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Approcci, Metodi e Tecniche per insegnare la lingua italiana a stranieri

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Academic year: 2021

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“… Ho attraversato un oceano

la mia lingua s’è perduta

dalla vecchia radice,

una nuova ne è spuntata.”

Grace Nichols

“Ho smesso di contare le volte in cui, arrivata alla seconda riga,

ho cancellato e riscritto tutto nuovamente.

Cercavo un inizio ad effetto, qualcosa di poetico e vero allo stesso tempo,

qualcosa di grandioso, ma agli occhi.

Non ci sono riuscita.

Poi ho capito, ricordando ciò che non avevo mai saputo:

che per i grandi cuori che muoiono nel corpo ma che continuano a battere nel respiro

della notte, non ci sono canoni o bellezze regolari, armonie esteriori, ma tuoni e

temporali devastanti che portano ad illuminare un fiore, nascosto,

di struggente bellezza”.

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INDICE

INTRODUZIONE ... pag.6

CAPITOLO I - L’APPROCCIO INTERCULTURALE …... pag.9 1 Brevi cenni sul fenomeno migratorio …………..……….………..……... pag.9 1.1 La sfida del multiculturalismo ... pag.12 1.2 L’importanza della comunicazione interculturale ... pag.19 1.3 La mediazione linguistico- culturale come forma di comunicazione ….... pag.21 1.4 La revisione dei curricolo alla luce dell’Educazione Interculturale …….. pag.24 1.5 Approccio interculturale dell’italiano L2 ... pag.27 1.6 Il percorso di apprendimento dell’Italiano L2 ………... pag.28 1.7 Le principali fasi dell’intercultura dell’Italiano L2 ... pag.31 1.7.1 Le prime parole ... pag.34 1.7.2 Le formule ... pag.35 1.7.3 Aspetti morfosintattici ... pag.36 1.7.4 Aspetti pragmatico- semantici ... pag.38 1.7.5 Aspetti fonetico- fonologici ... pag.42 1.8 Il tempo, il modo e il nome nell’interlingua dell’Italiano L2.. ... pag.43

1.8.1 La Temporalità ……….. pag.43

1.8.2 La modalità... pag.49 1.8.3 Il nome... pag.52

CAPITOLO II – INTERFERENZE, VARIAZIONI LINGUISTICHE E STRATEGIE ... pag.56

2.1 Interferenza linguistica e tipi di transfer ... pag.56 2.1.1 Transfer negativo... pag.58 2.1.1.1 Transfer fonologico ………... pag.58 2.1.1.2 Transfer lessicale... pag.61 2.1.1.3 Transfer sintattico ………... pag.62 2.1.1.4 Transfer morfologico ... pag.63 2.1.1.5 Transfer plurimo ………... pag.64

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3

2.1.2 Transfer positivo... pag.64 2.1.3 Transfer omissivo ………... pag.65 2.1.4 Transfer culturale ………... pag.66 2.2 Le variazioni nell’interlingua ... pag.69 2.2.1 Variazioni libere ... pag.69 2.2.2 Variazioni sistematiche ... pag.70 2.2.2.1 Il contesto linguistico …………... pag.71 2.2.2.2 Il contesto sociale …………... pag.71 2.2.2.3 Il contesto psicologico …………... pag.72 2.2.2.4 Il contesto affettivo ………... pag.73 2.3 Le strategie comunicative ……... pag.73 2.3.1 Strategie comunicative del parlante nativo: il foreigner talk ……... pag.75 2.3.1.1 La restrizione ... pag.76 2.3.1.2 L’espansione ... pag.77 2.3.2 Il foreigner talk didattizzato ... pag.78 2.3.2.1 Interrogazione totale ... pag.79 2.3.2.2 Ridondanza pronominale ... pag.80 2.3.2.3 Focalizzazione ... pag.80 2.3.2.4 Ripetizione ... pag.80 2.3.3 Strategie comunicative del parlante non nativo ... pag.81 2.3.3.1 Contiguità semantica o approssimazione ... pag.81 2.3.3.2 Circumlocuzione o perifrasi ... pag.82 2.3.3.3 Conio di neologismi ... pag.83 2.3.3.4 Ridondanza di elementi ... pag.83 2.3.3.5 Ricorso a codici non linguistici ... pag.84 2.3.3.6 Riduzione o elusione... pag.84

CAPITOLO III L’APPROCCIO ALL’INSEGNAMENTO DELL’ ITALIANO A STRANIERI ... pag.87

3. 1 L’insegnamento dell’italiano ad adulti stranieri ... pag.87 3.1.1 Il concetto di adultità ……… ... pag.87 3.1.1.2 L’andragogia, la scienza della formazione dell’adulto ... pag.88

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4

3.1.2 L’apprendimento in età adulta: caratteristiche e principali studi scientifici condotti in ambito pedagogico, psicologico e glottodidattico

..………..………. pag.91

3.1.2.1 Caratteristiche specifiche dell’ apprendimento dell’adulto ……... pag.93 3.1.2.2 Bisogni linguistici diversi ... pag.95 3.1.2.3 Lingue di mezzo... pag.99 3.1.3 Il ruolo del docente che insegna ad appendenti adulti ... pag.100 3.1.4 La glottodidattica: l’insegnamento dell’italiano ad adulti stranieri ... pag.101 3.1.5 I bisogni e le motivazioni degli adulti che studiano l’italiano come

lingua straniera o seconda ... pag.104 3.1.6 Le problematiche legate all’apprendimento di una lingua da parte di

uno studente adulto ………... pag.105 3.1.7 Insegnare la grammatica ad adulti: metodo induttivo o deduttivo? …... pag.109 3.1.8 L’approccio umanistico affettivo con studenti adulti... pag.111 3.1.9 La glottodidattica ludica ... pag.112 3.1.9.1 La glottodidattica ludica proposta ad adulti ... pag.114

3.1.9.2 Quando utilizzare le attività ludiche nell’insegnamento dell’italiano a stranieri ?... pag.117

3.1.10 Finalità ed indicazioni metodologiche per le attività ludiche ed i

percorsi tematici ... pag. 119 Allegato 1 ……... pag.121 Allegato 2 ... pag.122 Allegato 3 …... pag.124 Allegato 4 …... pag.125

CAPITOLO IV – LA PROGETTAZIONE DI UN CURRICOLO DI ITALIANO PER STRANIERI …... pag.126

4. Corpus , sillabo, programma e curricolo ………... pag.126 4.1 Mete educative e mete glottodidattiche ... pag.129 4.1.1 Culturizzazione, socializzazione e autopromozione ... pag.130 4.1.2 La competenza comunicativa ………... pag.131 4.1.3 L’obiettivo glottomatetico : imparare ad imparare una lingua …... pag.133

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4. 2 Lo sviluppo della abilità linguistiche …... pag.135 4.3 Competenze e metacompetenza …………... pag.136 4.3.1 La competenza linguistica ………... ... pag.136 4.3.2 La competenza extralinguistica ……... pag.138 4.3.3 La metacompetenza ……... pag.138

CAPITOLO V – METODI E TECNICHE ……...…………... pag.142

5 L’unità didattica per l’insegnamento …... pag.142 5.1 Dalla lezione all’unità didattica ... pag.143 5.1.1 La lezione ………... pag.143 5.1.2 L’unità didattica ………... pag.145 5.2 Scelte non sempre consapevoli …... pag.146 5. 3 L’evoluzione dei metodi …………... pag.148 5.4 La descrizione di alcuni metodi …... ……… pag.152 5.4.1 Metodo grammaticale- traduttivo ... pag.152 5.4.2 Metodo audio – linguistico o audio orale ... pag.152 5.4.3 Metodo diretto ... pag.153 5.4.4 Metodi funzionali ... pag.154 5.4.5 Metodi comunicativi ... pag.154 5.4.6 Approccio naturale ... pag.155 5.4.7 Total Physical Response (TPR) ... pag.156 5.4.8 Suggestopedia ... pag.157

CONCLUSIONI ... pag.159

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INTRODUZIONE

La passione che mi lega all’oggetto di studio trova origine nell’esperienza di insegnamento nella scuola di italiano “El Comedor Estudiantil – Giordano Liva” di Pisa, nella quale ho insegnato italiano ai migranti nel corso dell’anno scolastico 2012/2013 e 2013/2014.

