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TRATTAMENTO DELLA QUESTIONE NELLA GIURISPRUDENZA

CAPITOLO I NATURA GIURIDICA DELLA VENDITA

4. TRATTAMENTO DELLA QUESTIONE NELLA GIURISPRUDENZA

SALA (CONTENZIOSO AMMINISTRATIVO) DEL TRIBUNAL

SUPREMO (“CORTE DI CASSAZIONE”)

Tutti i lavori dottrinali che affrontano la questione della natura giuridica della vendita giudiziale includono normalmente un paragrafo dedicato alla posizione della giurisprudenza sul tema in questione.

Effettivamente, è unanimamente condiviso che la Prima Sala (Civile) del Tribunal

Supremo segue per tradizione una posizione di tipo «contrattualistica» riguardo alla vendita

giudiziale, nella misura in cui la identifica con la compravendita contrattuale. A tale proposito, si possono citare numerose sentenze che, sin dall’anno 1899 fino a epoche recenti203, sembrano trattare la vendita giudiziale come una compravendita contrattuale od ordinaria. Tuttavia, consideriamo che questa analisi della posizione della Prima Sala non ha molto senso riguardo a questo aspetto del nostro lavoro, poiché sarà possibile avere una visione di insieme di essa solo apportando soluzioni ai problemi specifici riguardanti la vendita giudiziale; principalmente, quello corrispondente al momento in cui si verifica il momento traslativo, così come in relazione al trattamento della doppia vendita giudiziale e della vendita giudiziale della cosa altrui. Dato che questi casi costituiscono problemi che saranno oggetto di studio specifico, rimandiamo a quel momento l’analisi della posizione della Prima Sala della Corte di Cassazione spagnola riguardo alla natura giuridica della vendita giudiziale.

Quanto appena descritto riguarda la posizione della Prima Sala, ma occorre precisare che la posizione accolta a proposito della natura giuridica della vendita giudiziale ha avuto, e ha tuttora, enormi ripercussioni anche in ambito fiscale. Al punto che possiamo affermare

203 Vid. anche altre sentenza della Prima Sala, quella Civile, del Tribunal Supremo spagnola, che sostengono la natura contrattuale della vendita giudiziale, ossia: SSTS del 5 gennaio 1899, 22 novembre 1941, 22 marzo 1946, 2 marzo 1955, 9 marzo 1985, 24 febbraio 1994 e 25 ottobre 1999.

che la Terza Sala è stata più sensibile alla spiegazione ragionata della natura giuridica della vendita giudiziale e perciò risulta adeguato in questo momento analizzare il trattamento dedicato al tema in questione da parte della Sala menzionata.

In tal senso, è importante rimarcare che sin dagli anni Novanta, è accesa una polemica riguardante il regime tributario al quale devono sottomettersi i trasferimenti che si svolgono tramite le vendite giudiziali (abbiamo già affermato che uno degli effetti sostanziali che la vendita giudiziale comporta è effettivamente l’effetto traslativo che risiede nella nascita della relazione giuridica di vendita: lo scambio di una cosa per un prezzo in denaro), nel caso in cui l’esecutato sia un imprenditore; se il dibattito si incentra sull’alternativa tra l’Imposta sul Valore Aggiunto (IVA), o l’Imposta sulle Trasmissioni Patrimoniali Onerose (ITP)204. Tali opzioni dipendono proprio dalla decisione presa rispetto a chi si reputa il trasmittente nella vendita giudiziale. Effettivamente, se diciamo che il trasmittente nella vendita giudiziale è l’imprenditore esecutato, l’alienazione sarà soggetta all’IVA (secondo gli artt. 4. 1 e 8 della Legge spagnola 37/1992, del 28 dicembre, dell’IVA); se invece affermiamo che è l’organo esecutivo a trasmettere l’operazione, l’alienazione sarà invece soggetta all’ITP (in conformità con l’art. 7. 1 del Decreto Regio Legislativo 1/1993, del 24 settembre, tramite il quale si approva il Testo Consolidato della Legge spagnola sull’ITP).

La polemica è alimentata, come abbiamo detto, sin dagli anni Novanta, e sono individuabili posizioni contrarie nell’ambito della giurisprudenza; tuttavia, a partire dal 2007 esista una dottrina uniforme formulata dalla Corte di Cassazione spagnola, confermata da diverse sentenze successive (fino allo stesso 2012), delle quali ci occuperemo tra breve.

La problematica è fiscale, ciononostante ci interessa moltissimo il punto di vista sostanziale, nella misura in cui la controversia è incentrata sulla risoluzione di una questione prettamente materiale, ossia quale sia la determinazione della posizione di trasferente nella vendita giudiziale. Tale posizione di trasferente deriva dalla soluzione che scegliamo riguardo alla natura giuridica della vendita giudiziale. Vediamo l’evoluzione che a tale proposito esiste nella Terza Sala della Corte di Cassazione spagnola.

