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DEMOCRATIZZAZIONE: DUE MODELLI TEORICI A CONFRONTO

2.1 TEORIE DELLA TRANSIZIONE DEMOCRATICA

1.2.1 STRUMENTI VALUTATIVI PER LA TRANSIZIONE DEMOCRATICA

A questo punto, verranno prese in rassegna brevemente le caratteristiche fondamentali della prima instaurazione avvenuta nei Paesi occidentali per provare a trarne alcune riflessioni utili all’argomento trattato. Questo aspetto ha fini strettamente analitici e intende semplicemente trarre spunti dagli ampi contributi che la letteratura offre proprio sull’evoluzione delle democrazie occidentali per provare a trarne strumenti teorici. L’analisi più efficace e classica individua due aspetti fondamentali72 strettamente connessi tra loro: l’ammissione del dissenso, competizione tra le diverse parti politiche (possibilità riconosciuta dell’alternanza) e della inclusività ovvero dell’ammissione della proporzione

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R. A. DAHL, Poliarchy, Participation and Opposition, New Haven, Conn. Yale University Press, 1970

della popolazione che ha titolo a partecipare, controllare e opporsi alla condotta governativa. Secondo la prospettiva di Dahl, la prima dimensione rimanda alla necessità di veder garantiti i diritti civili, quali la libertà di associazione e riunione, di pensiero, di parola, di stampa e, in un secondo momento, ed in conseguenza di ciò, a vedere le possibilità di opposizione e alternanza. La seconda dimensione si riferisce alla partecipazione e soprattutto all’espansione dei diritti politici. Dahl sintetizza queste dinamiche applicate ai regimi utilizzando tali due dimensioni come variazioni.

Tale schema tiene in considerazione il quadro che emerge a partire dai regimi senza competizione e partecipazione (le egemonia chiuse) o da quelli con ampia partecipazione ma senza effettiva possibilità di competizione, le cosiddette egemonie includenti, a quelli con partecipazione limitata ma possibilità di competizione e opposizione anche elevate (oligarchie competitive) a quelli dove partecipazione e competizione sono ampie cioè le liberal-democrazie di massa, le poliarchie alla Dahl.

Figura 1: La prima democratizzazione: la scatola di Dahl

Fonte: adattata da R. DAHL, Poliarchy, Participation, and Opposition, New Haven, Yale University Press, 1970

Quest’ultimo privilegia tre possibili strade alla democrazia. La prima vede un’instaurazione per cui la competizione precede l’inclusività (che ha caratterizzato l’evoluzione di alcune democrazie di massa occidentali come il Regno Unito, la Svezia, la Norvegia). La seconda implica che l’inclusività preceda la competizione (si pensi al caso del Belgio, dei Paesi Bassi, dell’Austria) mentre la terza vede una crescita parallela di possibilità di dissenso e inclusione (USA). A questo nelle democrazie occidentali si affianca una ulteriore dimensione di sviluppo cioè il graduale sviluppo dei diritti sociali, che ampliano la piattaforma di diritti tutelati73. Questa dimensione verrà presa in considerazione soltanto parzialmente in considerazione nella ricerca empirica perché si deve tenere presente che

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T. H. MARSHALL, Sociology at the Crossroad, London, Heinemann, 1963, traduzione italiana

Cittadinanza e classe sociale, Torino, UTET, 1976

Competizio

ne/

Opposizione

Oligarchie competitive Egemonie chiuse Poliarchie Egemonie includenti Partecipazione

