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Termination of Life on Request and Assisted

10. Paesi Bassi

10.1. Termination of Life on Request and Assisted

Procedures) Act

Il dibattito legale sull'eutanasia nei Paesi Bassi ha preso avvio con il "caso Postma" del 1973, il quale riguardava un medico che ha facilitato la morte di sua madre a seguito di ripetute richieste esplicite di eutanasia. Mentre egli viene condannato, il giudizio della corte stabilisce i criteri in base ai quali un medico non è tenuto a tenere in vita un paziente contro la sua volontà. Questo insieme di criteri è stato formalizzato nel corso di numerosi casi giudiziari durante gli anni '80.

Il Termination of Life on Request and Assisted Suicide (Review

Procedures) Act entra in vigore il 1º aprile 2002, legalizzando

l'eutanasia e il suicidio assistito dal medico in casi molto specifici. La legge è stata proposta da Els Borst, il ministro della Sanità della D66. La legge consente al comitato di revisione medica di sospendere i procedimenti giudiziari nei confronti di medici che hanno eseguito l'eutanasia o il suicidio assistito, quando sono soddisfatte ciascuna delle seguenti condizioni:

• la sofferenza del paziente è insopportabile e senza prospettive di miglioramento;

• la richiesta del paziente deve essere volontaria e persistere nel tempo (la procedura non può essere concessa se la richiesta è fatta sotto l'influenza di altri, malattia psicologica o farmaci); • il paziente deve essere pienamente consapevole delle sue

condizioni, prospettive e opzioni;

• deve esserci una consultazione con almeno un altro medico indipendente che deve confermare le condizioni di cui sopra; • la morte deve essere eseguita in modo clinicamente appropriato

dal medico o dal paziente, e il medico deve essere presente;

• il paziente deve avere almeno 12 anni (i pazienti tra 12 e 16 anni richiedono il consenso dei genitori).

Alla fine della procedura il medico deve inviare una relazione al medico necroscopo comunale, che poi la trasmette alla Commissione regionale di controllo, la quale valuta se il procedimento è stato eseguito conformemente ai criteri indicati. A seconda delle sue conclusioni il caso sarà chiuso o sarà portato a conoscenza del Pubblico Ministero.

L'eutanasia dei bambini sotto i 12 anni rimane tecnicamente illegale: tuttavia il dott. Eduard Verhagen ha documentato diversi casi e, insieme a colleghi e pubblici ministeri, ha sviluppato un protocollo da seguire, il cosiddetto Protocollo di Groningen. I pubblici ministeri si asterranno dal formulare accuse se esso viene seguito . 238

Euthanasia in the Netherlands, reperibile alla pagina https:// 238

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Infine dobbiamo ricordare che queste procedure restano sanzionate se effettuate con l’aiuto di familiari o amici, cioè soggetti diversi dai medici.

1 0 . 2 I l c a s o G e r e c h t s h o f A r n h e m - L e e u w a r d e n , n . 21-008160-13 del 13 maggio 2015 239

Questo caso è importante perché la corte si pronuncia su un caso di omicidio a carico di un soggetto che non esercita la professione di medico, il quale ha aiutato sua madre 99enne a suicidarsi. La corte però assolve l’imputato motivando la decisione con la circostanza che l’imputato si è trovato davanti ad una scelta, cioè se obbedire alla legge e quindi rispettare la vita, o se assolvere al suo dovere morale di aiutare la madre a morire, secondo il desiderio di quest’ultima. I giudici affermano, quindi, che in casi estremi ed eccezionali la non punibilità del suicidio assistito può estendersi anche ai soggetti che non sono medici. La condotta dell’imputato è giustificata dalla situazione di conflitto in cui si è trovato , inoltre 240

l’assistenza al suicidio è stata data in modo diligente, seguendo i parametri stabiliti dalla legge e ben documentata. La decisione è stata impugnata presso la Corte Suprema che, ad oggi, non si è ancora espressa.

