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La letteratura sulla democratizzazione e quella sul peacebuilding hanno fornito una trama teorica utile a collocare quella complessa intersezione di dimensioni da prendere in considerazione quando si studia la ricostruzione di un regime democratico dopo un conflitto intrastatuale. Dopo aver sostenuto la necessità di pervenire ad un superamento del modello di ricostruzione democratica, rigidamente costruita sulla base degli interventi, a guida ONU, dell’inizio degli anni ’90, sembra tuttavia necessario compiere un passo ulteriore. In questo senso, può risultare utile procedere ad un’analisi empirica per provare a trovare risultati rilevanti che possano orientare la ricerca verso un nuovo o rinnovato modello di ricostruzione democratica, capace di tenere presente l’apporto della letteratura sulla democratizzazione e sul peacebuilding. Ci si domanda pertanto quali siano le dimensioni rilevanti per una ricostruzione democratica successiva ad una guerra civile.

Per perseguire questo obiettivo, saranno formulate alcune ipotesi plausibili, che scaturiscono dalla trattazione teorica di questo lavoro e che saranno esplicitate. A questo seguirà la selezione del campo d’indagine in cui verificare le ipotesi. A quel punto, si potrà procedere alla formulazione di una metodo di lavoro e degli strumenti da utilizzare sulla base dei casi selezionati.

A questo primo capitolo seguiranno le verifiche delle ipotesi formulate, rispetto al campo d’indagine prescelto ed attraverso la metodologia utilizzata. Si potrà poi verificare la rilevanza dei risultati ottenuti e si potrà procedere ad accettare o rifiutare le ipotesi formulate. Infine, potranno emergere, se i risultati saranno rilevanti, indicazioni utili a riformulare i paradigmi fondanti i processi di ricostruzione democratica.

4.1 LA FORMULAZIONE DI IPOTESI DI

LAVORO

A partire dall’analisi critica della letteratura passata in rassegna all’inizio di questo lavoro, si può procedere a formulare una serie di ipotesi. Come è emerso nella riflessione teorica, occorre superare la visione per cui ogni guerra sia un evento da considerare a sé stante. Di fatto, se si analizza il dopoguerra come fase preventiva di un conflitto tale posizione cambia. Questa motivazione spinge a concentrare le ipotesi al breve periodo ed a concentrarle sulla probabilità che l’evento, la guerra, si ripresenti. In questo senso, pertanto, non si considerano gli aspetti propri della costruzione della democrazia, data la pacificazione. Si tratta piuttosto delle condizioni per la costruzione della democrazia attraverso la costruzione della pace.

Per perseguire tale obiettivo, può essere utile distinguere diversi livelli di analisi. Motivi di chiarezza spingono a fare riferimento al “triangolo del

peacebuilding”216 che distingue tra capacità locali, capacità internazionali

216

ed ostilità. A partire da questo paradigma interpretativo, si possono estrapolare tre livelli di analisi. Il primo fa riferimento a tutte le ipotesi che riguardano aspetti interni della ricostruzione, il secondo rinvia, invece, al ruolo ricoperto dagli attori internazionali, mentre l’ultimo riguarda piuttosto gli aspetti rilevanti del conflitto. Si tratta, in realtà, di un artificio, anche perché spesso sembra difficile distinguere in maniera inequivocabile i diversi aspetti. Eppure per poter procedere ad un’analisi comparativa questo sembrava un criterio sufficientemente semplice e lineare, ma tale da permettere di tenere distinte le diverse componenti rilevanti ai fini della ricostruzione.

4.1.1 IPOTESI RILEVANTI RISPETTO AGLI ASPETTI

INTERNI

Si procede ora alla formulazione di ipotesi afferenti alla sfera interna, a partire dalle considerazioni sviluppate in precedenza.