nella maggior parte dei casi prescelti si studia la ricostruzione post-bellica di Paesi che ancora non hanno in agenda questa terza generazione dei diritti74. D’altro canto, non potremo dimenticare completamente questo aspetto perché in alcuni, rari casi, la guerra civile è incorsa in regimi piuttosto sviluppati, come nell’ex-Jugoslavia. Bendix assimila l’avvento di un regime democratico con “l’ingresso delle classi inferiori nell’arena politica nazionale”75 a cui si aggiunge l’importanza dell’evoluzione degli interessi intermedi specifici con modalità diverse da partiti ai sindacati all’associazionismo tout-court. Per comprendere tuttavia l’intero fenomeno della prima transizione europea occorre fare riferimento alla dimensione della legittimazione76, riguardante piuttosto la sfera dei diritti civili insieme a quella dell’incorporazione. Nel processo di democratizzazione, Morlino riprendendo un classico, Rokkan77, tiene poi in considerazione altri due fenomeni: la soglia di rappresentanza e la soglia del potere esecutivo78. La prima riguarda la progressiva riduzione degli ostacoli frapposti alla rappresentanza dei nuovi partiti ed al passaggio dai sistemi elettorali maggioritari ai proporzionali. A tal proposito Rokkan propone due generalizzazioni:

“1) la pressione per la proporzionale aumenterà con l’eterogeneità etnica e/o religiosa dei cittadini e, anche in elettorati etnicamente/

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N. BOBBIO, Il futuro della democrazia, Torino, Einaudi, 1984

75

R. BENDIX, Nation-building and Citizenship: Studies of our Changing Social Order, New York, Wiley, 1964, traduzione italiana Stato nazionale e integrazione di classe: Europa Occidentale,

Giappone, Russia, India, Bari, Laterza, 1969

76

S. ROKKAN, Citizens, Elections, Parties:Approaches to the Comparative Studies of the Processes

of Development, Oslo, Universitet-forlaget, 1970, traduzione italiana Cittadini, elezioni, partiti,

Bologna, Il Mulino, 1982

77

S. ROKKAN, Citizens, Elections, Parties:Approaches to the Comparative Studies of the Processes

of Development, Oslo, Universitet-forlaget, 1970, traduzione italiana Cittadini, elezioni, partiti,

Bologna, Il Mulino, 1982

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religiosamente omogenei, aumenterà con la differenziazione economica causata dall’urbanizzazione e dalla monetizzazione delle transizioni; 2) la proporzionale si rivelerà come la trincea di minor resistenza delle democrazie articolate e con scarse risorse governative, mentre i plurality

systems saranno difesi efficacemente nei sistemi politici più grandi e con

strutture governative forti”79.

La seconda, la soglia dell’esecutivo, riguarda l’approvazione delle norme sulla base delle quali viene riconosciuta la responsabilità politica del governo nei confronti del Parlamento e istituito un collegamento organico tra maggioranza parlamentare e governo. Anche in questo caso si può parlare di due modelli ai due poli opposti di un ipotetico continuum: il modello inglese (a cui si avvicinano Belgio, Paesi Bassi e Norvegia) caratterizzati dall’affermazione della responsabilità dell’esecutivo prima dell’estensione del suffragio e quello tedesco caratterizzato dai medesimi elementi invertiti (come pure quello di Danimarca, Svezia, Austria). Infine, come ricorda Cama80, ulteriori aspetti rilevanti, in una prospettiva istituzionalista, sono il peso dell’eredità storica, il ruolo della burocrazia statale e quello delle assemblee rappresentative: sono elementi che non potranno non essere presi in considerazione nell’analisi successiva, tenendo presente ad esempio il peso del regime precedente allo scoppio della guerra civile.

Dopo aver delineato le caratteristiche fondamentali, seppure per sommi capi, della prima transizione democratica in Occidente, si possono

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S. ROKKAN, Citizens, Elections, Parties:Approaches to the Comparative Studies of the Processes

of Development, Oslo, Universitet-forlaget, 1970, traduzione italiana Cittadini, elezioni, partiti,