Interesse ulteriormente rafforzato dalla partecipazione di corsi di perfezionamento/formazione presso l’Università di Siena e altri Centri Formativi. Il lavoro svolto è frutto di una ricerca sperimentale condotta dal di dentro, nella quale l’autore non si pone come parte esterna, ma come osservatore partecipante. Nel corso della mia personale esperienza ho scoperto la scuola come luogo di integrazione, di conoscenza reciproca, di incontro fra le culture, strumento di relazione e coesione sociale. Per questo, ho maturato la convinzione che la scuola di italiano per migranti non debba essere solo un luogo di trasmissione della lingua, ma prima di tutto uno spazio di accoglienza, di cura della persona e di raccolta delle narrazioni e testimonianze miranti alla ricostruzione di identità naufragate.

Identità minacciate dal viaggio pieno di pericoli e insidie che i migranti hanno affrontato, nel quale hanno dovuto sacrificare la parola, ovvero la possibilità di raccontare il proprio vissuto, di condividere sogni, speranze e paure. La barriera linguistica e la segregazione sociale e spaziale impediscono di conoscere quale sia il loro passato, la ricchezza della cultura di cui sono portatori, le avventure e gli ostacoli che hanno dovuto superare per arrivare fino qui.

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In una società bombardata dalla politica e dai mass media riguardo alla pericolosità ed estraneità di questi soggetti, il riscatto sociale per queste persone deve avere come principale strumento il linguaggio.

Il linguaggio è una facoltà innata nell’homo sapiens ed è uno (e il più raffinato, complesso e duttile) degli strumenti, dei modi e dei sistemi di comunicazione che questi abbia a disposizione 1.

Un individuo che si accinga a studiare una lingua diversa da quella materna o si trovi comunque nella necessità di doverla utilizzare nella sua comunicazione quotidiana, è consapevole di come essa sia governata da norme ed usi, la cui corretta applicazione lo pone nelle condizioni di poter plasmare e manipolare il sistema linguistico in modo creativo, partecipativo e orientato al raggiungimento di obiettivi definiti, a livelli di competenza differenziati e via via sempre maggiori.

Ed è grazie a questa consapevolezza, unità alla indispensabile volontà di imparare, che l’apprendente cerca progressivamente di ricostruire nella maniera più fedele possibile la lingua che intende assimilare (Lingua arrivo o, più semplicemente ,

Seconda lingua o L2), sulla base della Lingua di partenza, ovvero (generalmente)

la sua madrelingua (L1).

Insegnare l’italiano agli alunni stranieri è compito delicato e complesso richiede competenze professionale specifiche, strumenti didattici originali, modalità organizzative flessibili.

1

BERRUTO G. – CERRUTI M-, La linguistica- Un corso introduttivo, UTET, Torino 2011, cit. p. 3.

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I percorsi di insegnamento dell’italiano L2 devono consolidarsi a partire dalle differenti biografie linguistiche e dagli interrogativi di ciascuno, e fornire risposte adeguate alle situazioni e ai bisogni individuali.

Nella prima parte, la dissertazione individua ed esplora le problematiche tipiche di un parlante straniero, nel difficile compito di imparare la lingua italiana.

L’attenzione si sposta nella seconda parte sui modelli operativi per l’insegnamento della lingua italiana, metodo, cioè il momento in cui la filosofia dell’insegnamento linguistico delineata dall’approccio deve tradursi in organizzazione delle relazioni tra studenti e tra questi e il docente (mediatori, facilitatori, ecc.), in selezione ed organizzazione dei contenuti linguistici, in modo da generare attività efficaci, visto la presenza in classe di studenti immigrati di diversa provenienza geografica, culturale e linguistica e con diversi gradi di competenza in italiano costituisce indubbiamente un argomento e una sfida di grande attualità nella scuola di italiano di oggi.

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CAPITOLO I

L’APPROCCIO INTERCULURALE

1. Brevi cenni sul fenomeno migratorio

All’interno dell’Unione e nei rispettivi Stati membri si è generato nell’ultimo decennio un elevatissimo flusso migratorio certamente favorito da fattori quali le politiche di allargamento dell’Unione Europea, che mirano a promuovere e sostenere la libera circolazione delle merci, dei capitali e delle persone, unitamente al marcato processo di globalizzazione dell’economia, del commercio internazionale e del mercato del lavoro a livello mondiale.

Secondo i dati forniti dall’ultimo Dossier Statistico Caritas (2013) l’Italia si è affermata come rilevante area di sbocco per i flussi migratori internazionali soprattutto negli anni Duemila, ma anche nell’attuale periodo di crisi si continua a registrare un aumento della presenza straniera: da poco più di 3 milioni di

residenti stranieri nel 2007 si è passati a 4.387.721 nel 2012, pari al 7,4% della

popolazione complessiva.

Nello stesso arco di tempo i soggiornanti non comunitari sono passati da 2,06 milioni a 3.764.236 e, secondo la stima del Dossier, la presenza straniera

regolare complessiva è passata da 3.987.000 2 persone a 5.186.000, non solo per

l’ingresso di nuovi lavoratori ma anche per via dei nati direttamente in Italia e dei ricongiungimenti familiari.

Particolarmente contenuto è stato l’aumento nel 2012: +8,2% tra i residenti (nel cui registro gli inserimenti possono anche essere tardivi, nonché sottoposti a verifica in conseguenza del Censimento) e +3,5% tra i soggiornanti non comunitari, come pure nella stima della presenza regolare complessiva elaborata

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dal Dossier. Tra le provenienze continentali, secondo la stessa stima, prevale l’Europa con una quota del 50,3% (di cui il 27,4% da ricondurre ai comunitari), seguita dall’Africa (22,2%), dall’Asia (19,4%), dall’America (8,0%) e dall’Oceania (0,1%).

Di seguito riportiamo le grandi collettività non comunitarie: Marocco (513mila soggiornanti), Albania (498mila), Cina (305mila), Ucraina (225mila), Filippine (158mila), India (150mila) e Moldova (149mila). Tra i comunitari, invece, la prima collettività è quella romena (circa 1 milione).

Tra le aree di residenza continuano a prevalere le regioni del Nord (61,8%) e del Centro (24,2%), mentre le province di Milano e Roma, da sole, detengono un sesto dei residenti (16,9%).

All’origine del calo dei flussi in entrata c’è la crisi economica. Le quote

d’ingresso per lavoratori non comunitari nel 2012, al netto degli stagionali, sono

state molto ridotte: propriamente dall’estero sono state 2.000 per lavoratori autonomi, 100 per lavoratori di discendenza italiana, mentre 11.750 sono state le autorizzazioni alla conversione di titoli di soggiorno rilasciati per motivi diversi dal lavoro. Di conseguenza, sono diminuiti gli ingressi per lavoro e i visti rilasciati per motivi di lavoro subordinato sono scesi da 90.483 nel 2011 a 52.328 nel 2012 (in entrambi i casi meno che nel periodo pre - crisi).

Naturalmente è rimasto libero l’ingresso per gli altamente qualificati o le categorie fuori quota, come gli infermieri (Carta Blu Ue e art. 27 T.U. Immigrazione). Alla fine del 2012, inoltre, a due anni di distanza dall’ultimo provvedimento del genere, si è svolta una regolarizzazione in favore dei lavoratori non comunitari,

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in occasione della quale i datori di lavoro hanno presentato 135mila domande, meno della metà rispetto al 2009 (295mila).

Rilevante, anche nel 2012, è stato il numero dei bambini stranieri nati direttamente in Italia (79.894, il 14,9% di tutte le nascite), cui si affiancano i 26.714 figli di coppie miste (il 5% del totale).

Nell’insieme, tra nati in Italia e ricongiunti, i minori non comunitari sono 908.539 (il 24,1% dei soggiornanti) e si può stimare che almeno 250mila siano i comunitari.

I matrimoni misti, frontiera della nuova società, nel 2011 sono stati 18.005, l’8,8% di tutte le unioni celebrate nell’anno, quelli con entrambi gli sposi stranieri 8.612 (4,2%). Per i ricongiungimenti familiari sono stati rilasciati 81.322 visti nel 2012 (quasi pari agli 83.493 del 2011) e i motivi familiari incidono ormai per il 40,9% sui non comunitari titolari di un permesso a scadenza e per il 44,3% sui nuovi permessi rilasciati nel 2012.

