• Non ci sono risultati.

la follia di don Chisciotte: medicina, sociologia e psicanalisi

N/A
N/A
Protected

Academic year: 2021

Condividi "la follia di don Chisciotte: medicina, sociologia e psicanalisi"

Copied!
97
0
0

Testo completo

(1)

1

LA FOLLIA

DI

DON QUIJOTE

“Y así, del poco dormir y del mucho

leer, se le secó el celebro de manera

que vino a perder el juicio”

1

.

1

Miguel de Cervantes, “Don Quijote de la Mancha”, edición del instituto cervantes 1605-2005, dirigida por Francisco Rico, Galaxia Gutenberg, Circulo de lectores, centro para la edición de los clasicos españoles, cap. I, p. 42, vol. I.

(2)

2

EL SIGLO DE ORO : TRA RINASCIMENTO E BAROCCO

Il periodo storico che fa da sfondo al presente lavoro comprende l’epoca che va dal Rinascimento al Barocco, il cosiddetto “Siglo de Oro” della letteratura spagnola. Esso, si protrae dai primi del cinquecento a tutto il seicento, e corrisponde alla fase della maggior gloria politica e militare del paese, che era da poco giunto all'unità con la conquista di Granada. Indicativamente, è definita Rinascimento la prima parte, Barocco la seconda.

Ma durante le ultime decadi del XVI secolo e per tutto il XVII secolo, la Spagna si trovò a fare i conti con una profonda crisi economica, politica e sociale, mentre l’ossessivo impegno nell’azione della Controriforma produsse l’estensione del potere del clero e della Corona, nonché il controllo capillare esercitato dal Tribunale dell’Inquisizione. Ciò impedí alla Spagna di condividere la modernità con altri Paesi europei, che si sviluppavano grazie anche alle scoperte scientifiche. Come spesso accade, nonostante decadenza, corruzione e miseria, l’arte e la letteratura produssero opere di straordinario livello, con le quali, si cercava di evadere dalla tristezza circostante. Nella letteratura in particolare, la percezione della precarietà si esprimeva in diversi generi e contenuti : la protesta satirica, l’atteggiamento ascetico, lo stoicismo, l’evasione verso l’estetica pura. Gli autori esprimevano nelle loro opere l’angoscia, il caos, i sogni, l’inconsistenza e la fugacità del tempo, la realtà fatta di apparenze, la costante minaccia della morte. Dalla riflessione su queste problematiche scaturisce il termine chiave che sintetizza l’epoca : IL DISINGANNO.

(3)

3

CERVANTES : UNA VITA DIFFICILE

Il tema oggetto del presente lavoro non può prescindere dalla ricostruzione dei momenti salienti della vita dell’autore, utili a comprenderne meglio il pensiero e la personalità. Questa, infatti, fu plasmata da difficoltà e da numerose sconfitte le quali, unitamente alla poca fortuna, generarono in Cervantes disinganno e amarezza. Ma, come è noto, spesso dalla sofferenza e dalle difficoltà nascono grandi imprese, grandi opere, grandi ingegni.

Nella memoria collettiva le immagini principali che ancora oggi identificano Cervantes sono tre : il combattente di Lepanto, il prigioniero di Algeri, l’autore del Quijote.

Molti lati della sua vita restano oscuri. Ad esempio, non possediamo notizie sull’infanzia e l’adolescenza. Inoltre, perdiamo le sue tracce a più riprese. Ignoriamo anche le ragioni effettive di molte delle sue decisioni : la partenza per l’Italia; l’imbarco sulle galere di don Juan de Austria; il matrimonio con una ragazza di vent’anni più giovane di lui; l’abbandono del domicilio

(4)

4 coniugale, dopo tre anni di convivenza; il ritorno alle lettere, dopo un silenzio di quasi vent’anni. Oltre a ciò, alcune delle sue opere sono andate perdute; Miguel de Cervantes Saavedra nacque ad Alcalá de Henares, ma non conosciamo l’esatta data di nascita. L’atto di battesimo ritrovato risale al 9 Ottobre 1547 e il nome dello scrittore potrebbe far pensare al 29 settembre, giorno di San Michele. Oppure, egli potrebbe essere nato una settimana dopo rispetto a questa data, ed essere stato battezzato subito. Anche la seconda opzione è da tenere in considerazione, se si pensa che, secondo l’uso del tempo, era necessario non ritardare il battesimo dei neonati a causa dell’elevata mortalità infantile.

Il padre di Miguel, Rodrigo, era una personalità debole e riservata. Figlio di un illustre avvocato, era sordo dalla nascita e meno disinvolto e capace degli altri due fratelli, entrambi più grandi di lui. Le responsabilità familiari gli imposero presto di guadagnarsi da vivere. A causa della sua infermità Rodrigo non potè seguire le orme del padre, studiare e laurearsi come lui. Decise allora di diventare medico chirurgo ed esercitò la professione inizialmente ad Alcalá de Henares. Rodrigo probabilmente ereditò la conoscenza della medicina dal nonno materno, il dottor Torreblanca, che a sua volta discendeva da una rinnomata dinastia di medici. Ma l’umile posizione che era riuscito a costruirsi, e che a quei tempi corrispondeva all’ultimo gradino della gerarchia medica, fa supporre che egli preferì tacere l’illustre lignaggio. Tale occupazione era disprezzata all’epoca, poiché essa implicava all’occorrenza di svolgere anche la mansione di barbiere. Egli era cioè considerato poco più di un modesto artigiano. Rodrigo sposò Leonor de Cortinas nel 1542. Questo matrimonio fu contrastato dalla famiglia di lei, una donna intraprendente e istruita per l’epoca, dal forte carattere. Il padre di Rodrigo restò indifferente alla notizia delle sue nozze. Leonor fu madre di 7 figli, di cui uno morirà in fasce. Miguel fu il quartultimo. Un errore sul lavoro, indusse Rodrigo a spostarsi a Valladolid con tutta la famiglia. Per lui, questa città significava la prospettiva di una clientela più vasta e benestante. Da questo momento in poi, Rodrigo si troverà costretto a vagabondare per tutta la Spagna. Questo aspetto del viaggio, dei continui

(5)

5 spostamenti, sembra caratterizzare la famiglia Cervantes. Le motivazioni di questi sono due : la prima, un’esistenza difficile. La seconda, possibile la contiguità con l’ambiente converso, sebbene vi siano prove che attestino la “limpieza” di Cervantes.

A Valladolid, le cose non andarono come Rodrigo sperava. Incarcerato nell’estate del 1552, per non aver potuto pagare un creditore che gli aveva prestato soldi a usura, si vide sequestrare quel poco che possedeva. Nella primavera del 1553, un’altra partenza coinvolse la famiglia Cervantes, verso Alcalá. Miguel aveva sei anni. Sempre nello stesso anno, sarà la volta di Cordova, dove Rodrigo incontrerà il padre, con il quale riallaccerà i rapporti. Sembravano arrivati momenti migliori per la famiglia. Per Miguel, Cordova rappresentò tre cose : la scuola, il teatro e la vita picaresca. Infatti, è qui che egli imparò a leggere e a scrivere. La lettura lo appassionava molto già dall’età di sei anni. Inoltre, fu impressionato dagli spettacoli di marionette, come prova l’episodio di Mastro Pietro nel Quijote. Cordova sarà però anche la città in cui Miguel conoscerà la malavita.

Nel frattempo vennero a mancare i suoi nonni paterni. La prossima tappa fu Siviglia, dove Rodrigo rimase per due anni amministrando case in affitto. Miguel, aveva diciotto anni e in lui l’interesse per il teatro cresceva, forse per l’influsso di un vicino di casa come Lope de Rueda. Un’altra amarezza però stava invadendo l’anima di Rodrigo, che si trovò coinvolto ancora una volta in una causa per debiti. Egli decise allora di partire per Madrid, la nuova capitale di Filippo II. Questa tappa fu fondamentale e ricca di eventi. Miguel qui scrisse le prime poesie e incontrò López de Hoyos, grande umanista, dal quale egli apprese segretamente le lezioni di Erasmo da Rotterdam. Nell’Ottobre del 1568, scrisse l’elegia per la morte della Regina.

L’improvvisa partenza dello scrittore per Roma, è spiegabile solo alla luce di una vicenda drammatica che lo vide protagonista : egli, infatti, a Madrid ferì un certo Antonio de Sigura, un capomastro di origine contadina, forse sotto i portici del Palazzo Reale. Miguel, fu condannato al taglio della mano destra da

(6)

6 eseguirsi in pubblico e bandito per dieci anni dal regno. Riuscì con la fuga ad evitare almeno l’amputazione. Negli ultimi mesi del 1569, a Roma, Miguel diventò servitore di monsignor Acquaviva, giovane patrizio italiano che dopo poco fu nominato cardinale. Ma questa esperienza durerà poco, poiché Cervantes decise di intraprendere la carriera militare e di far parte della Lega Santa agli ordini di don Juan de Austria. Si imbarcò come archibugiere sulla galera Marquesa, comandata da don Diego de Urbina. Egli fu sicuramente impressionato dallo spettacolo che aveva d’innanzi a sé : era una flotta gigantesca quella raccolta nel porto siciliano di Messina!

