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CAPITOLO VI. LA NOSTRA DIMENSIONE DELLA NATURA

VI.1. La tradizione dell’arte immaginativa

Diversamente dall’idea di attività fallace e ingannatrice come ci viene proposta da Platone in un brano del Sofista, durante il Rinascimento, la facoltà

dell’immaginazione si dimostra “ars imaginativa” che «ad rei alicuius existentis

exmplar quidam exprimit»260.

Attraverso una sorta di incorporazione dell’arte della memoria nel contesto della vita quotidiana, l’epoca del Rinascimento ricostruisce le forme tipiche e

caratteristiche della “vista immaginativa” e dei cosiddetti “sensi della mente”. Ovviamente, il rapporto filosofico fra la mente e gli occhi durante il Rinascimento viene influenzato direttamente anche dalle opere aristoteliche che discutono dei fenomeni naturali che coinvolgono il senso e la mente dell'essere umano. Tali fenomeni sono già stati ribaditi nel De memoria et reminiscentia: si parla della connessione tra memoria e immaginazione e del compito assai rilevante delle “immagini” nei processi di rammemorazione «non si può pensare senza

immagine»261, e dove, pertanto, porta a valorizzare le dinamiche del pensiero che

sono significativamente paragonate all’atto di «disegnare una figura»262. Aristotele

aveva identificato la parte dell’anima che riguarda la memoria con la medesima (parte) «cui appartiene anche l’immaginazione»263.

260 Cfr. N. Tirinnanzi, Umbra naturae: l'immaginazione da Ficino a Bruno, p. 9. M. Ficino, Commentaria et argumenta in Platonis Sophistam, in Opera omnia, II, Basileae 1576, p. 1292.

261 Cfr. Aristotele, Dell’anima, in Opere, vol. 4, 431a, trad. di A. Russo, R. Laurenti, Bari, 1973.

262 Ibid., Della memoria e della reminiscenza, p. 239. 263 Ibid., 450a, p. 240.

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Perciò la funzione dell’immagine nel processo conoscitivo è così fondamentale che si può dire che esso sia anche, in un certo senso, la condizione necessaria

dell’intelligenza: Aristotele giunge perfino a dire che “l’intelletto passivo”264 è una

tipologia della nostra immaginazione e ripete più volte il principio che dominerà la teoria medioevale della conoscenza e che la scolastica fisserà nella formula: nihil

potest homo intelligere sine phantasmata265.

È forse la stessa ‘immagine’, nella tradizione platonica collegata con la memoria che si presenta invece come il processo cognitivo. Infatti, l’immaginazione è

considerata come il ciò che indica la facoltà preposta alla produzione di immagini interiori dell’uomo.

Tramite la metafora della “pittura nell’anima”, Platone tratta nel Filebo il tema centrale della conoscenza parlando appunto di memoria e immaginazione.

«Socrate. La memoria, che si incontra con le sensazioni, e le affezioni, che esistono in seguito ad esse, mi sembra che corrispondano quasi allo scrivere discorsi nelle nostre anime. E quando questa affezione scrive il vero, accade che da quello nascano in noi opinione vera e ragionamenti veri; quando un tale scrivano, che è in noi, scrive il falso risultano affermazioni contrarie alla verità.

Protarco. Credo lo stesso anch’io e approvo quanto è stato detto in questo modo. Socrate. Accetta, allora, che anche un altro operatore venga a trovarsi proprio in quello stesso momento nelle nostre anime.

Protarco. Chi?

Socrate. Un pittore, che, dopo lo scrivano, dipinge nell’anima immagini di ciò che è stato detto.

264 Sull’analisi del concetto aristotelico nel De memoria et reminiscentia cfr. M. M Sassi,

Aristotele fenomenologo della memoria in Tracce nella mente: teorie della memoria da Platone ai moderni, a cura di Maria Michela Sassi, Pisa, 2007, pp. 25-46.

265 Tommaso d’Aquino, In Aristotelis libros De Sensu et Sensato, De memoria et reminiscentia Commentarium, a cura di R. M. Spiazzi, Marietti, Torino-Roma 1949, p.85.

