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Il suicidio assistito: un quadro comparatistico

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Academic year: 2021

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UNIVERSITÀ DI PISA

DIPARTIMENTO DI GIURISPRUDENZA

Corso di laurea magistrale in Giurisprudenza

Tesi di Laurea Magistrale

Il suicidio assistito: un quadro comparatistico

Candidata: Relatore:

Giulia Bertacche Chiar. mo Professor

Paolo Passaglia

(2)

INDICE

Introduzione……….….. 7

CAPITOLO I

BREVI CENNI DEFINITORI IN MATERIA DI “FINE VITA” 1. La definizione giuridica di morte……….. 9

2. Le varie forme di eutanasia………..10

3. Il suicidio assistito………..……..……14 4. Cure palliative………..19 5. Sedazione terminale……….22 6. Testamento biologico……….………..25

CAPITOLO II

LA SITUAZIONE ITALIANA 1. La Costituzione…………..……..………30 2. Fonti sovranazionali………...……..………..……..44 3. La legislazione statale………..………47

4. Ragioni morali contro il suicidio assistito…….……..………56

5. Ragioni morali a favore del suicidio assistito…….…….……61

6. Il caso di Dj Fabo e Cappato……….………..…..…………..64

7. Una nuova tecnica decisoria per la Corte costituzionale..…...70

CAPITOLO III

LE ESPERIENZE STRANIERE 1. Inquadramento comparatistico……….…75

2. Australia…..……….……….….………..77

2.1. La disciplina della morte assistita………77

(3)

2.3. La legislazione………82

La legge del Northern Territory………..82

Il Voluntary Assisted Dying Act 2017 (Victoria)……….83

Nuove proposte di legge……….85

3. Belgio……….86

3.1. La disciplina del suicidio assistito………..87

4. Canada……….………..90

4.1. La sentenza Rodriguez c. Columbia-Britannica del 30 settembre 1993………..91

4.2. Il caso Carter del 2015……….….….93

Il processo di primo grado………..94

La sentenza di secondo grado……….95

4.3. La decisione della Corte suprema……….……..96

4.4. La disciplina attuale del fine-vita………..…..97

4.5. La rilevanza penale della disciplina sul fine-vita……..100

5. Colombia……….……..101

5.1. La sentenza C-239/97……….……...102

5.2. La sentenza T-970/14………..……...105

5.3. La risoluzione n. 1216 del 2015 del Ministero della salute………….………….………..…………..107

5.4. La risoluzione n. 825 del 2018 del Ministero della salute…….………..108

6. Francia……….………..…109

6.1. La disciplina del fine-vita………...111

6.2. La disciplina penale relativa al suicidio….……….113

6.3. Il caso Lambert……….……….….115

6.4. Il caso Mercier……….……….…..116

(4)

7.1. Il suicidio assistito e l’art. 217 StGB………118

7.1.1. L’elemento oggettivo dell’art. 217 StGB………..119

7.1.2. La condotta di agevolazione……….……..….……….119

7.1.3. La “natura commerciale”……….….120

7.1.4. L’elemento soggettivo……….………..…121

7.1.5. La causa di non punibilità……….……..…..122

7.2. Giurisprudenza in materia di eutanasia e suicidio assistito………..123

7.2.1 Koch c. Germania……….…123

7.2.2. Giurisprudenza recente del Bundesverfassungsgericht.126 8. India……….……..126

8.1. La morte assistita nella cultura indiana……….….127

8.2. La disciplina giuridica………129

8.3. La giurisprudenza ………..131

8.3.1. P. Rathinam v. Union of India & another SCC (3) 394, del 26 aprile 1994……….……..131

8.3.2. Gian Kaur v. State of Punjab, 1996 SCC (2) 648, del 21 marzo 1996……….132

8.3.3. Common Cause (A Regd. Society) v. Union of India & Anr., Writ Petition (C) No. 215 del 2005, del 9 marzo 2018………133

9. Lussemburgo………..134

9.1. La legge del 16 marzo 2009 sull’eutanasia e il suicidio assistito………135

9.2. La Commissione Nazionale di Controllo e Valutazione...137

10. Paesi Bassi..…….……….138

10.1. Termination of Life on Request and Assisted Suicide (Review Procedures) Act……….139

(5)

10.2. Il caso Gerechtshof Arnhem-Leeuwarden, n. 21-008160-13 del 13 maggio 2015………..…..141 10.3. Recenti sviluppi……….141 11. Regno Unito………..…143

11.1. R (on the application of Pretty) v Director of Public

Prosecutions [2002] 1 AC 800, del 29 novembre 200….144

11.2. Pretty v. the United Kingdom- Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, ric. n. 2346/02, del 29 aprile 2002…..……..146 11.3. Purdy v Director of Public Prosecutions [2009] UKHL 45, del 30 luglio 2009………..…….148 11.4. Crown Prosecutions Service- DPP Guidelines on Assisted

Suicide (2010, aggiornato da ultimo nel 2014)……….151

11.5. R (on the application of Nicklinson and another

(Appelants) v Ministry of Justice (Respondent); R (on the application of AM) (AP) (Respondent) v The Director of Public Prosecutions (Appellant), [2014] UKSC 38,

del 25 giugno 2014………..155 12. Spagna……….………..157

12.1. La disciplina codicistica dell’ausilio o cooperazione al suicidio: l’art. 143 c.p……… 159 12.2. Le ultime proposte sulla disciplina della c.d. morte dignitosa e di depenalizzazione del suicidio assistito….162 13. Stati Uniti………..…..……..164

13.1. Washington v. Glucksberg, No. 96-110, 521 U.S. 702, del 26 giugno 1997………..…..…165 13.2. Vacco v. Quill, No. 95-1858, 521 U.S. 793,

(6)

13.3. Gonzales v. Oregon, No. 04-623, 546 U.S. 243, del 17

gennaio 2006………..………..….168

13.4. Le discipline statali………169

13.5. Baxter v. Montana, DA 09-0051, 2009 MT 449, del 31 dicembre 2008……….172 14. Svizzera………173 14.1. La legislazione penale……..……...………..174 14.2. Il Soft law……….………….175 14.3. La giurisprudenza……….….177 15. Uruguay…….………..180

15.1. La disciplina penale e l’omicidio pietatis causa……..181

Conclusioni……….183

(7)

Introduzione

Negli ultimi ultimi anni i progressi in campo medico e scientifico hanno permesso agli uomini di sviluppare tecniche mediche prima sconosciute, che possano aiutare un individuo a prolungare la sua vita o ad evitargli atroci sofferenze (come ad esempio le cure palliative o la sedazione terminale).

Parallelamente a questi innovazioni, però, si è anche sviluppato un dibattito in materia di scelte di fine-vita, riguardanti le volontà di un soggetto che non desideri essere mantenuto in vita mediante particolari tecniche di rianimazione o cure artificiali, ma voglia porre fine ad un’esistenza che, a suo parere, non sia più degna di essere vissuta. Alla luce dei casi di cronaca, sempre più spesso ci si è chiesti fino a che punto si debba tutelare il diritto alla vita di un paziente gravemente malato a discapito del suo diritto ad autodeterminarsi e, quindi, di decidere sulla propria esistenza. Il presente elaborato si propone di fornire una panoramica italiana e mondiale riguardo alla tematica delle scelte mediche dell’individuo nella fase finale della propria vita. In particolare, si tratterà della pratica del “suicidio assistito”.

Inizieremo l’analisi fornendo la definizione giuridica di morte e distinguendo le varie pratiche mediche che riguardano un soggetto gravemente malato (eutanasia, suicidio assistito, cure palliative, sedazione terminale). Si parlerà inoltre della recente legge che oggi disciplina in Italia le Direttive Anticipate di Trattamento (D.A.T.), chiamate anche “testamento biologico”.