Quando tutto fu pronto, la flotta della Lega Santa dovette fare i conti con una tempesta che la costrinse a restare in porto. Il 16 Settembre del 1571 lasciò finalmente Messina. Quando il 6 Ottobre essa si trovò presso il canale di Lepanto, Cervantes era disteso su un giaciglio infestato dagli insetti, tremante di febbre a causa del mal di mare e della malaria. Nel frattempo la flotta turca uscì dal suo nascondiglio, e a mezzogiorno un primo scambio di colpi di cannone segnò l’inizio della battaglia. Nonostante le cattive condizioni di salute, Miguel, con grande coraggio si presentò sul ponte per combattere con i suoi. Agli amici e al capitano che lo pregavano di mettersi al riparo, egli rispose che preferiva morire combattendo per Dio e per il suo Re, piuttosto che mettersi al riparo sotto coperta e badare alla sua salute. Cervantes combattè, infatti, valorosamente. I tre colpi di archibugio che lo ferirono, lasciandogli fra l’altro la mano sinistra anchilosata per sempre, saranno per lui motivo di orgoglio e di gloria. I primi due lo colsero al petto, il terzo alla mano sinistra, come abbiamo appena detto.

La morte di Alì Pascià, il comandante della flotta turca, impresse una svolta alla battaglia, Infatti, poco dopo il nemico turco fu facilmente sconfitto. La notizia della vittoria scosse tutto l’Occidente. Il 31 Ottobre, di ritorno alla base, Miguel fu ricoverato in ospedale a Messina. Il 24 aprile egli uscì dall’ospedale senza avere più l’uso della mano sinistra. Ma non si scoraggiò, e riprese servizio stavolta agli ordini di un nuovo capitano, don Manuel Ponce de León, pronto per una nuova campagna militare. I preparativi andarono per le lunghe

(7)

7 per due motivi : la morte di Pio V, ispiratore della Lega Santa, e le reticenze di Filippo II, preoccupato dalla rivolta nelle Fiandre e dall’estensione della pirateria barbaresca. Il Re prudente era restio a lanciare un’offensiva contro i turchi. Le cose non si misero bene per la flotta spagnola, la spedizione fu condotta male. Si sperò allora in una campagna decisiva. Ma Venezia firmò una pace separata segreta con il sultano a cui cedette Cipro, con il conseguente sconcerto degli alleati. Le condizioni generali della flotta non erano delle migliori, bisognava colpire direttamente il nemico : Algeri come credeva Cervantes, o Tunisi, come pensava don Juan? Alla fine il Re dette ascolto al generalissimo, e nel ’73 le truppe sbarcarono sulla costa tunisina. Con una scusa, Filippo II allontanò don Juan dal teatro operativo, mentre i turchi preparavano la rivalsa, facendo capitolare gli avversari il 25 agosto. Gli aiuti chiesti da don Juan al Re per fronteggiare la potente flotta turca, furono negati a causa di una crisi finanziaria che incombeva sul Paese.

Del suo soggiorno in Italia, Cervantes ricorderà con affetto Napoli, la città che più gli resterà nel cuore. Dall’inizio del Rinascimento scrittori e artisti si recavano in Italia per attingere alle fonti dell’Umanesimo. Lo stesso fece Cervantes da autodidatta inserendosi nei cenacoli di Napoli, dove lo introdusse un amico, Laínez. Le sue letture si concentravano su Petrarca, ma soprattutto sui grandi poemi cavallereschi : L’Orlando innamorato di Boiardo e l’Orlando

furioso di Ariosto, con predilezione per il secondo. Ma anche il Decamerone di

Boccaccio e come genere pastorale, l’Arcadia di Sannazaro; inoltre, Leone Ebreo e i suoi Dialoghi d’amore.

Cervantes lasciò l’Italia per rientrare in Spagna. Per il momento non era richiesto il suo servizio dal Re e inoltre la famiglia doveva affrontare ancora una volta problemi finanziari. Partì da Napoli imbarcato sulla galera El Sol diretta a Barcellona, con due lettere di raccomandazione del duca di Sessa e di don Juan. La galera fu però sorpresa dai corsari barbareschi e i suoi passeggeri fatti prigionieri e condotti ad Algeri. Questa esperienza di prigionia segnerà nel profondo Miguel. Saranno le proiezioni letterarie della sua prigionia, come le due commedie dal titolo evocativo, La vita ad Algeri e I bagni d’Algeri,

(8)

8 nonché il racconto del Prigioniero intercalato nel Quijote, a trasmettere i sentimenti personali di chi aveva vissuto tale esperienza. I prigionieri venivano venduti all’asta, sorte che all’autore sarà risparmiata grazie alle lettere prestigiose che portava con sé, le quali però fecero pensare ai corsari di avere fra le mani un personaggio importante per il cui riscatto avrebbero potuto chiedere una cospicua somma di denaro (500 scudi d’oro). La famiglia a fatica riuscirà a raggiungere tale cifra.

I primi mesi di prigionia, non furono poi così duri. Miguel aveva ottenuto il permesso di andare e venire dalla città durante il giorno e fu così che egli scoprì un mondo mai immaginato prima. Cervantes, grande osservatore, descrive la realtà che vede come una società aperta e variegata : i turchi amministratori e militari, i corsari, la massa dei prigionieri, fra cui gli schiavi neri e una colonia di ebrei con una propria identità. Mori e cristiani coabitavano pacificamente. Questa era una novità agli occhi di Cervantes, e sicuramente ad Algeri egli imparò a superare i pregiudizi. Infatti, si ricorderà di questa tolleranza, per esempio, quando racconta degli amori fra il prigioniero e la bella Zoraida e ne Los baños de Argel. Rifletterà sull’armonia fra comunità religiose diverse, quando Filippo III decreterà l’espulsione in massa dei moriscos nel 1609. Più volte Cervantes tentò di evadere dalla prigione ma non ci riuscì. Le pene inflitte a chi tentava questo tipo di operazione erano dure. Ma come sappiamo, Miguel era considerato un prigioniero d’eccezione, per cui con lui si eviteranno le torture. Dopo quattro tentativi di fuga andati falliti, nel 1580, Cervantes fu finalmente libero. Erano trascorsi cinque anni e un mese. La sua libertà, la doveva soprattutto agli sforzi della madre e dell’ordine religioso dei trinitari.

Al ritorno in Spagna, egli si dedicò alla stesura della Galatea (1584, Alcalá), opera che appartiene al genere pastorale, in voga nell’Europa rinascimentale a scapito dei romanzi cavallereschi che non rispondevano più ai gusti dell’epoca. Ricordiamo al riguardo, la Diana di Montemayor, pietra miliare di questo genere letterario. Nell’impossibilità di lavorare a Corte, Miguel, era costretto a vivere della sua penna. Madrid, in questi anni dava ampio spazio alle

(9)

9 rappresentazioni. Cervantes si accorse dei cambiamenti in ambito teatrale. Gli

autos religiosi furono rafforzati, contemporaneamente vi era lo sviluppo di un

teatro profano, si costruirono i primi corrales, palcoscenici permanenti, installati in cortili interni di abitazioni per spettacoli drammatici.

Per quanto riguarda gli amori di Cervantes, non sappiamo molto. Sembrerebbe aver concepito una figlia naturale, Isabel, con una certa Ana Villafranca, conosciuta anche come Ana Franca de Rojas, della quale sappiamo che era figlia di un commerciante di lane, più piccola dello scrittore di vent’anni, nata a Madrid. La morte di una zia, le procurò una cospicua eredità. Nel 1580 Ana, aveva sposato, a sedici anni, un commerciante asturiano con il quale aveva aperto una taverna frequentata da impresari ed attori, ma anche da Cervantes. Deceduto il suo amico Laínez, Miguel si recò ad Esquivias, ai confini con la Mancia, dove incontrò la giovanissima figlia di lui, Catalina de Salazar. Egli se ne invaghì subito, per diventarne poco dopo legittimo sposo il 12 Dicembre del 1584. Nel 1585 Cervantes si stabilì presso i Salazar. Quella di Esquivias era una vita tranquilla, sedentaria, nulla a che vedere con quella che lo scrittore conduceva a Madrid. Cervantes si sposterà da qui a Madrid sia per far conoscere ai suoi ormai anziani genitori la moglie, sia per la morte del padre. Ma dopo meno di tre anni di convivenza, Cervantes abbandonò il tetto coniugale. Si era forse stancato di quella “Arcadia”? Parlare del tempo, del vino e dell’olio davanti al focolare non lo soddisfaceva più? Forse nemmeno spulciare gli illustri lignaggi dei Salazar, sebbene uno dei loro antenati dovesse suscitare curiosità in lui : egli apparteneva al lignaggio dei Quijadas! questo antenato della famiglia era un monaco, morto più di mezzo secolo prima, gran lettore di romanzi cavallereschi. Il suo nome era Alonso Quijada. Strana coincidenza!