10.3 Recenti sviluppi

Già nel febbraio 2010 un’iniziativa dei cittadini chiamata Out of

Free Will ha chiesto che gli olandesi al di sopra dei 70 anni, che si

Il testo della sentenza è reperibile alla pagina https:// 239

uitspraken.rechtspraak.nl/inziendocument?id=ECLI:NL:GHARL: 2015:3059

Teoria della c.d. defence of necessity, stato di necessità 240

sentono stanchi di vivere, possano ricevere un aiuto professionale per porre fine alla loro vita . 241

Nel 2016, dopo il caso Gerechtshof Arnhem-Leeuwarden, i ministri olandesi Edith Schippers e Ard van de Steur, rispettivamente responsabili della Salute e della Giustizia, hanno avanzato una proposta al Parlamento che riguarda il diritto di ricorrere al suicidio assistito a chi non abbia problemi di salute ma semplicemente consideri conclusa la sua esperienza di vita. Nel testo si legge che le persone che credono, dopo una seria riflessione, di aver completato la propria vita, dovrebbero potervi mettere fine, a rigide condizioni e nella maniera dignitosa che ritengono opportuna. Cioè si riferisce soprattutto alle persone anziane: esse potrebbero non vedere più alcuna possibilità di dare un senso alla loro vita, potrebbero soffrire profondamente la perdita di indipendenza e rimanere isolati, forse perché hanno perso la persona amata, però per mettere fine alla loro vita hanno bisogno di un aiuto. Il comunicato continua specificando che il governo vorrebbe consultarsi con diversi soggetti che forniscono assistenza sanitaria per sviluppare una nuova legge che dia forma a questo principio . La proposta ha diviso l’opinione 242

pubblica olandese ed è stata criticata dai movimenti politici cristiani, secondo i quali essa metterebbe a rischio la vita delle persone anziane.

Euthanasia in the Netherlands, reperibile alla pagina https:// 241

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Olanda, pronta legge sulla morte assistita anche per chi ritiene di 242

"aver completato la vita", in repubblica.it, 13/10/2016, reperibile alla

pagina https://www.repubblica.it/esteri/2016/10/13/news/ olanda_suicidio_assistito_anche_per_chi_pensa_che_la_sua_vita_e_esa urita-149703507/

11. Regno Unito

L’Inghilterra ha visto riaccendersi di recente la questione delle scelte di fine vita: è la sentenza Airedale NHS Trust v Bland [1993] AC 789 del 1993, in particolare, a riaprire questi dibattiti. Nel 243

caso specifico, la High Court di Londra ha permesso di interrompere i processi di nutrizione e idratazione nei confronti di un ragazzo che quattro anni prima aveva subito pesanti danni cerebrali. In questo senso, a differenza di quanto accade in Italia, tali trattamenti sono considerati alla stregua di terapie sanitarie: il consenso del soggetto, l’inutilità di un accanimento terapeutico e un generale right to refuse medical treatment devono prevalere sull’interesse statale a preservare la vita . 244

In generale, nel Regno Unito il suicidio e il tentato suicidio non costituiscono reato ma, ai sensi del Suicide Act 1961 , sono puniti, 245

con pene detentive fino a 14 anni, i reati di concorso nel suicidio di un’altra persona ex Section 2 e gli atti ritenuti capaci di incoraggiare o assistere al suicidio di un terzo ex Section 2A. Tuttavia, il Director of Public Prosecution ha la facoltà di decidere se procedere o meno in sede penale a seconda dei casi concreti.

Il testo della sentenza è reperibile alla pagina https:// 243

www.globalhealthrights.org/wp-content/uploads/2013/01/HL-1993- Airedale-NHS-Trust-v.-Bland.pdf

C. Casonato, Morte dignitosa e sospensione delle cure: ordinamenti 244

giuridici a confronto, in provincia.bz.it, reperibile alla pagina http://

www.provincia.bz.it/salute-benessere/salute/downloads/12.pdf

Il testo è reperibile alla pagina http://www.legislation.gov.uk/ukpga/ 245

11.1 R (on the application of Pretty) v Director of Public

Prosecutions [2002] 1 AC 800 , del 29 novembre 2001 246

La signora Pretty soffriva di una malattia terminale dei neuroni motori e dipendeva totalmente dagli altri: non era in grado di parlare, spostarsi o controllare le sue funzioni motorie e sarebbe morta di asfissia quando i muscoli del suo apparato respiratorio avessero iniziato a degenerare. La donna, non essendo in grado di suicidarsi a causa della malattia, presenta appello alla House of

Lord contro il rifiuto da parte del DPP (Director of Public Prosecutions) di dare approvazione circa il fatto che non avrebbe

perseguito il marito ai sensi dell'articolo 2 (1) del Suicide Act del 1961, nel caso in cui avesse assistito il suo suicidio. La signora Pretty afferma che tale rifiuto del DPP rappresenta una violazione degli articoli 2, 3, 8, 9 e 14 della Convenzione europea, che tutelano rispettivamente il diritto alla vita, la libertà da trattamenti inumani e degradanti, il diritto al rispetto della vita privata, la libertà di coscienza e il divieto di discriminazione. Secondo il parere della donna, l’art. 2 della CEDU tutela non la vita in sé ma il diritto alla vita, comprendendo il diritto di un individuo di scegliere se vivere o meno e, quindi, il diritto di autodeterminazione.

