Anche l’illustre Michel Foucault si è occupato di Follia nel suo Storia della
follia nell’età classica49
. La storia della follia che il dotto filosofo propone nel suo libro è una storia di marginalità. Infatti, lo studioso mostra come ogni epoca cercò di isolare le forme di diversità e di miseria.
Spariti i lebbrosi alla fine del Medioevo, rimasero le strutture vuote che li ospitavano e le immagini legate al personaggio del lebbroso, come qualcosa che meritava esclusione. In queste stesse strutture, due o tre secoli più tardi, si ritroveranno simili meccanismi di isolamento. Infatti, questi luoghi saranno occupati da una massa eterogenea di poveri, vagabondi, corrigendi e pazzi. Alla fine del XV secolo, i lebbrosari ospitavano i venerei. La malattia venerea si insediò, lungo il XVI secolo, tra le malattie che esigevano una cura, diventando così una questione medica. Curiosamente, sotto l’influsso dell’internamento costituitosi alla fine del XVII secolo, la malattia venerea, si è staccata dal suo contesto medico e si è integrata, accanto alla follia, in uno spazio morale di esclusione. Ma la vera ereditaria della lebbra, come paura secolare e nuova ossessione da tenere lontano, è secondo Foucault, proprio la follia.
Nell’immaginario rinascimentale occupa un posto privilegiato la Nave dei folli, strano battello ubriaco che percorre i fiumi della Renania e i canali fiamminghi. Ricordiamo a proposito, Il Narrenschiff di Brandt (1497). Quest’opera letteraria si ispirò alla realtà, in quanto sono realmente esistiti questi battelli che trasportavano il loro carico insensato da una città all’altra. I folli all’epoca, conducevano un’esistenza vagabonda e le città spesso li cacciavano. Probabilmente, le città europee videro di frequente approdare queste navi che trasportavano folli. Alle volte essi venivano spediti in pellegrinaggi alla ricerca della loro ragione, oppure, messi in prigione o anche frustati pubblicamente. L’immagine della Nave dei folli è carica di simbologia. L’acqua ad esempio,
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66 trascina via e dunque, purifica. La navigazione, abbandona l’uomo all’incertezza della sorte.
Alla fine del Medioevo, nelle farse, il personaggio del Folle, del Grullo o dello Sciocco, occupò il centro del teatro, come colui che deteneva la verità. In questo modo, il tema della follia sostituiva quello della morte. Il nulla dell’esistenza non era più considerato come termine esterno e finale, ma era sentito dall’interno, come la forma continua e costante dell’esistenza. La saggezza consisterà nel denunciare dappertutto la follia diventata una sola cosa con la morte stessa : è il salire della follia, la sua sorda invasione, a indicare che il mondo è vicino alla sua ultima catastrofe; è la demenza umana che la chiama e la rende necessaria. Questo legame della follia e del nulla è strettamente connesso al XV secolo. Anche l’ultima parte dell’Elogio della
follia, afferma il filosofo, è costruita sul modello di una lunga danza dei folli,
durante la quale ogni professione e ogni stato sociale sfilano uno dopo l’altro per formare il grande cerchio della Sragione.
Nel Rinascimento, la Follia è legata alle debolezze umane, ai sogni e alle illusioni dell’uomo e non più alle potenze tragiche del mondo di cui parlavamo poc’anzi. Essa introduce un universo morale. Il Male non è fine dei tempi ma solo colpa e difetto. In letteratura, la follia nel XV secolo prende soprattutto la piega di una satira morale, dove Follia e Ragione sono in rapporto di reciprocità. Si accettano le condizioni di una Ragione sragionevole, e di una ragionevole Sragione.
I tratti della follia per identificazione romanzesca sono stati fissati una volta per tutte da Cervantes. In apparenza, Il Quijote è soltanto la critica dei romanzi d’invenzione; ma, più in profondo, si scorge un’inquietudine nei rapporti tra la realtà e l’immaginazione nell’opera d’arte. Secondo Foucault, in Cervantes, la follia occupa sempre una posizione estrema, nel senso che essa è senza rimedio, niente la riporta alla verità e alla ragione. Indubbiamente nell’ultimo istante prima di morire, don Quijote riscopre la verità e la ragione. Tutt’a un tratto la follia del Cavaliere ha preso coscienza di se stessa, e davanti ai suoi
67 occhi si tramuta in stupidità. Ma questa brusca saggezza della propria follia è qualcosa di diverso dall’essere posseduto da qualche nuova pazzia? Ecco un equivoco che non può essere risolto se non dalla morte stessa. Ma la morte stessa non arreca pace : la follia trionferà ancora, come si deduce dal famoso epitaffio sulla tomba di don Quijote. Ironicamente, la sua vita insensata lo insegue oltre la morte e lo immortala solo con la sua demenza; la follia è ancora la vita nella morte.