Il malessere di Cervantes sotto il tetto coniugale cresceva sempre più, fino al punto da farlo entrare in una crisi di ispirazione che bloccherà la sua produzione letteraria. Decise così di staccare da tutto e da tutti, partendo per Siviglia. Nel settembre del 1587, egli divenne commissario agli

(10)

10 approvvigionamenti delle galere del Re. Questo incarico era frustrante per lo scrittore e inoltre non veniva compensato il suo impegno in termini adeguati. Nello specifico, la nuova occupazione di Cervantes consisteva nel requisire il grano destinato alla flotta in cambio di un risarcimento. Egli iniziò ad Écija, cittadina situata a venti leghe da Siviglia. Questo compito gli creò dei problemi con i contadini andalusi ai quali doveva requisire il grano, poiché essi non si vedevano ricompensati subito, ma solo dopo mesi di attesa. Cervantes riceverà una scomunica dal vicario generale di Siviglia, a causa delle violente discussioni con alcuni notabili di Écija, già provati da un cattivo raccolto e in attesa del pagamento di una requisizione. Inoltre, Cervantes aveva requisito il grano a certi ricchi proprietari terrieri, fra i quali, figuravano alcuni nobili canonici. Anche a Cordova, egli ricevette una scomunica da parte del vicario della città, per aver fatto imprigionare un sacrestano che si era opposto alla requisizione. Nell’estate del 1588, egli aveva il compito di requisire l’olio. Cervantes iniziava a comprendere il mondo contadino e imparava a saper trattare con esso, tanto da ricevere l’incarico di riscuotere le tasse che il Tesoro reclamava ai ricchi contadini della cittadina. Tale conoscenza, gli sarà utile per redigere il Quijote.

L’autore del Quijote, dunque, viveva momenti di tensione ancora una volta : i debiti aumentavano, poiché egli non percepiva salario e non riusciva a mantenere le promesse d’indennizzo fatte ai contadini a cui aveva requisito i granai. Per gestire la loro resistenza e quella di Portocarrero, che difendeva i loro interessi, Cervantes si appellò a Guevara, commissario generale, il quale cercò di mettere ordine. Portocarrero, approfittandosi di una momentanea assenza di Cervantes, lo accusò di malversazione. Cervantes avvisato da Guevara, ritornò subito a Écija. Per ordine reale gli venne chiesto di mostrare la quantità di grano che aveva fatto uscire dalla città. Cervantes, riuscirà a dimostrare che aveva agito con diligenza e non si avvierà alcun processo. Nell’estate del 1591, Cervantes era a Granada per svolgere le solite mansioni di requisitore. Leonor, la madre di Cervantes, moriva nel 1593. Fu un duro colpo per Miguel perdere colei che tanto si era adoperata per liberarlo dalla prigionia.

(11)

11 Nel 1594, Cervantes, si era impegnato nel compito di riscuotere a Granada le tasse arretrate per il Tesoro. A Siviglia, depositò in casa del commerciante Simón Freire, la somma raccolta. Quest’ultimo però fuggì con il denaro. Cervantes doveva rendere conto al Tesoro dell’accaduto. Il giudice Vallejo, abusando del suo potere, reclamò a Cervantes una somma superiore a quella d’origine. Lo sfortunato scrittore, naturalmente non potè restituire la somma richiesta e per questo fu imprigionato a Siviglia. Il Carcere Reale di Siviglia, era unamaestosa struttura, le più grandi carceri di tutta la penisola. Egli, era di nuovo alle prese con la reclusione. Si fece coraggio e scrisse a Filippo II per denunciare la procedura arbitraria di cui era rimasto vittima. È probabile che fra le sbarre di Siviglia sia nata nello scrittore l’idea di scrivere il Quijote, secondo Jean Canavaggio2, in contrasto con l’opinione di altri cervantisti. Quest’ultimi, infatti, sostengono una stesura del capolavoro, o almeno dei suoi primi capitoli, durante la detenzione a Siviglia. Canavaggio osserva che Miguel trascorse solo pochi mesi in prigione, dunque non avrebbe avuto il tempo materiale per comporre l’intera opera o una sua parte significativa.

Uscito dal carcere, Cervantes visse come sempre di espedienti e si dedicò alla scrittura. Egli fu testimone della fine di un Regno, quando morì Filippo II nel 1598. Lo scrittore dedicò al Re un sonetto e un elogio funebre. Questo regno terminò con una crisi grave. In città come Madrid o Siviglia, trionfava l’oziosità, le strade erano piene di straccioni e mendicanti; vi erano inoltre, carestie dovute a raccolti disastrosi, il rialzo dei prezzi, lo squilibrio commerciale a causa del contrabbando straniero, la peste del 1599-1601 che decimò la popolazione. Nell’estate del 1600, Cervantes lasciò Siviglia colpita dalla peste, ormai cinquantenne. Terminarono dieci anni di vagabondaggi e difficoltà, le cui amarezze plasmeranno le armi che gli permetteranno di immortalare il suo nome.

Il nuovo Re, Filippo III era una figura piuttosto sbiadita, se lo si paragona al padre. Ciò che lo caratterizzava fortemente era la ripugnanza per l’esercizio del potere. Ventenne, gli interessava solo apparire. D’ora in poi tutto sarà un

2

(12)

12 pretesto per feste e divertimenti. Infatti, egli delegò il governo al suo ministro, il duca di Lerma, il quale presiederà per diciannove anni ai destini della Spagna, inaugurando l’epoca dei favoriti. Il duca diventò molto ricco grazie alle concessioni e ai privilegi che il Re gli garantì. La sua posizione era invidiata, ma allo stesso tempo causò scandalo perché la Spagna si trovava in pieno marasma economico e per di più rischiava la bancarotta. Nel 1601 la corte si trasferì a Valladolid. Questa era una città moderna e affollata, vi circolavano persone di tutte le estrazioni sociali. Cervantes seguì la corte e a sua volta si spostò a Valladolid, in una casa di fortuna della periferia della città assieme a famiglia e parenti vari : venti persone in tutto per tredici stanze. Cervantes, abituato alla scomodità, si consolava scrivendo, presto il Quijote sarebbe uscito alla luce.

Nei primi anni del XVII secolo, Valladolid si affermò come capitale indiscussa della cultura del regno. Grandi nomi vi circolavano : Góngora, Quevedo, Lope de Vega. Con quest’ultimo iniziarono i primi screzi, il rapporto fra Lope e Miguel si raffreddava sempre più. La riapertura dei teatri voluta da Filippo III fece di Lope il Re indiscusso del teatro e della “Comedia Nueva”. Il Fenix, rimproverava a Cervantes la trasgressione delle regole dell’arte. Dal canto suo, Cervantes, forse scrisse delle satire contro Lope, ferendolo nel vivo. Inoltre, sappiamo che egli non amava omologarsi, né tantomeno seguire la moda del momento, come invece faceva Lope;

All’inizio dell’anno 1605, nei primi giorni di gennaio, Cervantes pubblicò la prima parte del suo capolavoro. Nel prologo Miguel appariva smarrito, indeciso, non sapeva come iniziare. Sebbene egli giochi con il lettore, non è improbabile che egli sia stato assalito da seri dubbi lungo il percorso di redazione dell’opera a causa delle vicissitudini della sua esistenza avventurosa, che lo avevano obbligato a interruzioni a più riprese, costringendolo a riprendere ogni volta il filo del racconto. Questo può essere uno dei motivi delle contraddizioni all’interno del Quijote, sebbene Cervantes lo abbia revisionato durante l’estate del 1604. La prima parte dell’opera è dedicata ad

(13)

13 un giovane aristocratico, il duca di Béjar, il quale non fu un mecenate generoso.

Nel decidere di andare per il mondo con il suo cavallo e le sue armi a cercare avventure e fare quello che aveva letto facevano i cavalieri erranti, don Quijote suscita di fatto una questione importante : qual è il posto dei libri nella realtà? In che misura la loro esistenza ha importanza per la vita? L’hidalgo è disposto a scoprire a proprie spese l’ambiguità dei rapporti fra vita e letteratura.