Sostenendo la posizione del DDP, la House of Lords dichiara che egli non ha il potere di decidere di non perseguire un reato che deve ancora essere commesso e che la l’articolo 2 (1) Suicide Act 1961 è compatibile con la Convenzione. Il diritto alla dignità umana sancito nell'articolo 3 tutela il diritto a vivere dignitosamente, non quello a morire con dignità, e adottare misure attive per porre fine Il testo della sentenza è reperibile alla pagina https:// 246

www.globalhealthrights.org/wp-content/uploads/2013/03/HL-2001- Regina-on-the-application-of-Pretty-v.-Director-of-Public- Prosecutions.pdf

alla vita prematuramente, è diverso dal non compiere atti inutili per prolungare la vita oltre il suo fine naturale. Sebbene alcuni diritti della Convezione, come ad esempio il diritto alla libertà di associazione, comprendano anche, all’opposto, il diritto antitetico (ad esempio il diritto a non associarsi), l'articolo 2 non può essere interpretato in modo da sancire il diritto di morire.

Inoltre, la protezione della vita umana è un obiettivo sociale legittimo che giustifica l'interferenza con i diritti al rispetto della vita privata, alla libertà di pensiero e di coscienza ai sensi degli articoli 8 e 9. L'art. 8 tutela il rispetto per la vita privata e familiare, ma non dà alcuna garanzia del diritto di decidere come e dove morire. Le stesse considerazioni valgono per l’art. 9. La tesi della signora Pretty, secondo la quale ha subito discriminazioni nel godimento dei suoi diritti della Convenzione a causa della sua incapacità fisica, non può essere sostenuta invocando l’art. 14 perché il Suicide Act 1961 non è discriminatorio e non presenta alcuna disparità di trattamento ai sensi della legge . 247

La House of Lords precisa infine che, sebbene non rientri nei poteri del DPP quello di indicare, prima della commissione di un reato, se procedere o meno al perseguimento dello stesso una volta commesso, possono esserci situazioni eccezionali nelle quali è opportuno e nell’interesse pubblico fornire delle linee guida su come eserciterà la propria discrezionalità.

G. Johnson, Diane Pretty v Director of Public Prosecutions [2001] 247

UKHL 61 (HL), in CASCAIDr, 21/03/2017, reperibile alla pagina https://

www.cascaidr.org.uk/2017/03/21/diane-pretty-v-director-of-public- prosecutions-2001-ukhl-61-hl/

11.2 Pretty v. the United Kingdom – Corte Europea dei Diritti dell'Uomo, ric. n. 2346/02 , del 29 aprile 2002 248

La signora Pretty, impossibilitata a suicidarsi e di fronte al rifiuto opposto dalle autorità britanniche di esonerare il marito che l’avesse aiutata a compiere quel gesto, si rivolge alla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, lamentando che il divieto del suicidio assistito imposto dalla legge inglese costituisca una violazione dei diritti contenuti nella CEDU (artt. 2, 3, 8, 9 e 14).

A fronte della pretesa della ricorrente di intendere l’art. 2 come protettivo non della vita in sé, ma del diritto alla vita, rispetto al quale il diritto alla morte non si trova in antitesi, la Corte ritiene che non si possa, se non ricorrendo ad una grave forzatura del linguaggio normativo, dedurre dall’art. 2 CEDU l’ammissibilità di un diritto alla morte. Inoltre, a suo giudizio, gli Stati sono sottoposti al divieto di privare della vita un soggetto posto sotto la loro giurisdizione e hanno altresì il dovere di adottare ogni atto o misura operativa preventiva per salvaguardare l’incolumità di ogni consociato.