Inoltre, continuano a crescere, tra i non comunitari, i soggiornanti di lungo

periodo, autorizzati a una permanenza a tempo indeterminato: oltre due milioni di

persone, pari al 54,3% del totale (otto punti percentuali in più rispetto al 2010), una quota che raggiunge o sfiora i due terzi per diverse collettività (Macedonia – Bosnia - Erzegovina, Albania, Tunisia, Marocco e Senegal) e non arriva al 40% per altre (la Moldavia, ad esempio).

Risultano in crescita anche i flussi di ritorno, per necessità più che per scelta, come effetto della crisi e delle ridotte capacità occupazionali del paese. Complessivamente, nel 2012 i permessi di soggiorno scaduti senza essere

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rinnovati sono stati 180mila, di cui ben oltre la metà per lavoro e per famiglia: un numero consistente, ma diminuito rispetto al 2011.

Se diamo uno sguardo al mondo della scuola, i dati ci offrono un quadro abbastanza vario; gli studenti stranieri nell’A.S. 2012/2013 sono 786.650, l’8,8% del totale (ma il 9,8% nella scuola dell’infanzia e in quella primaria). Sono aumentati di 30.691 unità (+4,1%) nell’ultimo anno e sono molto numerosi soprattutto per alcune collettività (i romeni sono 148.002, quasi un quarto del totale, gli albanesi e i marocchini rispettivamente circa 100mila). In 2.500 scuole (il 4,6% del totale nazionale) superano il 30% degli iscritti, e, a questo proposito, lo stesso Ex Ministro dell’Istruzione Carrozza ha raccomandato di non ingigantire le difficoltà e di ricorrere, nel definire i numeri e la composizione delle classi, ad una flessibilità commisurata alle situazioni e ai mezzi disponibili, tanto più che il 47,2% degli studenti stranieri è nato in Italia (quota che sale al 79,9% nella scuola dell’infanzia e al 59,4% in quella primaria)2.

1.1 La sfida del multiculturalismo

La storia dell’umanità si caratterizza per il movimento e la creazione continui e costanti di relazioni e intrecci tra persone provenienti da contesti geografici, culturali, religiosi, politici diversi.

Come ha avuto modo di osservare in numerosi suoi interventi, il sociologo Adel Jabbar, ci sono stati periodi storici che sotto questo aspetto, sono stati particolarmente fertili: egli individua infatti, il medioevo islamico, con gli arabi che interpretavano il ruolo di mediatori culturali (preceduti da altre popolazioni

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semitiche) facendo del sud del Mediterraneo una “piattaforma girevole” di collegamento tra diverse aree geografiche, poi, il rinascimento europeo con le sue progressive inclusioni di popolazioni di altri continenti che ha inaugurato il “sistema-mondo” con il quale ci confrontiamo ancora oggi.

Le culture, infatti, sono fluide e gli individui interpretano attivamente le loro tradizioni rinnovandole per poter gestire i cambiamenti che le relazioni con gli altri inevitabilmente comportano.

Il momento attuale osserva ancora il sociologo, vive una fase di mondializzazione: da una parte prevale il modello occidentale (in questo caso l’occidente a cui ci riferiamo non è un’area geografica ma un sistema che ingloba tutte le popolazioni del pianeta), sia sul piano economico che culturale; dall’altra, crescono le rivendicazioni identitarie e neo- comunitariste3.

La crescente consapevolezza che le nostre società stanno diventando ormai strutturalmente multiculturali richiede una riflessione teorica e allo stesso tempo, una elaborazione articolata di soluzioni possibili.

In via preliminare al discorso sul multiculturalismo, va ricordato che tale fenomeno non è creato dalla presenza degli immigrati. Essi aggiungono altre differenziazioni a quelle già esistenti in ogni società e contribuiscono casomai a renderle più visibili. In altre parole occorre prendere atto che le odierne società sotto la spinta della modernizzazione, sono già multiculturali, al di là della presenza della popolazione straniera, per la coesistenza di una cultura urbana di

base e di culture legate ai particolarismi regionali, etnici e storici.

3

Cfr. JABBAR A., Disuguaglianza sociale e differenze culturali: per una intercultura

democratica, in Lorenzo Luatti (a cura di), Atlante della Mediazione Linguistico-culturale,

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Le trasformazioni sociali in atto richiedono un metodo di intervento innovativo che oggi viene definita con il termine “intercultura” intendendo qui l’impostazione di una prassi di lavoro in grado di aiutarci a ripristinare una memoria plurale esplorando i nostri contesti multiculturali 4.

La prassi interculturale implica considerare gli immigrati non tanto rappresentanti di una cultura quanto di un progetto sociale di emancipazione; gli immigrati vivono un complicato processo di aggiustamento a livello identitario finalizzato a trovare un’“unità combinatoria”, tra elementi appartenenti sia al nuovo contesto sia al contesto di origine. In questo processo non incide solo la cultura ma anche il genere, la provenienza sociale, il livello istruzione, il tipo di occupazione, la politica di accoglienza sul territorio, il tipo di progetto migratorio ecc.

L’intercultura vuole dar vita ad un processo di estensione dei confini della democrazia attraverso una cultura della partecipazione basata sul riconoscimento delle differenze. L’obiettivo è quello di stabilire un nuovo patto che potrebbe definirsi di cittadinanza in grado di ristabilire la simmetria necessaria per creare spazi di negoziazione e gestire le trasformazioni sociali in atto garantendo la coesione sociale. Questo processo intende includere nuove soggettività e non “comunità” (sta a queste soggettività decidere come organizzarsi in termini collettivi: se sul piano religioso, linguistico, o su quello dell’appartenenza statuale o professionale, oppure sulla base di organizzazioni associative o sindacali autoctone ecc.). Incrementare la partecipazione democratica significa superare il modello di integrazione subalterna che vede negli immigrati una mera forza

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lavoro e riconoscere la complessità delle relazioni che queste persone intraprendono con il territorio dove risiedono5.

Ecco che l’intercultura nel perseguire questi obiettivi, ha bisogno della mediazione socio-culturale che rappresenta innanzi tutto, una strategia di

parificazione di opportunità con lo scopo di ricostruire reti e relazioni sociali,

creare nuove competenze e ripristinare l’autostima dei cittadini immigrati riconoscendo anche quegli aspetti legati ai vissuti culturali e religiosi. A questo punto entrano in gioco vari attori a vario titolo, i servizi sociali perché si tratta di una strategia complessiva del territorio, gli enti formativi ed educativi, il mondo dell’associazionismo, il mediatore socio-culturale tutti chiamati a svolgere un ruolo chiave nel diffondere la consapevolezza delle trasformazioni sociali in atto e facilitando la creazione di un nuovo protagonismo tra i vari soggetti.

Anche la studiosa Marta Castiglioni insiste sul fatto che una situazione compiuta di multiculturalità è presente laddove gli immigrati sono arrivati ad avere una autopercezione di sé tale da lottare per il proprio riconoscimento e per i propri diritti 6. In un sistema democratico le istituzioni riconoscono e garantiscono le libertà e l’uguaglianza dei cittadini non tenendo conto del riconoscimento delle identità particolari; oggi, però, la questione delle molteplici appartenenze e della multiculturalità è diventato un problema centrale con il quale le istituzioni politiche a livello sia centrale che locale, scolastiche, sanitarie i cittadini tutti devono in maniera improcrastinabile, affrontare. Alcuni studiosi affermano che sia addirittura una questione che le democrazie odierne sono chiamate ad

5

Ibidem.

6

CASTIGLIONI M., La mediazione linguistico- culturale, principi, strategie, esperienze, FrancoAngeli, Milano 1997, cit. p. 24.

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affrontare . Secondo una prospettiva storica, la Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino ha dato una risposta alla questione del bisogno universale di riconoscimento pubblico attraverso la trasformazione dell’uguaglianza umana in identità e in diritto: l’affermazione che tutti gli uomini hanno uguale dignità in quanto esseri umani e che sono uguali di fronte alla legge ne è un chiaro esempio. Il fenomeno dell’immigrazione di massa in Italia iniziata negli anni ’90 tradotta in termini sociali nella presenza di cittadini stranieri portatori di culture e di appartenenze diverse, ha di fatto posto al centro la questione del riconoscimento delle differenze, sul piano del diritto e su quello organizzativo.