Bologna, Il Mulino, 1982, p.155-156

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G. CAMA, Istituzioni e democratizzazione: l’avvento della politica di massa in Gran Bretagna e

provare a mettere in luce gli aspetti più salienti della democratizzazione. In una fase iniziale, il processo d’instaurazione si sovrappone alla transizione. Da un punto di vista terminologico, in questa sede, si recepisce il termine di transizione nella sua accezione in senso stretto, suggerita da Morlino, come “il periodo ambiguo ed intermedio in cui il regime ha abbandonato alcuni caratteri determinanti del precedente assetto istituzionale senza avere acquisito tutti i caratteri del nuovo regime che sarà instaurato”81. Dal momento che in questa sede si riflette su di una particolare tipologia di democratizzazione, derivante dall’uscita dalla guerra civile, questa definizione calza in maniera soddisfacente per delimitare quella fase compresa tra la stipula di un accordo di pace tra le parti in lotta e la piena affermazione del nuovo regime. Si configura così un periodo di fluidità istituzionale. In numerosi casi storicamente successivi alla prima ondata di democratizzazione, la transizione inizia quando cominciano ad essere riconosciuti i diritti civili e politici e può considerarsi conclusa quando risulta evidente la direzione democratica presa dalla transizione, quando sembra possibile instaurare una democrazia. Questa riflessione sembra tuttavia troppo poco rigorosa e precisa per poter rintracciare una precisa linea di confine tra transizione ed instaurazione. In questo senso, si può partire dal presupposto che non esistano segnali univoci che possano contribuire a distinguere tra regimi in transizione e regimi democratizzati. Tuttavia, si può provare a rintracciare un crinale di distinzione. Questa realtà viene consacrata con le prime elezioni libere eppure talora già prima di quelle elezioni può essere evidente la svolta democratica. Ci si chiede cioè se le prime elezioni libere, competitive e corrette siano l’indicatore migliore

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dell’avvenuta democratizzazione del regime ovvero se ne esistano altri più esplicativi. Questo è in effetti un dibattito irrisolto in letteratura a cui forse soltanto uno studio empirico può fornire risposte soddisfacenti. Partendo da un’analisi degli aspetti centrali messi in luce dalla letteratura maggioritaria sulla democratizzazione, si possono mettere in luce gli aspetti centrali della transizione. Si noti come tuttavia la maggior parte degli autori che si sono concentrati su questi temi ne hanno teorizzato le peculiarità a partire da quegli sconvolgimenti avvenuti negli ultimi vent’anni del XX secolo in Europa Occidentale (meridionale), America Latina ed Europa Orientale82. Già Morlino scriveva nel 1991 che “molto poche sono le ricerche comparate degli ultimi vent’anni in cui i Paesi dell’Africa o dell’Asia siano inclusi”83.

Nello studio che s’intende invece qui intraprendere, le aree geografiche coinvolte sono invece quasi completamente non coincidenti: la maggior parte dei conflitti intrastatuali occorsi dopo la fine della Guerra Fredda sono piuttosto localizzati in Africa, Balcani e Caucaso.

Si prendono in considerazione i modelli teorici suggeriti dalla letteratura per poi provare ad applicarli dopo averli filtrati attraverso un riesame critico. Le dimensioni principali suggerite per spiegare le modalità della transizione sono il grado di continuità, la partecipazione, il ricorso alla violenza, la durata. In questa sede rileva particolarmente la discontinuità, intesa come trasformazione operata attraverso un cambiamento concreto degli attori, una rottura e mutamento delle regole, un cambiamento delle istituzioni appartenenti al regime precedente, che nella maggior parte dei

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L. MORLINO, Democrazie e democratizzazioni, Bologna, Il Mulino, 2003; J. J. LINZ e STEPAN,

Problems of Democratic Transition and Consolidation. Southern Europe, South America, and Post- Communist Europe, Baltimore, Johns Hopkins University Press, 1996, S. HUNTINGTON, La Terza Ondata, Bologna, Il Mulino, 1995.