In merito all’art. 3, poi, la signora Pretty rileva che la sopravvivenza forzata debba essere considerata, a tutti gli effetti, alla stregua di un trattamento inumano e degradante che lo Stato è tenuto ad evitare con ogni mezzo, in particolare evitando di perseguire penalmente suo marito per l’assistenza al suicidio. I giudici di Strasburgo, al contrario, precisano che le sofferenze della donna sono determinate esclusivamente dalla patologia e non imputabili ad un comportamento del Governo britannico; inoltre, Il testo della sentenza è reperibile alla pagina http:// 248

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l’art. 3 va letto in combinato disposto con l’art. 2, pertanto nemmeno tale disposizione è violata.

Passando all’eccezione circa l’art. 8, richiamato dalla donna per sostenere che il divieto dello Stato di dar corso alla sua volontà costituiva un’arbitraria ingerenza nella sua privacy e autodeterminazione, i giudici premettono che la nozione di “vita privata” mal si presta ad una definizione esaustiva, potendo abbracciare diversi aspetti della sfera intima di un soggetto. Senza negare la sacralità della vita difesa dal Governo, la Corte porta in rilievo la nozione di “qualità della vita”, inserita implicitamente nell’art. 8 CEDU, da leggersi avendo presenti il rispetto della dignità umana e la libertà individuale. Le imposizioni statali riferite alle condotte di vita sono, quindi, di per sé un’interferenza nella vita privata dei soggetti e, se tra esse rientra l’imposizione di un trattamento medico senza consenso, di conseguenza pure il divieto del suicidio assistito rappresenta una potenziale ingerenza nella vita del singolo. Tuttavia, tale ingerenza va bilanciata con le condizioni eccezionali di ammissibilità disposte dal secondo comma del medesimo articolo (principio di legalità, di finalità, di necessità nella società democratica, inclusivo del criterio di proporzionalità tra mezzi e fine perseguito): alla luce di tali parametri risulta che il

Suicide Act è conforme alla CEDU, dal momento che presenta

norme chiare, precise e accessibili, è sancita la finalità del rispetto della vita ed è data tutela ai più deboli e vulnerabili (come i malati terminali). Ne consegue che la legge britannica non è sproporzionata nel vietare il suicidio assistito e ha compiuto un adeguato bilanciamento tra esigenze pubbliche e private. In ogni

caso, il collegio giudicante sottolinea il rilievo del margine di apprezzamento statale.

Relativamente alla pretesa violazione dell’art. 9, per violazione del diritto della ricorrente di esprimere le sue convinzioni, la Corte di Strasburgo afferma che non tutte le opinioni o convinzioni rientrano nell’art. 9 CEDU e che le pretese della signora Pretty non possono essere considerate forme di manifestazione di una religione o di una convinzione in base al culto, l’insegnamento, le pratiche o l’espletamento dei riti, essendo piuttosto espressione del principio di libera scelta rientrante nella capacità di autodeterminazione, già valutata ai sensi dell’art. 8.

Infine, con riguardo all’art. 14, i giudici dichiarano che non vi sia alcuna discriminazione tra coloro che possono suicidarsi da sé e coloro che richiedano assistenza, poiché la condizione del malato abile e quella del disabile non sono tra loro assimilabili. In definitiva, dunque, la Corte rigetta il ricorso della signora Pretty . 249

11.3 Purdy v Director of Public Prosecutions [2009] UKHL 45 , 250

del 30 luglio 2009

La signora Purdy soffre di sclerosi multipla, malattia che la condurrà alla morte e, quando arriverà il momento, vuole essere condotta in Svizzera per porre fine alla sua vita. In quell’occasione però alla donna servirà l’aiuto del marito, perché non potrà più muoversi autonomamente e vuole essere sicura che l’uomo non I.A.C, Pretty v. the United Kingdom – Corte Europea dei Diritti 249

dell'Uomo (29 aprile 2002), in biodiritto, 29/04/2002, reperibile alla

pagina http://www.biodiritto.org/item/185-pretty

Il testo della sentenza è reperibile alla pagina https:// 250

publications.parliament.uk/pa/ld200809/ldjudgmt/jd090730/ rvpurd-1.htm

incorrerà in responsabilità penale ai sensi della section 2(1) del

Suicide Act 1961, altrimenti dovrà recarsi in Svizzera da sola, in un

momento antecedente rispetto a quello in cui vorrebbe morire. La ricorrente quindi impugna il rigetto della Court of Appeal riguardo la sua tesi secondo la quale il DPP ha l’obbligo di pubblicare linee guida che usa per valutare se perseguire penalmente o meno le persone che aiutano altri a suicidarsi. La signora Purdy sostiene che la section 2(1) e la 2(4) del Suicide Act del 1961 violino i diritti sanciti dall’art. 8 CEDU: in primo luogo, sostiene che la section 2(1) contravviene al diritto al rispetto della vita privata e, in secondo luogo, che la section 2(4) viola il diritto di legalità stabilito al secondo comma del suddetto articolo, perché viene lasciata troppa discrezionalità al DPP nello scegliere se perseguire penalmente un determinato soggetto.

