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ANALISI PSICHIATRICA DEL QUIJOTE

Lo psichiatra Francisco Alonso Fernández, cattedratico di psichiatria all’università complutense di Madrid e membro della Real Academia Nacional de Medicina, sfida chi difende una visione strettamente poetica della follia di don Quijote e afferma che Cervantes, trattò in modo consapevole una forma complessa di disturbo mentale.

Lo psichiatra, infatti, sostiene categoricamente che il Quijote sia un romanzo psicopatologico il cui protagonista è un infermo mentale. In questo modo, egli aprì le porte alla polemica tra coloro che difendevano una prospettiva puramente letteraria e simbolica della follia dell’hidalgo e quelli che invece, come lo stesso medico, credettero fermamente che Cervantes operò uno sforzo, in modo cosciente, per descrivere in maniera reale il comportamento di un uomo con un’infermità psichiatrica molto concreta.

Dalla nostra prospettiva di uomini del XXI secolo, risulta difficile accettare che il personaggio letterario più conosciuto di tutta la storia della letteratura spagnola sia così disturbato come assicura questo psichiatra. Quattro secoli di fama letteraria cervantina ci hanno portato a pensare don Quijote come un eroe idealista, libero e dotato di un’immaginazione prodigiosa, e non come un malato mentale.

Tuttavia, secondo il dottor Fernández, Cervantes era pienamente cosciente di ciò che avrebbe descritto nella sua opera maggiore. Gli argomenti a sostegno della sua tesi sono i seguenti : Cervantes aveva avuto modo di conoscere alcuni infermi mentali del manicomio di Siviglia e inoltre, dovette aiutare in occasione suo padre nei momenti in cui svolgeva la professione di chirurgo barbiere. Il romanziere spagnolo potrebbe addirittura essersi ispirato a un caso reale di alienazione mentale occorso ad Argamasilla de Alba, di un certo Domingo Pacheco. Lo psichiatra aggiunge che, molti dei suoi colleghi concordano con lui sul fatto di aver incontrato durante la loro carriera infermi mentali simili all’hidalgo Quijano.

78 Una volta accettata l’idea che Alonso Quijano, sia affetto da un disturbo mentale, occorre individuare di quale tipo si tratti. Orbene, il disturbo bipolare, quello che un tempo veniva chiamato disturbo maniaco-depressivo, sembra convincere lo psichiatra Alonso Fernández. Questo male consiste in cambi repentini e notevoli dello stato d’animo che provoca nel soggetto che ne è affetto momenti di estrema felicità e poco dopo giorni di depressione assoluta, cioè il paziente psichiatrico oscilla tra due poli opposti : la mania o il sentimento esagerato di benessere e di depressione.

Secondo il medico il delirio di grandezza di cui soffre l’hidalgo manchego, credere di essere il miglior cavaliere errante del mondo, lo conduce a una metamorfosi che trasforma la sua personalità, l’hidalgo Alonso Quijano diventa il cavaliere don Quijote e cambia i tratti psichici, sociali e fisici, perché il protagonista si sente più forte, più potente, più nobile e importante, in ragione di questa sua nuova personalità. Il don Quijote che è appena nato soffre di deliri che non solo trasformano lui, ma tutte le persone e gli oggetti che lo circondano : il locandiere si trasforma in castellano, i mulini sono giganti e via dicendo.

Dunque, sorge un quadro ipomaniaco dominato dal delirio, spiega lo psichiatra. E aggiunge inoltre, che questi quadri vanno associati a fasi depressive. Solo così si può parlare di disturbo bipolare. I tratti depressivi e malinconici di don Quijote si vedono, per esempio, quando va a fare penitenza in Sierra Morena o durante il sogno che vive nella grotta di Montesinos. Nel primo caso, canta e fa delle piroette, ma piange anche, e prega in maniera compulsiva, prova dei sentimenti di colpa e si sottomette a mortificazioni fisiche. Nella grotta di Montesinos la situazione non può essere più tetra : vi sono cortei di morti che sfilano, e appare un defunto sprovvisto di cuore. Quando don Quijote esce dalla grotta, presenta un cambiamento nella condotta. Gli hanno detto che egli è l’unico in grado di sciogliere l’incantesimo della caverna, ma nel lasciare quel luogo incantato si dimentica di tutto e non si propone di tornare in tale luogo. Cosa succede quindi? Succede che quando esce fuori dal mondo deprimente della grotta di Montesinos, il cavaliere si sente apatico, scoraggiato e confuso.