Successivamente andremo a trattare della situazione italiana, esaminando le fonti (costituzionali, europee e statali) che

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riguardano, più o meno indirettamente, la materia del suicidio assistito e, soprattutto, il diritto alla vita e quello di autodeterminazione. Si dedicherà anche un breve cenno alle ragioni morali, sviluppate negli anni, pro e contro il suicidio assistito e, in generale, alla scelta di rifiutare determinate cure. Ci concentreremo, inoltre, sul recente caso di cronaca che ha visto come protagonista Fabiano Antoniani, il quale si è recato in Svizzera per usufruire della pratica suddetta, e, successivamente, sul destino di chi lo ha accompagnato, Marco Cappato. Quest’ultimo è stato infatti accusato di aiuto al suicidio, punibile ex art. 580 del Codice penale italiano, e la vicenda è arrivata fino alla Corte costituzionale, a causa di un dubbio di costituzionalità dell’articolo in questione: essa si è pronunciata, anche se in modo non definitivo, il 23 ottobre scorso.

Infine, l’elaborato si concluderà con una panoramica della disciplina europea e mondiale sul suicidio medicalmente assistito, analizzando le discipline statali e facendo riferimento alla giurisprudenza e alla “storia” che hanno portato alla loro regolamentazione.

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Capitolo I

Brevi cenni definitori in materia di “fine vita”

La tematica del “fine vita” sta assumendo sempre più importanza, dati i passi avanti della medicina e i casi che in questi anni si sono presentati davanti alle corti. Si tratta di un argomento complicato e nel quale molti profili problematici si intersecano tra loro: a partire dall’interpretazione di diritti costituzionalmente garantiti (art. 2, 13 e 32), ed alla disciplina nazionale ed europea, fino ad arrivare alla relazione con la professione medica. In questo contesto focalizzeremo la nostra attenzione sulla procedura di suicidio assistito, ma è necessario preliminarmente fornire alcune definizioni.

1. La definizione giuridica di morte

Prima di procedere all’analisi dei diversi metodi nei quali un individuo può porre fine alla propria vita, occorre inquadrare in termini giuridici la definizione di “morte”. Fino ad un recente passato si dibatteva se la morte dovesse coincidere con:

• la cessazione dell’attività respiratoria, • l’arresto dell’attività cardiocircolatoria, • la morte celebrale,

• l’arresto del c.d. tripode vitale (attività cardiocircolatoria, respiratoria e nervosa).

Posto che i primi due criteri vengono messi in crisi dall’avvento delle tecniche di “grande rianimazione”, il legislatore interviene

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con la legge 29 dicembre 1993, n. 578 (Norme per l’accertamento 1

e la certificazione della morte) stabilendo, all’art. 1, che “la morte si identifica con la cessazione irreversibile di tutte le funzioni dell'encefalo”. Si accoglie, quindi, la nozione di morte celebrale: questa soluzione sembra anche apparire quella più in linea con il principio personalistico ex art. 2 Cost. che ispira il nostro ordinamento, dato che nelle facoltà intellettive si rispecchia la qualità più elevata dell’essere vivente.

L’accertamento tecnico-scientifico della morte celebrale è effettuabile attraverso una pluralità di metodi: si è passati dai metodi tradizionali, quali la sintomatologia clinica e l’osservazione passiva, a criteri di accertamento precoci consistenti nella o s s e r v a z i o n e a t t i v a ( m e t o d i e l e t t r o c a r d i o g r a f i c o , elettroencefalografico ed elettroencefalografico integrato) . 2

Alla luce del diritto positivo, quindi, è escluso che si possa parlare di uccisione di un uomo,quando si intervenga con atti diretti ad interrompere l’assistenza artificiale in un soggetto a encefalogramma piatto, in quanto si tratta di un soggetto giuridicamente già morto . 3

2. Le varie forme di eutanasia

La parola “eutanasia” deriva dal greco antico e significa "buona morte", “dolce morte” (eu = “buona” e thanatos = “morte”).

I l t e s t o d e l l a l e g g e è r e p e r i b i l e a l l a p a g i n a h t t p : / / 1

www.scienzemedicolegali.it/documenti/corso/legislazione/legge-29-dicembre-1993-578.html

G. Fiandaca, E. Musco, I delitti contro la persona, Zanichelli editore, 2

Torino, Marzo 2013, pag. 6

C. Tripodina, Il diritto nell’età della tecnica: il caso dell’eutanasia, 3

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Questo è un termine che con il tempo si è evoluto ed oggi fa riferimento all’atto di concludere la vita di un’altra persona su sua richiesta, allo scopo di diminuirne le sofferenze.

Si hanno notizie di pratiche simili all’eutanasia già nell'antica Grecia e a Roma, dove poteva essere praticata in particolari situazioni: a Sparta, ad esempio, venivano soppressi i bambini che presentavano difetti fisici. Venivano eliminate, quindi, quelle persone che potevano risultare un peso per la città : non risulta, 4

infatti, che nell’antichità la questione si ponesse principalmente nella stessa prospettiva in cui si pone oggi. Al contrario, pare che l’orientamento di fronte al problema fosse di segno opposto: non compare in quelle epoche un atteggiamento di tipo pietistico verso i malati terminali e gli invalidi, ma si riscontra la tendenza ad una sorta di eutanasia sociale, imposta cioè dalla società, che avverte come un peso tali condizioni.

Le prime forme di eutanasia, quindi, si presentano con un’accezione di tipo economico ed eugenico, finalizzate nel primo caso all’eliminazione dei soggetti malati, in quanto dannosi per l’economia della società e, nel secondo, alla preservazione della salute della comunità per la sopravvivenza della stessa.

Si deve a finalità non dissimili e certamente estremizzate il riaffiorare di questi metodi in misura massiccia meno di un secolo fa nelle sperimentazioni eugenetiche di rafforzamento genetico e nelle selezioni razziali operate dal regime nazista.

Eutanasia- Definizione del termine eutanasia, diverse forme di 4

eutanasia, questioni legali, questioni mediche, problemi etici, in

epertutti.com, reperibile alla pagina http://www.epertutti.com/diritto/ EUTANASIA-DEFINIZIONE-DEL-TERM85449.php

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Le ragioni più evidenti di tali risultati si possono identificare con la concezione di interdipendenza assoluta tra individuo e comunità di appartenenza a discapito del singolo, il quale risulta funzionale ad essa. La stessa cosa si riscontra, ad esempio, nel pensiero politico di Platone per ciò che riguarda il mondo antico e come riemersa nella versione utilitaristica e collettivistica dei regimi totalitari del XX secolo . 5

Successivamente, con il prosperare delle grandi religioni monoteistiche, le quali tra i loro principi hanno la sacralità della vita umana, l’eutanasia viene ritenuta un’azione moralmente inaccettabile.

Il termine eutanasia, nel suo significato più moderno, viene coniato nel XVII secolo da Francesco Bacone, che nel suo De dignitate et

augmentis scientiarum, così definisce la morte praticata con

l’intenzione di porre fine alle sofferenze, attribuendole un significato positivo.

Si deve poi a Tommaso Moro il concetto di uccisione pietosa, il quale sostiene che di fronte ad una malattia inguaribile, carica di dolori acuti e di tormenti continui, i magistrati e i sacerdoti dovevano esortare il paziente ad abbandonare questa terra. Sostiene infatti che:“sarebbe un atto religioso e santo, indice di profonda saggezza, agire per liberarsi di una vita divenuta ormai un supplizio, o consentire di essere da essa strappati per mano di altri” . 6

In dottrina si è soliti distinguere tra eutanasia attiva e passiva: per attiva si intende la situazione in cui un medico, su richiesta del D. Demurtas, Scelte di fine vita, in UAAR, reperibile alla pagina https:// 5

www.uaar.it/uaar/premio-laurea-uaar/2010/demurtas-finevita.pdf T. Moro, Utopia, Bari 1982, pp. 97-98

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paziente, somministra a quest’ultimo un’iniezione letale (attiva perché qualora il medico non intervenisse, il paziente non morirebbe con le stesse modalità), per passiva, invece, ci si riferisce alla situazione in cui un medico ometta o compia un’azione rilevante (ad esempio, il distacco del respiratore artificiale) che consenta alla malattia di seguire il suo decorso naturale, portando il paziente alla morte . 7

Ci sono poi altre specificazioni del termine eutanasia, che può essere anche:

• attiva e diretta: il decesso è provocato tramite la somministrazione di farmaci che inducono alla morte;

• attiva e indiretta: l’impiego di mezzi per alleviare la sofferenza (ad esempio, l’uso di morfina) causa, come effetto secondario, la diminuzione dei tempi di vita;

• volontaria: viene richiesta esplicitamente dal paziente in grado di intendere e di volere, o tramite il testamento biologico;

• non volontaria: non viene richiesta dal paziente stesso perché o non è in grado di formare la sua volontà in proposito, o non lo è più, ma lo fa un terzo designato da egli stesso.