All’inizio del romanzo, l’immagine che Cervantes propone di don Quijote, è quella di un signorotto qualunque, di un essere insignificante, dai contorni sbiaditi. Il narratore, infatti, non fornisce indicazioni precise sul luogo di nascita del protagonista, né sulla sua età. Nemmeno sul nome possediamo indicazioni precise. Certa è invece la sua brusca metamorfosi : lustrando l’armatura arrugginita dei suoi antenati, innalzando il suo umile ronzino alla dignità di un nobile cavallo, battezzandosi con un nome pomposo mai udito prima, egli accede ad una nuova esistenza, che d’ora in avanti gli appartiene e nessuno gliela potrà negare. Purtroppo, che lo voglia o no, don Quijote è figlio del suo tempo, e sono gli abusi della società in cui vive che egli, come missione, si è proposto di riparare. Il suo errore è volersi servire di fantasmi del passato. I giganti che il cavaliere affronta sono soltanto dei mulini; l’elmo di Mambrino è in realtà una bacinella da barbiere; le ombre inquietanti contro cui si scaglia, dei penitenti vestiti di bianco. Ogni volta, è la realtà che distrugge le illusioni di don Quijote, eppure egli non cessa mai di credere alle sue chimere. La sua follia non è demenza, secondo Canavaggio, ma è “la monomania di uno spirito troppo sottile : un ingegnoso, vittima d’una immaginazione perturbata;..”3. Don Quijote, non è un personaggio che serve a Cervantes solo per far divertire il lettore e parodiare i modelli cavallereschi, c’è di più dietro la sua attraente figura fittizia. Quando, dopo la prima uscita, un contadino vicino di casa, lo riporta nel suo domicilio tutto ammaccato, don Quijote dirà di sapere chi è. Infatti, egli rivendica con ostinazione l’identità che si è costruito. Questo personaggio desidera portare avanti, contro tutto e tutti, il

3

(14)

14 progetto di un uomo libero, il cui dramma è quello di trovarsi incastrato fra due mondi, quello prosaico in cui è radicato e quello ideale verso cui si proietta instancabilmente. La realtà in cui il protagonista vuole far rivivere la cavalleria errante non è più quella dei libri che legge. Essa è più potente del suo sogno, finisce sempre per vincere sull’hidalgo. Dalla seconda uscita, Sancho, si unirà al viaggio avventuroso di don Quijote. Essi sono due esseri inseparabili contrapposti dalla rispettiva complessione4, tanto che il Romanticismo ha visto in Sancho l’incarnazione del reale, della prosa, e nel cavaliere, dell’ideale e della poesia. Opposizione forzata. Entrambi i protagonisti del romanzo si influenzano a vicenda man mano che la storia va avanti, i contorni delle loro figure si sbiadiscono sempre più fino a diventare una cosa sola. Inoltre essi contagiano tutti i personaggi che incontrano lungo il loro cammino. Le storie dei protagonisti si intrecciano con quelle degli altri personaggi, i piani si accavallano, i racconti si incastrano uno nell’altro. Cervantes si esprime attraverso gli pseudo-narratori, di cui il più importante è Cide Hamete Benengeli, ma al contempo si distanzia da lui con ironia.

Si dice che il Quijote inauguri il romanzo moderno. Cervantes infatti decide di lasciare libero il protagonista di raccontarsi da solo, e il lettore può scoprire la sua intimità direttamente dalla sue parole : ciò fa di lui un personaggio autonomo e moderno. Questa fu sicuramente una rivoluzione in campo letterario, che permise il successo del libro e la sua rapida diffusione. Tre mesi bastarono perché il Quijote battesse tutti i record di vendita e si stampasse anche oltreoceano. I lettori del XVII secolo lo percepivano come un libro soprattutto comico, scritto per far ridere e divertire. Infatti, secondo un aneddoto, il Re, vedendo uno studente scoppiare a ridere, avrebbe detto : “quello studente è fuori di sé, oppure sta leggendo la storia di Don Chisciotte”5

. Al contrario, oggi, noi sentiamo come tragica la solitudine di un eroe che Cervantes mostra incompreso da tutti. La follia dell’hidalgo costituisce per noi una fonte d’inquietudine.

4 Vedi cap. successivi

5

(15)

15 Proprio negli anni che vedono il successo di Cervantes e del suo capolavoro, accadde qualcosa che riportò l’amarezza nella vita dell’autore. Egli venne implicato ingiustamente in una storia d’omicidio, avvenuto sotto la sua casa di Valladolid. Anche se per poco, dovrà rivivere l’esperienza del carcere. Uscito, a causa della sua riputazione macchiata, decise di lasciare la città. Cervantes in compagnia di Catalina e delle sorelle, tornò a Madrid, dove era tornata la corte di Filippo III. Già sulla sessantina e stanco di combattere contro una vita difficile, entrò a far parte della congregazione degli Schiavi del Santissimo Sacramento, una confraternita devota che accoglieva molti uomini di lettere. Dopo il 1609, egli dovette affrontare altri tre lutti, quelli delle sue sorelle Andrea e Magdalena e di una nipote. Nel 1613, ad Alcalá, diventò novizio del Terz’Ordine. Questa nuova tappa spirituale non impedì a Cervantes di scrivere le Novelle esemplari, che dedicherà al conte di Lemos. Ma già nel 1610, Miguel si vide chiudere nuovamente una porta in faccia. Il settimo conte di Lemos, nipote del duca di Lerma, uomo raffinato, protettore illuminato delle belle lettere, giovanissimo, era già vicerè di Napoli. Desideroso di portare a corte i più illustri letterati, chiese al suo segretario Argensola, anch’egli poeta, di scegliere quelli che lo avrebbero accompagnato in Italia. Cervantes sperava di essere tra questi, ma in realtà il segretario chiamò a corte degli artisti minori, per non essere messo in ombra. Dunque l’ennesima amarezza. Ma ancora per Cervantes non era giunta la fine delle ingiustizie. Infatti, nel 1614, quando terminò il suo Viaggio al Parnaso, un certo Avellaneda pubblicò la seconda parte del Quijote apocrifo. Cervantes, amareggiato, raddoppiò i suoi sforzi. Impiegò solo quattro anni per comporre la seconda parte del romanzo, la quale consta di 72 capitoli. Si è discusso molto su quale potesse essere l’identità di questo falsario, senza arrivare ad una risposta certa. Si è pensato ad uomini di lettere, come ad esempio Lope, vista l’inimicizia. Oppure ad un domenicano, Juan Blanco de Paz, che ad Algeri aveva preso di mira Miguel. O ad un altro domenicano ancora, Fray Luis de Aliaga, confessore del Re in persona. Ci si è domandati anche se davvero l’autore del Quijote apocrifo si chiamasse Avellaneda. Cervantes suggerì una pista, osservando che il linguaggio del falsario era aragonese. Si è creduto, infatti, che potesse trattarsi di Jerónimo de

(16)

16 Pasamonte, il soldato e scrittore, che Cervantes conobbe di persona ad Algeri e che lo ispirò per il personaggio del galeotto Ginés che appare nella seconda parte autentica. Egli era proprio di origine aragonese e scriveva per Lope. Queste restano comunque delle ipotesi, non possediamo prove al riguardo. Bisogna ricordare che all’epoca le opere apocrife erano molto diffuse. Il falso di Avellaneda, è aspro nei confronti di Cervantes. Egli si burla degli acciacchi della sua vittima : gli dà del vecchio e si prende gioco di lui per la perdita della mano. Ma non finisce qui, poiché egli colpisce anche la moglie di Miguel, Catalina, trattandola da conversa e sospettandola di infedeltà verso il marito. Le figure di don Quijote e di Sancho, sono coperte di ridicolo e per di più accompagnate da una vecchia prostituta, Barbara. Il viaggio del cavaliere si conclude poi in un ospizio per pazzi. Il libro di Avellaneda, sebbene si possa considerare un’opera riuscita, non disprezzabile, esso non ha niente a che vedere con il capolavoro di Cervantes, i cui personaggi principali sono esseri vivi, pieni di umanità. Egli non si perde d’animo neanche questa volta. Nel 1615, pubblicò la seconda parte del Quijote e la dedicò a Lemos. Il plagiario fornì il pretesto per il prologo alla seconda parte, in cui l’autore rispose con disprezzo alle affermazioni velenose del suo avversario. Nella seconda parte, Cervantes, ripagò con la stessa moneta l’impostore : don Quijote, infatti, incontra lungo il cammino due lettori del romanzo di Avellaneda, i quali mostrano l’opera al cavaliere e al suo servitore. Il primo lo sfoglia e nota tre falsità. Il nome di Teresa, la moglie di Sancho, è errato in quanto il falsario l’aveva ribattezzata con quello di María Gutiérrez. Sancho si vede vittima di una caricatura dalla quale prende le distanze, e così fa anche il cavaliere errante, che decide di cambiare la destinazione del suo nuovo viaggio per smentire l’impostore. In seguito, Cervantes, farà incontrare il cavaliere con uno dei personaggi inventati dal plagiario, Don Álvaro Tarfe. Quest’ultimo, grazie alle parole di Sancho, dovrà ricredersi e riconoscere che i veri don Quijote e Sancho Panza sono quelli che ha davanti ai suoi occhi, non quelli descritti da Avellaneda. In questa terza e ultima uscita, la coppia inseparabile del servo e del padrone è diretta a Barcellona. Questa seconda parte lascia spazio a vicende più malinconiche che comiche. Fra le prime avventure risaltano l’arrivo al

(17)

17 Toboso e l’incantamento di Dulcinea, la sfida con il Cavaliere del Bosco, la discesa nella grotta di Montesinos ed il teatrino di Mastro Pedro. Poi la sosta nel palazzo del Duca e della Duchessa, i quali, per divertirsi a spese del cavaliere e del suo scudiero, li rendono protagonisti di una serie di peripezie organizzate da loro : il disincantamento di Dulcinea, la cavalcata di Clavileño, il governatorato di Sancho a Barataria. Durante la visita a Barcellona, dopo la scoperta della seconda parte del libro apocrifo, don Quijote è vinto dal Cavaliere della Bianca Luna e costretto a ritirarsi dalle armi per un anno. Il Cavaliere dalla Triste Figura, torna al suo paese e muore dopo aver recuperato la ragione.

