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MARCEL BATTAILLON VS CASTRO, VILANOVA E F MÁRQUEZ VILLANUEVA

Fra i due grandi studiosi ispanisti ed amici, Americo Castro e Marcel Bataillon, vi erano delle divergenze di pensiero. Castro era incline a pensare che Cervantes avesse letto l’Elogio, mentre Battaillon affermava che lo scrittore lo conoscesse in modo indiretto, di seconda mano, a causa delle severe proibizioni degli indici del 1559 e del 1583 che vedono l’Encomium Moriae incluso fra i loro elenchi dei libri proibiti. In seguito, Bataillon cambiò idea e si convinse che nonostante i divieti, alcuni esemplari di opere eterodosse circolassero ancora nella Spagna post-tridentina. L’altra questione su cui essi si trovarono in disaccordo, riguardava l’interpretazione del rapporto fra don Quijote e il cavaliere dal verde gabbano. Infatti, al contrario di Castro, ma anche di Márquez Villanueva, Bataillon non pensava che il Cavaliere dal verde gabbano fosse un personaggio antipatico per don Quijote e per Cervantes, o incapace di umana comprensione nei confronti dell’hidalgo, del quale, va cauto nel giudicarlo, sebbene lo abbia visto «hacer cosas del mayor loco del mundo». Bataillon vide più sfumate, rispetto a Castro, riguardo alle relazioni mutue di don Quijote e don Diego. Non credeva nemmeno che rappresentassero due mondi opposti, don Lorenzo e suo padre, solo perché il primo era patito per la poesia. Don Lorenzo è modesto nell’affermarsi poeta, così come don Diego è disposto a lasciare al figlio l’arduo compito di sentenziare sulla follia o sulla saggezza del cavaliere.

Bataillon inizialmente restio all’idea che l’Elogio avesse potuto influenzare con le sue idee la letteratura spagnola della Controriforma, per mancanza di traduzioni castigliane del testo, si domandò, in un secondo momento, se l’eredità di Erasmo in Spagna, potesse poggiare non solo in una certa attitudine religiosa e morale, ma anche in fecondi suggerimenti letterari. Lo studioso notò che l’Indice del 1559, proibì categoricamente l’Encomium Moriae in qualsiasi lingua fosse divulgato, lingua romanza, latina, o qualsiasi altra lingua. Un divieto così ampio fece suppore a Bataillon che gli inquisitori fossero a

52 conoscenza della versione italiana del 1539, La Moria d’Erasmo novamente in

volgare tradotta, o almeno avevano sentito parlare di una versione in lingua

volgare castigliana. Bataillon segnalò inoltre l’esistenza di un Triunfos de

Locura, poema morale scritto da Hernán López de Yanguas, del quale si

conoscono due edizioni, una pubblicata a Valenza dopo il 1521 e un’altra senza luogo né data. Eugenio Asensio rivelò che si trattava di un’adattamento dell’

Elogio di Erasmo. Quest’opera secondo Bataillon, costituisce un importante

testimonianza dell’inizio dell’erasmismo in Spagna.

Nel capitolo intitolato Un problema de influencia de Erasmo en España. El

«Elogio de la locura»37, l’egregio studioso, affronta la questione dell’influenza

di Erasmo e della sua celebre opera, l’Elogio della follia, nella letteratura spagnola dei secoli XVI e XVII.

Bataillon, ricorda che Erasmo opera una distinzione fra il concetto di stultitia e quello di insania, quindi fra stupidità e alienazione mentale, come quella dei poeti che durante l’ispirazione cedono a un’insania di origine divina molto diversa dall’ira distruttrice. La follia di don Quijote si limita ai suoi effetti allucinatori, proprio come nel caso della follia teatrale dell’argivo di Orazio, riportato da Erasmo nell’Elogio, che permette comportamenti sociali normali. Chiaramente, afferma Bataillon, si tratta di una follia felice, come quella che loda “Moria”, una follia allegra molto diversa dalla furia di Orlando. In relazione a questa follia cavalleresca, Sancho Panza, assume il ruolo di «cuerdo loco» che commenta i fatti e si comporta come un demistificatore. Egli si oppone all’ insania, all’alienazione mentale raffinata e letteraria di don Quijote. Le sue passioni, bere, mangiare, ottenere cose concrete, sono le più frequenti fra la stupida umanità ignorante. Sancho è, infatti, l’incarnazione della Stultitia, alternata a saggezza. Si può concludere quindi, affermando che l’associazione del tonto, dello sciocco, del sempliciotto, con il loco, il folle, che è diventato l’ingegnoso hidalgo, si adegua perfettamente al polimorfismo della stultitia, dell’indimenticabile opera di Erasmo. Tuttavia, se pensiamo alle virtù di

stultitia e insania, è soprattutto nella seconda parte del Quijote che Cervantes si

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53 mostra discepolo fedele e geniale dello spirito della follia erasmiana. Infatti, i due personaggi del romanzo hanno raggiunto la fama letteraria, grazie alla pubblicazione della prima parte delle loro avventure e sono attesi e riconosciuti da tutti gli altri personaggi del romanzo. In questa seconda parte, la differenza fra una follia positiva ed una negativa si rafforza, i limiti fra follia e saggezza si sfumano sempre più. Ad esempio i Duchi risultano più folli dei folli stessi architettando burle per il cavaliere ed il suo scudiero. Infatti, Bataillon segnala che l’Elogio affermava : «el loco ríe a carcajadas del que lo es menos». Al contrario è possibile ammirare la saggezza di Sancho quando i Duchi lo incaricano di governare un paese vicino, sotto il falso nome di isola Barataria. La duchessa adora l’ingenuità maliziosa di Sancho e fa di lui un favorito, un buffone di corte.

In generale, si avverte in Cervantes un vivo interesse per la follia, in particolare per la follia saggia, se scorgiamo in questo, tendenze religiose che ricordano l’umanesimo cristiano. Quando l’autore decide di fare abiurare il suo eroe nel letto di morte da una follia troppo umana, non gli viene in mente l’idea di fargli abbracciare la divina follia della croce.

Secondo Bataillon, in definitiva è una questione indissolubile sapere quello che Cervantes lesse di Erasmo e se avesse letto l’Elogio di persona. Infatti, lo studioso prende le distanze da Antonio Vilanova e dalla sua convinzione che Cervantes avesse ben presente il testo erasmiano al momento di scrivere il

Quijote. Per Bataillon egli non ha giustificato pienamente la sua tesi,

complicandola anzi, mettendo di mezzo, come sappiamo, lo strano libro del moralista J. De Mondragón del 1598.

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MIGUEL SOLER, LA FOLLIA DI DON QUIJOTE COME