Al contrario, non si configura come eutanasia il rifiuto dell’accanimento terapeutico: il medico, infatti, nei casi in cui la morte è imminente ed inevitabile, è legittimato ad interrompere o rifiutare trattamenti gravosi per il malato e sproporzionati rispetto ai risultati che è lecito attendersi . 8

Al fine di individuare se si tratti o meno di accanimento terapeutico è in uso attualmente il criterio della proporzionalità dei mezzi in

D. Canale, Conflitti pratici, Editori Laterza, Urbino, 2017, pag. 132 7

Eutanasia attiva e indiretta, in MeALEX Studio Legale, reperibile alla 8

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rapporto al loro effetto tipico, che è il risultato terapeutico. Si è in presenza di questa modalità quando i mezzi utilizzati si presentano come inefficaci, inutili, estremamente gravosi o rischiosi: in una parola sproporzionati rispetto al risultato delle cure.

Non è facile, tuttavia, valutare nello specifico se una terapia può essere considerata utile o inutile, se un trattamento può essere definito atto medico o accanimento terapeutico. Il giudizio di proporzionalità dovrà essere effettuato mettendo a confronto le condizioni cliniche del malato e il concreto beneficio che, nello specifico caso, il trattamento terapeutico può o meno determinare. La prosecuzione di un trattamento inutile è priva di valore terapeutico, non essendo, o meglio non potendo essere, in tal caso le cure finalizzate al benessere del paziente.

Spetterà quindi al medico decidere in “scienza e coscienza”, avendo ben presente l’equilibrio tra bene voluto e male tollerato, in termini di proporzionalità ragionevole e quindi responsabile . 9

3. Il suicidio assistito

Con l’espressione suicidio assistito si intende la situazione in cui un medico aiuti il paziente a suicidarsi, o prescrivendogli i farmaci necessari a questo scopo, o adottando delle procedure mediche che consentano al malato di togliersi la vita . 10

Egli può decidere in ogni momento di cambiare idea e il medico deve tentare di farlo desistere; in caso contrario, è il paziente che decide la data del suo ultimo giorno. La procedura del suicidio Dispense Eutanasia, in unisalento, reperibile alla pagina https:// 9

www.unisalento.it/documents/20152/259348/Dispense+Eutanasia..pdf/ 1 1 e 8 6 8 3 b - 6 1 8 6 - 4 4 c c - 0 b f e - e 6 c d e d 4 c 0 d 1 3 ? version=1.0&download=true

D. Canale, Conflitti pratici, Editori Laterza, Urbino, 2017, pp.132-133 10

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assistito inizia con il medico che dà al paziente due pastiglie di antiemetico, un medicinale per ridurre la nausea. Il medicinale che porterà all'arresto cardiaco è il Pentobarbital, sostanza utilizzata nell'induzione dell'anestesia generale. Per garantire il decesso, i medici diluiscono una dose 4 volte più alta di quella letale e la porgono al paziente. Sarà lui a berla portandosela da solo alla bocca o, se tetraplegico, con un pulsante che ne attiva il rilascio. Nel giro di due o tre minuti dall’assunzione, il paziente si addormenta profondamente. L'arresto cardiaco sopraggiunge dopo circa mezz’ora, in uno stato di assoluta incoscienza del malato . 11

Il suicidio è un tema filosofico antichissimo, fin dai primordi greci. La differenza tra suicidio e suicidio assistito, nel mondo antico, è praticamente indefinibile: uccidersi facendosi pugnalare dal proprio schiavo è suicidio tanto quanto portare alla bocca il veleno con le proprie mani. Per secoli diventerà invece un tema tabù, anche filosoficamente parlando, poiché se ne potrà fare accenno solo per punirlo duramente, anche in modo più aspro dell’omicidio. Non va dimenticata, infatti, anche la polemica di Pascal contro i gesuiti, proprio perché giustificano un’ampia casistica di omicidi, sempre da parte di “superiori” nei confronti di “inferiori”.

Con l’avvento dell’illuminismo, invece, riprende la riflessione filosofica su questo tema, anche se non sempre con una libertà all’altezza dei saggi di Hume . Egli infatti afferma che un uomo 12

stanco della vita e perseguitato dai dolori, il quale decida di

Come funziona il suicidio assistito in Svizzera, in Agenzia Giornalistica 11

Italia, 12/10/2017, reperibile alla pagina https://www.agi.it/cronaca/

come_funziona_leutanasia-1531987/news/2017-02-27/

P.F. d’Arcais, A chi appartiene la tua vita?, Saggi Ponte alle Grazie, 12

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suicidarsi, non dovrebbe incorrere nell’indignazione del creatore ed essere accusato di turbare l’ordine dell’universo. A suo parere la vita degli uomini è soggetta alle stesse leggi a cui obbediscono anche gli animali e, entrambe, sono soggette alle leggi generali della natura: per l'universo la vita di un uomo non è più importante di quella di un'ostrica. Se disporre della vita umana fosse una prerogativa peculiare dell'Onnipotente, al punto che per gli uomini decidere della propria vita fosse un'usurpazione dei suoi diritti, sarebbe ugualmente criminoso salvare o preservare la vita. Hume sostiene che:“Se cerco di scansare un sasso che mi cade sulla testa, disturbo il corso della natura e invado il dominio peculiare dell'Onnipotente, prolungando la mia vita oltre al periodo che, in base alle leggi generali della materia e del moto, le era assegnato” . 13

In Francia, al contrario, fin dal Medioevo e ancora nel XVIII secolo, al suicida viene fatto un processo o lo si fa alla sua memoria: la colpa da ricercare è quella di aver commesso volontariamente un “omicidio contro sé stessi”. La pratica è talmente grave che viene paragonata al crimine di lesa maestà. Se la follia o l’errore vengono esclusi, viene applicata una pena che comporta la confisca dei beni e la condanna “eterna”. Il corpo del defunto, inoltre, può essere impiccato a testa in giù, trascinato con la faccia contro il suolo e gettato in fosse, senza sepoltura e in terra sconsacrata. Il termine suicidio entra nel vocabolario francese solo nel 1734 e, a partire da Montesquieu, il quale ritiene che le leggi

Hume, Sul suicidio, reperibile alla pagina http://www.filosofico.net/ 13

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che puniscano il suicidio siano ingiuste, fa discutere tutti gli intellettuali illuministi . 14

Anche Karl Löwith, filosofo tedesco del Novecento, sostiene radicalmente le sue idee, secondo le quali la libertà di autodistruggere la propria esistenza rappresenta una possibilità specificatamente umana: infatti se è vero che l’essere umano, al contrario degli animali, è autocoscienza e volontà, gli deve essere concesso di togliersi la vita che gli è “toccata causalmente”. La libertà di decidere se vivere è, perciò, la prima e fondamentale libertà di ogni essere umano, che non può essere soppressa senza negare potenzialmente anche tutte le altre. A parere del filosofo non esistono argomenti umani, razionali e capaci di contraddire questa affermazione: l'unico argomento plausibile è non propriamente morale, bensì religioso. Esso trova fondamento nella legge cristiana, secondo la quale l’essere umano è una creatura di Dio ed ha ricevuto la vita come un dono; solo in questo caso il suicidio è effettivamente un delitto. Altri argomenti, puramente umani, non ce ne sono qualora si tenga ferma la libertà e l’autonomia come essenziali alla dignità dell’uomo. Löwith dimostra anche che in Hegel lo “spirito del mondo”, o addirittura lo Stato, giochino il ruolo di un surrogato del Dio cristiano e, che solo in questo modo possano appropriarsi di una libertà sulla vita che altrimenti nessuno potrebbe sottrarre all’individuo che la vive. E, come in Kant, la pretesa di dimostrare la disumanità del suicidio, poiché la libertà dell’uomo non può arrivare a trattare una persona come mezzo ma