A partire dal XVII secolo, fra Ragione e Follia viene tracciata una linea di separazione. Nascono le grandi case d’internamento. Foucault ci fornisce una data importante : il 1656, che corrisponde al decreto di fondazione dell’Hôpital général, a Parigi. Questa istituzione non è di stampo medico, ma è una struttura semigiuridica, uno strano potere che il Re ha creato tra la polizia e la giustizia, ai limiti della legge, anch’esso fonte di repressione. In tutte le città del regno saranno eretti edifici di questo tipo. Il classicismo, ovvero il XVII secolo per Foucault, ha inventato l’internamento, come il Medioevo la segregazione dei lebbrosi. Nell’ Hôpital la massa eterogenea di folli e poveri, era divisa in due gruppi di buoni e cattivi, a seconda dell’atteggiamento morale che manifestavano. Vi era chi si ribellava e cercava di sfuggire a quest’ordine e chi invece, adottava un atteggiamento conformista. Il folle dunque, trovava un posto accanto ai poveri tra le mura dell’ospedale, poiché egli turbava l’ordine sociale. Prima di avere un senso medico, l’isolamento si è reso necessario per tutt’altra causa che la preoccupazione di guarire. Ciò che l’ha reso necessario era un imperativo di lavoro. L’Hôpital général era stato fondato al fine di combattere la mendicità e l’ozio come fonti di disordine. In questo modo, in effetti, si nascondeva la miseria e si evitavano le agitazioni sociali. A partire dall’età classica, infatti, la follia è sentita attraverso una condanna etica dell’ozio, bisogna renderla utile alla comunità, correggerne la morale.
Lungo tutto il XVIII secolo, ci si adopera con ogni forza per mettere ordine nella vita e nelle coscienze di questi “peccatori”, questa la ragione dell’internamento. Si associa una perfetta osservanza dei principi religiosi a un buon funzionamento dell’ordinamento pubblico. Per cui all’interno di tali
68 strutture, l’aspetto religioso era molto importante per la salvezza di queste anime. Abbiamo detto che l’internamento è una creazione caratteristica del XVII secolo. Perché Foucault insiste tanto con l’importanza dei cambiamenti che il classicismo apporta? La risposta la troviamo nel fatto che, nella storia della follia, esso designa un evento decisivo : il momento in cui la follia è percepita nell’orizzonte sociale della povertà, dell’incapacità al lavoro, dell’impossibilità d’integrarsi al gruppo; è nata una sensibilità che ha tracciato una linea e che sceglie di bandire. La Ragione regna allo stato puro su una
Sragione scatenata. La follia è così strappata a quella libertà immaginaria che
le lasciava una certa indipendenza sotto il cielo del Rinascimento. Essa allora si dibatteva in piena luce, come dimostra il Quijote. Ma in meno di mezzo secolo la follia si è trovata reclusa nella fortezza dell’internamento, legata alla ragione e alle regole della morale. Questo gesto ha creato un’alienazione. Una volta avvenuto il grande internamento su tutta la superficie europea, chi troviamo insieme ai folli, nelle comunità d’esilio della periferia delle città, almeno fino alla fine del XVIII secolo?
Quello che si troverà sarà una vasta popolazione eterogenea che unita nella segregazione, forma un mondo uniforme della Sragione : vagabondi, mendicanti, criminali, anziani infermi, innocenti deformi, ragazze incorreggibili, paralitici, sifilitici, dissoluti, dissipatori, omosessuali, bestemmiatori, alchimisti, libertini. Dunque, l’internamento è l’aspetto vistoso, di una cultura che tenta una riorganizzazione del mondo etico, nuove linee di separazione fra il bene e il male, tra il riconosciuto ed il condannato. Tutti i segni che diventeranno, a partire dalla psichiatria del XIX secolo, i sintomi inequivocabili della malattia, sono rimasti, per circa due secoli, divisi tra l’empietà e la stravaganza.
Se l’insensato durante il Medioevo ed il Rinascimento veniva incluso nella sfera del sogno, con l’età classica, il XVII secolo, la “Sragione” è localizzata e definita nella sua presenza concreta. Essa viene ora percepita nella realtà sociale, prende la dimensione di un fatto umano, l’uomo di sragione è divenuto un personaggio concreto. Quindi, la Sragione, di cui il pensiero del
69 XVI secolo aveva fatto il punto dialettico di rovesciamento della Ragione, riceve in tal modo un contenuto concreto. Si può allora affermare, che fino al Rinascimento il mondo etico realizzava il suo equilibrio nel destino o nella provvidenza. Il classicismo, invece, ha formato un’esperienza morale della
Sragione , che fonda le basi della nostra conoscenza «scientifica» della malattia
mentale.