Occorre citare per prima la Sentenza del Tribunal Supremo – Terza Sala, del 10 marzo 1994 (RJ 1994, 1925), nella quale si afferma letteralmente quanto segue: «La prima questione che potrebbe presentarsi si riferisce al fatto che, nell’IVA, è gravata la consegna dei beni svolta da un imprenditore e, nella vendita giudiziale, è il Tribunale a svolgere la consegna dei beni venduti all’asta». Ossia, il Tribunal Supremo accoglie la posizione «pubblicistica» della vendita giudiziale, in virtù della quale è l’organo esecutivo che svolge il trasferimento del bene attraverso un atto processuale (tutto il peso ricade sull’azione

204 CANCIO FERNÁNDEZ, R. C., «Régimen tributario de las transmisiones forzosas de bienes mediante subasta judicial: Valor Añadido vs. Transmisiones Patrimoniales», in Quincena Fiscal Aranzadi, Nº 10, 2010, p. 1 [consultato su www.westlaw.es, il 17-05-2013].

dell’organo esecutivo secondo le teorie puramente pubblicistiche, come abbiamo già avuto occasione di studiare). Tale dottrina è ribadita in numerose sentenze di diversi Tribunali di Giustizia, fino al 2006; concretamente nelle sentenze seguenti: Sentenze del Tribunale Superiore di Giustizia (SSTSJ) di Castiglia La Mancia, 4 luglio 1995 (JT 1995, 915); dell’Estremadura, 30 luglio 2001 (JUR 2001, 271541); di Castiglia La Mancia, 15 gennaio 2002 (JUR 2002, 105786); di Murcia, 30 marzo 2002 (JUR 2002, 90964); di Murcia, 30 marzo 2002 (JUR 2002, 142605); di Estremadura, 16 luglio 2002 (JUR 2002, 245637); di Castiglia La Mancia, 5 ottobre 2002 (JUR 2003, 17534); dei Paesi Baschi, 11 ottobre 2002 (JT 2002, 1789); di Castiglia La Mancia, 14 ottobre 2002 (JUR 2003, 17679); di Estremadura, 28 novembre 2002 (JT 2002, 1805); di Murcia, 30 novembre 2002 (JT 2002, 1854); di Murcia, 24 aprile 2003 (JUR 2003, 143422); di Murcia, 28 gennaio 2004 (JUR 2004, 16522); di Andalusia, 27 febbraio 2004 (JT 2004, 740); di Andalusia, 29 marzo 2005 (JUR 2005, 144123); di Andalusia, 14 febbraio 2006 (JT 2006, 1566); di Andalusia, 27 febbraio 2006 (JT 2006, 1585); e di Andalusia, 22 dicembre 2006 (JT 2007, 694).

Tuttavia, già nell’anno 2000, la Terza Sala della Corte di Cassazione dettò un’importante sentenza, che non giunse a costituire una dottrina uniforme reiterata e che ricevette un voto contrario meritevole di considerazione, posteriormente seguito da diverse Sentenze di Tribunali Superiori di Giustizia citate. Como abbiamo detto, il 20 novembre 2000 fu dettata un’importante sentenza (RJ 2001, 957) che, nei suoi punti b) e c) del suo Secondo Fondamento Giuridico, stabilì per la prima volta che il trasferente era lo stesso debitore esecutato e non l’organo esecutivo; e ciò in base al ragionamento che riportiamo di seguito: «La Comunità Autonoma ricorrente considera che, nell’aggiudicazione immobiliaria conseguente a una vendita giudiziale, è l’organo giudiziale a realizzare il trasferimento (come atto costituito da titolo – l’approvazione dell’ultima offerta– e modo – l’aggiudicazione all’ultimo offerente dell’immobile oggetto di incanto–), e non l’esecutato, per cui non esiste la “econsegna di vendita effettuata dall’imprenditore”, premessa fondamentale per l’applicazione dell’IVA. Tuttavia, nonostante la correzione del criterio menzionato sulla natura giuridica del procedimento di esecuzione, si deve discordare dalla conclusione, in quanto in un trasferimento di diritti reali, come la proprietà, la condizione di trasferente e acquirente non subisce conseguenze dal modo in cui si realizza il trasferimento, poiché, sia in caso di trasferimento volontario o forzato (come nel caso di vendita giudiziale), il trasferente è titolare del diritto reale che si cede, indipendentemente da quale sia l’organo che formalizza o documenti tale trasferimento. In realtà, il giudice si limita a condurre la vendita, imposta forzatamente al proprietario-debitore, ma senza sostituirlo se non sul piano esclusivamente strumentale, visto che, sul piano dei diritti reali, la proprietà si trasmetta direttamente dal propietario-deudor all’acquirente-aggiudicatario, senza che tale proprietà sia passata da questi al giudici e da questi all’aggiudicatario; e il giudice, nella sua sostituzione del debitore, si limita a dettare il provvedimento di aggiudicazione (…)».