83

L. MORLINO, “Problemi e scelte nella comparazione, Introduzione”, G. SARTORI e L. MORLINO (a cura di), La comparazione nelle scienze sociali”, Bologna, Il Mulino, 1991, p.16

casi era non democratico. Tale discontinuità si configura come un atto precisamente individuabile, in seguito al quale il regime crolla e inizia la transizione: un colpo di Stato, un passaggio del governo nella mani dei civili, l’abolizione e messa fuori legge del partito unico, l’eliminazione di parlamenti corporativi o altri eventi simili. Evidentemente il caso del conflitto intrastatuale si configura nettamente come discontinuità. “Anche un vero e proprio conflitto, non necessariamente violento, per abbattere il vecchio regime, può aver creato solidarietà che successivamente renderanno più semplice la nascita di accordi e poi anche la soluzione dei principali problemi che si presenteranno durante l’instaurazione democratica”84. Come emergerà in seguito, tale eventualità è, nel caso di conflitti interni ad intensità medio-alta, molto rara.

DIMENSIONI Modalità

Continuità/discontinuità Attori Regole

Istituzioni

Partecipazione Bassa Alta Violenza Bassa Alta Durata Bassa Lunga

Tabella 2: Dimensioni e modalità della transizione democratica

Fonte: L. MORLINO, Democratizzazione e democratizzazione, Bologna, Il Mulino, 2003, p.122

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Non si deve tuttavia dimenticare come anche la dimensione della continuità possa rilevare, anche se molto parzialmente. Si pensi, ad esempio, all’ipotesi per cui il regime autoritario cominci a cambiare gradualmente seguendo le stesse regole previste per il mutamento interno di quel regime. La condizione principale del mutamento continuo è il ruolo centrale svolto, nel cambiamento, dall’élite governante del regime autoritario precedente. Ad un dato momento, l’élite al potere comprende che, per diversi motivi, non può bloccare il cambiamento se non impiegando risorse coercitive ma che anzi le conviene assecondarlo: in questo modo sconta l’azione dell’opposizione ed evita i pericoli insiti nello scontro frontale. Si concretizza cioè la distinzione tra varie soglie d’intensità del conflitto, da quelli più violenti a quelli più blandi. Studiando il cambio di regime successivo al termine di una guerra civile, il ruolo della continuità è limitatissimo eppure in alcuni casi nella fasi precedenti e seguenti della guerra civile si sono evidenziati fenomeni di questo genere (ad esempio, nel corso della guerra civile in Lesotho).

Si può suggerire, per chiarire meglio, la distinzione tra liberalizzazione ed instaurazione democratica che possono essere due fasi successive della ricostruzione post-bellica oppure due strade alternative alle quali si aggiunge la tipologia di regime di transizione. Con liberalizzazione s’intende il processo, che ha luogo durante la transizione e di solito la caratterizza, di concessione dall’alto di maggiori diritti civili e politici, quasi un ibrido istituzionale che dovrebbe far superare la crisi del regime autoritario allargandone la base di consenso.

Il regime di transizione è invece un modello intermedio tra regime autoritario e democratico. Data la definizione minima di democrazia

rintracciata all’inizio del lavoro, esso si configura come un assetto che non rientra pienamente nel genus democratico. Si tratta di regimi che hanno acquisito forme proprie della democrazia e al tempo stesso conservano elementi autoritari tanto che alcuni autori85 hanno coniato termini ibridi come dictablandas o democraduras. Se i regimi di transizione sono tutti quei regimi preceduti da un’esperienza autoritaria o tradizionale cui fa seguito un inizio di apertura, liberalizzazione e parziale rottura della limitazioni del pluralismo. Questo è un caso che può essere piuttosto frequente nelle fasi successive ad un conflitto interno. Esistono più partiti di cui uno resta dominante-egemonico in elezioni semi-competitive e in cui contemporaneamente una qualche reale competizione vi è già tra i candidati all’interno di quel partito. Gli altri partiti sono poco organizzati, di recente creazione o ri-creazione e scarso seguito. Vi è una qualche partecipazione reale, ma molto ridotta e di solito limitata al periodo elettorale. Spesso, una legge elettorale fortemente distorcente provvede a mantenere un enorme vantaggio nella distribuzione dei seggi al partito dominante-egemonico, in numerosi casi una struttura burocratico-clientelare che in qualche modo cerca di sopravvivere alla trasformazione in corso86.

