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U NA CANZONE ANONIMA DEL CODICE P ALATINO

TRA EMILIA E TOSCANA

II. U NA CANZONE ANONIMA DEL CODICE P ALATINO

All’interno del canzoniere Palatino (ora Banco Rari 417), Con gran disio pensando

lungamente è la canzone che precede immediatamente In quanto la natura, e con

quest’ultima ha condiviso la sorte di essere prima inserita e poi stralciata dal corpus delle rime di Guido Guinizzelli. Ecco innanzitutto il testo:

Con gran disio pensando lungamente Amor che cosa sia,

e donde e come prende movimento, diliberar mi pare infra la mente

per una cotal via, 5 che per tre cose sente compimento,

ancorch’è fallimento volendo rasonare di così grande affare;

ma scusami ch’eo così fortemente 10 sento li suoi tormenti, - und’eo mi doglio.

E par che da verace piacimento lo fino amor discenda,

guardando quel ch’al cor torni piacente;

che poi ch’on guarda cosa di talento, 15

(«et ait faciamus hominem ad imaginem et similitudinem nostram») venisse dolorosamente stravolta dal peccato e in generale dalla “lontananza” da Lui (secondo la celebre formula contenuta nella parabola del “Figliuol prodigo”: Lc. 15, 13 «adulescentior filius peregre profectus est in regionem longinquam et ibi dissipavit substantiam suam vivendo luxuriose»), riscosse una certa fortuna nel linguaggio della mistica medievale.

55 al cor pensieri abenda,

e cresce con disio imantenente, e poi dirittamente

fiorisce e mena frutto;

però mi sento isdutto: 20 l’amor crescendo mess’à foglie e fiore, e ven lo tempo - e ’l frutto no ricoglio.

Di ciò prender dolore deve e pianto lo core innamorato

e lamentar di gran disaventura, 25 peroché nulla cosa all’omo è tanto

gravoso riputato

che sostenere afanno e gran tortura, servendo per calura

d’essere meritato; 30 e poi lo suo pensato

non à compita la sua disïanza, e per pietanza - trova pur orgoglio.

Orgoglio mi mostrate, donna fina,

ed io pietanza quero 35 a voi cui tutte cose, al meo parvente,

dimorano a piacere; a voi s’inchina vostro servente, e spero

ristauro aver da voi, donna valente;

ch’avene spessamente 40 che ’l bon servire a grado

che non è meritato:

alotta ch ’l servente aspetta ’·bbene, tempo rivene - che merta ogn’escoglio.38

Poco ci sarebbe da dire su questo componimento che non sia già stato detto nel corso dei paragrafi precedenti, quindi basterà menzionare senza approfondire ulteriormente alcuni fenomeni che mostrano come esso, se non fu scritto direttamente dall’Orbicciani, andrà quantomeno considerato un documento dell’influenza della sua proposta poetica.

In effetti già Rossi 2002, nell’inserire il testo in appendice alla sua edizione guinizzelliana, aveva affermato che «anche se non mancano, in questo componimento, espressioni analoghe a quelle adoperate dallo stesso Guinizzelli […], il tipo d’argomentazione adottato nel testo e il suo stesso impianto filosofico ricordano molto più Bonagiunta»;39 tuttavia, il tratto che forse avvicina di più questa canzone alla sensibilità dell’Orbicciani è proprio la mancanza di un vero e proprio “impianto filosofico”, poiché la forma-canzone e la ben definita scansione argomentativa servono di fatto a esporre un contenuto di per sé perfettamente aderente alle norme cappellaniane.

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Testo citato da PSS II, pp. 1003-1004.

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Come già altrove, la prima stanza espone il problema dichiarando subito di voler offrire una descrizione completa dell’amore (vv. 1-3: «Con gran disio pensando lungiamente / Amor che cosa sia / e donde e come prende movimento»); ma se già questo attacco ricorda da vicino i primi capitoli del De amore e un sonetto come Non

truovo chi mi dica chi sia amore, il contatto con questi due testi si fa ancora più

evidente nel momento in cui, nella seconda stanza, si torna a ricondurre la genesi (e l’essenza) dell’amore alla triade “piacere-pensiero-desiderio” (vv. 12-16) che proprio in

Non truovo chi mi dica avevamo trovato e identificato come chiaro omaggio al trattato

del Cappellano.

Il resto del componimento, un mix di topoi siciliani e bonagiuntiani di larghissimo corso e quindi non “riconoscibili” in nessun modo, non ha molto da dirci dal punto di vista tematico. Più interessante invece è notare come ad un attento spoglio della canzone, Mario Pagano (nella sua edizione per la già citata raccolta dedicata alla Scuola siciliana) abbia mostrato come siano riscontrabili nel testo diverse rime e tessere lessicali documentate nel corpus dell’Orbicciani (e ovviamente assenti in quello di Guinizzelli). Per chiarezza, converrà riportare un brano abbastanza esteso della nota introduttiva di Pagano, riportando almeno i riscontri più evidenti:

Il v. 2 è di fatto identico a BonOrb, Molto si fa brasmare (C. 64) «e di’ lor c’amor sia», con una forte affinità di rimanti tra 2 sia : 5 cotal via e 62 tuttavia : 64 sia; und’eo mi

doglio (assente in Guinizzelli) a 11 e orgoglio (due occorrenze in Guinizzelli,, ma non in

rima) a 33 trovano riscontro in Bon Orb, Quando apar l’aulente fiore 22-4 (Menichetti 1988, 23) «parlando ond’io mi doglio: / […] / or mi va menando orgoglio». Il binomio

fiore-frutto di 21 e 19 è tipico di Bonagiunta […]; da notare che il lessema fiore è assente

in Guinizzelli, mentre l’unica occorrenza di frutto (Lamentomi di mia disaventura) non ha consonanza tematica con questi versi. Il sintagma core innamoratoi di 24, assente in Guinizzelli, è presente in BonOrb, Quando veggio la rivera (Ch.) 29. […]40

Una serie così cospicua di riscontri (qui peraltro riportata solo parzialmente) non può essere del tutto casuale, soprattutto se confrontata col fatto che l’unica espressione che potrebbe davvero far pensare al Guido bolognese è il v. 25, «e lamentar di gran disaventura», vicino all’incipit guinizzelliano Lamentomi di mia disaventura. A questo punto però, restano solo due possibilità, fra loro quasi equivalenti nella prospettiva della nostra indagine: o la canzone andrà attribuita senza ulteriori indugi a Bonagiunta, oppure sarà da ascrivere ad un rimatore che dell’Orbicciani condivide in pieno la

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concezione dell’amore e della poesia, al punto da costruire una canzone la cui struttura argomentativa servisse esponga le idee più classiche dell’ortodossia cappellaniana.

Come si sarà intuito, si tratta di un movimento che in un certo senso si sviluppa in direzione opposta rispetto a quella “retorica della conoscenza” di cui abbiamo trovato tracce già presso il Notaro e Guido delle Colonne. Ora però che abbiamo messo a fuoco questa scelta, che nel tempo risultò minoritaria, occorre focalizzare la nostra attenzione sull’antitetico progetto poetico messo in atto da Guido Guinizzelli.