«Si deve reputare, pertanto, che l’attività impresariale di un promotore immobiliario è costituita tanto dalla tipica vendita volontaria di alloggi al fine di ottenere una propria redditività dal negozio in questione, quanto dalla tipica vendita forzata conseguente dalla necessità di compensare i debiti generati in tale attività (poiché essa implica non solamente l’ottenimento di introiti, ma anche l’obbligazione di pagare i debiti, subendo, quando sia il caso e quando non sia possibile compensarli volontariamente, la vendita forzata del patrimonio –in modo tale che vendita volontaria e vendita forzata non sono altro che le due facce della stessa attività imprenditoriale –)».

A nostro avviso, il pronunciamiento giurisprudenziale appena citato è di enorme importanza, poiché rimarca un aspetto trascurato dai processualisti o pubblicisti riguardo alla vendita all’asta o vendita giudiziale, vale a dire gli effetti sostanziali che da essa derivano: effettivamente, i processualisti incentrano tutta la spiegazione della vendita giudiziale sull’organo esecutivo, sorvolando erroneamente sull’esistenza di una serie di effetti, come il trasferimento della proprietà, la soddisfazione e corrispondente estinzione del credito inizialmente inadempiuto, senza i quali la vendita giudiziale è difficilmente concepibile. Riprenderemo questa idea in seguito, quando enunceremo la dottrina definitivamente uniforme emessa dal Tribunal Supremo.

Come abbiamo detto in precedenza, nonostante il valore della dottrina affermatasi nel 2000, la presenza di un importante voto conmtrario nel pronunciamento di quella sentenza fece in modo che le mancasse la necessaria reiterazione ulteriore che l’avrebbe resa uniforme. Effettivamente, nella sentenza del 20 novembre si include un voto singolo emesso dal Magistrato Rouanet Moscardó con il quale è rifiutata frontalmente la posizione a nostro avviso plausibile, che si riflette nella tesi della maggioranza. Tale voto è giustificato da una serie di ragionamenti, tra i quali vale la pena sottolineare il punto B, dal quale si deduce un attacco sicuramente motivato e pertinente (in parte, come vedremo) alle insostenibili «teorie privatistiche o contrattualistiche». Riportiamo letteralmente il punto menzionato: «[…] Quando si è di fronte all’inadempimento di una concreta obbligazione giuridica, la condotta richiesta all’obbligato, come oggetto della “prestazione obligatoria”, va in secondo piano, e occupa il primo piano il “patrimonio” del debitore, come oggetto della responsabilità che ne deriva; in tale situazione solamente gli organi giudiziale dello Stato possono esercitare la coazione giuridica e invadere la sfera dei diritti soggettivi dei singoli, senza però essere né i rappresentanti o i mandatari del creditore istante né i sostituti del debitore esecutato. Il Codice di Procedura Civile (LEC) e la Legge Ipotecaria (LH) spagnoli prevedono tre grandi forme di realizzazione dei beni pignorati o sequestrati, che sono la vendita giudiziale, l’assegnazione forzata e l’amministrazione giudiziale. Anche quando la prima di queste, la vendita giudiziale, risulta configurata nella LEC spagnola in conformità agli schemi tipici della compravendita privata, si tratta di qualcosa in più, in quanto nelle vendite forzate giudiziali il momento dell’acquisto è quello dell’approvazione dell’ultima offerta, con conseguente aggiudicazione del bene venduto, indipendentemente da quando si rilasci il

certificato registrabile che attesti il provvedimento che emette il cancelliere (…). La tesi processualista o “iuspublicista” trasforma l’atto giudiziale dell’approvazione dell’ultima offerta nell’asse centrale di tutto il meccanismo procedimentale che porta all’espropriazione, essendo impossibile concepire la vendita giudiziale come un contratto di compravendita nella quale vi sia un consenso libero e spontaneo del soggetto trasferente e propietario del bene espropriato, in quanto tale mancanza di consenso, che risulta evidente al momento dell’approvazione dell’ultima offerta, si ribadisce nel momento del presunto trasferimento, strumentale o fittizio, che la LEC spagnola richiede affinché si realizzi la vendita. La vendita forzata, dunque, e con essa la simultanea aggiudicazione del dominio dal momento dell’approvazione dell’ultima offerta, è essenzialmente un “atto processuale, nel quale il giudice è il vero protagonista”, poiché riunisce da solo le condizioni necessarie, per la sua natura formale, per le persone intervenienti e per il suo contenuto materiale, affinché in questo atto giurisdizionale si plasmino plasmación i due elementi che sul piano iusprivatista costituiscono il titolo e il modo dell’acquisizione del dominio».