Se nella prima parte, vi è uno scontro, una separazione netta fra, l’illusione del protagonista e la realtà che lo circonda, adesso il cavaliere si muove in un mondo di apparenze che riflette il suo mondo interiore. I confini fra l’essere e l’apparire non sono chiaramente visibili;

Gli ultimi anni di Cervantes sono caratterizzati dal suo impegno su due fronti. In ambito spirituale, egli adempì, ai doveri che l’Ordine religioso di cui faceva parte gli imponeva. La scrittura costituì l’altra sua occupazione sistematica. Il cerchio dei parenti intorno a lui si restrinse sempre più. Le sorelle, come sappiamo, non c’erano più, e una nipote decise di andare a vivere da sola, mentre Isabel non aveva più rapporti col padre. Miguel, abbiamo detto, scriveva. Infatti stava preparando la sua ultima opera : Los trabajos de Persiles

y Sigismunda, pubblicata postuma nel 1617. In realtà, anche in questo caso,

Cervantes, aveva dovuto lavorare a più riprese prima di portare a termine il progetto. Già nel 1613, annunciava la futura uscita del Persiles nel prologo alle

Novelle esemplari. Lo stesso ribadì un anno dopo, nel Viaje al Parnaso. Infine,

nella dedica del Quijote a Lemos, gli anticipò la prossima dedica, quella del

Persiles, che aveva quasi terminato. Egli scriverà fino alla fine dei suoi giorni,

senza riuscire a vedere questa sua ultima opera pubblicata. E molto altro avrebbe voluto fare quest’uomo instancabile, come il personaggio che aveva creato, ma la malattia di cui soffriva da un paio d’anni, l’idropisia, lo portò alla morte, avvenuta a Madrid il 22 Aprile 1616.

(18)

18 Il Quijote è un romanzo ricco di cultura in senso lato. La scienza, ne occupa una parte cospicua, infatti, è stata notata una correlazione tra la follia di don Quijote e alcune teorie mediche rinascimentali. In particolar modo Cervantes, sembrerebbe essersi ispirato ad un trattato di medicina del XVI secolo, il cui autore è Juan Huarte de San Juan. Anche in questo caso è necessario partire da qualche nota biografica.

BIOGRAFIA DI JUAN HUARTE DE SAN JUAN

Sebbene studiosi come R. Sanz e Mauricio de Iriarte6, fra altri, siano riusciti a fornire una considerevole documentazione sulla vita di Huarte, rimangono ancora oggi molti punti oscuri. Le notizie disponibili sono frutto delle poche testimonianze reperite e di ipotesi, relative soprattutto al ceto sociale e alla religione della famiglia dell’autore. Egli avrebbe potuto, infatti, far parte della minoranza dei conversos (ebrei, o musulmani o loro discendenti convertitisi al cristianesimo, in particolare durante il XIV e XV secolo) o appartenere ad una famiglia nobile. Nemmeno sul nome gli studiosi concordano. Le firme che l’autore utilizza più frequentemente sono Juan de San Juan e Juan Huarte de San Juan, precedute sempre dal titolo di dottore. Anche sulla data di nascita, non vi sono notizie. Conosciamo soltanto cinque date con sicurezza : la nascita della sua prima figlia (1564), il contratto come medico a Baeza per due anni (1571-72), la pubblicazione della prima edizione del libro (1575), la nascita della sua ultima figlia (1576) e la morte (1588). Se ci si attiene agli elenchi delle matricole universitarie, è possibile collocare la data di nascita intorno al 1529. Egli nacque a San Juan del Pie del Puerto, un villaggio navarrese conteso alla Spagna dalla Francia, che in quegli anni venne abbandonato da Carlo V. I portuensi che decisero di emigrare erano considerati stranieri sia in Spagna sia

6

Ricardo Sanz, introduzione alla sua edizione dell’Examen de ingenios para las ciencias, Madrid, 1930, pp. VIII-XVI; Mauricio de Iriarte, El doctor Huarte de San Juan y su Examen

de ingenios. Contribución a la Historia de la Psicología Diferencial, Madrid, 1948, terza ed.

(19)

19 in Francia. Questo fu probabilmente il caso della famiglia di Huarte, che si stabilì a Baeza (Andalusia). Qui egli frequentó l’università e ottenne la licenza in Arti. In seguito, decise di studiare medicina ad Alcalá, dove si licenzierà nel 1559 con ottimi risultati. Allora la Facoltà di medicina di Alcalá era uno dei centri del galenismo cosiddetto “umanista”, riformulato sui testi antichi e aperto al confronto con le osservazioni anatomiche. Le cattedre di Anatomia, infatti, cominciavano a diffondersi nelle Università. Sarà Pedro Jimeno, uno dei più grandi anatomisti d’Europa, a insegnare la disciplina a Huarte. Insieme a Jimeno, altri grandi nomi erano presenti in quella che diventerà, grazie a loro, un’illustre facoltà. Andrés Laguna (medico e botanico, servì Carlo V e Filippo II), Alfonso Lopez de Corella ( medico e filosofo, famoso per le sue opere sul tifo e i commenti a Galeno), Francisco Vallés e Cristobal de Vega, entrambi grandi anatomisti.

Si trasferí poi a Tarancón, vi abitó per sei anni e prima del 1564 si sposó con doña Agueda de Velasco, dalla quale ebbe sei figli. La redazione dell’Examen

de ingenios para las ciencias, sua unica opera, fu conclusa entro il 1574. Il

libro fu pubblicato a Baeza il 23 febbraio 1575. Tornó nella cittadina per esercitare la professione di medico e morí a Linares il 25 novembre del 1588.

(20)

20

HUARTE E L’EXAMEN DE INGENIOS PARA LAS CIENCIAS

L’examen de ingenios para las ciencias di Huarte, pubblicato nel 1575 a Baeza, riscosse notevole successo in Spagna e in Europa. È stato ritenuto un’opera anticipatoria di tre scienze : la psicologia differenziale (che si occupa dello studio delle differenze individuali), l’orientamento professionale e l’eugenetica. Questo trattato medico-filosofico, si proponeva un miglioramento della società attraverso la selezione dell’istruzione adeguata ad ogni individuo secondo le attitudini fisiche e intellettuali, derivate dalla costituzione somatica e psicologica specifica di ognuno. Secondo Huarte, era necessario unire arte e natura per formare un grande Stato. Infatti, l’uomo si trova ad avere un tipo di ingegno, stabilito dalla natura, e deve coltivare l’arte e la scienza che più si addice ad esso, per contribuire alla formazione di una monarchia solida e potente. Per questo motivo, egli studiò i diversi temperamenti umani a partire dalla teoria dei quattro umori, e indicò per ogni tipo di indole la professione e gli studi da intraprendere. Huarte utilizzò molte fonti per il suo Examen. In campo medico, Ippocrate e Galeno, in quello filosofico Platone e Aristotele, poi classici come Orazio, Demostene, Giovenale ed altri, ma anche la Bibbia. Nonostante l’immediato successo conseguito, come già abbiamo detto, il trattato dovette fare i conti con alcune critiche e soprattutto con l’Inquisizione, che mise l’Examen all’Indice (1584). Infatti, l’edizione di Baeza del 1594 fu epurata da alcuni passaggi. Il motivo principale della correzione fu la difesa, da parte di Huarte, delle relazioni organiche fra cervello e intelletto. In relazione a questa tesi, l’Inquisizione aveva creduto che Huarte negasse l’immortalità dell’anima, mentre egli ne negava solo la dimostrabilità.