La trasformazione dell’Italia da paese tradizionalmente di emigrazione in paese meta di immigrazione prevalentemente extracomunitaria, ha comportato un cambiamento deciso dell’intera società determinando di conseguenza una riflessione sui vecchi concetti di popolo e di cittadinanza, di nazione e di localismo, di gruppi sociali e di minoranze nonché ad un ripensamento circa le istituzioni ed il loro ruolo, le normative, i progetti ed i piani tecnici-organizzativi, in modo da permettere un processo di integrazione degli stranieri ma non solo, anche di interazione fra culture differenti, capace di evitare il più possibile processi quali l’assimilazione e l’omologazione, il separatismo e la frammentazione.

Ma quale, ci si chiede, deve essere l’approccio migliore per consentire il processo di integrazione, di interazione fra culture differenti? Quale, ci si chiede è il modello seguito dall’Italia?

Non risulta affatto agevole il tentativo di dare una risposta e descrivere l’approccio seguito dal nostro Paese per gestire la diversità culturale “importata”

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dagli stranieri dal momento che non vi è stata un’adesione ai modelli che potremmo denominare uno “assimilazionista - integrazionista” alla francese l’altro, “ multiculturalista ” all’inglese7.

Il modello “alla francese” – in passato chiamato “modello assimilazionista”, e oggi meglio denominabile come “modello integrazionista”- si ispira ad una logica di assoluta uguaglianza formale, di asettica neutralità dello Stato di fronte alle differenze culturali. Tale modello in Francia si basa fondamentalmente sulla scelta, di non attribuire negli spazi pubblici, alcun rilievo all’eventuale appartenenza del soggetto a gruppi di immigrati portatori di una cultura diversa da quella di accoglienza. In questo senso va letta la legge francese, n° 228 del 15 marzo 2004 che vieta l’ostensione di simboli religiosi all’interno delle scuole pubbliche di ogni ordine e grado, imponendo a tutti, al di là della loro origine culturale, etnica, religiosa, di essere formalmente uguali nello spazio pubblico, rappresentato in questo caso dalla scuola. In Francia in maniera abbastanza rilevante è stata a più livelli portata avanti una politica di “francesizzazione dei nuovi venuti” 8, che si pone come fine, su un piano soggettivo, quello di realizzare una completa emancipazione dei singoli dal gruppo culturale di appartenenza in vista di un loro ingresso a pieno titolo nella comunità nazionale, stabilendo su di un piano giuridico l’irrilevanza di ogni loro diversità. Su un piano più strettamente oggettivo invece, tale politica mira a preservare l’omogeneità culturale dello Stato nel suo insieme, nonostante la forte presenza di stranieri sul territorio.

A differenza del modello appena descritto, quello inglese “multiculturalista” è improntato ad un riconoscimento di fondo delle diversità culturali. Come

7

Cfr. BASILE F., Immigrazione e reati culturalmente motivati, il diritto penale nelle società

multiculturali, Giuffrè Editore, Milano 2010.

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sottolinea ancora Basile nel suo testo, l’adesione ad un siffatto modello comporta il riconoscimento e l’accettazione delle diversità culturali, con la conseguente adozione di strategie politiche più tolleranti e pluraliste, che di fatto consentono agli immigrati di conservare numerosi aspetti del loro retaggio culturale.

Lo stesso studioso riporta alcune strategie importanti in ambito educativo perseguite dall’Inghilterra coerenti con il modello “multiculturalista”; ne riportiamo di seguito alcuni:

 la riforma dei curricula scolastici ovvero la revisione del curriculum di storia e letteratura delle scuole statali per garantire maggior riconoscimento ai contributi storici e culturali delle minoranze; va ricordata anche l’introduzione di programmi di educazione bilingue per i figli degli immigrati nella scuola primaria;

 l’adattamento dei programmi di pubblica istruzione come ad esempio, le campagne di educazione antirazzista, i corsi di formazione alla diversità culturale per gli agenti di Polizia, per gli operatori sociali e sanitari;  l’adozione di programmi di sviluppo culturale quali il finanziamento di

festival e di programmi di studio etno-culturali; l’offerta i corsi di alfabetizzazione nella propria lingua madre per gli immigrati adulti. Per quanto riguarda l’Italia, come abbiamo già avuto modo di anticipare, non risulta agevole la descrizione dell’approccio seguito; il nostro Paese di fatto non ha aderito ufficialmente ad alcuno dei modelli sopra descritti ma non solo, la sua politica in materia di immigrazione nonostante un processo orami di progressiva stabilizzazione, risente ancora fortemente dei cambi di governo o delle scadenze elettorali.

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Vi è però da osservare che una quota significativa dell’immigrazione nel nostro paese continua ad essere illegale e questo certo non consente una formulazione chiara e coerente della politica in materia. Ancora purtroppo, si oscilla, nonostante -questo va detto -, gli sforzi provenienti da più parti, tra riconoscimento della diversità culturale degli immigrati e avversione alla stessa.

1.2 L’importanza della comunicazione interculturale

Il discorso fin qui svolto sul multiculturalismo ci apre uno scenario sull’importanza della comunicazione interculturale.

Ma cosa si intende esattamente con tale termine?

Si può parlare di comunicazione interculturale come di uno scambio comunicativo nel quale lo straniero e l’autoctono usano secondo lo studioso Fiorucci, le proprie competenze comunicative per interagire l’uno con l’altro e mettere in relazione differenti contesti culturali. In una tale situazione però è necessario un atteggiamento di estrema umiltà che pone chi si ha di fronte in grado di comunicare e di comprendere la cultura “altra”; la consapevolezza della relatività della propria cultura e di sapersi mettere in ascolto dell’altro scevri da pregiudizi e stereotipi 9.

Durante le scambio comunicativo lo straniero e l’autoctono si riferiscono a competenze comunicative diverse tra di loro perché appartenenti a mondi e modelli culturali altrettanto diversi che esplicano la propria efficacia, molto spesso, solo nei contesti di appartenenza.

9

Cfr. FIORUCCI M., La mediazione culturale. Strategie per l’incontro, Armando Editore, Roma 2003.

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Ed ecco, che la comunicazione interculturale si profila come processo dinamico, soggetto a modificazione continua proprio perché al suo interno intervengono competenze comunicative che permettono a due mondi culturali differenti di incontrarsi, influenzarsi e soprattutto, creare un equilibrio; se gli interlocutori coinvolti collaborano nel creare tale equilibrio, la relazione sulla quale si incentra il processo comunicativo risulta bilanciata e reciproca poiché per riportare l’affermazione di Fiorucci, gli interlocutori “si alternano in base ad un equilibrio fondato sulla reciprocità”10. Questo non significa che talvolta la relazione possa essere asimmetrica a causa di una divisione non equa del potere comunicativo tra quanti partecipano all’interazione né che si possano verificare dei malintesi o dei fraintendimenti; è necessario allora operare degli “aggiustamenti reciproci” nel senso che da una parte lo straniero dovrebbe adeguarsi al modello della cultura dell’ospite ma anche l’autoctono deve rinegoziare i propri valori e le proprie certezze.

Tale operazione non è però semplice per cui molto spesso nei contesti di comunicazione interculturale si rivela utile la presenza di una figura con la funzione di mediare tra gli interlocutori a causa delle difficoltà che possono insorgere a livello di comprensione: ecco allora profilarsi la figura del mediatore

culturale/linguistico che con le proprie capacità e competenze è in grado di

intervenire non solo esplicando una funzione di traduzione linguistica ma soprattutto di “interpretazione dei significati presenti nei messaggi culturalmente connotati come diversi” .

10

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21

1.3 La mediazione linguistico- culturale come forma di comunicazione

La comprensione degli elementi che intervengono normalmente in un processo di comunicazione ci può aiutare ad affrontare e a comprendere il tipo particolare di comunicazione che si stabilisce in un intervento di mediazione linguistico- culturale.

