3. Valutazione degli investimenti reali
3.1. Sull’uso dei bilanci pro-forma
Una società manifatturiera può intraprendere un certo investimento reale per differenti ragioni; per esempio, una fabbrica può essere realizzata in una località straniera per accrescere il fatturato, poiché il paese straniero è un interessante mercato, o per ridurre i costi di produzione, poiché il paese straniero offre una capace manodopera a buon mercato e/o una favorevole tassazione, o per acquisire competenze, poiché il distretto della fabbrica è tecnologicamente avanzato. Più in generale, le prestazioni dirigenziale, tecnica, commerciale e finanziaria della società manifatturiera conseguono dall’attuazione di una strategia competitiva, la quale, a sua volta, deve essere coerente con la struttura del settore industriale.
Ad ogni modo, quando si tratta di valutare un progetto di investimento reale da parte di una società, si deve tenere conto di molti e diversi aspetti attraverso un’esaustiva analisi, la cui presentazione esula dagli scopi di questa dispensa. Basta qui rammentare che occorre coerenza tra passato e futuro della società, vale a dire tra le competenze dirigenziali, tecniche e commerciali come pure i risultati finanziari da un lato e la strategia competitiva dall’altro, che a sua volta deve essere coerente con i piani di attuazione. Naturalmente, la valutazione finanziaria fa parte dell’analisi e si basa su una sequenza di bilanci pro-forma, ottenuti utilizzando il piano di mercato e il piano operativo come fonti di dati, per quanto concerne rispettivamente i ricavi e i costi. Qualora si stenda un piano d’impresa, una sua sezione deve riguardare la simulazione dei bilanci. Una schematica delineazione di tale metodo è proposta più avanti in questo riquadro; il lettore interessato può consultare Benninga-Sarig (1997) per una più completa presentazione.
Ogni bilancio comprende due costrutti, un conto economico e uno stato patrimoniale semplificati, che sono simulati per alcuni futuri anni di esercizio di seguito, spesso n=3−5 anni (ma anche n=10 anni, quando si tratta di stendere il piano strategico societario). Nel fare ciò, la gestione finanziaria della liquidità in eccesso non va presa in considerazione, poiché si deve prestare attenzione solo alla gestione caratteristica. Per ogni futuro anno di esercizio in esame si otterrà pure un rendiconto finanziario semplificato, avente un flusso di cassa per i finanziatori o per gli azionisti nell’ultima posizione. In linea di principio, se si fa riferimento al primo (al secondo), si considera il punto di vista dei creditori e degli azionisti (degli azionisti).
OSSERVAZIONE. Se il progetto di investimento reale è intrapreso da una società già esistente, tutte le voci di ciascun bilancio semplificato sono incrementali.
Indicatori finanziari quali il valore attuale netto, il tasso interno di rendimento, l’indice di redditività e il tempo di recupero sono calcolati facendo riferimento alla simulata sequenza di flussi di cassa annui per i finanziatori o per gli azionisti. Sia xtil flusso di cassa simulato per il t-imo anno; se 0 è l’istante corrente e n è l’orizzonte temporale, la pertinente sequenza è
x 1 x 2 xn−1 x n
0 1 2 L n−1 n
dove l’ultimo importo è la somma di un flusso di cassa e di un valore terminale. I bilanci pro-forma sono di solito simulati sintantoché ciascuno di essi recepisce un qualche tratto distintivo del corrispondente esercizio, mentre il valore terminale può essere dato da una formula di valutazione sotto la convenzionale ipotesi che per t>n~≥n il progetto di investimento reale è in stato stazionario con i flussi di cassa che crescono a un tasso medio annuo di lungo periodo coerente con il tasso medio annuo di crescita della corrispondente economia. Qualora il progetto di investimento reale sia finanziariamente congruo, ciò è segnalato da tutti gli indicatori finanziari menzionati più sopra.
