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Verso un approccio integrato d’implementazione delle politiche urbane: lezioni dai casi studio

Il quartiere nelle politiche urbane europee: criticità e prospettive

3. Verso un approccio integrato d’implementazione delle politiche urbane: lezioni dai casi studio

Qual è dunque il futuro delle politiche urbane? E in che modo agire? Partendo dal presupposto che non esiste una risposta univoca e certa, anzi, molto dipende sicuramente dalle variabili interne ed esterne al processo di realizzazione delle politiche stesse (che non sono sempre controllabili e/o modificabili), una prima risposta (apparentemente banale) a questa do- manda potrebbe essere la seguente: occorre promuovere politiche urbane integrate e multidisciplinari. All’interno della tesi si è più volte accennato e discusso intorno al concetto di integrazione, di azione multidisciplinare, d’innovazione, e così via. Sono stati evidenziati punti forti e deboli delle azioni dei singoli stati-nazionali, ma ora si può ragionare esplicitamente su una possibile strategia d’implementazione delle politiche e quindi su un diverso approccio strategico. In altri termini, se le politiche urbane di oggi non sono pienamente soddisfacenti, e anzi, in certi casi evidenziano pro- blematiche di frammentazione e discontinuità dell’azione pubblica, pre- carietà di risultati, settorialità e gerarchizzazione (solo per citarne alcuni), come possiamo allora, migliorarne l’efficacia e la validità d’intervento?

Una possibile risposta proviene dall’analisi del significato profondo del concetto d’integrazione. Integrare le politiche urbane vuol dire ragionare principalmente su tre questioni: livelli decisionali (a cui guardare e riferir- si), discipline (con le quali agire) e attori (con i quali interagire).

Il livello decisionale prevede due distinti campi d’indagine. Il primo è fortemente connesso all’agire politico (chi e come deve occuparsi dell’in- tervento pubblico). In questo campo si percepisce ormai da tempo (tra gli

altri Bagnasco e Le Galès 2001) la necessità di adottare una ‘cooperazione verticale’ che abbia la forza di migliorare l’efficacia ed l’efficienza dell’azio- ne politica in maniera rapida e trasparente, producendo forme d’intervento e di decisione maggiormente condivise da un maggior numero di attori. Il modello è quello della governance, ed anche se «non ha virtù magiche automatiche» (Paba 2010: 71), è il primo passo da muovere per la realiz- zazione di un modello partecipato e condiviso d’implementazione dell’a- zione pubblica. Il secondo punto del livello decisionale riguarda invece gli ambiti geografici di riferimento (a che livello territoriale adottare il piano o il programma d’azione urbana). Essendo il quartiere un luogo d’azione privilegiato ma non esaustivo, occorre individuare la giusta area d’interven- to per meglio ottimizzare le risorse a disposizione. Claude Jacquier (2000) sottolinea da alcuni anni la necessità di collegare le strategie d’azione locali (condotte nei quartieri) con ambiti e politiche territoriali più vaste (inte- grare le politiche a livello di area urbana). Ma la difficoltà di specificare il giusto corrispettivo dell’area urbana nell’attuale divisione amministrativa e la scarsa valenza delle attuali politiche d’area vasta, ci spinge a riflettere sul- la necessità di indicare anche un diverso livello territoriale sul quale agire. A questo proposito la visione territorialista sviluppata da Alberto Magnaghi, individua nella «bioregione urbana» (Magnaghi 2000) una logica configu- razione di sostenibilità delle politiche pubbliche, tanto nelle sue variabili sociali, quanto in quelle economiche, culturali e ambientali. In questa scala territoriale di riferimento, vi è il vantaggio della qualità e della sostenibilità ambientale, associato alla forza e alla prospettiva dell’azione sociale. È in quest’ottica che i quartieri, identificabili metaforicamente con il ‘villaggio urbano’ (Magnaghi 2000: 217), potrebbero essere riqualificati e valorizzati attraverso un processo di identificazione del patrimonio latente e giacente, all’interno di una fase di scomposizione e ricomposizione della stessa me- tropoli. In altri termini, la giusta raffigurazione territoriale garantirebbe una ‘produzione di complessità’ utile ad innescare un virtuoso meccanismo di riappropriazione del luogo (e dunque del quartiere), che creerebbe vir- tuosi processi (anche) di riqualificazione locale dal basso, contribuendo alla realizzazione e alla ricostruzione di una regione urbana ampia e omogenea. Questa forma di conoscenza e diffusione reticolare, tanto dell’esperienza quanto delle azioni, potrebbe produrre, in un’ottica di politiche urbane, molteplici effetti positivi, contribuendo ad accrescere quei tessuti sociali plurali e promiscui, ricchi di diversità e legati da quel «laboratorio costrut- tivo di nuova socialità e di nuova qualità urbana e ambientale» (Paba 2003: 124) che come sottolinea Paba, sono già presenti nelle numero- se pratiche di politiche locali informali (ibidem). Un’efficace rete sociale e culturale, dunque, imperniata su una positiva interdipendenza d’intenti