I folli dell’ Hôpital général erano nominati individui «insensati», uomini «in demenza», persone «dallo spirito alienato» o «diventate del tutto folli»50. I termini «furioso» e «Furore» utilizzati negli ambiti della giurisprudenza e della medicina, ricorrono spesso nei libri dell’internamento ed essi, designano una delle forme di Follia. L’utilizzo di tali termini per descrivere i folli, indicano una concezione di questa massa di insensati come facente parte di una regione indifferenziata del disordine : della condotta e del cuore, dei costumi e dello spirito. Si tratta, forse, per noi di nozioni confuse, ma abbastanza chiare a quel tempo da dettare l’imperativo poliziesco e morale dell’internamento. I contorni della Follia, come malattia mentale, non erano ancora ben delineati. Fino al XVIII secolo, i folli erano trattati come dei criminali da correggere. Infatti, l’internamento non rappresenta un primo sforzo verso l’ammissione della follia e dei suoi aspetti morbosi negli ospedali. Non possiede come scopo la cura del malato, poiché non è concepito ancora come tale. Esso costituisce piuttosto un’omologazione degli alienati a tutti gli altri correzionari. Ciò che tali strutture intendono fare è correggere, ridurre alla ragione una mente perduta e non, cercare di guarire ma ottenere un saggio pentimento. Le punizioni morali servivano a trasformare la follia in saggezza. Non c’è dunque da stupirsi se le case d’internamento avessero un aspetto simile alle prigioni.
Tutto ciò a linee generali, poiché solo poche strutture, quali per esempio, l’Hôtel-Dieu che conteneva gli insensati e Bethlehem i lunatici, riconoscevano lo statuto dei malati con trattamento ospedaliero che sembrava preannunciare già quello che il XIX secolo accordava pienamente a tutti i malati mentali.
50
70 Il mondo arabo fin dal VII secolo, riconosceva l’individualità del malato e le cure a esso destinate. Non è un caso, se i primi ospedali che accoglievano gli insensati furono fondati in Spagna verso l’inizio del XV secolo. L’ospedale di Valencia risale al 1409; dell’ospedale di Saragozza, Pinel, quasi quattro secoli dopo, ne ammirava il saggio ordinamento; quello di Siviglia fu creato nel 1436; a Toledo nel 1483, e a Valladolid nel 1489. Tali ospedali trattavano il malato come un vero paziente.
Nel XIX secolo, chi detiene la Ragione sviluppa un rifiuto della follia che non sarà più esclusione etica, ma distanza già stabilita; la ragione dovrà riconoscersi sempre al di sopra della follia. Pinel, psichiatra francese, si indignerà che degli innocenti siano stati trattati come dei colpevoli, senza comprendere che per la concezione del XVII secolo, la follia era una scelta dell’uomo stesso, dipendeva dalla sua volontà. L’internamento, infatti, evitava in ultimo, lo scandalo. Ciò segnalò un cambiamento importante nella coscienza del male. Concetti come il pudore, la vergogna, il disonore, la confessione, la punizione sono rafforzati nel XVII secolo. La moralità, fu concepita in modo diverso rispetto al passato, operando quasi un passo indietro rispetto alla sete di libertà propugnata durante il Rinascimento. Allora la follia era presente ovunque con le sue immagini, era un aspetto della ragione. Nel periodo classico invece, essa è diventata cosa da osservare : non più mostro nel fondo di noi stessi, ma bestia dai meccanismi strani. L’associazione del folle all’animale, che come gli animali, si pensò potesse sopportare tutto, fu effettivamente realizzata nel XVIII secolo. Si cercava di addomesticare i pazzi, come si fa con le bestie, li si incatenava ai muri delle sporche e scomode celle e li si puniva.
In certe strutture tedesche, erano state costruite delle finestre grigliate che consentivano di osservare dall’esterno i folli legati. Essi davano in questo modo spettacolo alle porte delle città. Ancora nel 1815, l’ospedale di Bethlehem mostrava i pazzi furiosi per un penny tutte le domeniche e molti erano i visitatori ogni anno. Lo Stesso accadde in Francia a Bicȇtre. Addirittura, i folli che si trovavano in momenti di lucidità, avevano il compito
71 di mostrare i loro compagni folli, come se la stessa follia dovesse mostrare ciò che è. La follia diviene, dunque, spettacolo e scandalo pubblico. Essa sarà concepita, da una Ragione sicura di se stessa, come mostruosità, come cosa da osservare e con cui è piacevole distrarsi, fino all’inizio del XIX secolo. Dall'Ottocento in poi, emerse la visione, influenzata dal Positivismo, del folle come “macchina rotta”, ovvero, lesionata nel cervello.
Nel Novecento Freud con l'intuizione della guarigione perseguibile tramite una ricerca interiore ed un rapporto più umano con il terapeuta, con tutta l’architettura della psicoanalisi nel suo complesso, e Jung, con la sua indagine dei contenuti simbolici degli elementi della follia e l'introduzione degli archetipi per definirla con più chiarezza, mutarono nuovamente la storia del folle e del significato della follia.
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