Anticipiamo che questa posizione ci risulta «artificiosa», ma solamente in parte: effettivamente, il ragionamento del magistrato è artificiosa in quanto si sofferma su quanto sia insostenibile l’idea di identificare la vendita giudiziale con la compravendita ordinaria, per la mancanza di un elemento essenziale in ogni contratto: il consenso di entrambe le parti. Tuttavia, affermiamo che si tratta di un ragionamento forzato, poiché centra la sua attenzione esclusivamente sull’azione dell’organo esecutivo, senza spiegare né la necessaria azione del terzo offerente, né gli effetti sostanziali già enunciati che derivano da ogni vendita giudiziale: fondamentalmente, l’effetto traslativo.

Ugualmente, l’impostazione del voto contrario contiene un ragionamento sicuramente incoerente: da un lato si afferma che l’azione dell’organo giurisdizionale esecutivo è costitutiva di un atto processuale e, successivamente, si considera che esso combina su un piano sostanziale i due elementi necessari al trasferimento derivativo dei diritti reali: il titolo e il modo. È dunque possibile considerare che un atto processuale possa essere equiparabile al contratto traslativo valido nel quale deve esistere il titolo, come in base agli artt. 609 e 1095 del CC? Al contrario, la coerenza condurrebbe ad affermare che in tal caso ci troveriamo di fronte a un prototipico trasferimento ex lege o in virtù della legge, come contempla lo stesso art. 609 CC205.

Nel 2000, come abbiamo detto, la dottrina giurisprudenziale, a nostro avviso appropriata, non riuscì a confermarsi come avrebbe dovuto, anche se il 3 luglio dell’anno 2007 la Terza Sala del Tribunal Supremo dettò definitivamente una sentenza (RJ 2007, 4956) che, a causa di un ricorso in cassazione per l’unificazione della dottrina, ribadì

205 L’analisi di quale sia il sistema traslativo applicabile ai trasferimenti che hanno luogo tramite la vendita giudiziale sarà oggetto di studio dettagliato nei successivi capitoli del presente lavoro.

integralmente la posizione giurisprudenziale della sentenza precedente del 20 novembre 2000 (RJ 2000, 957). Essa riproduce, dunque, la ben accolta dottrina, concretamente nei suoi Fondamenti Terzo e Quarto, scartando pienamente l’idea della menzionata sentenza del 10 marzo 1994 (RJ 1994, 1925), nella quale, secondo una posizione puramente processualistica, si considerava come trasferente l’organo esecutivo.

Questa dottrina giurisprudenziale è stata ribadita in modo unanime e uniforme in tutte le sentenze successive che hanno avuto come oggetto questo problema (regime dei trasferimenti derivanti da vendite giudiziali forzate: sentenze del Tribunal Superior de

Justicia (“Corti Superiori di Giustizia”) (STSJ) di Murcia del 25 maggio 2009 (JUR 2009,

280935), del 23 luglio 2009 (JUR 2009, 361601), del 31 marzo 2011 (JUR 2011, 176960) e del 26 marzo 2012 (JT 2012, 960); nonché le sentenze del Tribunal Supremo (STS) della Terza Sala del 18 novembre 2009 (RJ 2009, 8069); della Terza Sala del 5 maggio 2010 (RJ 2010, 4804); della Terza Sala del 23 giugno 2010 (RJ 2010, 8077).

Ribadiamo la nostra adesione alla dottrina giurisprudenziale affermata, nella quale, attenuando le posizioni puramente pubblicistiche, si considera il debitore esecutato come il vero trasferente a effetti sostanziali. In tal modo si accoglie la posizione che difendiamo, ossia, l’affermazione che la vendita giudiziale non è un contratto, senza che per questo si debba considerare esclusivamente in sede processuale, ma si tratta di un’istituto complesso: puramente processuale in quanto alla sua nascita, ma con effetti pienamente sostanziali, come la nascita di una relazione giuridica, che può essere qualificata come vendita, nella misura in cui esiste lo scambio di un bene per denaro.

Essendo la consegna del bene un elemento sostanziale della vendita giudiziale, il trasferente deve essere necessariamente il «proprietario venditore» della relazione giuridica che ne deriva, che altri non è se non il debitore esecutato. Il ruolo dell’organo esecutivo si esaurisce nell’atto processuale integrante del procedimento di esecuzione che origina la posteriore relazione giuridica di vendita; in nessun caso acquisisce una proprietà sul bene e ancora meno può esserne considerato il trasferente.

CAPÍTULO I: NATURALEZA JURÍDICA DE LA