Quando si proiettano un conto economico e uno stato patrimoniale pro-forma, ci si avvale di alcuni elementi perno, esprimendo altri elementi come loro percentuali. Per esempio, le scorte e il credito commerciale possono essere espressi come percentuale del fatturato, mentre il debito commerciale può essere espresso come percentuale dei costi totali; tutte le percentuali possono risultare uguali ad opportune medie storiche. Si tenga presente che il conto economico è redatto sulla base del maturato, mentre il rendiconto finanziario è redatto sulla base della cassa. Gli elementi del rendiconto finanziario del t-imo anno sono dati da alcuni elementi del conto economico del t-imo anno come pure da variazioni in alcuni elementi dello stato patrimoniale del t-imo anno rispetto al precedente anno di esercizio. Il procedimento per ottenere un flusso di cassa degli azionisti o dei finanziatori è schematizzato nella seguente tabella, dove, per esempio, ∆mezzipropri(t)>0 discende da un aumento capitale, ∆mezzipropri(t)<0 discende da un riacquisto di azioni proprie e ∆mezzipropri(t)=mezzipropri(t)−mezzipropri(t−1). Per quanto riguarda le correzioni contabili, si rammenta che l’ammortamento viene sommato all’utile netto, perché è un costo privo di corrispondente esborso; un incremento delle scorte
viene dedotto dall’utile netto, perché è un esborso privo di corrispondente costo, mentre un decremento nelle scorte viene sommato all’utile netto, perché è un costo privo di corrispondente esborso; un incremento del credito commerciale o dei ratei attivi viene dedotto dall’utile netto, perché concerne dei ricavi ai quali non corrispondono ancora degli incassi; un incremento nel debito commerciale, nei ratei passivi o nel debito fiscale viene sommato all’utile netto, perché concerne dei costi ai quali non corrispondono ancora degli esborsi; un incremento dei risconti attivi (per esempio, frazioni di premi assicurativi) viene dedotto dall’utile netto, perché è un esborso anticipato privo di corrispondente costo, mentre un incremento dei risconti passivi viene sommato all’utile netto, perché è un incasso anticipato privo di corrispondente ricavo.
+ utile netto + ammortamento
– ∆capitale circolante netto
= liquidità operativa – investimento + ∆debito
= liquidità degli azionisti (= dividendo – ∆mezzi propri + ∆cassa) + interesse dopo le tasse
– ∆debito
= liquidità dei finanziatori
La rivendita di immobilizzazioni tecniche (immobili, impianti, equipaggiamento) è esclusa; se non lo fosse, si dovrebbe tenere conto di plusvalenze e minusvalenze di capitale.
OSSERVAZIONE. Il piano d’impresa è uno strumento di pianificazione focalizzato sul medio termine, vale a dire su un arco temporale di 3-5 anni. Può essere il caso di stenderlo, qualora si debba amministrare una società, oppure raccogliere mezzi propri o capitale di debito, oppure intraprendere un nuovo e impegnativo progetto, sia esso di investimento, o di acquisizione e fusione, o di ristrutturazione. Il piano d’impresa deve essere sobrio e sintetico come pure bene articolato, pertinente e esaustivo. Ogni affermazione deve essere comprovata da precisi dati e particolareggiate informazioni; le fonti vanno citate. Le diverse copie potrebbero essere numerate in modo da facilitare le richieste di restituzione.
Per quanto attiene all’amministrazione di una società, la stesura del piano d’impresa è un processo iterativo, soggetto a periodiche verifiche e revisioni, da cui possono conseguire adeguamenti nella strategia competitiva della società. In sede di pianificazione, si stabiliranno e si concorderano prospettivamente gli obiettivi e le linee guida, per poi allocare coerentemente le risorse nelle diverse unità aziendali; affinché l’attuazione sia possibile, occorre che l’analisi sia sufficientemente profonda e condivisa. In sede di aggiornamento, si confronteranno tra loro una prestazione effettiva e una prestazione prevista, mettendo così in evidenza i punti di forza e di debolezza organizzativa; inoltre, si valuteranno retrospettivamente le diverse capacità previsive e gestionali lungo un intero arco temporale.