L’opera è rilevante per questo lavoro, in quanto influì nel disegno dei caratteri di alcuni personaggi fittizi, come i protagonisti del Quijote di Cervantes ed anche del Licenciado Vidriera.Il trattato rappresenterà un punto di riferimento per tutta l’età moderna, anche dopo il tramonto della filosofia naturale, soprattutto per le riflessioni filosofiche e morali intorno alla caratteriologia. Huarte considera il «temperamento» umano il fulcro delle sue elaborazioni,

(21)

21 tanto che secondo lui le azioni di ogni uomo dipendono dal tipo di temperamento di cui è dotato. Questa premessa cambia la concezione della persona e del suo libero arbitrio. Infatti se l’uomo è destinato a possedere un temperamento naturale legato agli umori del corpo, la natura dell’individuo e della sua uguaglianza agli altri uomini mutano. Ciò che Huarte osserva sono le differenze, non le uguaglianze comportamentali, giacché egli accentua la «diversità» degli ingegni. Ricerca i moti del comportamento, anche di quello squilibrato del folle. Egli si occupa inoltre delle tre facoltà dell’anima razionale: intelletto, immaginazione e memoria. Nella riformulazione huartiana della teoria dei quattro temperamenti, a ognuno di essi corrisponde un tipo umano definito nell’aspetto fisico, nel carattere e nelle facoltà intellettuali. Inoltre, ogni temperamento favorisce una delle tre facoltà dell’anima razionale che esclude le altre, presenti in modo solo marginale. Secondo Huarte, bisogna coltivare la differenza d’ingegno, non curarla.

La sua dottrina è ricca e complessa, ma qui mi limito a segnalare i punti salienti del trattato, i quali orientarono Cervantes nell’adozione dell’appellativo “Ingenioso” per il suo cavaliere errante, ma soprattutto nella definizione di una tipologia di “locura”, di follia. La dottrina fisio-psicologica di Huarte inizialmente è giustificata dall’etimologia della parola “Ingegno”, (che deriva dal latino «ingenero» e significa generare), che indica proprio una funzione della mente. La mente genera idee, figure, concetti. Orbene, non tutti possiedono un grande ingegno. Esistono uomini che sono “impotenti” mentalmente parlando. Sono quei tipi umani che Huarte definisce “capados”, castrati. Così come l’uomo castrato non può generare prole, l’uomo che possiede un «entendimiento», cioè un intelletto, castrato, eunuco, freddo, inabile, non è in grado di generare concetti saggi. Partendo da queste premesse, ci focalizzeremo su quello che più interessa per analizzare la follia di don Quijote, ovvero, la dottrina delle qualità «calidades» e delle intemperanze «destemplanzas».

In primo luogo, secondo Huarte la maggior parte degli esseri umani è malata a causa degli sbalzi di temperatura che si verificano nelle varie regioni in cui essi

(22)

22 abitano. La tiepidezza (la giusta temperatura) e la perfetta salute dell’uomo dipendono dall’equilibrio delle quattro qualità primarie, in base al quale il calore non eccede la freddezza e l’umidità la secchezza. Quando questo equilibrio viene a mancare, l’uomo si ammala. L’alterazione di cui abbiamo parlato ora, è frutto della variazione costante della vita il cui equilibrio è instabile.

“Pero viviendo los hombres en regiones destempladas, sujetas a tales

mudanzas del aire, al invierno, estío y otoño, y pasando por tantas edades, cada una de su temperatura, y comiendo unos manjares fríos y otros calientes, forzosamente se ha de destemplar el hombre y perder cada hora la buena templanza de las primeras calidades. De lo cual es evidente argumento ver que todos cuantos hombres se engendran nacen unos flemáticos y otros sanguineos, unos coléricos y otros melancólicos…”7

.

Queste deviazioni dalla buona temperatura, danno origine a dei tipi fisio-psicologici : la caratteristica dei flemmatici è il temperamento freddo e umido, essi non possiedono alcun tipo di facoltà; quelle dei collerici sono il calore e la secchezza, la facoltà è l’immaginazione; dei malinconici la freddezza e la secchezza, la facoltà è l’intelletto; dei sanguigni il calore e l’umidità, la facoltà è la memoria. Da quanto appena detto, si può inferire che gli uomini, grazie ai diversi temperamenti che li condizionano, possiedono diversi caratteri, diversi gusti e appetiti, diversi giudizi su di una stessa cosa. Dipende tutto dal tipo di intemperanza di cui soffrono. Infine, Huarte sostiene che la varietà delle intemperanze produce le differenze d’ingegno. Nella sua dottrina, la follia è sempre un tipo d’ingegno. Del resto già Platone aveva sostenuto che non è poco frequente trovare un uomo di grande ingegno che soffra di qualche mania (un’intemperanza calda e secca del cervello).

7

Juan Huarte de San Juan, Examen de ingenios para las ciencias, Catedra, Madrid, 1989, p. 170.

(23)

23

L’INFLUENZA DI HUARTE SU CERVANTES

Come abbiamo anticipato una delle fonti sulla quale Cervantes sembrerebbe essersi basato per concepire la sua fantastica creazione, è il trattato medico-filosofico di Huarte, L’examen de ingenios para las ciencias del 1575.

Rafael Salillas presentó un lavoro interessante al riguardo in occasione di una riunione dei medici di Madrid, indetta per festeggiare il centenario del Quijote. Era il 1899 Salillas, voleva dimostrare che L’examen de Ingenios aveva lasciato un’impronta decisiva nel Quijote, sebbene Cervantes, non menzionasse mai Huarte. Salillas pensò che forse Cervantes fu attratto dall’invito suggestivo del primo titolo dell’opera :

“Examen de ingenios para las ciencias, donde se muestra la diferencia de

habilidad que hay en los hombres, y el género de letras que a cada uno responde en particolar. Es obra donde el que leyere con atención hallará la manera de su ingenio, y sabrá escoger la ciencia en que más ha de aprovechar; y si por ventura la hubiese profesado, entenderá si atinó a lo que pedía su habilidad natural”8.

È possibile che Cervantes fosse stimolato a leggere l’opera di Huarte dal desiderio di conoscere il proprio “ingegno”;

In particolare, Salillas sosteneva che l’appellativo “INGENIOSO” applicato al nostro hidalgo don Quijote, non era altro che un richiamo all’Examen de

Ingenios di Huarte, così come lo era anche la costruzione del disturbo mentale

del cavaliere errante. Sempre secondo Salillas, attenendosi alla dottrina dell’ingegno esposta da Huarte nell’ Examen, dove l’ingegno stesso corrisponde a uno squilibrio mentale che si manifesta in molti casi in forme di follia, si scoprirebbe un elemento che i “cervantisti” si erano lasciati sfuggire :

8

Rafael Salillas, Un gran inspirador de Cervantes, el doctor Juan Huarte y su examen de

(24)

24 il motivo per cui Cervantes ha scelto di chiamare il suo hidalgo “ingenioso” invece di “loco”.

Per quanto concerne l’epiteto che figura nel titolo del capolavoro cervantino, ci furono pareri discordanti. Alcuni, come Pellicer, pensarono che si riferisse all’opera, perché scritta con ingegno. Altri, sottolineavano che il Quijote apparteneva al ciclo dei libri di invenzione e d’ingegno. Ma è indubbio che nel testo Cervantes riferisce questo qualificativo esclusivamente al suo eroe. Clemencín affermò che il termine “ingenioso”, oscuro e poco felice, non si addiceva a un matto. Salillas invece sostenne che, se questi studiosi del grande romanzo di Cervantes avessero approfondito l’analisi dell’opera, avrebbero capito che quell’epiteto, al contrario, poteva attribuirsi ad un folle. Il termine “ingenioso” viene utilizzato solo nei capitoli II, VI, XVI della prima parte del

Quijote. Nel capitolo II, che tratta della prima uscita di don Quijote, Cervantes

lo chiama “ingenioso” nel senso di folle, dopo aver ricordato nel capitolo I che aveva perso il giudizio. Così come lo chiama “caballero” solo dopo averlo fatto armare cavaliere e non prima. Lo stesso vale per gli altri due capitoli: nel VI, quello del ritorno a casa dopo le prime avventure folli e le lamentele della governante e della nipote per i libri di cavalleria, causa della sua alienazione mentale, e nel XVI, che racconta cosa era successo nell’osteria che egli si figurava castello, quindi dopo un esempio tangibile del suo essere “ingenioso”. Ma consideriamo più da vicino come avvenne la trasformazione da pacifico hidalgo a ingenioso cavaliere errante :

“Es, pues, de saber que este sobredicho hidalgo, los ratos que estaba

ocioso-que eran los más del año-, se daba a leer libros de caballerías, con tanta aficíon y gusto, que olvidó casi de todo punto el ejercicio de la caza y aun la administración de su hacienda; y llegó a tanto su curiosidad y desatino en esto, que vendió muchas hanegas de tierra de sembradura para comprar libros de caballerías en que leer, y, así, llevó a su casa todos cuantos pudo haber de ellos;”9.

9

(25)

25 E ancora :

“En resolución, él se enfrascó tanto en su lectura, que se le pasaban las noches leyendo de claro en claro, y los días de turbio en turbio; y así, del poco dormir y del mucho leer, se le secó el celebro de manera que vino a perder el juicio. Llenósele la fantasía de todo aquello que leía en los libros, así de encantamentos como de pendencias, batallas, desafíos, heridas, requiebros, amores, tormentas y disparates imposibles; y asentósele de tal modo en la imaginación que era verdad toda aquella máquina de aquellas soñadas invenciones que leía, que para él no había otra historia más cierta en el mundo”10.