F. Barca, Suicidio, istruzioni per l’uso e storia di un libro censurato in 14

Francia, in gli StatiGenerali, 10/08/2018, reperibile alla pagina https://

www.glistatigenerali.com/editoria/suicidio-istruzioni-per-luso-storia-di-un-libro-censurato-francia/

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sempre e solo come fine, si contraddica e si annulli da sé. Con il suicidio, infatti, l’individuo non usa affatto la propria persona come mezzo in vista di uno scopo, dato che insieme a se stesso distrugge ogni scopo meramente possibile. Pertanto, il modo in cui un individuo può disporre di se stesso con il suicidio non si lascia paragonare al disporre di una cosa. Anche qui, è solo identificando la “Natura” e “fini del Creatore”, e quindi introducendo in qualche modo Dio e la fede in Lui, che si può negare la libertà del singolo di decidere sulla propria vita . 15

Il dibattito sulla liceità o meno del suicidio, divenuto in epoca moderna una discussione sul suicidio assistito, è arrivato fino ai giorni nostri, dividendo l’opinione pubblica.

Gilberto Corbellini, filosofo, sostiene che non si debba limitare la libertà di scelta di una persona in possesso delle sue facoltà se ciò non danneggia altri. Questo può apparire ovvio, ma, come ha mostrato lo psicologo Jonathan Haidt, quando esprimiamo giudizi su casi moralmente rilevanti, anche se non causano danno a nessuno, sono le emozioni, come la paura di abusi, a guidare le nostre scelte: la ragione interviene solo dopo, per tentare di giustificarle. Secondo Corbellini, un individuo che autonomamente e lucidamente decida che la sua vita, per ragioni obiettive come una malattia incurabile, è diventata insopportabile e voglia morire, non danneggia nessuno. Inoltre, anche la motivazione secondo la quale una persona, decidendo di morire, farebbe del male ai propri cari e alla società, non regge: molti comportamenti che ogni individuo tiene possono provocare dolore a parenti e amici, o danni sociali,

P.F. d’Arcais, A chi appartiene la tua vita?, Saggi Ponte alle Grazie, 15

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come ad esempio sperperare tutto il denaro nei giochi d’azzardo, ma non per questo lo stato li proibisce. Anche l’obiezione secondo la quale lo Stato, autorizzando l’aiuto al suicidio, si comporterebbe come i nazisti, che eliminavano i disabili, è senza fondamento: essi, infatti, decidevano chi eliminare, mentre qui parliamo di persone che chiedono allo stato di essere aiutate a terminare le loro sofferenze.

L’unica soluzione possibile è che lo stato legiferi sulla materia . 16

4. Cure palliative

Negli ultimi anni la scienza medica ha compiuto passi da gigante nel trattamento del dolore: in linea di principio, è oggi possibile trattare pressoché qualsiasi sintomo doloroso riducendone in maniera significativa la portata, al punto di renderlo tollerabile al paziente . 17

In questa accezione curare non significa solo guarire, ma anche alleviare le sofferenze ed è quindi possibile prendersi cura anche del malato che presenti situazioni cliniche irreversibili. Le cure palliative consistono nella somministrazione di farmaci capaci di lenire i dolori intollerabili dei pazienti terminali, anche se c’è chi replica sostenendo che nel caso di malattie giunte a questo stadio, molti stati del dolore non siano trattabili medicalmente e, dunque, riducibili in modo accettabile per il paziente.

A. Saragosa, Tra la vita e la morte, la questione è bioetica, in la 16

repubblica.it, 15/03/2017, reperibile alla pagina https:// w w w. r e p u b b l i c a . i t / v e n e r d i / i n t e r v i s t e / 2 0 1 7 / 0 3 / 1 5 / n e w s / tra_la_vita_e_la_morte_questioni_di_bioetica-160595657/

D. Canale, Conflitti pratici, Editori Laterza, Urbino, 2017, pp. 140-141 17

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Le cure palliative vengono, solitamente, prestate a domicilio, proprio al fine di non escludere il malato dal contesto familiare in cui è inserito e di non allontanarlo dalla sua casa e dalle persone care. Le famiglie vengono adeguatamente assistite e psicologicamente sostenute, per essere in grado di condividere con il proprio congiunto l’iter completo della malattia e la fase del morire. Sono sorte anche della strutture denominate hospices , 18

alternative o sostitutive dell’assistenza familiare, nelle quali sanitari e psicologi danno vita a quello che è definito “accompagnamento del morente”, consentendo ai malati terminali di non rimanere soli. Le cure palliative rappresentano quindi un aiuto nel morire, al contrario dell’eutanasia che fornisce un aiuto a morire: esse non sono finalizzate alla morte del paziente, bensì ad esaudire la sua legittima richiesta di essere posto in condizione di sopportare i dolori causati dalla malattia. Questo tipo di cure, quindi, sono considerate lecite, se non addirittura doverose.

In passato cure palliative ed eutanasia vengono messe in relazione nella discussa “proposta Schwartzenberg”, una proposta di risoluzione presentata al Parlamento europeo nel 1991, che recita testualmente:“..mancando qualsiasi terapia curativa e dopo il fallimento delle cure palliative correttamente impartite sul piano tanto psicologico quanto medico e ogniqualvolta un malato pienamente cosciente chieda, in modo insistente e continuo che sia fatta cessare un’esistenza ormai priva per lui di qualsiasi dignità e L’hospices è una struttura che si distingue dagli ospedali e dalle 18

cliniche, sia per la pratica delle cure palliative, sia per il coinvolgimento della famiglia del malato nella terapia. Il primo hospice destinato all’accoglienza e all’assistenza dei malati terminali nasce in Gran Bretagna nel 1967 per opera della dottoressa Cicely Saunders, che si era presa cura dei malati incurabili, sviluppando delle tecniche per il controllo del dolore.

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un collegio di medici, costituito all’uopo, constati l’impossibilità di dispensare nuove cure specifiche, detta richiesta deve essere soddisfatta..” . La proposta, che ha destato molto clamore in 19

quanto considera ammissibile l’eutanasia, non ha avuto seguito. Non è da sottovalutare, tuttavia, la considerazione della pratica di adeguare cure palliative, intese come fase preliminare e obbligatoria, al fine di poter vedere accolta la richiesta di eutanasia . 20

Poche voci si levano a favore delle cure palliative, prime fra tutte quelle dei medici e ricercatori: possiamo ricordare a tal proposito Elizabeth Kübler Ross e Marie De Hennezel, che hanno difeso il valore della vita malata, registrando e divulgando il vissuto dei pazienti terminali, per i quali la difficile esperienza del morire viene rese sopportabile grazie alle amorevoli cure dell’équipe medica e infermieristica.

Anche il Comitato Nazionale per la Bioetica ne ha sottolineato l’alto valore bioetico, rilevando che le cure palliative trovino la loro sostanza non nella pretesa di poter strappare un paziente alla morte, ma nell’intenzione di non lasciarlo solo e di aiutarlo a vivere questa ultima fase di vita nel modo più umano possibile.

La Chiesa cattolica, fin dagli anni ‘50, con Papa Pio XII, si è espressa favorevole a questa pratica nonostante potesse produrre, come effetto secondario e non voluto, l’abbreviazione della vita: è questo il principio del duplice effetto che fonda la differenza morale Comunità Europee, Parlamento Europeo, Relazione della 19

Commissione per la protezione dell’ambiente, la sanità pubblica e la tutela dei consumatori, sull’assistenza ai malati terminali, Relatore con.