e d’azione, finalmente integrata alle diverse scale decisionali: locale, me- tropolitana, bioregionale urbana, nazionale e internazionale. Ma il livello decisionale non è tutto. Se vogliamo concretamente realizzare un’azione efficace e duratura, occorre individuare quella che Cremaschi (2003) defi- nisce «l’idea del futuro», ovvero una valida strategia capace di moltiplicare l’energia settoriale in un processo aperto, complesso e multi-scalare. Per fare questo bisogna che anche i tecnici delle varie discipline, il più possi- bile articolati e preparati, riflettano, ragionino e agiscano in prossimità del luogo d’azione e in maniera coordinata. Questo passaggio, identificabile con quella che i francesi chiamano l’équipes multidisciplinare (Masboungi 2005), deve interagire ed agire a livello locale, dialogando e coinvolgen- do tutti i diversi livelli decisionali ed interessando contemporaneamente almeno cinque ambiti d’intervento: l’ambiente, il lavoro, l’educazione, la sicurezza e la salute. A questo punto, se il ‘lavoro di squadra’ coinvolge il maggior numero di attori locali ed allo stesso tempo riesce a instaurare un processo di creatività, inteso come capacità di «vedere problemi, situazioni e cambiamenti in modi differenti» (Perrone 2010: 134), allora realizzando un processo creativo di politiche urbane, possiamo realmente ipotizzare un duraturo e proficuo processo di rigenerazione e valorizzazione del contesto locale in tutte le sue variabili. È in questa prospettiva che le problematiche (anche sociali) del quartiere in crisi possono trasformarsi in una risorsa ur- bana e territoriale.

Dico questo perché spesso l’obiettivo di ri-generare e di ri-comporre o ri-costruire comunità aperte e sostenibili (vedi il caso britannico) ha coin- ciso con politiche urbane di segno opposto che, lungi dall’aver instaura- to processi virtuosi, hanno avuto l’effetto di provocare un’ulteriore rottura all’interno del fragile sistema sociale che vi si era instaurato (la gentrifica-

tion è solo uno dei possibili effetti perversi). L’ultimo punto delle politiche

urbane integrate riguarda ovviamente gli attori del territorio, e richiama in causa un diverso diritto, il «diritto all’operare» (Cremaschi 2008: 120) inteso non solo come capacità di partecipare (anche in termini politici), ma anche come possibilità di fruire attivamente della costruzione della città (di operare appunto). Le prospettive di rigenerazione dei quartieri ‘difficili’, passano dunque attraverso un differente approccio strategico che riguarda tanto il processo di attuazione e definizione delle politiche urbane, quanto la possibilità di rimettere in gioco una moltitudine di elementi e di attori. Ma ancor prima passa attraverso la convinzione, da parte degli abitanti e dei cittadini, che questo cambiamento sia davvero possibile, perché come sottolinea Lewis Mumford: «nessuna società è pienamente conscia della na- tura che le è propria o delle sue prospettive, se ignora che esistono molte alternative alla via che sta seguendo» (Mumford 1997: 23).

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