La follia di don Quijote, la sua trasformazione in cavaliere errante, avviene quindi a causa dell’alterazione della normale temperatura cerebrale, che lo porta a sviluppare la facoltà dell’immaginazione. Avendo chiare le teorie di Huarte, è possibile sostenere che Cervantes, nel concepire la tipologia di follia del suo personaggio, si sia ispirato all’Examen de ingenios. Infatti, conoscendo precedentemente l’opera di Huarte, e leggendo in seguito il capolavoro di Cervantes, appare chiara l’importanza dell’influenza del primo sul secondo autore. Come abbiamo avuto occasione di notare in precedenza, è Cervantes stesso che fin dal primo capitolo espone in modo inequivocabile e dettagliato la follia di don Quijote : “ Y así, del poco dormir y del mucho leer, se le secó el celebro de manera que vino a perder el juicio”11.

Questo breve passaggio è molto importante per lo studio che questa tesi desidera affrontare. Le connessioni con l’opera di Huarte sono evidenti : Cervantes spiega, proprio come farebbe un filosofo naturalista, le cause prime e seconde dello squilibrio mentale del nostro cavaliere. Causa prima : il poco dormire e il molto leggere. Causa seconda : Gli si prosciugò il cervello, fino a farlo impazzire. Guarda caso, Cervantes, per spiegare la modalità con cui Alonso Quijano è divenuto il folle don Quijote de la Mancha, utilizza un termine che rimanda a una delle quattro qualità descritte da Huarte, la secchezza. La secchezza, lo ricordiamo è una delle quattro qualità primarie descritte da Huarte nell’ Examen. Se l’hidalgo subisce una «destemplanza», per

10

Ibid, cap. I, p. 41, vol. I.

11

(26)

26 usare il termine del dottor Huarte, di caldo+secco, allora significa che la lesione cerebrale si trova nella facoltà razionale dell’«imaginativa» e non nell’«entendimiento», che invece è molto sviluppato grazie alla secchezza. Da qui, i dubbi sulla reale follia di don Quijote. Ora si spiega perché l’incompreso cavaliere ha sviluppato in eccesso la fantasia. A dimostrazione di quanto appena detto, è importante sottolineare che il nostro “folle” cavaliere è un folle a metà. Cervantes lo chiama «loco entreverado» e autore di «discretas locuras»12, cioè un folle a intermittenza, pieno di lucidi intervalli. Del resto quante volte i personaggi secondari, e non solo, anche Sancho, si sono stupiti davanti alla saggezza di don Quijote, quando trattava argomenti non relativi alla cavalleria? La sua alienazione mentale si manifesta soltanto in relazione alla sua mania per il mondo cavalleresco. Facendo ancora un passo in avanti, constatiamo che non solo Cervantes si ispirò a Huarte per il modello di follia che volle poi rappresentare, ma proprio nell’Examen è descritto un caso di ingegno identico a quello del nostro cavaliere errante : quello di Democrito di Abdera. Egli fu, uno fra i maggiori filosofi naturalisti e moralisti del suo tempo. In vecchiaia, aveva ormai sviluppato tanto la facoltà dell’intelletto a scapito dell’immaginazione, che parlava e agiva in maniera tale da essere ritenuto matto. A tal punto era diventato folle il vecchio saggio, secondo i cittadini di Abdera, che fu chiesto a Ippocrate di curarlo. Ippocrate gli fece alcune domande per capire quale facoltà fosse lesionata, e ritenne che l’uomo che aveva dinnanzi fosse il più saggio al mondo. Così disse a chi lo aveva fatto chiamare per guarirlo, che erano loro i pazzi, per aver pensato che fosse folle un uomo così. Però poi Huarte aggiunge alla fine di questo racconto : “Y fue la ventura de Demócrito que todo cuanto razonó con Hipócrates en aquel breve tiempo fueron discursos del entendimiento y no de la imaginativa, donde tenía la lesión”13. Come si può notare l’analogia di questo esempio di follia con quella del Quijote è evidente. La storia di Democrito, riportata da Huarte nel suo trattato, riguarda un uomo la cui sola immaginazione è alterata per eccesso

12

Americo Castro, Hacia Cervantes, Taurus, Madrid, 1960, p. 253.

13

(27)

27 di secchezza, mentre il suo intelletto è quello di un uomo di grande saggezza. Del resto, Huarte, afferma nel suo Examen :

“..Y por sequedad, subiría el entendimiento y bajaría la memoria. Y, así en las

obras tocantes al entendimiento, mucho más sabría un hombre de seco celebro, que un muy sano y templado;…por donde dijo Platón que por maravilla se halla hombre de muy subido ingenio que no pique algo en manía (que es una destemplanza caliente y seca del celebro)”14.

Dunque è possibile affermare che l’ingegno di don Quijote è di alto profilo e che questa alterazione di temperatura (per cui il calore eccede la fredezza e la secchezza l’umidità), lo caratterizza come tale quando interloquisce su argomenti di alta levatura, ma con un’immaginazione troppo sviluppata rispetto al normale. Per questo, ogni qual volta gli si presenta davanti un’avventura o qualcosa di legato alla sua mania, finisce per fare cose folli.

La collera e la malinconia hanno in comune la qualità della secchezza. La collera è calda e secca, la malinconia è fredda e secca. Il passaggio da un umore all’altro è molto frequente. Cervantes, applica al cavaliere le cure che si solevano prescrivere ai collerici : il riposo e l’acqua fresca per contrastare l’eccesso di calore. Portiamo a dimostrazione di quanto appena detto un passaggio del V capitolo della prima parte, quando la nipote di don Quijote spiega al barbiere la sua mania per i libri di cavalleria e cosa succedeva a casa quando, con la sua fantasia, immaginava di combattere contro dei giganti : “..y ponía mano a la espada, y andaba a cuchilladas con las paredes; y cuando estaba muy cansado…bebíase luego un gran jarro de agua fría, y quedaba sano y sosegado..”15

e ancora, “Hiciéronle a don Quijote mil preguntas, y a ninguna quiso responder otra cosa sino que le diesen de comer y le dejasen dormir, que era lo que más le importaba.”16. Nell’Examen, Huarte spiega che il sonno e l’umidificazione erano i rimedi più comuni per ristabilire l’equilibrio dei collerici e dei malinconici. Ma non finisce qui. Altri elementi sparsi nel Quijote dimostrano ancora una volta la grande influenza dell’Examen nella costruzione

14

Ibid, p. 179.

15

Op. cit. vedi nota 1, cap. V, p. 80, vol. I.

16

(28)

28 del protagonista. Anche la fisionomia del nostro hidalgo corrisponde in pieno a quella del collerico e del malinconico descritta da Galeno, e ripresa da Huarte. Vediamo : “Frisaba la edad de nuestro hidalgo con los cincuenta años. Era de complexión recia, seco de carnes, enjuto de rostro, gran madrugador y amigo de la caza.”17; “Las piernas eran muy largas y flacas, llenas de vello..”18; “Suspendió a don Fernando y a los demás la extraña presencia de don Quijote, viendo su rostro de media legua de andadura, seco y amarillo,..”19; “…La anchura y espaciocidad de sus venas,..”20. Nella seconda parte dell’opera troviamo altri riferimenti simili : “Y es un hombre alto de cuerpo, seco de rostro, estirado y avellanado de miembros, entrecano, la nariz aguileña y algo corva, de bigotes grandes, negros y caídos.”21; “Sancho contaba su cuento, y don Quijote se estaba consumiendo en cólera y en rabia.”22; Confrontiamo ora queste citazione con ciò che dice Galeno, nell’Examen di Huarte : “Los humores que endurecen las carnes son cólera y melancolía, y destos nace la prudencia y sabiduría que tienen los hombres…porque si son duras y ásperas, señalan o buen entendimiento o buena imaginativa..”23

;

“Los hombres melancólicos por adustión son varios y desiguales en la

complexión, porque la cólera adusta es muy desigual: unas veces se pone calidísima, y otras frías sobremanera. Las señales con que se conocen los hombres que son deste temperamento son muy manifiestas. Tienen.. el cabello negro, las carnes pocas, ásperas y llenas de vello; las venas muy anchas. Son de muy buena conversación y afables..son los más ingeniosos y hábiles..porque tienen entendimiento para alcanzar la verdad y grande imaginativa para saberla persuadir”24;

Questa è proprio la descrizione psico-fisica di don Quijote, si direbbe. In conclusione, egli sembrerebbe appartenere alla varietà di ingegno che Huarte classifica sotto il nome di «cólera adusta», che, infatti, corrisponde alla

17

Ibid, cap. I, p. 39, vol. I.

18

Ibid, cap. XXXV, p. 455, vol. I.

19

Ibid, cap. XXXVII, p. 477, vol. I.

20

Ibid, cap. XLIII, p. 556, vol. I.

21

Ibid, segunda parte, cap. XIIII, p. 802 vol. I.