I teorici della comunicazione sostengono che in ogni situazione di comunicazione sono presenti alcuni elementi fondamentali11:

 una fonte o emittente del messaggio della comunicazione;

 un ricevente o destinatario del messaggio della comunicazione;

 un codice costituito dall’insieme dei simboli e dei segni verbali e non verbali e di un insieme di regole di sintassi e semantica, attraverso i quali si organizza, o meglio si codifica il messaggio;

 il messaggio o contenuto della comunicazione;

 il contesto in cui ha luogo la comunicazione, vale a dire, uno spazio e un tempo, dove sono presenti delle variabili sociali e ambientali;

 il canale della comunicazione che permette la trasmissione del messaggio.

La comunicazione di tipo più semplice può avvenire seguendo un solo canale, vale a dire, la comunicazione segue una sola via, per esempio il caso in cui si danno e si ricevono ordini.

Il tipo di comunicazione più complessa ed anche più diffusa è comunque, quella a due vie, quando si stabilisce tra emittente e ricevente un tipo di comunicazione

11

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interattiva, in modo che ad ogni messaggio emesso, si produce una risposta: si realizza così quel processo che si è soliti chiamare feedback. Il messaggio o contenuto della comunicazione viene codificato o elaborato dall’emittente, secondo una modalità che gli è propria (codice dell’emittente). Il destinatario a sua volta, decodifica il messaggio, secondo il proprio codice (codice del ricevente).

La comunicazione può essere verbale (ciò che viene detto) e non verbale, vale a dire, i codici possono essere di tipo verbale (scritto, orale) e non verbale. La comunicazione di tipo non-verbale può avvenire attraverso diversi tipi di codice, fra cui: cinestesico (gesti, espressione, mimica), prossemica (posturale, distanza e contatto con l’interlocutore) e paralinguistico (tono della voce, accento o pronuncia, pause). Nella decifrazione della comunicazione non verbale contano elementi quali il movimento del corpo nello spazio, la posizione e la postura relazionale ma anche, l’odore particolare che ogni corpo emana, su cui ogni cultura ha elaborato delle risposte specifiche. Nella cultura araba ad esempio, l’odore naturale emanato dal corpo viene accettato come una componente comunicazionale, al punto che nella scelta della sposa “la ragazza può essere

rifiutata se non sa di buono”12.

In contrasto in tutto l’Occidente si è sviluppato una marcata avversione per gli odori naturali del corpo, che ha condotto il consumo di massa di una serie di prodotti (profumi, deodoranti di vario tipo, pasticche per l’alito,…) destinati a camuffarli. Gli studi di prossemica o distanza relazionale hanno dimostrato che

12

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ogni cultura elabora una misura chiamata “distanza di sicurezza” ottimale oltre la quale si invade lo spazio privato dell’altro.

Un’altra componente fondamentale della comunicazione non verbale sono i gesti che costituiscono un tipo particolare di movimento corporale. Alcuni autori considerano il linguaggio gestuale fondamento del linguaggio parlato, analizzandolo in relazione al movimento e alla bilateralità caratteristica del corpo umano.

La gestualità umana è un modo universale di comunicazione corporale, nella quale Darwin ha individuato modi di espressione delle emozioni identici che sono presenti in tutte le popolazioni umane. Molti studi antropologici hanno individuato e analizzato modi culturali specifici di gestualità. Il gesto di unione delle mani nella preghiera è segno di sottomissione a Dio, che in Europa affonda le sue radici nella cerimonia durante la quale i cavalieri unendo le mani e inginocchiandosi di fronte al signore feudale riconoscevano la loro sottomissione. In India l’unione delle mani è un gesto di saluto per mezzo del quale si evita il pericolo di entrare in contatto e di essere contaminato da una persona appartenente a una casta inferiore.

Una variabile fondamentale della comunicazione non-verbale, è anche costituita dai silenzi che punteggiano il flusso comunicazionale. Ogni cultura ha elaborato un campionario di silenzi diversi, che possono significare continuità rispetto alla parola, oppure, vuoto comunicativo, perciò la decodifica dei silenzi richiede una profonda conoscenza della cultura e dei linguaggi comunicativi dell’altro.

La decisione di non parlare fornisce un quadro di informazioni su che cosa si può dire o se è accettabile parlare e, in quali situazioni è considerato conveniente

(24)

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tacere. Appare chiaro che mediante il linguaggio verbale riusciamo a comunicare solo una parte dei messaggi da trasmettere. Il mediatore linguistico culturale deve essere in grado di comprendere quanto il non-detto è legato a prescrizione o a divieti culturali legati al senso del pudore, al rispetto per l’altro o è considerato sconveniente dire, e quanto ciò che non viene detto è condizionato dalla difficoltà di trovare le parole per dirlo.

Nella cultura occidentale il silenzio viene sovente interpretato in senso negativo, come freddezza comunicativa, distanza, rifiuto o apatia; non è invece, sempre così in altre culture, dove il silenzio può avere una valutazione assai diversa, ed essere segno di prudenza, di cautela o di rispetto verso l’interlocutore.

Una delle problematiche basilari della comunicazione umana, sia verbale che non verbale, è rappresentata dai disturbi di comunicazione, che possono essere di tipo materiale (rumori che non facilitano l’ascolto, materiale poco chiaro, ecc.), oppure di tipo soggettivo e in questo caso, danno luogo ai malintesi. Bisogna essere consapevoli che comunque, il flusso comunicativo è punteggiato e attraversato da malintesi, questo in ogni contesto lavorativo, scolastico, amicale, e ancor di più quando avviene tra soggetti che parlano lingue diverse e sono portatori di culture diverse.

1.4 La revisione dei curricolo alla luce dell’Educazione Interculturale

La revisione dei curricoli è un tema posto all'ordine del giorno dalla riforma scolastica sui cicli e da quella sull'autonomia. Ambedue le riforme richiedono una ridefinizione dei curricoli scolastici, in senso disciplinare o interdisciplinare. Una commissione del Ministero della Pubblica Istruzione sta da tempo lavorando a una

(25)

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proposta che dovrebbe già nei prossimi mesi definire i criteri guida per l'articolazione delle discipline e per le conoscenze e le competenze da acquisire nei diversi cicli scolastici. Ci troviamo quindi in un momento di cambiamento dei contenuti in relazione al complesso processo di riordino dei cicli scolastici, che presumibilmente richiederà un certo periodo di tempo per essere recepito, soprattutto a livello di libri di testo, che si adegueranno alla revisione dei curricoli nel giro di alcuni anni. Nell'attesa, per non cadere nell'immobilismo, proponiamo di lavorare sull'esistente, introducendo delle innovazioni a partire dai programmi attuali e dalla programmazione di ogni insegnante. Questo significa porsi degli obiettivi graduali nel tempo e tener conto, molto concretamente, nei progetti che vogliamo adottare, delle risorse che si hanno a disposizione a scuola dal punto di vista della struttura scolastica (locali e attrezzature didattiche disponibili), dell'organizzazione didattica (possibilità di compresenze in classe, di classi aperte, ecc.) e delle risorse umane (i colleghi con cui si lavora, la possibilità di apporti dall'esterno, ecc.). Forse non è superfluo ribadire che la ridefinizione dei curricoli da un punto di vista interculturale interessa tutta la scuola e tutti gli studenti. Per i ragazzi stranieri essa può rappresentare uno strumento valido per motivare maggiormente allo studio e alla partecipazione, poiché introduce tematiche più vicine ai loro interessi, alla loro appartenenza e alla loro condizione identitaria, ma la scuola è l'agenzia educativa che dovrebbe far maturare in tutti i ragazzi un atteggiamento interculturale, come risposta educativa e formativa alle esigenze delle attuali compagini sociali e della collettività.

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26 Gli elementi di un curricolo

Rivisitiamo brevemente gli elementi fondamentali di un curricolo prendendo spunto dalla mappa di Kerr13:

1. gli obiettivi possono essere distinti in cognitivi, socio-affettivi e comportamentali (questa, ovviamente, è solo una delle proposte possibili); 2. la conoscenza riguarda i contenuti sui quali si costruisce l'attività

educativa e rappresenta la specificità dell'istituzione scolastica, che educa attraverso i saperi;

3. l'organizzazione scolastica comprende sia la struttura e l'organizzazione della scuola,

4. la valutazione comprende gli strumenti e le procedure che vengono utilizzati per verificare i livelli di apprendimento.

