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VOCI DELLA STRADA

Nel documento ~LL' iJLLtlstrissin1a (pagine 96-99)

Sorgono nella via per effetto di inesplicabili ·processi d'autogenesi e si propagano per generazione spontanea certi motti, novantanoYe volte su cento imbecilli, che vengono non si sa d'onde, cominciano non si sa quando, pigliano voga senza che nulla ne giustifichi l'accettazione e la popolarità, hanno il carattere dell'epidemia come il vaiuolo arabo e quello

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del contagio come lo sternuto; si pronunciano e si ripetono a caso, a vanvera, incoscien-temente, senza nesso, senza scopo, senza causa, senza ragione.

Un bel giorno, improvvisamente, repentinamente, come sono venuti cessano, scompaiono,.

ripiombano in quel nulla dal quale non a\Tebbero mai dovuto uscire.

Tra questi idiotismi stradali sono da contarsi:

«O mi che mal cle stomi (1866) (l) - Ya là, va là Pipin! - Con quat solcl mo1·ettina tu, mi lasci (1872)- Ciao portie, cloman t1·mnuclo (1887)- T' l'as mai fait parei (1888)- Felice notte~

8caiot (1888)- Lasr~lapura lì me ccwpastin (1888)- Gioia gatiimenen ché mipatisso (1890) (2) -Ch'a chercla nen lon, JJ!faclama (1891) - Daie na canà (1893) - Buscaie) buscaie (1893) -Question 'cl nen piessla (1895), ed i recentissimi (1897) « Butie 'l (1·oj » nato indiscutibilmente sotto la Galleria Umberto I, e « Daje! Daje! » importazione probabilmente Meneghina, che non attecchì troppo ma annoiò sufficientemente rispettabile pubblico ed inclita guarnigione.

Allo spirito riboccante da tali motti non vi è degno riscontro che nella purità di forma ed elevatezza di concetto a cui si ispirano le « canzonette nuovissime» che dal centro artistico di Porta Palazzo, si diffondono strimpellate alla periferia. Tali canzoni hanno questo di buono: sono sempre vttote di senso, con n è capo nè coda come il pesce pastinaca.

È forse per ciò che - a somiglianza delle male erbe - riescono difficilissime da sradicare;

rimangono nel repertorio popolare e sul cilindro degli organetti per dei periodi terribilmente ed incredibilmente lunghi e .... noiosi.

Nel 1845, per lo sposalizio di un capo della « Cocca del Gambero

»,

un poeta rimasto sconosciuto, ed un musicista non meno ignoto, riunirono i talenti, e ne nacque la fami-gerata canzone:

Tu sei bianca ed io son bruno tutti e due siam da sposar con licenza dci parenti un bel gruppo dobbiamo far:

Al trionfo trollalallera n.l trionfo trollalalà.

Movimento di Mon{e1Tina ~tn poco lento.

Chi sarà più di noi gioiosi sposo e sposa a trionfar tu la bOtta ed io il lJicchiere sempre allegri dovremo star :

Al trionfo trollalallel'a al trionfo trollalalà.

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•-Chi sa - rÌJ. più di noi gio - io -so spo-so e spo-sa a tri-o n - far. Chi sa rà più di noi gio -E+--~---s::a

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io- so spo-so e spo-sa a tri- on - far. Al tri - o n - fo h·u -la la le - ra al tri - on - fo tru -la la

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là, al tri - on - fo tru -la la le - ra al tri - on- fo tru- !a la là.

la quale, inflitta a tutte le generazioni di merli ingabbiati che vissero prima della rigene-razione d'Italia, non è ancora, nel 1898, completamente scomparsa.

La • Bela Gigogin >> coètanea del Nazionale risorgimento vive ancora nelle fanfare dei bersaglieri. Come pure non è del tutto dimenticata la cretina:

« Oh bella che dormi sul letto dei fior, Ti sveglia e ricevi un bacio d'amor >>.