22

Ibid, cap. XXXI, p. 969.

23

Op. cit. vedi nota 7, p. 366.

24

(29)

29 formula: + intelletto + immaginazione – memoria. Per capire meglio, vediamo quali sono le fonti antiche da cui attinge Huarte per il suo Examen.

LE FONTI ANTICHE DELL’EXAMEN

IPPOCRATE E LA TEORIA DEGLI UMORI

La teoria umorale di Ippocrate è il più antico tentativo, nel mondo occidentale, di ipotizzare una spiegazione eziologica dell’insorgere delle malattie nell’uomo. Partendo dai quattro elementi di Empedocle (aria, acqua, fuoco e terra), egli giunge ad individuare quattro umori base che agiscono nell’uomo : bile nera, bile gialla, flegma e sangue. Alla terra corrisponde la bile nera che ha sede nella milza, al fuoco la bile gialla (collera) che ha sede nel fegato, all’acqua la flemma che ha sede nella testa e all’aria il sangue con sede nel cuore. I quattro temperamenti che ne risultano sono : il flemmatico, il malinconico, il collerico, e il sanguigno. Le quattro qualità elementari invece, il freddo, il caldo, il secco e l’umido. Tenendo in considerazione le quattro stagioni della vita; l’infanzia, la giovinezza, la maturità e la vecchiaia, Ippocrate pensa che a ogni età corrisponda un temperamento. Orbene, il buon funzionamento dell’organismo dipende dall’equilibrio degli umori, mentre il prevalere dell’uno o dell’altro causa la malattia. Quindi la predisposizione all’eccesso di uno dei quattro umori definisce un carattere, un tipo di personalità : Il malinconico, con eccesso di bile nera è magro, debole, pallido, avaro e triste. Il collerico con eccesso di bile gialla è magro, asciutto, di bel colore, irascibile, permaloso, furbo, generoso e superbo. Il flemmatico con eccesso di flegma è lento, pigro, sereno e talentoso. Il sanguigno con eccesso di sangue è rubicondo, gioviale, allegro, goloso, e dedito ad un sesso giocoso. Riassumendo, la malattia secondo gli ippocratici si manifesta con la perdita

(30)

30 dell’armonioso equilibrio degli umori, ed è a causa di questo squilibrio che ogni uomo possiede un temperamento proprio.

PLATONE

Da Platone Huarte riprende alcune affermazioni, e in particolare si serve dei brani che si riferiscono alle tre anime, alla collaborazione tra Dio e Natura, ai temperamenti e agli umori, ma anche ad alcune questioni di anatomia umana. Inoltre anche Platone è propenso alla selezione delle vocazioni e professioni, base di un sistema educativo finalizzato al servizio dello Stato.

ARISTOTELE

Per quanto riguarda Aristotele, Huarte attinge soprattutto al De anima. In quest’ opera il filosofo espone la teoria secondo la quale l’anima da vita ad un corpo, che sarebbe altrimenti solo materia inanimata. Huarte nel secondo proemio al lettore, attinge dal secondo libro del De anima, sostenendo che nel momento in cui Dio donó le scienze agli uomini, tenne conto dell’ingegno e della naturale disposizione di ognuno di loro. Anima e corpo sono strettamente legati. Le scienze si insediano nell’anima che è soggetta al temperamento del corpo (questo concetto fu criticato, in quanto non solo in questo modo l’anima dipende allora dal corpo, ma sarebbe stato Dio a scegliere le disposizioni fisiologico-naturali). Aristotele distingue tre anime: la vegetativa (le piante), la sensitiva (gli animali), l’intellettiva (l’uomo). Inoltre, Huarte adotta le facoltà aristoteliche di immaginazione (imaginativa) e memoria per stabilire le differenze di ingegno. Per quanto riguarda l’intelletto aristotelico ( el

entendimiento di Huarte), il discorso si complica poiché esso non corrisponde

(31)

31 navarrese si ispira invece a Galeno. Infine è importante dire che Huarte riprende letteralmente dal De anima l’idea centrale della connessione e mutua dipendenza delle tre anime.

GALENO

Galeno costituisce la fonte a cui Huarte più ricorre. Egli, infatti, lo utilizza come sintetizzatore degli autori precedenti. Le dottrine sui temperamenti, la natura del cervello e l’influsso del temperamento sul carattere, applicate alla clinica da Galeno, hanno un ruolo centrale nell’opera di Huarte. Egli stesso afferma che il Quod animi mores corporis temperamenta sequuntur di Galeno è il fondamento dell’Examen. Ritroviamo in Galeno, e quindi in Huarte, la teoria umorale di Ippocrate; a partire da questa, egli procede allo studio dei diversi ingegni e delle diverse abilità umane ad essi corrispondenti. Secondo Huarte “el entendimiento”, ovvero l’intelletto, esplica pienamente tutte le sue forze dai 33 ai 50 anni. Le condizioni cerebrali che permettono all’uomo di svolgere opere di ingegno e di prudenza, sono : una buona composizione; la coesione delle sue parti; un buon temperamento, e infine, la qualità della sostanza costitutiva, che deve essere delicata e sottile. Il cervello è composto al suo interno da 4 ventricoli separati. Il primo nel lato destro, il secondo a sinistra, il terzo in mezzo a questi due, il quarto nella parte posteriore. Per quanto riguarda tali ventricoli, vi erano all’epoca opinioni discordanti sul loro numero e funzione. L’unica conclusione sulla quale i fisiologi del tempo, come Galeno, si trovavano d’accordo, era che queste quattro cavità erano le “fabbriche” dove si cuocevano gli spiriti vitali, che conferivano al corpo la possibilità di percepire sensazioni e il movimento. In ogni ventricolo sono depositate le tre potenze (entendimiento, memoria, imaginativa) che sono interdipendenti, in quanto l’intelletto non può operare senza la memoria, né la memoria senza l’immaginazione. Delle quattro qualità che esistono (calore, freddezza, umidità e secchezza), la freddezza intorpidisce tutte le facoltà

(32)

32 umane. Non è una qualità attiva, serve solo a temperare il calore naturale, mentre esso dà vita al corpo e a tutte le sue facoltà. La secchezza rende saggi, l’umidità invece semplici e stupidi.

(33)

33 Il presente lavoro oltre a trattare l’argomento della follia “quijotesca” da un punto di vista medico-storico, si è occupato di inquadrare l’opera da un punto di vista strettamente letterario. Di seguito le interpretazioni di illustri studiosi sul Quijote e sulla follia del protagonista del romanzo.

LA FOLLIA NEL QUIJOTE, INTERPRETAZIONI

Il Quijote è il capolavoro di Cervantes. Ciò che rende grande quest’opera è la complementarietà tra vita e letteratura, tra esperienza e utopia, alla luce del rapporto saggezza/pazzia inteso come metafora del precario equilibrio esistenziale. Nel romanzo, divertimento e malinconia convivono, l’ambiguità e l’ironia costituiscono l’impalcatura del testo il cui tema portante è la volontà di essere che diventa l’essere. L’argomento dell’opera si può riassumere utilizzando le parole di Riquer : “Un hidalgo fantastico lettore di libri di cavalleria diventa pazzo, immagina di essere un cavaliere errante ed esce tre volte dal suo villaggio alla ricerca di avventure che sono autentiche pazzie; finché, costretto a ritornare nella propria casa, si ammala, rinsavisce e muore cristianamente”25.

25

«Prefacción», in Miguel de Cervantes, Don Quijote de la Mancha, traduzione di Maria Grazia Profeti in L’età d’oro della letteratura spagnola, il cinquecento, La Nuova Italia, Firenze 1998, p. 501

Riferimenti

Documenti correlati

The ALICE Collab- oration acknowledges the following funding agencies for their sup- port in building and running the ALICE detector: State Commit- tee of Science, Calouste

Using the new framework given by C-system of filters we easily generalize to the setting of generic large cardinals well-known results about extenders and towers, providing shorter

Assenza congenita di uno o entrambi gli arti Assenza congenita di uno o entrambi i piedi Anomala brevità delle dita di mani e piedi Arto incurvato Flessione permanente mediale

The peculiar nature of the telegraph noise allows one to investigate analytically the effects of time correlation of ve- locity gradients on the chaoticity of particle trajectories,

La figurazione di una battaglia può comprendere lo studio dei duellanti («quando doi irati contendano insieme») e della «ferocità dell’atto» (Libro di pittura § 179);

"malattia da manicomio", Carlo Livi, direttore ciel manicomiu pl'Ovincialc S, Lazzaro di Heggio Emilia, nel 187G, ad escmpio, (:he la follia morale era per i

Nella mia pratica psicoterapeutica con psicotici acuti provenienti dalle culture occidentali, ho trovato che le sequenze di immagini descritte da Perry sono ab- bastanza

Istanti temporali di un percorso “attraverso”, frammenti di vita che furono, che sono, e che continueranno a essere, qui, a Casa Sponge, in questo immenso spa- zio-tempo