La nozione di transizione necessita di essere integrata, a questo punto, da un’altra categoria fondamentale: l’instaurazione. Si procede dunque con l’analisi di quella che può essere considerata, secondo

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G. O’DONNEL e P. C. SCHMITTER, “Political life after Authoritarian Rule: Tentative Conclusion about Uncertain Transition”, G. O’DONNEL, P. C. SCHMITTER e L. WHITEHEAD (a cura di),

Transitions from Authoritarian Rule: Southern Europe, Baltimore, Johns Hopkins University Press,

1986; A. ROUQUIE’, “L’hypothèse bonapartiste et l’emergence des systèmes politiques sémicompétitifs”, in Revue Française de Science Politique”, 25, 1975

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Si noti come di fatto questa tipologia si differenzi profondamente dalle cosiddette

pseudodemocrazie, che non sono forme intermedie di regime ma semplicemente casi di regimi autoritari.

scansioni temporali soltanto parzialmente attendibili, la seconda fase della democratizzazione.

Con instaurazione democratica s’intende un processo diverso, alternativo o eventualmente successivo alla liberalizzazione. Tale fenomeno porta ad un allargamento completo e ad un reale riconoscimento dei diritti civili e politici, l’emergere di più partiti e di un sistema partitico87, ma anche di organizzazioni collettive degli interessi, quali i sindacati e gli altri gruppi; l’elaborazione o comunque l’adozione delle principali procedure e istituzioni democratiche che connoteranno quel regime, come ad esempio la legge elettorale o la fissazione dei rapporti tra legislativo-esecutivo. L’instaurazione è completata quando termina la costruzione delle principali strutture del regime ma può anche accadere che il percorso non sia così lineare, ad esempio, che si tenti di fermarlo ad un certo punto o che vi sia un ritorno alla violenza o direttamente a soluzioni di tipo autoritario. Dal momento che la terza ondata di democratizzazione ha dimostrato che non esistono veri e propri modelli o patterns d’instaurazione democratica, sembra maggiormente utile identificare le modalità con cui si producono e le ragioni per le quali si pongono in essere, identificando alcune dimensioni di variazione. Possono essere considerate tali: la durata e ruolo della violenza e gli attori (esterni o interni, più o meno moderati, civili o militari).

L’intensità e la durata del conflitto rende difficilmente distinguibile l’instaurazione dalla transizione stessa come pure il ruolo degli attori che possono essere gli stessi oppure variare, anche considerevolmente. E’ possibile che la transizione (e la caduta del precedente regime) sia provocata da attori esterni al Paese ovvero interni, ovvero in parte dagli uni e in parte

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Per una rassegna del dibattito teorico più recente, si veda L. BARDI (a cura di), Partiti e Sistemi di

dagli altri. Gli attori istituzionali interni sono l’esercito, l’élite di governo, l’alta burocrazia del regime autoritario e, più in generale, le forze politiche autoritarie che per diversi motivi sono indotte ad intraprendere e cercare di pilotare l’instaurazione. Attori istituzionali con un ruolo centrale e trainante costituiscono il caso più frequente e ricorrente nelle diverse instaurazioni. Infatti, nelle loro mani è il monopolio delle risorse coercitive e il controllo degli organi decisionali del governo.

Può essere utile introdurre un’ulteriore distinzione tra transizioni ed instaurazioni condotte da attori istituzionali governativi e non governativi, come una parte dei militari oppure compagini, alleate precedentemente al regime autoritario, che poi se ne sono allontanate. Si possono prospettare poi alcuni ulteriori casi.