I quattro ambiti del curricolo sono in stretto rapporto tra loro; gli scopi educativi influenzano direttamente i contenuti sui quali si imposta l'attività didattica. Conformemente agli obiettivi che si ritengono essenziali viene scelto anche il modello didattico, cioè la metodologia con cui vengono trasmessi i saperi e i mediatori didattici utilizzati per trasmetterli. Gli obiettivi influiscono anche sull'organizzazione scolastica, cioè sulle attrezzature didattiche, sull'orario scolastico, sul tipo di partecipazione dei genitori, ecc. L'organizzazione della scuola dovrebbe quindi essere flessibile e funzionale al progetto educativo scelto. Ancora, le finalità educative orientano la scelta delle tipologie e delle procedure di valutazione (che cosa valuto, solo la dimensione cognitiva o anche altre, e come

13

Cfr. DAMIANO E (a cura di), Epistemologia e didattica. Analisi dei curricoli per la scuola

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27

valuto, quali strumenti di valutazione utilizzo). Esiste una interrelazione tra l'ambito della conoscenza e quello dell'organizzazione scolastica. Il tipo di conoscenze e i metodi con cui vengono trasmesse richiedono o meno certi sussidi didattici, spazi, aggiustamenti di orario, ecc. e nello stesso tempo le modalità di lavoro praticabili condizionano non tanto i contenuti quanto le metodologie e gli strumenti con cui li comunichiamo agli studenti. Un'ulteriore relazione reciproca esiste tra la valutazione e l'organizzazione scolastica. In ogni caso le modalità di svolgimento dell'attività didattica influiscono sulla tipologia di valutazione utilizzata, ma anche la scelta delle procedure di valutazione dovrebbe poter incidere sull'organizzazione scolastica, se questa è sufficientemente flessibile.

1.5 Approccio interculturale dell’italiano L2

La pedagogia interculturale, attenta allo sviluppo della dimensione cognitiva della conoscenza e delle informazioni relative alla nostra cultura e a quella degli altri- sia affettiva, dell’attenzione alla relazione e alla storia di tutti e di ciascuno, deve permeare in profondità l’approccio didattico all’italiano L2. Apprendere le parole dell’italiano per dire e per studiare significa , come abbiamo visto, coinvolgere aspetti profondi della storia personale, dell’acculturazione e dell’identità ed entrare a modificare la rappresentazione del mondo, dei saperi disciplinari , del curricolo comune. È un occasione di cambiamento professionale e umano per tutti, per gli insegnanti e gli alunni, per chi accoglie e chi è accolto.

La disponibilità a lasciarci interrogare dalle situazioni nuove e a riflettere sui modi culturali della quotidianità ci può condurre anche a confrontarci con i pregiudizi e gli stereotipi che abbiamo appresso e che inconsapevolmente trasmettiamo, con le

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28

emozioni che la presenza dell’altro suscita e che possono aprire una via più autentica per la comunicazione che attende di avere a disposizione parole comuni. Esplorare le pratiche linguistiche quotidiane, le caratteristiche delle diverse L1; osservare le modalità di apprendimento diverse , i passaggi attraverso gli stadi dell’interlingua; annotare le conquiste e i “nodi critici”: sono occasioni per affinare lo sguardo, interrogarci, sperimentare, rispondere a nuove domande. E così, gli aspetti più tecnici del nuovo compito professionale si mescolano alla dimensione affettiva di chi insegna/impara nella migrazione e le parole dell’italiano aumentano in numero, accuratezza, uso per poter esprimere concetti e idee, memoria e attese, per costruire il progetto comune a partire da radici differenti.

1.8 Il percorso di apprendimento dell’Italiano L2

Un individuo che si accinga a studiare una lingua diversa da quella materna o si trovi comunque nella necessità di doverla utilizzare nella sua comunicazione quotidiana, è consapevole di come essa sia governata da norme ed usi, la cui corretta applicazione lo pone nelle condizioni di poter plasmare e manipolare il sistema linguistico in modo creativo, partecipativo e orientato al raggiungimento di obiettivi definiti, a livelli di competenza differenziati e via via sempre maggiori.

Ed è grazie a questa consapevolezza, unità alla indispensabile volontà di imparare, che l’apprendente cerca progressivamente di ricostruire nella maniera più fedele possibile la lingua che intende assimilare (Lingua arrivo o, più semplicemente ,

(29)

29

Seconda lingua o L2), sulla base della Lingua di partenza, ovvero (generalmente)

la sua madrelingua (L1).

Per dare conto di questo percorso evolutivo, in cui l’apprendete cerca di rendersi autonomo e indipendenti, cercando di costruirsi una sua identità linguistica, si è passati attraverso varie definizioni, fra cui quella di competenza transitoria, di

dialetto idiosincratico e di sistema approssimativo, per approdare alla nota

definizione di interlingua, che Larry Selinker propose per la prima volta nel 1969 e ribadì nel 197214. La definizione di interlingua sarebbe poi rimasta consolidata nell’uso comune.

Queste definizioni tuttavia rimandano ad una concezione “statica e finale” di tale processo. Per Selinker, in particolare, l’interlingua è peculiarità di quei parlanti stranieri che non abbiamo raggiunto l’uniformità con la Lingua di arrivo ed è, in tal caso, un codice destinato a rimanere approssimativo e imperfetto, a causa del processo di fossilizzazione che è intervenuto ad interromperlo. Le tendenze più attuali considerano invece l’interlingua come un sistema linguistico dinamico, e perciò in costante evoluzione, che il parlante non nativo si costruisce in maniera personale, per comprendere prima, organizzare e manipolare poi, le forme linguistiche che va via via incontrando durante la sua maturazione linguistica, tanto sul versante della ricezione, quanto su quello della produzione. “una lingua instabile, con una grammatica peculiare ma sistematica, che non corrisponde né alla L1 né alla L2”15 , ma che, nel contempo, è commista di elementi sia dell’una che dell’altra.

14

Cfr. SELINKER L., “Languange tranfer ” in General Linguistic, IX,169.

(30)

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Va da sé che gli elementi linguistici dell’una o dell’altra lingua, saranno tanto maggiori quanto più si è vicini all’una o all’altra: in un’interlingua iniziale, saranno numerosissimi gli elementi della Lingua di partenza e forti fenomeni di interferenza; in un’interlingua avanzata, gli elementi della Lingua di partenza diminuiranno progressivamente per lasciare il posto ad altri della Lingua di arrivo che, a loro volta, andranno progressivamente aumentando. Il significato di interlingua in questo senso è dunque proprio quello di “codice linguistico fra

(due) lingue”.

INTERLINGUA

Lingua di partenza (L1) Lingua di arrivo (L2)

Ma oltre a definizione che evocano raffigurazioni di interlingua di tipo “lineare” (si parte da una Lingua di partenza, L1, per arrivare ad una Lingua di arrivo, L2), per dare conto del processo interlinguistico, sono state proposte anche due preganti metafore.

La prima è quella di T. Heubner che paragona l’interlingua ad un labirinto in cui l’apprendente comincia a camminare senza sapere dove andrà a finire; prende allora la strada che gli sembra più promettente e, quando si trova di fronte la strada sbarrata, deve tornare indietro e tentare un altro percorso16.

La seconda è quella proposta da Massimo Vedovelli che immagina l’interlingua come una rete a maglie più o meno elastiche: quelle elastiche costituiscono le zone fluide in cui è possibile procedere a delle rielaborazioni del sistema; quelle

16

Cfr. HEUBNER T., “Linguist system and linguistic change in interlanguage”, in Studies in

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rigide rappresenterebbero invece i punti in cui è in atto, o si è già consolidato, un processo di fossilizzazione17.

Ma escludendo i casi di fossilizzazione, l’interlingua , proprio per il fatto di essere costantemente tesa al raggiungimento della Lingua di arrivo, è un processo che subisce di continuo modifiche e assestamenti. Ci si potrà sempre di più avvicinare alla Lingua di arrivo, raggiungendo impercettibilmente giorno per giorno, anche i livelli di competenza ottimi e una padronanza linguistica invidiabile,ma il momento della sua perfetta e totale acquisizione rimarrà comunque un traguardo puramente virtuale. L’interlingua diviene così, per ossimoro, una “fase transitoria

che no finisce mai”18.