Si supponga che un nuovo e impegnativo progetto di investimento reale stia per essere intrapreso da una società manifatturiera di recente costituzione. Come spiegato in Ford et alii (2007), nel piano d’impresa (lungo 30-50 cartelle) figurerano verosimilmente le seguenti sezioni:
1) indice;
2) riassunto per dirigenti: società (missione aziendale, numero dei dipendenti, sede, prodotti/mercati/tecnologia, dati di sintesi, proprietari/dirigenti chiave) e strategia competitiva (visione, pietre miliari, caratteristiche differenzianti, fabbisogno di capitale, dati di sintesi);
3) succinta descrizione qualitativa della società (missione aziendale, visione, obiettivi, cenni storici, proprietari/dirigenti chiave);
4) prodotti e servizi: principali caratteristiche, impiego e attrattiva, stadio di sviluppo, proprietà intellettuale;
5) piano di mercato: analisi di mercato (principali tendenze, segmentazione, attuali e potenziali clienti), analisi del settore industriale (principali tendenze, concentrazione, differenziazione del prodotto, barriere all’ingresso) e della concorrenza (attuali e potenziali concorrenti, loro possibili mosse), analisi swot, strategia di mercato, ivi comprese le proiezioni del fatturato;
6) piano operativo: sviluppo dei prodotti, proprietà immobiliare e attrezzatura, fornitori, processi e costi aziendali, gestione del magazzino, gestione della qualità, servizio al cliente, manutenzione, normativa pertinente;
7) organizzazione e direzione aziendale: proprietari/dirigenti chiave e loro curricula vitae, consulenti chiave, struttura organizzativa, piano del personale;
8) struttura finanziaria: forma giuridica della società, azionariato e struttura finanziaria, fabbisogno di capitale;
9) piano finanziario: prestazione passata (almeno 3 bilanci), ipotesi chiave circa la prestazione futura, bilanci pro forma, indicatori finanziari e indici di bilancio.
Il riassunto per dirigenti rappresenta la sezione cruciale, che va scritta per ultima. Gli esperti scartano spesso un piano d’impresa senza andare oltre il riassunto per dirigenti.
OSSERVAZIONE. Nell’esaminare un settore industriale, si può fare un competente uso delle nozioni di
• ciclo di vita di un prodotto / di un settore industriale, costituito dalle 4 fasi di iniziale sviluppo, espansione e consolidamento, maturità, declino; gli iniziali fallimenti accadono in un’elevata percentuale nella prima fase, mentre la liquidità può mancare nella seconda fase e una considerevole efficienza è essenziale nella terza fase, dove l’innovazione di processo è importante. Le società più mature si sono spesso dimostrate non in grado di recepire un’innovazione radicale. Per quanto attiene ai prodotti assemblati, il numero di società manifatturiere può crescere nella prima fase, quando avviene la sperimentazione, raggiungendo un picco alla comparsa della configurazione dominante, le probabilità di sopravvivenza essendo maggiori per le più esperte tra le società entranti. Una drastica riorganizzazione può allora avere luogo nel settore industriale, dove iniziano a emergere le società dominanti; contemporaneamente, le probabilità di sopravvivenza diventano più sfavorevoli per le società nuove entranti. Come mostrato in Suárez-Utterback (1995), la precedente affermazione trova riscontro negli USA e nei cicli di vita delle macchine da scrivere, delle automobili, degli apparecchi televisivi, dei tubi catodici e dei transistori, le date di comparsa delle loro configurazioni dominanti essendo il 1906, 1923, 1952, 1956, 1959.
• le 5 forze competitive secondo Porter, vale a dire 1) i fornitori, 2) i canali distributivi e i clienti, 3) la concentrazione del settore industriale e i concorrenti; 4) le barriere all’ingresso e i potenziali concorrenti, 5) i prodotti sostitutivi. Nei settori industriali più concentrati le società hanno maggiore dimensione e beneficiano di più elevata redditività, di maggiore facilità di finanziamento (soprattutto le cosiddette blue chips), di migliori opportunità di imparare facendo e, magari, di più ampia attività di R&S. Le barriere all’ingresso conseguono da tali caratteristiche distintive quali il marchio (vale a dire, qualità del prodotto e del catalogo, assistenza al cliente), le economie di scala e di scopo (dovute alla combinazione di produzione e distribuzione di massa) la diversificazione, la R&S, le competenze dirigenziali, tecniche e commerciali, i brevetti e i segreti industriali. Le competenze tecniche e dirigenziali sono state alla base del
mondiale successo nel dopoguerra della manifattura tedesca e giapponese come pure dei produttori americani, i primi soprattutto nei settori industriali più tradizionali, i secondi pure in quelli più innovativi, quali, per esempio, quello dei microprocessori, del software, dell’ingegneria genetica.