Centre, ha affermato: “Dobbiamo essere realisti. L’attuale rapporto Sino-‐‑Europeo non è né strategico né un partenariato, e la firma di un Accordo di partenariato e cooperazione non cambierà le cose. Un partenariato strategico richiede un impegno a lungo termine per stabilire una stretta relazione in un numero significativo di aree politiche”.24 Il Prof. Eberhard Sandschneider, Otto Wolff-‐‑ Director of the Research Institute, German Council on Foreign Relations, nel suo discorso nel Forum on China-‐‑EU Strategic Partnership tenutosi a Pechino nel Novembre 2009 ha osservato: “la maggior parte dei cosiddetti partenariati strategici non sono “strategici” in senso stretto. In un’accezione più restrittiva i partenariati strategici dovrebbero essere basati su una prospettiva condivisa sui valori essenziali, gli interessi e le azioni da intraprendere in situazioni specifiche”.
Al contrario, i politici europei sembrano inclini ad affermare che il partenariato strategico tra l’UE e la Cina non solo esista e sia effettivamente tale, ma continuerà anche a svilupparsi.
24 CROSSICK Stanley, “China-‐‑EU strategic partnership: a state of play”, paper for the FUDAN CES/IFRI/SIES/CSEUS tavola rotonda del 24 Settembre 2009 a Shanghai
Una ragione di tale affermazione può essere ritrovata nel fatto che le difficoltà economiche che l’Europa si trova ad affrontare in conseguenza della crisi economica mondiale richiedono un supporto finanziario per il quale Cina riveste un ruolo primario: è chiaro che, in una situazione così critica, i politici europei non vogliano buttar via un partenariato che pone le basi per un intervento Cinese a favore dell’Europa nel momento del bisogno.