1.7 Le principali fasi dell’intercultura dell’Italiano L2

Avere chiara la distinzione fra acquisizione e apprendimento, così come la proponeva Krashen nel 198119, è importante per le ricadute pratiche che queste due modalità di assimilazione linguistica hanno non solo sulle metodologie glottodidattiche, ma anche per capire in quale modo possa variare tanto sul piano qualitativo che su quello quantitativo, l’assimilazione di una lingua non materna. Innanzitutto, è chiaro che in un contesto di acquisizione, la pressione comunicativa è molto forte visto che, poter sopravvivere in un paese di cui non si conosce la lingua, bisogna esprimersi a tutti i costi. Inoltre la mancanza di un insegnante di “sostegno”, porta il parlante straniero a fare ricorso esclusivo alle proprie strategie individuali. L’allofono, in questo caso, “utilizza tutti i tipi di

17

Cfr. VEDOVELLI M., Fossilizzazione cristallizzazione, competenza di apprendimento

spontaneo, in Giacalone Ramat A. & Vedovelli M. ,1994.

18 Ivi. 19

Cfr. KRASHEN S., Second language acquisition and second languange learning, Pergamon, Oxford 1981.

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32

conoscenze possedute: da quelle linguistiche – della propria lingua ed eventualmente, di altre lingue – a quelle metalinguistiche, alla conoscenze del mondo”20.

In un contesto legato all’apprendimento, ossia in una classe di lingua straniera per intenderci, la situazione è invece molto diversa. Non solo non esiste un’impellente necessità comunicativa, ma è l’insegnante stesso che fornisce input selezionati e modelli pre-ordinati su cui gli studenti possano esercitarsi per imparare ad usarli in maniera conforme alla norma, fin dal principio. L’apprendimento quindi si realizza “sotto forma di attività in cui il discente si impegna ad acquisire determinate conoscenza della L2 21.

Nei percorsi legati all’apprendimento, in virtù di uno studio volontario e consapevole, la “grammaticalità” della lingua viene presa in considerazione fin dall’inizio, per quanto nella moderna didattica comunicativa si cerchi, almeno sul piano teorico, di non assegnare alla grammatica un posizione centripeta rispetto a tutto il processo didattico, e di prediligere metodi e tecniche che portino lo studente ad assimilare la lingua nella maniera più spontanea possibile.

Durante il processo di acquisizione, vale a dire di assorbimento naturale, le prime fasi dell’interlingua sono caratterizzate invece da una sorta di “anarchia grammaticale” che si traduce, nella prassi comunicativa in una “lingua senza grammatica”. Ma solo apparentemente, secondo Sthepen Pit Corder esiste, nell’apprendente straniero, un “sillabo interno” il quale segue processi (almeno in

20 CILIBERTI A., op. cit., La Nuova Italia, Firenze 1994, cit. p. 10. 21 Ivi, p.11.

(33)

33

parte) prevedibili e che sono comunque indipendenti dai condizionamenti della L122.

Ancor prima che l’interlingua si manifesti in modo partecipativo sul piano internazionale, la maggior parte dei parlanti stranieri inizia il processo di assimilazione linguistica con un “periodo muto”, variabile da soggetto a soggetto, caratterizzato da scarsissima se non totale mancanza di interazione.

In questo periodo, avvertito in maniera meno traumatizzata da alcuni, più da altri , e per questo definito anche shock linguistico, lo straniero rigetta coscientemente l’input incomprensibile della nuova lingua; tuttavia formula ipotesi importanti relativamente a tutto ciò che riesce, faticosamente giorno dopo giorno, a comprendere.

Capita così che molti “stranieri silenziosi” si dilettino, in realtà, in “dialoghi

interiori” in cui esercitano importanti frasi di uso comune e strutture sintattiche.

Frasi che, una volta memorizzate, vengono impiegate nel periodo immediatamente successivo della sopravvivenza linguistica, attraverso un linguaggio del tipo formulaico.

Tuttavia, seppur più raramente, alcuni parlanti stranieri, per scelta o perché passati da situazioni fortemente legate al contesto in cui vivono, non attraversano alcun periodo muto e si cimentano in dall’inizio in discorsi formulaici, costituiti da una serie di espressioni e di routine conversazionali, finalizzate ad ottimizzare la gestione di una interazione di base.

22

Cfr. CORDER S.P., “The signifiance of learners’ errors”, in International Reiew of Applied

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34 1.7.1 Le prime parole

Mentre in un contesto di apprendimento è normalmente l’insegnante a stabilire, sulla base del lessico di frequenza, quali siano le prime parole a dover essere apprese, in un ambito di acquisizione, specialmente di un adulto, chi e in base a che cosa può decidere quali siano queste parole ?

Potrebbe certo trattarsi di parole incluse nel lessico di frequenza come strada,

libro o biglietto, ma potrebbe anche trattarsi di termini ben più rari nell’uso

quotidiano del parlante medio, come certificazione, piallare, calcestruzzo o quant’altro, perché direttamente legate all’universo esperienziale ( studio, lavoro o altro) del parlante straniero.

Mancando studi specifici che ci possano aiutare in questo senso (tutto quello che si possiede a riguardo è frammentario e assolutamente parziale) non rimanere, per il momento, che affidarsi alla logica e ipotizzare che un parlante straniero iniziale sia spinto a concentrare l’attenzione sugli elementi necessari alla sopravvivenza linguistica; elementi che solo in seguito egli modificherà e combinerà secondo le norme della grammatica della L2. In particolare si tratterà di elementi necessari a:

 richiamare l’attenzione: scusa, dimmi, senti, per favore;  riferirsi a persone, oggetti: io, tu, lui, signore, questo, quello;

 orientarsi nello spazio e nel tempo: dove, quando, vicino, lontano, lì, là,

qui,qua;

 negoziare al meglio lo scambio comunicativo: capito?, aspetta?,

grazie?,sì, no, così;

 gestire routine convenzionali di saluto/commiato: ciao come stai?,

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 esprimere valutazioni rudimentali: bello, brutto, grande, piccolo,

buono,cattivo;

 riferirsi alla propria attività lavorativa, che può essere estremamente variabile e , di conseguenza, non (facilmente) prevedibile. È stato così notato che lavoratori romeni e indiani, pur movendosi sul lessico ridotto, usavano rispettivamente, con disinvoltura e precisione, i termini

cazzuola e mungere, perché direttamente legati alla propria attività.

 varie: non ipotizzabile.

1.7.2 Le formule

Oltre alla parole sparse, non inserite cioè in frasi compiute, può succedere che in un’interlingua iniziale, un parlante straniero produca enunciati grammaticalmente corretti, senza tuttavia averne la consapevolezza. Può capitare per esempio di udire frasi del tipo: Come si chiama? Mi chiamo …, Vengo da … , Come stai?.,

Dove è andato ?. Si tratta solo di “stringhe prefabbricate di linguaggio”,

memorizzate senza alcuna riflessione analitica, che non sono indice di raggiunta creatività riflessione linguistica. Si tratta, cioè di sequenze di parole memorizzate in blocco, che danno luogo ad enunciati corretti sono incidentalmente.

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36 1.7.3 Aspetti morfosintattici

Se confrontata alla lingua di arrivo, l’interlingua iniziale si configura, dunque come una “lingua senza grammatica”. In particolare, per quanto riguarda l’Italiano Seconda Lingua, sono stati osservati alcuni fenomeni interessanti nelle produzioni dei parlanti stranieri. Per descrivere i quali ci si servirà di alcuni esempi che, se non diversamente specificato, si riferisco a lezioni tenute alla scuola di italiano “El Comedor Estudiantil – Giordano Liva” di Pisa. Gli esempi realmente prodotti sono scritti in corsivo e preceduti a un punto ( ), mentre quello verosimili, ma immaginati, vengono riportati semplicemente i caratteri corsivi.

Nelle prime fasi dell’interlingua si rivela, dunque quanto segue .

a) La flessione delle parole appare neutralizzata, così che gli elementi

lessicali vengono utilizzati in maniera indifferenziata:

io mangia, lui mangia o anche io vuoi , tu vuoi

 Io dorme qua … noi dorme qua … ( Tg1, Rai Uno, 25.12.2007).

b) I tempi o gli aspetti del verbo sono espressi con elementi lessicali

sostitutivi, legati al concetto di temporalità e di modalità. Nel caso della temporalità, tali elementi sono spesso costituiti da avverbi di tempo.