Léon Schwartzenberg, 30 aprile 1991, Documento A3-0109-91

Una tale previsione era contemplata nella legge del Territorio del Nord 20

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tra l’eutanasia (uccisione diretta) e le cure palliative (messa in conto di un male previsto). Questa difformità si basa sul ruolo dell’azione umana, che distingue nettamente i due comportamenti e sul divieto di uccidere, il cui fondamento risiede nella tutela del diritto individuale di vivere che spetta tanto all’uomo sano, quanto a quello malato . 21

5. Sedazione terminale

Per sedazione terminale (chiamata da alcuni anche sedazione palliativa) si intende la riduzione intenzionale della vigilanza con mezzi farmacologici, fino alla perdita di coscienza, allo scopo di ridurre o abolire la percezione di un sintomo altrimenti intollerabile per il paziente, nonostante siano utilizzati i mezzi più adeguati per il controllo del sintomo, che risulta refrattario.

Secondo questa definizione, quindi, non è compresa nella sedazione terminale quella “occasionale” utilizzata, per esempio, per effettuare una manovra invasiva.

Qualche anno fa, la Società Spagnola di Cure Palliative, ha proposto di distinguere ulteriormente la sedazione palliativa in due sottoclassi:

1. Sedazione Palliativa (SP) in generale, pratica volta ad alleviare sintomi refrattari riducendo lo stato di coscienza in misura adeguata e proporzionata alle necessità;

2 .Sedazione Palliativa degli Ultimi Giorni (SILD: Palliative

Sedation In the Last Days): si tratta della stessa pratica di cui al

Dispense Eutanasia, in unisalento, reperibile alla pagina https:// 21

www.unisalento.it/documents/20152/259348/Dispense+Eutanasia..pdf/ 1 1 e 8 6 8 3 b - 6 1 8 6 - 4 4 c c - 0 b f e - e 6 c d e d 4 c 0 d 1 3 ? version=1.0&download=true

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punto 1, ma effettuata quando la morte è attesa entro un lasso di tempo compreso tra poche ore e pochi giorni, secondo una valutazione del medico. A questa pratica ci si riferisce tradizionalmente con la definizione di “Sedazione Terminale”. Essa, quindi, ha per scopo il sollievo dalla sofferenza; l’uso dei farmaci deve essere adattato e monitorato in relazione alla profondità, continuità e durata della sedazione necessaria per ottenere tale effetto. Da una recente revisione della letteratura, risulta che la durata dell’intervento della sedazione terminale è pari in media a 2,8 giorni (media ponderata). La sopravvivenza dei pazienti sedati in fase terminale non differisce da quella dei pazienti non sedati.

Di massima importanza è il percorso decisionale che porta a questa scelta, che deve rispettare criteri etici internazionalmente riconosciuti e differenziati in base alla capacità mentale del malato. In particolare, se il paziente è mentalmente capace al momento in cui insorge l’indicazione clinica della sedazione terminale, vale il criterio del consenso informato. Pertanto quest’ultimo va, per quanto possibile, costantemente ricercato. In generale, non si raccomanda né l’adozione di un modulo di consenso specifico, né l’apposizione della firma del malato: si ritiene sufficiente una registrazione del consenso verbalmente espresso in cartella clinica da parte dei curanti. Nel limite del possibile è opportuno invitare il malato a informare i suoi familiari delle decisioni prese, in modo da facilitarne l’accettazione e ridurre l’impatto emotivo.

Se, invece, il malato non è mentalmente capace o non vuole partecipare alle decisioni, valgono, sul piano etico, le direttive o dichiarazioni anticipate di cui devono tenere conto i sanitari cui

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competono, sul piano giuridico, le decisioni. In assenza di tali disposizioni anticipate, la decisione può essere assunta dai sanitari curanti ricorrendo al giudizio sostitutivo, basato sulle volontà e i desideri espressi in precedenza dal malato ai suoi cari o all’équipe curante.

In caso di malato mentalmente incapace di cui non è possibile ricostruire la volontà od orientamenti pregressi, o in caso di situazioni d’emergenza (in cui non sia possibile né ottenere il consenso informato o direttive anticipate né formulare un giudizio sostitutivo), i sanitari devono ricorrere al criterio del migliore interesse del paziente, procedura decisionale che si fonda sul bilanciamento fra i benefici attesi e gli oneri previsti del trattamento terapeutico per quel dato individuo.

La sedazione terminale è una procedura terapeutica nettamente distinta, sia sul piano empirico (clinico) che su quello etico, dall’eutanasia.

La distinzione empirica e morale fa riferimento ai tre elementi costitutivi della procedura terapeutica: obiettivo (intenzione), tipi di farmaci, dosaggi e via di somministrazione impiegati, risultato finale.

Prendendo in successiva considerazione i tre suddetti elementi, si può rilevare che, per quanto riguarda l’obiettivo della procedura, nella sedazione terminale esso è rappresentato dal controllo dei sintomi refrattari e non dalla induzione della morte del malato. Quanto i tipi di farmaci, dosaggi e via di somministrazione, essi sono finalizzati al miglior controllo dei sintomi attuabile (con una riduzione della coscienza variabile e possibilmente condivisa dal malato e dalla famiglia) e non alla rapida induzione della morte.

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Per quanto riguarda il terzo elemento, cioè il risultato della procedura, nella sedazione terminale esso coincide con l’abolizione della percezione.

Al contrario, nell’eutanasia o nel suicidio medicalmente assistito, l’obiettivo (intenzione) è costituito dalla morte del malato, i farmaci, i dosaggi e la via di somministrazione sono scelti in modo da provocare una rapida morte di quest’ultimo e il risultato è inevitabilmente la morte dello stesso.

Altre caratteristiche rilevanti, non solo sul piano empirico ma anche su quello etico, fanno riferimento al fatto che l’eutanasia e il suicidio assistito siano tecnicamente molto più facili e limitati nel tempo rispetto alla pratica della sedazione terminale che, invece, è tecnicamente difficile, richiedendo inoltre valutazioni e vicinanza prolungata con il malato, aggiustamenti terapeutici ripetuti, nonché un notevole supporto al malato, alle famiglie, all’équipe . 22

6. Testamento biologico

Quando si utilizza il termine testamento biologico ci si riferisce, in modo giuridicamente atecnico, alle Disposizioni Anticipate di Trattamento ( c.d. D.A.T.).

Si parla di D.A.T. quando un determinato soggetto, in veste di una sorta di testatore, si trova a dettare disposizioni in ordine ai trattamenti medici ai quali intenda o non intenda sottoporsi, laddove si trovasse nell’impossibilità di esprimere in coscienza il c.d. consenso informato, o se non fosse in grado di manifestare con Gruppo di lavoro della SICP (società italiana di cure palliative), 22

Raccomandazioni della SICP sulla Sedazione Terminale/ Sedazione Palliativa, in Fondazione Luvi, ottobre 2007, reperibile alla pagina

https://www.fondazioneluvi.org/wp-content/uploads/2017/01/ Sedazione-Terminale-Sedazione-Palliativa.pdf

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lucidità le proprie intenzioni circa il trattamento cui dovrebbe sottoporsi. Il ricorso alla D.A.T. si giustifica soprattutto nell’evenienza in cui un soggetto subisca lesioni cerebrali o eventi invalidanti, che lo conducano progressivamente a riversarsi nella totale inabilità nella gestione della propria vita di relazione. L’argomento è molto delicato, soprattutto in ragione del fatto che il testatore è chiamato a formalizzare la sua volontà facendo specifico riferimento ad argomenti eterogenei e non avendo nessuna certezza su quali questi possano essere e su tutte le implicazioni possibili . 23

In Italia abbiamo una normativa specifica sul biotestamento solo dallo scorso anno, con l’emanazione della legge 22 dicembre 2017, n. 219 . 24

Le D.A.T. possono essere fatte da tutte le persone maggiorenni e capaci di intendere e di volere che vogliono esprimere le proprie volontà in materia di trattamenti sanitari, nonché il consenso o il rifiuto su: accertamenti diagnostici, scelte terapeutiche e singoli trattamenti sanitari. La redazione di queste può avvenire in diverse forme:

• atto pubblico,

• scrittura privata autenticata,

• scrittura privata consegnata personalmente dal disponente presso l’ufficio dello stato civile del proprio Comune di residenza, che provvede all’annotazione in un apposito registro.