79 Riassumendo, si trova molto più vicino alla depressione che all’ipomania. Quest’alternanza è tipica del disturbo bipolare.

Secondo gli esperti in psichiatria, generalmente nessuno si ammala a causa della lettura compulsiva di libri come accade a don Quijote. Ad ogni modo il fatto di divenire ossessionato dalla lettura potrebbe essere un avviso del fatto che qualcosa non va. Infatti, nel caso di don Quijote, la sua fissazione per tali libri rappresenterebbe un sintomo, giacché, per poter acquistare sempre nuovi libri di cavalleria, vende molte delle sue terre. Nei casi d’ipomania, si tende a sbarazzarsi delle proprietà e a realizzare grandi investimenti.

Alonso Quijano soffriva di un enorme vuoto esistenziale. La sua vita oziosa, quasi vegetativa e frustrante produsse l’ipomania, l’esaltazione della fantasia, trasformandosi in cavaliere, proprio quello che aveva sognato inebriato dalle sue letture. Coloro che gli stanno intorno, come il curato ed il barbiere, paradossalmente, non fanno altro che rafforzare il suo delirio, quando bruciano la libreria dell’hidalgo e la murano : essi gli dicono che è opera degli incantatori.

Alonso Fernández, si è soffermato sulle allucinazioni di don Quijote. Secondo lo psichiatra, la distorsione della realtà che appare in don Quijote obbedisce a un disturbo della vista, a una malattia cerebrale o a un disturbo mentale. Egli confonde mulini con giganti quando il delirio interno si proietta verso l’esterno e produce le allucinazioni visive, sebbene in un secondo momento, don Quijote riconosca i mulini per quello che realmente sono.

Don Quijote confonde anche le persone, come nel caso in cui vince il cavaliere dagli specchi, che è in realtà il baccelliere Carrasco. Qui si tratta secondo lo psichiatra di deliri di falsa identità, molto studiati in psichiatria da più di cento anni. Fra tutte le avventure che vedono protagonista il cavaliere errante, quella del teatrino di Mastro Pietro è la più rivelatrice per quanto riguarda la follia di don Quijote. Si tratta di un teatrino di burattini ambulante, che fa il giro di tutti i villaggi e che rappresenta la storia di Gaiferos e Melisendra. Don Quijote li scambia per persone reali, ciò che lo spinge alla distruzione del teatrino del

80 comico. Se nell’episodio dei mulini, l’immaginazione dell’hidalgo poteva passare per stravaganza, nel caso patetico del teatrino si produce una distorsione totale della realtà, e questo è uno degli elementi rivelatori di una grave psicosi, secondo l’analisi del dottor Alonso Fernández.

Fino all’epilogo del romanzo, le dimostrazioni di follia del cavaliere si susseguono. Solo nell’istante che precede la morte, l’hidalgo trova la pace e la ragione. Secondo Alonso, questo è uno dei tratti più chiarificatori del romanzo. Infatti, egli sostiene che ciò riveli il grado di conoscenza di Cervantes circa le malattie mentali. Don Quijote, recupera la sua identità sotto l’effetto di una grave febbre. Orbene, nei circoli medici dell’epoca, si credeva che alcuni disturbi mentali si potessero recuperare quando sopravveniva un’affezione corporale di certa gravità, soprattutto durante un processo febbrile. Talvolta si provocava la febbre per combattere i quadri di tipo ipomaniaci, ovvero si praticava la terapia per febbre, sicuramente conosciuta da Cervantes, secondo lo psichiatra. Grazie alla febbre si normalizzava il funzionamento cerebrale, ed il paziente, sperimentando preoccupazione per il suo stato fisico, riusciva ad allontanarsi dal delirio. Dunque, lo stato di salute si recuperava sia a causa della preoccupazione per qualcosa di reale, cioè per l’infermità fisica, sia per un fattore biologico, che consisteva nel fatto che la febbre modificava il funzionamento cerebrale, riportandolo alla normalità. Secondo il dottor Alonso Fernández, Cervantes non era forse a conoscenza dei motivi per i quali attraverso lo stato febbrile, il malato poteva recuperare la ragione, ma con grande probabilità conosceva questa terapia.