 Ma perché vai sempre a Piramide?

Sempre giorno riunione.

c) Le relazioni temporali fra le varie azioni vengono espresse rispetto il principio dell’ordine naturale , cioè secondo una rigida sequenza

(37)

37

cronologica, allo scopo di eliminare o ridurre al massimo i connettivi temporali, il corretto utilizzo dei quali potrebbe creare delle difficoltà. Con tale espediente il parlante straniero (iniziale) fa in modo che l’enunciato prodotto per primo, esprima l’azione che è avvenuta per prima. La frase: mangiare piazza, telefonare amico, varrà quindi verosimilmente per: prima ho mangiato la/una pizza e poi ho telefonato all’/a un amico o, anche: prima mangerò la/una pizza e poi telefonerò all’/a un amico.

Grazie ai connettivi temporali subordinativi quest’ordine naturale, può invece,venir sovvertito, per cui è possibile dire anche: prima di telefonare

all’/a un amico, ho mangiato/mangerò la/una pizza.

d) La copula fra un soggetto e il suo predicato è assente o assai sporadica,

come si evince dal seguente breve scambio dialogico fra un parlante bangladese di nome Bur (B) , giunto in Italia in un centro di accoglienza:

B: questo ?

Cappotto, questo è un cappotto. ( indicando una figura) B: Questo ( -- ) cappotto.

e) Le preposizioni e gli articoli sono scarsamente o per niente utilizzati.

D: Waund, dove usiamo il biglietto? W: Autobus.

D: Dove ancora ? W: Vado dottore.

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38

f) La negazione è espressa per lo più in forma olofrastica, tramite l’avverbio no23 che rimane, in qualche modo, staccato dalla frase, e sembra essere usato come semplice segnale discorsivo a introduzione di una frase negativa.

D: Tu telefoni alla tua famiglia ? W: Così così.

D: Perché, non ha soldi ? W : No soldi.

1.7.4 Aspetti pragmatico- semantici

Ogni enunciato che una parlante produce è costituito dall’unione di “qualcosa” che si dice a proposito di “qualcos’altro”, ossia da una parte “data” che contiene informazioni già note (o supposte tali) agli interlocutori, e una parte “nuova” che apporta invece informazioni ulteriori a quelle precedentemente acquisite. Ciò di cui si parla, l’argomento intorno a cui si dice qualcosa, è chiamato tema (o topic) dell’enunciato, mentre l’informazione che viene apportata a proposito di questo argomento ne costituisce il rema (o comment). La struttura informativa dell’enunciato è inoltre caratterizzata dal focus, che rappresenta l’elemento catalizzatore di tutto l’enunciato, quello che il parlante considera essere il centro di interesse comunicativo, l’informazione principale che gli preme maggiormente comunicare. Di solito il focus coincide con il rema della frase e più raramente con il tema 24.

23

Cfr. BERNINI G., “Gli stadi di sviluppo della sintassi e della morfologia della negazione in

Italiano L2” in Quaderni del dipartimento di Linguistica e Letterature Comparate, III (Università

di Bergamo) , 1996. 24

(39)

39

Le nozioni di tema, di rema e di focus ci spostano inevitabilmente dal campo della

grammatica, a quello della pragmatica. Ora l’interlingua può essere analizzata

anche da una prospettiva di ordine pragmatico (pragmatica interlinguistica). Il principio pragmatico di base, che ha più che fare con la struttura della frase è : il

tema viene per primo ( Maria scrive a Luisa) e il rema viene per ultimo (sono andato al cinema). Ma “il limite tra ciò che è noto fin dall’inizio (tema) e ciò che non è ancora noto ma lo diventa all’atto di produrre la frase (rema), varia secondo l’intenzione di chi parla e la conoscenza di chi ascolta”. 25

Nella frase: Maria è andata al cinema ieri con le amiche, si possono ipotizzare queste possibilità.

1) tema: Maria/ rema: è andata al cinema ieri con le amiche; 2) tema: Maria è andata / rema: al cinema ieri con le amiche; 3) tema: Maria è andata al cinema / rema: ieri con le amiche; 4) tema: Maria è andata al cinema ieri / rema: con le amiche.

In tal caso ogni enunciato inserito nella sequenza dialogica, può essere considerato come la risposta ad una domanda, e tutte le risposte possibili a quella domanda costituiscono il rema della frase. Nella frase: che cosa ha fatto ieri

Maria?, il rema è costituito da tutte le azioni che può aver compiuto Maria ( ha

studiato, ha passeggiato, è uscita con le amiche …); nella frase: dove è andata ieri

Maria? , il rema è rappresentato da tutti i posti in cui può essere andata ieri Maria

( al cinema, a teatro, in biblioteca …); nella frase: quando è andata al cinema

Maria?, il rema è costituito da qualsiasi momento nel passato in cui Maria è

potuta andare al cinema ( ieri, l’altro ieri, la settimana scorsa …); infine, nella

25 Ivi.

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frase: con chi è andata al cinema ieri Maria?, il rema è costituito da tutte le persone con le quali Maria può essere andata al cinema ieri ( le amiche, i genitori, il fidanzato …).

Ora, in un interlingua iniziale ( o comunque non avanzata), questo ordine delle parole generalmente rispettato per cui l’enunciazione dell’argomento, il tema, viene posto in rilievo grazie alla sua posizione iniziale; ad esso segue una eventuale “pausa di compensazione” per gli elementi che il parlante straniero non riesce ad introdurre; segue infine il rema che costituisce un commento che va ad aggiungersi al tema esposto.

Nell’ipotetica frase: Mario andato Giovanni, potremmo affermare con una certa sicurezza che è stato Mario ad andare da Giovanni e non viceversa. Il parlante straniero iniziale non possiede i mezzi linguistici per porre il risalto il focus dell’enunciato, vale a dire l’elemento informativo al quale si dà maggior rilievo perché considerato il più importante. L’unica cosa che egli è in grado di fare è rispettare il principio pragmatico di base, attraverso l’ordine delle parole. Principio pragmatico che invece i nativi (e anche i parlanti stranieri che abbiano raggiunto competenze adeguate) riescono a “ violare” senza problemi.

Il concetto che Mario è andato da Giovanni, può assumere allora varie forme e sfumature diverse, a seconda dell’elemento che si vuole porre maggiormente in rilievo, attraverso vari fenomeni di focalizzazione, espressione dell’enfasi nelle sue forme più evidenti:

È Mario che è andato da Giovanni/Da Giovanni , è andato Mario/Da Giovanni c’è andato , Mario/ Mario, da Giovanni è andato/ C’è andato Mario, da Giovanni/ È andato da Giovanni, Mario/ C’è andato , Mario, da Giovanni.

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I parlanti stranieri iniziali, quindi, seguono il principio pragmatico di base per cui

l’elemento che esercita il maggior controllo sulla frase, e che catalizza maggiormente l’attenzione dell’interlocutore, viene posto per primo.

Alla mia domanda:

- Dove vai a mangiare? Abdlkadir rispose con naturalezza:

- Caritas; ristorante, no soldi.

L’enunciato di Abdulkadir, ospite in un Centro di Accoglienza, è in realtà piuttosto complesso: a volerlo “portare in superficie” per mezzo di una struttura ben costruita, esso risulta infatti composto di tre frasi, di cui una principale e due subordinate, rispettivamente di I e II grado: vado alla Caritas perché non ho soldi

per andare al ristorante. Ma Abdulkadir non dispone di mezzi linguistici

sufficienti per costruire una struttura di questo tipo. Egli non riesce a portare agevolmente “in superficie” i concetti (almeno tre) che sottendono alla struttura profonda del suo messaggio:

1) non ho soldi, 2) mangio alla Caritas, 3) non mangio al ristorante.

Si esprime allora per “blocchi di significato ” inserendoli in una sequenza pragmatica di base. Con la prima frase egli dà una risposta rematica lasciando sottinteso il tema dell’enunciato (ossia l’azione di andare a mangiare), che essendo già noto agli interlocutori può essere “scrollato di dosso” : “ (vado a

mangiare alla) Caritas”. Subito dopo introduce un suo tema (ristorante),

ponendolo all’inizio dell’enunciato, e ad esso aggiungere un commento (la mancanza di soldi) che costituisce il rema e che viene espresso per ultimo.

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