Le laboriose contrade del borgo Dora hanno dato all'arte un contingente grandioso:

colà nacquero la brillante e sensuale:

« Richeta Richetina La mònta sui pògieui La va taiè ii garofò Per regaleie ai fieui ».

(I} L'illustre Er~esto Pasquali ne ha recentemente raccontata la genesi (Vedi Gazzetta del Popolo della Domenica) in un articolo portante la data 30 settembre I 8g6.

(2) Ne sono io il colpevole. È il ritornello di una mia canzone in dialetto, splendidamente musicata dal maestro E. Carbone.

D7 Ja. fine c delicata, Ynoi pel ritmo, Yuoi per l'argomento attinto ad uno fra i più turpi episodi della barabberia: «Le :fie 'd Bevilacqua, In.ra », e la scientifica:

« Spunb 'l s0l o h luìin?

L'è la luce d'Mòncalé Ch'ai fa ciair a mia brulia Qua.ncl ch'n ven da tmntiè » ....

meritevole d'esser tenuta in conto dalla cronaca minuta siccome quella che ricorda un'epoca hl cui l\Ioncalieri era completamente illuminatn, dall'elettrico intanto che Torino si troYaYa tuttora agli incnnaboli dell'innovn,zione.

l\Ia. « ht belln. fra tutte più belln, >> è In, cercbrn.lc:

« Ciao ciao ciao Io parto per Casale

.\'[orettina hella cino Casale Monferrato

E prima eli partire Ti manderò il ritratto

un bacio ti voglio dar. Yestito da bersagliar» ...

rimasta per il momento insnperabile. Ed è peccato che non sia i ancora introdotto l'uso (per esempio in occasione delb fiera di Moncn,lieri) di un concorso sistemn, Piedigrotta: se ne sarebbero sentite e se ne sentirebbero d'ogni colore.

È vero che la magica, pennn, di Corrado Corradino idealizzò, nello studio << 17 popolo torinese nei s:uoi canti >> pubblicato in occasione delln, 1\Iostrn, Artistica 1880, la piazza e le sue cmtzoni; ma non è meno vero che, spoglia dei lenocini retorici, la piazza moderna dà unn, quota ben poco appre7.zabile di freschezza, di attraenza, di genialità, e per quanto io mi trovi nd essere perfino esagerato « topopolita >> ed idolatra della mia città nativa, pur mi è o·iuocoforza dichiarare ehe - n parer mio -- i suoi sono, se non tutti, quasi tutti, eoncetfi ehe con earitatevolc eufemismo è bene ehiamarc pedestri : ritmi volgari e peana nlnti che mi paiono batter le penne verso il lezzo della bettola, lo schifo del lupanare~

l'orrido del carcere, più 'ìTolentieri che non amino librarsi nell'am-biente schietto c sereno della pocsin, popolare.

A dirla fra noi, non credo sin. il nostro genere: la l\lusa.

estemporanea del popolo l' p n ree c: bio restìn,, e q n anelo si s'·olge gli è quasi unicamente - pnr tro po - ne)l'ora in cui si chiudono le botteghe del Yinaio c si rec1n,ma da chi di ragione l'obbedienza all'hnmancn,bHc cartello dell' « ])} vietato di canta1'e e giuocal'e alla

m 01'!'a ».

Allorn, si versifieu, c sul tema obbligato - << 'L padron uul pi, nen ch' i canto >> - s'improvvisn,no stucchevoli, monotone

interminabili sequenze che solo provvidenziali interventi delle ' autorità notturne riescono a troncare c che talvolta svegliano al domani la eco pudibonda della Preturn, Urbn,na.

:\1° DJ.:LFI="O TIIER~IIr.l(O:'i. E qui chiedo venia all'amico Delfino Thermignon (l) tanto sinceramente invaghito e cosi benemerito del sano e corretto canto ('orale, per queste mie opinioni, forse troppo crudamente esposte, circa una lirica che non so dir popolare, alimentata ad impure e cln,ndestine sorgenti.