Potranno inoltre essere consegnate personalmente presso le strutture sanitarie, nel caso in cui le Regioni che adottano modalità Il testamento biologico, in Studio Cataldi, reperibile alla pagina 23

https://www.studiocataldi.it/articoli/26302-il-testamento-biologico.asp I l t e s t o d e l l a l e g g e è re p e r i b i l e a l l a p a g i n a h t t p : / / 24

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telematiche di gestione della cartella clinica, o il fascicolo sanitario elettronico, o altre modalità informatiche di gestione dei dati del singolo iscritto al Servizio sanitario nazionale abbiano, con proprio atto, regolamentato la raccolta di copia delle D.A.T., compresa l'indicazione del fiduciario e il loro inserimento nella Banca dati, lasciando comunque al firmatario la libertà di scegliere se darne copia o indicare dove esse siano reperibili.

Nel caso in cui le condizioni fisiche del paziente non lo consentano, le D.A.T. possono essere espresse attraverso videoregistrazione o dispositivi, che permettano alla persona con disabilità di comunicare. Con le medesime forme esse sono rinnovabili, modificabili e revocabili in ogni momento. Nei casi in cui ragioni di emergenza e urgenza impedissero di procedere alla revoca delle DAT con le forme previste, queste possono essere revocate con dichiarazione verbale raccolta o videoregistrata da un medico, con l'assistenza di due testimoni.

La Legge n. 219 prevede la possibilità di indicare nella D.A.T. un fiduciario, la cui scelta è rimessa completamente alla volontà del disponente. La legge si limita a prevedere che il fiduciario sia maggiorenne e capace di intendere e di volere. Egli è chiamato a rappresentare l’interessato nelle relazioni con il medico e con le strutture sanitarie.

Il dottore è tenuto al rispetto delle D.A.T., le quali possono essere disattese in tutto o in parte, dal medico stesso, in accordo con il fiduciario, qualora:

• esse appaiano palesemente incongrue o non corrispondenti alla condizione clinica attuale del paziente;

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• sussistano terapie non prevedibili all'atto della sottoscrizione, capaci di offrire concrete possibilità di miglioramento delle condizioni di vita.

Nel caso di conflitto tra il fiduciario e il medico, la decisione è rimessa al giudice tutelare.

Nel caso in cui le D.A.T. non contengano l'indicazione del fiduciario o questi vi abbia rinunciato o sia deceduto o sia divenuto incapace, le D.A.T. mantengono efficacia in merito alle volontà del disponente. In caso di necessità il giudice tutelare provvede alla nomina di un amministratore di sostegno . 25

Vi sono varie obiezioni di carattere generale alle Disposizioni anticipate di trattamento. Alcuni credono che seguire delle disposizioni date da un paziente, prima che questo si trovi davvero in una certa condizione di salute, potrebbe essere controproducente: o per la possibilità che egli non sia sufficientemente informato al momento della scelta, o per l'impossibilità da parte del paziente stesso di conoscere che cosa desidererebbe qualora si trovasse in una condizione che effettivamente non ha mai vissuto. In questo caso, eseguire le D.A.T. potrebbe paradossalmente portare ad agire contro ciò che il malato avrebbe realmente voluto. Altre critiche vengono dal fatto che esse svalutino il ruolo dell'esperienza medica nel giungere a formulare la soluzione migliore per il paziente e dal sospetto che potrebbero rappresentare il primo passo verso la legalizzazione dell'eutanasia attiva.

Disposizioni anticipate di trattamento, in Ministero della Salute,

25

reperibile alla pagina http://www.salute.gov.it/portale/dat/ d e t t a g l i o C o n t e n u t i D a t . j s p ? lingua=italiano&id=4954&area=dat&menu=vuoto

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Un'altra obiezione viene dalla concreta possibilità che una D.A.T possa diventare non più rappresentativa delle reali volontà del paziente, a motivo del progresso della scienza medica. La legge approvata cerca comunque di prevenire questa eventualità stabilendo che «il medico è tenuto al rispetto delle D.A.T., le quali possono essere disattese, in tutto o in parte, dal medico stesso, in accordo con il fiduciario, qualora esse appaiano palesemente incongrue o non corrispondenti alla condizione clinica attuale del paziente ovvero sussistano terapie non prevedibili all’atto della sottoscrizione».

Il punto che probabilmente ha sollevato le critiche più decise è il fatto che alimentazione e nutrizione artificiali vengono equiparati agli altri interventi medici e, quindi, possono venire interrotti qualora il paziente lo richieda nelle sue disposizioni anticipate di trattamento . 26

M. Casarosa, Fine vita, Dat e testamento biologico: tutte le criticità, in 26

documentazione.info, 18/12/2017, reperibile alla pagina https:// www.documentazione.info/fine-vita-dat-e-testamento-biologico-tutte-le-criticita

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Capitolo II

La situazione italiana

1. La Costituzione

L'ordinamento italiano non contiene una disciplina che regoli la pratica del suicidio assistito, perché il legislatore non è ancora intervenuto, e la discussione sull’ammissibilità o meno di una legge sulla materia dipende in gran parte anche dall’interpretazione che diamo ad alcuni principi costituzionalmente garantiti: in particolar modo gli art. 2, 3, 13 e 32 della Costituzione.

La problematicità di tale fonte nasce spesso dalle differenti, talora diametralmente opposte, interpretazioni che possono essere date a concetti quali dignità, persona, salute; così come gli orientamenti opposti che connotano la dottrina costituzionalista, per cui, pur partendo dai medesimi riferimenti normativi, si giunge a risultati e conclusioni antitetiche . 27

L’articolo 2 della Costituzione riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità. Protegge, quindi, i diritti fondamentali della persona. Chi è a favore all'introduzione di leggi che regolino il diritto a rifiutare le cure, e quindi vorrebbe una regolamentazione del suicidio assistito, ritiene che il diritto di autodeterminazione, che qui trova espressione, sia il nucleo fondamentale della questione. Per autodeterminazione si intende “l’atto con cui l’uomo si determina secondo la propria legge, in

C. Casonato, Bioetica e pluralismo nello Stato costituzionale, 2006, 27

reperibile alla pagina http://www.forumcostituzionale.it/wordpress/wp-content/uploads/pre_2006/213.pdf

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assoluta indipendenza da cause che non sono in suo potere”. La propria legge: autos nomos . 28

Secondo un orientamento radicale il suicidio assurge al rango di diritto inviolabile e garantito, non semplicemente concesso, dall’art. 2 Cost . Questa opinione non può essere condivisa, anche alla luce 29

delle conseguenze inaccettabili che comporterebbe un suo accoglimento: sarebbe infatti incriminabile la condotta di salvataggio di un terzo nei confronti del suicida . 30

Al contrario, chi interpreta in senso opposto la disposizione sostiene che tra i diritti fondamentali protetti dall’art. 2 ci sia anche il diritto alla vita, che al pari di quello all’autodeterminazione è intangibile, indisponibile ed inalienabile. Per di più la vita umana costituisce la precondizione per l’esercizio di qualsiasi altro diritto e quindi la sua protezione deve essere garantita in modo incondizionato. Nel caso in cui la sospensione delle cure conduca il malato alla morte, essa non può essere permessa.

L’art. 2 Cost., da sé, non può essere sufficiente a far entrare nell’ordinamento i “nuovi diritti”, occorrendo che questi siano comunque funzionali al pieno sviluppo della persona, ma detta il comune denominatore che ogni nuova posizione soggettiva deve possedere. In questo modo si consente all’evoluzione sociale di penetrare nelle fondamenta costituzionali del sistema giuridico . 31

P.F d’Arcais, A chi appartiene la tua vita?, Saggi Ponte alle Grazie, 28

Milano, Salani editore, 2009, pag. 15

Cfr. L. Stortoni, Riflessioni in tema di eutanasia, in Legislazione 29

penale, 2000, 481

Nell’ambito della nostra letteratura è generalmente riconosciuta la 30

facoltà di impedire l’altrui suicidio anche in caso di dissenso del suicida ai sensi dell’art. 54 c.p.