Cervantes, non fu il primo a trattare il tema della malattia mentale. Prima di lui, Erasmo, Ariosto e l’Amadís de Gaula anonimo, lo avevano certamente ispirato. Il dottor Alonso, non crede che la data di pubblicazione della prima parte del

Quijote, il 1605, sia casuale. In quel periodo, c’era un contesto psichiatrico

davvero eccezionale per varie ragioni. In primo luogo, esisteva una rete di otto ospedali psichiatrici, distribuiti per tutta la Spagna, qualcosa di unico per l’epoca. Il primo centro psichiatrico fu creato a Valenza nel 1409, come sappiamo, anche dalla ricostruzione di Foucault, e dopo, fra il XV e il XVI

81 secolo se ne costruirono altri sette in varie città spagnole. Inoltre, e questo è un dato molto importante, la Spagna era l’unico paese a concepire il disturbo mentale come una vera e propria malattia, un processo del cervello. Mentre, nel resto d’Europa, la follia si associava ancora a possessioni o stregonerie, nel

Quijote stesso, non si parla mai di guarire don Quijote con esorcismi o cose

simili.

Il dottor Alonso Fernández afferma di aver incontrato molti pazienti psicomaniacali come don Quijote. Nel XXI secolo, don Quijote sarebbe stato curato con degli psicofarmaci associati a sedute psicologiche, e quello che invece sarebbe controindicato, come in tutti i casi di delirio, consisterebbe nell’ appoggiare la sua visione distorta della realtà, cioè dargli ragione. Non dovremmo cercare di calmarlo sostenendo la sua idea che gli fa credere di essere un cavaliere errante, come fece Sansón Carrasco, questo significherebbe rafforzare il suo delirio. Lo psichiatra, spiega che il terapista cercherebbe di capirlo e di portarlo a parlare dei momenti precedenti la follia, al fine di fargli comprendere la trasformazione avvenuta in lui, ma senza affrontare il delirio apertamente, poiché i deliranti sono come i fanatici, dividono il mondo in due parti, quelli che sono suoi amici e quelli che sono suoi nemici.

Si obbietterà probabilmente, che un’interpretazione psicanalitica come la precedente, sia azzardata. In effetti, essa annulla il velo di poesia che avvolge l’ immortale romanzo. Ci siamo spinti forse troppo oltre? Non sta in chi scrive giudicare. Personalmente, trovo molto interessante e affascinante, lo studio della psiche umana. Essa è un mondo da scoprire e da interrogare, sempre. Essa racconta il nostro passato, il presente e ciò che speriamo per il futuro. Così come l’uomo studia la storia, per comprendere meglio il presente. Ciò che rende il Quijote di Cervantes leggibile in tutte le epoche, è proprio l’umanità, la mente, il cuore del protagonista di questa storia, don Quijote, che appare davvero come un essere umano, uno di noi, e non un personaggio fittizio di romanzo. L’attualità di quest’ultimo lo rende moderno. La vita come commedia, le varie maschere che gli uomini indossano in questo mondo, l’autoinganno, la speranza, le debolezze, le sconfitte e le rivincite, sono

82 concetti modernissimi, che ritroviamo nel Quijote di Cervantes e che lo rendono un romanzo per tutti e di tutti i tempi. Per dimostrare quanto appena detto, basti pensare che questi temi vengono ripresi da un’importante drammaturgo italiano del Novecento, Luigi Pirandello.

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