La prima questione che affronta l’House of Lords è se la section 2(1) del Suicide Act 1961 interferisca con il diritto al rispetto della vita privata della ricorrente ai sensi dell’art. 8 CEDU. Volgendo lo sguardo al caso Pretty, in quell’occasione la Corte di Strasburgo si è discostata dai Lords, dal momento che questi ultimi ritengono che l’articolo in questione sia diretto alla protezione dell’autonomia personale quando la persona è ancora in vita, ma non conferisce un diritto di decidere come o quando morire; la massima corte, al contrario, ritiene che l’art. 8 CEDU non si limiti solo a perpetuare la vita. La Court of Appeal nel caso Purdy rimane comunque vincolata alla decisione presa dalla House of Lords nel caso Pretty. Tuttavia, quando la causa viene appellata davanti alla camera dei

Lords, la corte si allontana dal caso Pretty e segue la decisione della

della legge sui diritti umani non sarebbero assicurati se la corte si ritenesse vincolata ad un precedente che si è dimostrato incoerente rispetto ad una successiva decisione della massima corte.

Per quanto riguarda la seconda questione, la corte analizza le condizioni per le quali si possa dire che una legge sottostia al principio di legalità. In primis deve esistere una base legale e, conseguentemente, la normativa deve essere scritta, accessibile a tutti gli individui e abbastanza precisa, in modo che gli individui possano regolare la loro condotta senza infrangere la legge. Infine, se questi paramenti sono rispettati, bisogna constatare che la section sia applicata a tutti non in modo arbitrario. La corte sottolinea anche il fatto che il termine “legge” si debba intendere non solo in senso formale, ma anche sostanziale, includendo anche fonti inferiori e decisioni giurisprudenziali. La camera dei Lords ritiene che la section 2(1) soddisfi questi requisiti, mentre la section 2(4) no, lasciando troppa discrezionalità al DPP e non consentendo agli individui di regolare la loro condotta sapendo quando incorreranno o meno in responsabilità penale.

Il Code for Crown Prosecutors, pubblicato dal DPP nel 2004, non è stato molto d’aiuto nel caso in questione, in particolare perché non dà indicazioni su come agire alle persone che desiderino aiutare altri a recarsi all’estero per morire. La House of Lords quindi, in base al diritto al rispetto della vota privata ex art. 8 CEDU, obbliga il Director of Public Prosecutions a pubblicare una policy relativa al reato in questione, specificando i fatti e le circostanze che prenderà in considerazione nel decidere se perseguire o meno

penalmente chi, come nel caso di specie, voglia aiutare altri a suicidarsi . 251

11.4 Crown Prosecution Service- DPP Guidelines on Assisted

Suicide (2010, aggiornato da ultimo nel 2014)

La policy è in vigore dal 1º febbraio 2010 e si applica quando 252

l’atto in questione è commesso in Inghilterra o nel Galles. Inizialmente si specifica che il reato di incoraggiamento o di assistenza al suicidio rimane tale e niente garantisce l’immunità dall’azione penale. I procuratori, in linea con il Code for Crown

Prosecutors, devono applicare il Full Code Test che prevede due

fasi: quella probatoria e quella di interesse pubblico. Lo stadio probatorio viene considerato prima della fase di interesse pubblico. Un caso che non supera la fase probatoria non può passare a quella successiva, indipendentemente da quanto gravi possano essere le accuse. Laddove vi siano prove sufficienti per giustificare un procedimento giudiziario, i procuratori devono valutare se è necessario un procedimento giudiziario nell'interesse pubblico. L’accusa deve dimostrare che:

• il sospettato ha compiuto un atto in grado di incoraggiare o assistere il suicidio o il tentato suicidio di un'altra persona;

• l'atto del sospettato ha lo scopo di incoraggiare o assistere il suicidio o un tentativo di suicidio.

C. Miles, A.A.Robinson, Human Rights Case Summaries, in Human 251

Rights Law Centre, 30/06/09, reperibile alla pagina https://

www.hrlc.org.au/human-rights-case-summaries/purdy-r-on-the-