P. Ridola, Diritti fondamentali. Un’introduzione, Torino 2006, 175 31

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Rispetto alla tematica del suicidio, non pare si possa parlare di una libertà costituzionale di morire tout court; esigenze di ordine pubblico e di ragionevolezza, al fine di non svilire il valore della vita dei consociati e di non legittimare omissioni terapeutiche, inducono a intendere il suicidio come l’ultima ratio di tutela della personalità dell’individuo e delle sue intime scelte . 32

Dobbiamo poi ricordare che i diritti fondamentali non rappresentano soltanto un rafforzamento dell’“attrezzatura” giuridica di singoli o gruppi, ma individuano un fondamento del sistema politico-istituzionale, un sistema di fini non negoziabili né tra le forze politiche, attraverso procedure legislative ordinarie o rafforzate (come la revisione costituzionale), né da parte delle persone titolari di tali diritti, che non possono ridurne la portata neppure se reputano che ciò sia conforme al loro interesse. I diritti fondamentali si presentano così come inscalfibili e indisponibili, ed esprimono un duplice limite che il diritto pone a se stesso e alla generalità dei cittadini . 33

L’articolo 3 della Costituzione, invece, è posto a garanzia del pieno sviluppo della persona umana contro gli ostacoli che di fatto limitano la libertà e l’uguaglianza, e sancisce la pari dignità sociale dei cittadini di fronte alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche e di condizioni personali e sociali.

Comitato scientifico, Fascicolo 2019, 1-BIS, “Questioni di fine vita”, in 32

G i u r i s p r u d e n z a P e n a l e , r e p e r i b i l e a l l a p a g i n a h t t p : / /

www.giurisprudenzapenale.com/wp-content/uploads/2019/01/ gp_2019_1bis_questioni_fine_vita.pdf

S. Rodotà, La vita e le regole. Tra diritto e non diritto, Giangiacomo 33

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Chi è a favore del rifiuto alle cure ritiene che l’articolo, ponendo al centro il principio personalista e imponendo di creare le condizioni migliori per il pieno sviluppo della persona, si traduca in un divieto per lo Stato, per i suoi apparati e per chiunque altro, di utilizzare il singolo individuo come strumento per sostenere le proprie (e non del singolo) convinzioni etiche, filosofiche, religiose e via dicendo. Il principio personalista, poi, risulta strettamente collegato ad un altro principio: il principio pluralista. Il personalismo e il fatto che gli individui possano scegliere le modalità più disparate per raggiungere quel “pieno sviluppo”, cui tanto risalto dà l’art. 3, implicano necessariamente, infatti, l’ammissibilità e la coesistenza tutelata di una molteplicità di punti di vista etico-religiosi.

Il combinato disposto dei due principi, personalista e pluralista, sul fronte del diritto alla salute recepito come diritto individuale, sottintende quindi, necessariamente, che differente possa essere il modo di porsi del singolo nei confronti del dolore, delle terapie, dei trattamenti sanitari e delle stesse decisioni mediche relative ai momenti iniziali e finali della sua esistenza.

Gli individui di segno opposto, al contrario, sostengono che non si darebbe pieno sviluppo alla persona umana a prescindere dalla garanzia incondizionata della permanenza in vita del soggetto che invece desidera morire . Il secondo comma, che assegna allo Stato 34

il compito di farsi strumento per assicurare il pieno sviluppo della persona umana, non sarebbe rispettato . 35

D. Canale, Conflitti pratici, Editori Laterza, Urbino, 2017, pp. 151-153 34

I. Lagrotta, Diritto alla vita ed eutanasia nell’ordinamento 35

costituzionale italiano: principi e valori, in LexItalia, reperibile alla pagina

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Dobbiamo constatare che questa interpretazione del dettato costituzionale è minoritaria tra i giuristi, ma il suo contenuto trova fondamento nelle norme del dettato legislativo (di cui parleremo in seguito).

Parallelamente agli articoli 2 e 3 della della Costituzione, l’articolo 13 afferma che “la libertà personale è inviolabile” e il suo esercizio non può essere limitato dallo Stato, se non nei casi previsti dalla legge.

Secondo il giudice costituzionale tale disposizione non contempla solo la libertà dagli arresti, ma in essa «è postulata la sfera di esplicazione del potere della persona di disporre del proprio corpo» e di perseguire, ai sensi dell’art. 2 Cost., il pieno sviluppo di sé come singolo e nelle relazioni con gli altri. La libertà di decidere del proprio corpo costituisce dunque una parte essenziale della libertà personale anche nel suo risvolto attivo (la libertà di), e in campo biomedico si traduce nel diritto di scegliere se, come, dove e quando curarsi, accedendo ad una prestazione sanitaria che, pur appropriata dal punto di vista clinico, sia al contempo adattata alle esigenze formulate dal paziente . 36

La Corte costituzionale e la Corte di Cassazione hanno interpretato queste disposizioni identificando nella tutela del principio di autonomia lo strumento per garantire il pieno sviluppo della persona umana: l’individuo trova piena realizzazione quando è messo nella condizione di determinare il corso della propria vita indipendentemente da costrizioni altrui, oltre che in modo

Comitato scientifico, Fascicolo 2019, 1-BIS, “Questioni di fine vita”, in 36

G i u r i s p r u d e n z a P e n a l e , r e p e r i b i l e a l l a p a g i n a h t t p : / /

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consapevole e responsabile . L’affermazione del carattere 37

inviolabile della libertà contenuta nell’articolo 13 della Costituzione si limiterebbe quindi, secondo la dottrina dominante, a rafforzare il principio di autodeterminazione, qualificando l’autonomia personale come un bene intangibile, indisponibile ed inalienabile. Ne consegue che qualsiasi provvedimento legislativo, amministrativo e giurisdizionale, che costituisca una violazione del principio di autonomia, risulta in conflitto con la Costituzione. A questa interpretazione sono state mosse le stesse obiezioni degli art. 2 e 3.

Dobbiamo parlare, infine, dell’articolo 32 della Costituzione, il quale tutela la salute come fondamentale diritto dell'individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti. Specifica, poi, che nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge.

A prima vista l’articolo contempla la libertà di cura solo in forma di divieto (negativo e tendenzialmente assoluto) di subire un determinato trattamento sanitario contro la propria volontà e non risolve in modo altrettanto chiaro tutta una serie di situazioni, come quella in cui un paziente richieda al medico di interrompere una terapia già in atto.

D’altro canto, se ci si limitasse ad inquadrare la libertà di cura solo come diritto negativo di escludere interventi non voluti sul proprio corpo, inevitabilmente resterebbe compromessa l’essenza stessa del diritto alla salute come diritto fondamentale di potersi curare.

S. Rodotà, La vita e le regole. Tra diritto e non diritto, Feltrinelli, 37

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Invero, sebbene non esplicitamente, anche tali aspetti della relazione medica sono però sostanzialmente ricavabili dall’art. 32 Cost. Infatti, la necessità di acquisire il consenso del paziente quale presupposto che legittima l’atto medico si deduce con un mero ragionamento al contrario: «se i trattamenti obbligatori devono essere imposti per legge, tutti gli altri non possono ritenersi obbligatori, e quindi devono corrispondere ad una manifestazione di volontà dell’interessato» . 38

Questa norma riveste un ruolo di centrale interesse nel dibattito sul fine vita, in primo luogo per la prevalenza gerarchica della fonte rispetto alle norme di carattere ordinario, dato che contiene dei principi guida, a garanzia del fondamentale diritto alla salute, di rilevanza centrale nel discorso in questione, e poi per via della carenza di una disciplina normativa che si occupi specificamente del problema. Per questi motivi la disposizione contiene non solo i principi di riferimento, che devono necessariamente orientare ogni interpretazione, oltre che qualsiasi eventuale futura o prossima regolazione giuridica, ma anche una regola direttamente operante nei rapporti interpersonali costituita dal riconoscimento di un diritto al rifiuto delle cure.