Può accadere che si ponga in essere una saldatura per un interesse effettivo al mutamento tra gli attori moderati del regime autoritario e una parte dell’opposizione. Molto più raro è invece il caso in cui le forze politiche all’opposizione nel periodo autoritario diventino le protagoniste del mutamento. Se infatti l’opposizione è protagonista della transizione allora solitamente è un’opposizione armata e l’esito di quel processo non è necessariamente democratico. L’esito tuttavia può variare ma in generale, la transizione guidata dall’opposizione conduce più frequentemente esiti democratici nei casi di pressione o diretta partecipazione da parte di attori esterni88.

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PRZEWORSKI, “Some problems in the Study of the Transition to Democracy”, in G. O’DONNEL, P. C. SCHMITTER e L. WHITEHEAD (a cura di), Transitions from Authoritarian Rule: Southern

Europe, Baltimore, Johns Hopkins University Press, 1986; G. O’DONNEL e P. C. SCHMITTER,

“Political life after Authoritarian Rule: Tentative Conclusion about Uncertain Transition”, G. O’DONNEL, P. C. SCHMITTER e L. WHITEHEAD (a cura di), Transitions from Authoritarian

Anche il ruolo dei militari non è da sottovalutare perché detengono il monopolio dell’arena coercitiva. La possibile neutralità passiva iniziale può diventare politicizzazione, anche solo parziale, in funzione contraria al regime democratico, essi rimangono potenzialmente pericolosi: potrebbero decidere di tentare un controllo parziale sul potere politico, soprattutto dopo il ripetersi continuo di crisi89.

Un altro elemento centrale per il processo di ricostruzione è dato dalla formazione di una coalizione fondante del regime. Tale coalizione scaturisce dall’incontro degli interessi e dalle scelte dei diversi attori politici e socio-politici attivi durante la transizione. In questo senso si utilizza il termine coalizione in un’accezione lata che si spinge al di là di meri accordi formali tra le fazioni parti della guerra civile. L’esempio forse più emblematico di tale coalizione fondante ed uno dei più recenti è dato dalla transizione democratica in Repubblica Sudafricana90. L’instaurazione ha tante maggiori chances di successo quanto più inclusiva è la formazione che dovrebbe comprendere tutte le forze presenti e politicamente attive nel Paese. Schmitter91 ha messo in evidenza le caratteristiche principali di tali accordi: sono il risultato di negoziati tra rappresentanti di élite e istituzioni, tendono a ridurre inizialmente competitività e conflitto, cercano di controllare l’agenda sostantiva di problemi da affrontare, producono una distorsione del principio democratico di uguaglianza dei cittadini, modificando in prospettiva i rapporti di potere92.Di fatto, si concretizza il riconoscimento della possibilità e legittimità di posizioni politiche diverse: si

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A. STEPAN, Rethinking Military Politics, Princento, N.J., Princeton University Press, 1988

90

A. LOLLINI, Costituzionalismo e Giustizia di Transizione, Bologna, Il Mulino, 2005

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P. C. SCHMITTER, “Patti e transizioni: mezzi non democratici a fini democratici?, in “Rivista

Italiana di Scienza Politica”, 14, 1984

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P. C. SCHMITTER, “Patti e transizioni: mezzi non democratici a fini democratici?, in “Rivista

danno quelle garanzie reciproche di cui parla Dahl93 e che sono al cuore del compromesso democratico94.

Esistono poi altre due dimensioni che qualificano l’instaurazione democratica e che sono strettamente connessi alla coalizione fondante. In primo luogo, occorre vedere se e quali forze politiche siano più o meno presenti e organizzate quando inizia la transizione e poi l’instaurazione. In questo senso, emerge il ruolo centrale svolto dalle élite: sono le élite del vecchio regime, quelle prima all’opposizione, e le nuove élite che fanno il loro ingresso nell’arena politica. Il gioco politico però è di solito ristretto