Come risultato dei fattori politici interni, alcuni Paesi possono essere più facilmente teatro di guerre civili di altri e alcuni possono riscontrare minori difficoltà nel pervenire ad una pace duratura al termine del conflitto. Un elemento che può influenzare la volontà degli attori interni a pervenire ad una pace stabile è la loro precedente esperienza con un regime precedente. In generale, si può pensare che gli attori politici in Paesi che hanno conosciuto un regime democratico o semi-democratico, prima dello scoppio della guerra civile, abbiano una certa dimestichezza con la composizione di interessi contrastanti piuttosto che policy makers di regimi

politici precedentemente autoritari217. Un passato d’inclusione delle diverse parti in lotta, o per lo meno la possibilità di competere per entrare nell’arena politica, può facilitare la creazione di un clima di fiducia tra gli oppositori sulle intenzioni potenzialmente aggressive da parte degli avversari. La prima ipotesi può perciò così essere formulata: all’uscita da una guerra civile, la

ricostruzione della pace in un Paese il cui regime precedente era democratico o semi-democratico è più facile che si riveli stabile di quella che si pone in essere in un Paese precedentemente autoritario.

Un fattore molto dibattuto è quello che riguarda le ragioni in gioco per il conflitto. Alcuni analisti sostengono che le questioni concernenti conflitti identitari, quali quelli coinvolgenti interessi etnici, linguistici, razziali e religiosi, sono più intensi e meno divisibili di quelli aventi ad oggetti ragioni politiche o economiche, che sono quelle che rimandano ad interessi politico-economici o ideologici. Poiché si ritiene che le preoccupazioni legate alla sicurezza associate ai conflitti identitari siano più intense delle guerre con motivazioni politiche ed economiche, la probabilità che la ricostruzione sia stabile dovrebbe essere maggiore per quest’ultimo tipo di conflitto218. Si può pertanto dire che una ricostruzione stabile e di

successo è più probabile che si verifichi quando l’oggetto del conflitto è politico-economico piuttosto che identitario.

Se i fattori propri del contesto in cui si svolge la transizione sono sicuramente rilevanti per prevedere una ricostruzione di successo, occorre anche prestare sufficiente attenzione alle previsioni stabilite dal trattato di

217

C. HARTZELL, “Explaining the stability of Negotiated Settlements to Intrastate Wars", Journal of

Conflict Resolution, 43(1), 1999, pp.3-22

218

T. R. GURR, "Ethnic Warfare and the Changing Priorities of Global Security", Mediterranean

Quarterly, 1 (Inverno), 1990, p.82-98; R. LICKLIDER, “How Civil Wars End: Questions and

Methods“, in R. LICKLIDER (a cura di), Stopping the Killing: How Civil Wars End, New York, New York University Press, 1993

pace. Tali disposizioni possono infatti contribuire a mitigare i timori legati alla sicurezza ed a facilitare le prospettive di una pace duratura. La letteratura ha iniziato a concentrarsi recentemente sull’impatto di un certo numero di previsioni sulla stabilità degli accordi. Nei contenuti, queste previsioni spaziano dalle misure di confidence-building219, alle misure di

condivisione del potere220, alle modalità di strutturare le politiche distributive221, alle previsioni di particolari meccanismi elettorali222 o di una certa autonomia territoriale223 o ancora al ruolo attribuito ad una terza parte garante224. Rispetto alla dimensione interna, sembra particolarmente rilevante prendere in considerazione la questione dell’autonomia territoriale. Come emerso nella trattazione teorica, l’esigenza di un approccio bottom-up è particolarmente rilevante per il successo di una transizione democratica oltre ad essere una disposizione più facilmente rintracciabile di altre. L’autonomia territoriale ha il vantaggio di essere un’istituzione relativamente flessibile che può essere adeguata alle esigenze della società post-bellica cui si deve applicare.

L’autonomia territoriale può soddisfare queste esigenze in tre modi diversi. In primo luogo, l’autonomia territoriale può servire a limitare l’autorità del centro politico, spostando panieri di potere decisionale ad

219

P. FORTNA, “Does Peacekeeping keep peace? And if so, How?”, bozza per il meeting annuale dell’American Political Science Association, Boston, MA, 1998

220

P. M. REGAN, “Conditions of successful third-party intervention in intrastate conflicts”, Journal

of Conflict Resolution, 40, 2, giugno 1996, pp.336-359

221

C. HARTZELL, “Explaining the stability of Negotiated Settlements to Intrastate Wars", Journal of

Conflict Resolution, 43(1), 1999, pp.3-22

222

S. MOZAFFAR, “Electoral Systems and Conflict Management in Africa: A

Twenty-Eight State Comparison,”, in Timothy D. Sisk and Andrew Reynolds, eds.,