Egli è precisamente quel sano c corretto canto corale, quale si intende e pratica in altri paesi, che io vedrei volentieri metter radice e prosperare nel mio. l\ia presso eli noi ne manca assolutamente la tradizione. Contiamo, è vero, società corali stabilite sul modello eli quelle fiorenti all'estero ; società che nel proprio ambiente funzionano bene, dànno saggi lodevoli nell'interno della rispettiva sede c vengono talora chin,mate a prender parte in pubbliche manifestn,zioni.

(l) Direttore, dal r 89 r, di quell'Accademia che prese il nome dal fondatore Stefano Tempia ed ha scopo di far cono-. cere le opere classiche di quei maestri d'ogni epoca, nazione e scuola che scrissero essenzialmente musica vocale e special-mente per grandi cori. In marz9 r8i6 si iniziarono i « Saggi » giunti già al numero di 130, svoltisi ognora dinanzi ad eletto uditorio d'intelligenti e di cultori dell'arte ed onorati spesso dall'intervento di Principi e di Prelati. Maestri insignì, n testimonianza della serietà e bontà dell<i! esecuzioni che si ottengono dalla massa corale (costituita di ottanta circa soggetti fra soprani, co!ltralli, donne, tenori e bassi}, scrivono per essa e ad essa dedicano laYori. È poi meritevole di speciale encomio li fatto dell'essere l'opera solerte e geniale di tutti i compartecipanti empre e completamente gratuita. Il l\Iunicipio concede locali cd alle spese . i soppcrisce colle quote eli una categoria di soci chiamati « aggregati », soci effetti,·i essendo i com-ponenti In massa corale.

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l\Ia la loro azione è nece~s.:triamente limitata e uon può aYere notevole influenza nel propagare l'amore al canto nelle masse. Queste masse sono parecchio riluttanti ad assogget-tarsi alle severe discipline senza di cui non si preparano buono esecuzioni corali : nei sin-goli componenti poi impera la puerile Vttnità del i:iuccesso

per-sonale che loro vieta di sacrificare le individuali attitudini a profitto di una azione artistica collettiva.

Egli è perciò che la canzone, siccome quella che offre modo all'abilità di uno solo di emergere, solletica la vanità dci soggetti ed apre l'adito agli onori del trionfo, non sarà nè presto nè facilmente detronizzata - a malgrado delle teorie colletti-vistiche e del verbo novo -da, quel canto corale che rimarrà qttincli per me allo stato di pio desiderio.

Una simpatica eccezion:e nei bardi della via

*

è il fulYo e cieco Ve1·itas : una macchietta che non è da lasciare senza un cenno eli illustrazione.

N elle trattorie e ritrovi d'ordine secondario, nelle o ·torio dove si affolla la Torino che sciama, non è raro incontrare un uomo tuttora in buona età c vegeto, piuttosto rosso che biondo di pelo, pulitamonte vestito e con accenni all'eleganza, che tra

EUGE:>IO VER!T.\S,

una sigaretta e l'altra va cantando briose canzonette, mul:iica e parole di fattura sua, toc-canti ad argomenti dì attualità non di rado piccante.

Nè è raro cogliere in esse un qualche sprazzo che rivela, non l'ignorante rapsoda da strapazzo, ma l'uomo che ha una testa ed un pensiero e che certamente ha veduti giorni migliori.

Difatti, quell'Orfeo della piazza fu altra volta brillante uffidale nell'esercito italiano:

discende da iUustre ·asato, si chiama il Conte Eugm'lio Piossasco di Beinasco, e .... sdegnoso della chiara prosapia antica, tragge rùndagia la vita, sempre lieto, sempre pieno d'estro o di brio, nell'associazione armoniosa di un flauto blasonato c d'una democratica chitarra.

Nel documento ~LL' iJLLtlstrissin1a (pagine 96-99)