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Protarco E come diciamo che opera anche costui e quando?

Socrate Quando uno vede in qualche modo in se stesso le immagini delle cose opinate e dette, pur essendo lontani dalla vista, o da qualche altro organo di senso, gli oggetti dell’opinione e del discorso. Non avviene questo dentro di noi?»266

Nelle opere mnemotecniche, anche Bruno paragona tale capacità conoscitiva alla metafora del pittore che rende «visibili le realtà invisibili e, in generale, sensibili in concetti intelligibili, facilmente percepibile anche quanto è difficile da percepire»267.

Con l’aiuto della “pittura interiore”, l’uomo può richiamare alla memoria e presentare davanti agli occhi le immagini delle cose non sensibili che dobbiamo memorizzare. Pertanto, non è possibile pensare senza immagini268.

Anche Ficino asserisce: «Il senso concerne i corpi, l’immaginazione le immagini dei corpi, la fantasia le singole rappresentazioni delle immagini, l’intelletto le nature comuni delle singole rappresentazioni e le ragioni del tutto incorporee»269.

Se cioè il senso concerne i corpi, l’immaginazione non potrà che riguardare le «immagini dei corpi percepite o concepite attraverso i sensi»270.

Dunque, se il mitico scultore ha potuto creare Galatea, una statua che poi avrà vita, è perché, come dice Cartesio a proposito della chimera271, egli ha già in mente

delle donne esistenti. Pigmalione non ha il potere di creare dal nulla un’idea sconosciuta a Greci e Romani, e neanche ce l’ha la dea che lo accontenta

trasformando la statua Galatea in una donna viva, perché comunque essa ha solo

266 Platone, Filebo, a cura di M. Migliori, Milano: Rusconi, 1995, Filebo, 39, p. 137-8. 267 De umbris, OMN I, p. 175.

268 Cfr. Sigillus, OMN II, pp. 121-3.

269 M. Ficino, Teologia platonica, saggio introduttivo, traduzione, note e apparati di E. Vitale, Milano, 2011, p. 589.

270 Ibid., p. 581.

271 Cfr., R. Descartes, Meditazioni metafisiche, Terza meditazione, in Opere, Laterza, Bari, 1967, vol. I, p. 217.

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rovesciato il rapporto tra la copia e il modello, nel senso che la donna viva è diventata la copia della statua. Nel mito di Pigmalione non vi è assenza di modello ma un rovesciamento del rapporto tra copia e modello.

Inoltre, questa forma di conoscenza gioca un ruolo cruciale nella religione misteriosofica della reincarnazione. Nella tradizione del neoplatonismo,

l’associazione tra vista e mente nel comune possesso di una natura intrinsecamente ‘spirituale’ è un motivo ben radicato nel platonismo rinascimentale. Ficino, nel Libro

dell’amore, fa dell’insieme di «viso e audito» una delle forze dell’anima che

«s’appartengono allo spirito», laddove «tacto, gusto e odorato» appartengono «al corpo e alla materia»272.

Tutte le creazioni umane incorporee non nascono da nulla perché non possono essere il risultato di una creatio ex nihilo. Da qui il riferimento all’immaginazione artificiale o metaforica di una certa cultura che, tuttavia, nel dare forme è sempre vincolata ai materiali visibili.

Lo sa Senofane quando osserva che, se avessero mani i buoi, i cavalli e i leoni sarebbero in grado di dipingere o di compiere con le proprie mani opere d’arte come gli uomini, e «i cavalli rappresenterebbero immagini di dei e plasmerebbero statue simili a cavalli, i bovi ai bovi, in modo appunto corrispondente alla figura che

ciascuno possiede»273; lo sa lo stesso Cartesio il quale afferma: «possiamo benissimo

immaginare distintamente una testa di leone innestata su un corpo di capra senza dover concludere per questo che ci sia al mondo una chimera»274. Una chimera è fatta

di leone e di capra, esseri viventi che conosciamo. Fingere, dare forma, non è un creare dal nulla, è un creare da qualcosa.