Il primo comma fissa la tutela della salute, riconosciuta come diritto fondamentale dell’individuo e interesse della collettività. Si può notare che questo valore è tutelato nella sua doppia valenza di diritto individuale e interesse collettivo. Su questa caratteristica si sofferma talvolta la dottrina per corroborare la tesi di inviolabilità

Comitato scientifico, Fascicolo 2019, 1-BIS, “Questioni di fine vita”, in 38

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del diritto alla salute in corrispondenza del valore della vita, rispetto alla tesi opposta della libera determinazione personale. Infatti, una parte minoritaria della dottrina sostiene che, sebbene tale diritto sia individuale, non possa essere minimamente compromesso dalle scelte personali dell’individuo, proprio per l’interesse della società alla tutela della salute pubblica. In sostanza, questa tesi interpreta il dettato costituzionale come un chiaro limite all’autodeterminazione in funzione della tutela collettiva. Da questo assunto si arriva poi, talora, ad argomentare che la salute costituisca uno dei doveri inderogabili di solidarietà sociale ricomprendibile nella clausola aperta dell’art. 2 della Costituzione. La maggior parte della dottrina è critica verso questa trasformazione surrettizia del diritto alla salute in un dovere alla salute, in quanto se la Costituzione si mostra aperta alla tutela di nuove esigenze emergenti nella società, non pare si possa invece concepire un elenco aperto che ricomprenda nuovi doveri con il sacrificio di altrettanti diritti individuali. È dubbia, nel nostro sistema costituzionale, la possibilità di individuare doveri ulteriori rispetto a quelli espressamente riconosciuti e, tanto il tenore letterale e il significato dell’art. 32, co. 2, Cost., quanto, più in generale, l’intero sistema di valori cui si ispira la Carta costituzionale, paiono fortemente inconciliabili con la trasfigurazione di un diritto fondamentale in un generico “dovere a mantenere la propria salute” per un obbligo di solidarietà politica economica o sociale, o per un altro interesse di carattere collettivo . Oltretutto non ci sono ulteriori riferimenti 39

normativi che confermino questa lettura, che al contrario è del tutto I. Lagrotta, Diritto alla vita ed eutanasia nell’ordinamento 39

costituzionale italiano: principi e valori, in LexItalia, reperibile alla pagina

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esclusa dal secondo comma dell’art. 32 stesso e dal tenore delle altre disposizioni costituzionali, che dimostrano di porre la persona al centro delle finalità di tutela rispetto alle istanze collettivistiche e non viceversa.

L’indirizzo teorico a sostegno della tesi del dovere alla salute rivela la già citata tendenza all’imposizione dall’alto di un valore assolutizzato a discapito delle istanze individuali, e non permette di affrontare il problema in modo adeguato . 40

Un ulteriore rilievo che è opponibile a questa tesi è quello relativo al concetto di salute. Infatti la salute intesa come benessere fisico ha oramai lasciato il posto, secondo la definizione data dall’Organizzazione Mondiale della sanità e come confermato dalla giurisprudenza italiana, al concetto di salute rielaborato nel senso di benessere psicofisico, che va commisurato alla condizione psicologica, al progetto di vita e alle aspettative per il futuro di ciascun individuo . 41

In questo senso il personale perseguimento del benessere, anche psichico oltre che fisico, talvolta risultante persino da un’astensione dalle cure, non può ammettere imposizioni esterne e strumentalizzazioni, perché si perderebbe l’essenza stessa del valore della salute, il cui contenuto va individuato proprio nella sfera soggettiva individuale e non a livello collettivo.

Il secondo comma sancisce il divieto di trattamenti sanitari obbligatori, che rappresenta un principio di estrema importanza, P.F d’Arcais, A chi appartiene la tua vita?, Saggi Ponte alle Grazie, 40

Salani editore, Milano, 2009, pag. 103-106

Cfr., ad esempio, Corte cost. 27/1975 il cui testo è reperibile alla 41

pagina http://www.giurcost.org/decisioni/1975/0027s-75.html , Corte cost. 161/1985 il cui testo è reperibile alla pagina http:// www.giurcost.org/decisioni/1985/0161s-85.html

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perché esclude esplicitamente che un trattamento sanitario possa essere imposto contro la volontà del malato, e quindi rende complicato l’accoglimento della tesi di un dovere alla salute. Il divieto però non è assoluto, perché si specifica che un obbligo possa configurarsi, ma solo in presenza di una disposizione di legge che lo preveda. In questo caso, si legge nell’ultima parte del secondo comma, la legge ha sempre come limite quello del rispetto della persona umana . 42

Diritto alla salute e libertà di suicidio sono certo strettamente correlati, ma nel senso che l’uno è alternativo all’altro ed entrambi rispondono ad un proprio peculiare referente costituzionale. Se così è, in quanto libertà negativa, il suo esercizio non comporta sanzioni di alcun tipo, ma al contempo la sua soddisfazione non può essere pretesa, attraverso contributi fattivi di collaborazione né da terzi né dallo Stato . 43

Quanto emerso dall’art. 32 Cost. permette già di inquadrare in termini abbastanza precisi la situazione in esame. Risulta senza dubbio delineata, in corrispondenza del divieto di obbligo di trattamento sanitario, la garanzia di un diritto al rifiuto di cure per il malato, riconosciuta pressoché da tutta la dottrina giuridica. La volontà del malato si fa prevalere sulla necessità del trattamento per preservarne la salute, e ciò esclude, di fatto, la configurabilità di un dovere di curarsi.

Autonomia del paziente significa che è egli stesso che deve decidere a quale trattamento voglia o meno sottoporsi e, quindi, può

P.F d’Arcais, A chi appartiene la tua vita?, Saggi Ponte alle Grazie, 42

Salani editore, Milano, 2009, pag. 103-106

S. Seminara, La dimensione del corpo nel diritto penale, cit., 195 43

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decidere anche di rifiutare le cure, sebbene la mancanza di queste lo porterà con certezza alla morte, anche a breve termine.

In realtà, quindi, la giurisprudenza riconosce già che l’autonomia del paziente implica anche il suo diritto a scegliere di morire, e non solo in casi estremi, ma anche quando la sua prospettiva di qualità della vita non gli sembri più adeguata e soddisfacente. Non ci si riferisce al fatto di vivere una vita tra atroci sofferenze, ma di avere un’esistenza normale con un handicap, come ad esempio la mancanza di un arto, che però la renda, a parere dell’individuo, non più accettabile e degna di essere vissuta. La scelta di morire, inoltre, è riconosciuta al paziente anche a fronte di motivazioni che per egli sono religiose ma che per molti non religiosi, o di altre religioni, costituiscono solo assoluta e irrazionale superstizione. Per esempio, i Testimoni di Geova considerano un peccato mortale la trasfusione di sangue, e i membri preferiscono morire piuttosto che accettarne una . 44

Da questa lettura della norma sopra esposta, in combinato disposto con l’art. 13 sulla libertà personale, è stato elaborato un principio di fondamentale importanza in ambito medico: quello del consenso informato . Per garantire la scelta del malato di fronte a ciascun 45

trattamento si è avvertita l’esigenza di fornire gli elementi per rendere tale scelta effettiva: attraverso la pratica dell’informazione medica sullo stato di salute e sulle terapie possibili, il paziente è posto in grado di valutare se e quali misure accettare sulla propria P.F d’Arcais, A chi appartiene la tua vita?, Saggi Ponte alle Grazie, 44

Salani editore, Milano, 2009, pag. 103-106

D. Cardillo, Le istanze di fine vita, relazione, in Rete Oncologica 45

Piemonte, reperibile alla pagina http://www.reteoncologica.it/images/

s t o r i e s / V o l o n t a r i a t o / l a _ s c i n t i l l a / intervento_Avv_DANIELA_CARDILLO.pdf

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