È mia intenzione, concludere il presente lavoro, con una riflessione personale su ciò che Cervantes, abbia voluto comunicarci sui concetti di follia e saggezza nell’essere umano, attraverso il Quijote.
Si è soliti pensare al Quijote di Cervantes, come al romanzo che narra le avventure del folle don Quijote, obbligato a confrontare la sua follia con la saggezza degli altri personaggi della storia. È lui il folle per eccellenza. Ma fino a che punto possiamo considerare saggi e detentori della verità i personaggi secondari di tale romanzo? Abbiamo imparato a leggere la famosa opera letteraria come un mondo in cui l’autore sfuma la linea di demarcazione che divide la follia dalla saggezza. I personaggi che don Quijote incontra durante il suo vagabondaggio, spesso gli reggono il gioco, svolgendo delle vere e proprie messe in scena volte a riportare il cavaliere alla ragione, a farlo troncare con il suo sogno o per prendersi semplicemente gioco di lui. Dunque, anch’essi vengono contagiati dalla follia del cavaliere errante. La domanda che sorge spontanea è la seguente : sono davvero saggi, coloro che si credono tali davanti alle pazzie di don Quijote? oppure essi appoggiando le fantasie dell’hidalgo, sono più folli di colui che è considerato il vero folle di questa storia? La risposta a tali quesiti, si trova nel Quijote stesso.
Nei primi capitoli, quando si racconta di don Quijote armato cavaliere, l’hidalgo scambia una locanda per castello e il locandiere per castellano. Don Quijote chiede al castellano ( in realtà oste ) di armarlo cavaliere al giorno seguente dopo che avrebbe passato la notte a vegliare le sue armi. L’oste, che da questi discorsi, aveva compreso la pazzia di don Quijote, decise di assecondarlo per divertirsi un po’ e si inventò che anch’egli in gioventù era stato cavaliere errante e che quindi conosceva il codice cavalleresco. Il
87 locandiere raccontò a tutti gli ospiti della locanda la follia di don Quijote, la veglia d’armi e l’attesa della cerimonia d’investitura. Essi incuriositi da questa strana follia, guardavano il cavaliere da lontano, sotto il chiaro di luna vegliare le armi. Ma accadde un incidente (durante la veglia due mulattieri spostarono le armi di don Quijote, poste in una pila per abbeverare le mule, rimediando così dei colpi di lancia da don Quijote che li stese a terra), per cui l’oste decise di abbreviare i tempi e di adempiere alla promessa fatta. Egli prese un libro e fece finta di mormorare le parole d’investitura, egli diede un colpo di lancia e uno sul collo, questa era la prassi d’investitura dei cavalieri erranti aveva rivelato l’oste a don Quijote, ed il povero cavaliere gli aveva creduto. Due donne che fingevano di esser donzelle, gli avevano cinto la spada e fatto calzare lo sprone. Contenere le risa durante il cerimoniale fu compito arduo per le due donne e per l’oste, che in fretta e furia liquidò il cavaliere per evitare altri stravolgimenti nella locanda.
Come è possibile notare, già dai primissimi capitoli della prima parte del romanzo, don Quijote incontra lungo il suo percorso dei personaggi apparentemente saggi. In realtà come si vede, il solo fatto di architettare la cerimonia d’investitura e di assecondare il volere di un folle, non rende l’oste e gli altri personaggi meno folli di lui. Forse Cervantes, vuole comunicare al lettore tra le righe che, follia e saggezza sono entrambi componenti dell’essere umano e ce lo dimostra lungo tutto il romanzo. Follia e saggezza non sono mai completamente separate. Se all’inizio l’oste e gli ospiti della locanda guardano “da lontano” sghignazzando dalla loro prospettiva di “saggi” quello che ritengono essere un folle cavaliere che veglia le sue armi, finiscono poi per mescolarsi alla sua follia, entrano in contatto con essa, e diventano essi stessi folli. Lo stesso don Quijote, come abbiamo più volte ripetuto, alterna a momenti di follia momenti di saggezza e ragionevolezza.
Anche durante la seconda uscita del cavaliere, Sancho Panza, un contadino vicino di casa di don Quijote, accetterà di diventare suo scudiero, da quel momento in poi, crederà alla promessa di un’ isola da governare. Panza, comincia allora a sognare d’isole e prestigiose nomine per i figli e la moglie.
88 In questo modo, egli é più folle del padrone, poiché decide di seguirlo nelle stravaganti avventure.
Un altro esempio lo troviamo quando nell’avventura con un corpo morto, ovvero, durante una processione funebre, don Quijote scambia la lettiga con il morto sopra, per una barella che trasporta un cavaliere ferito o morto da vendicare. Il cavaliere, con coraggio affronta la mischia, ma essendo disarmate le vittime dell’aggressione, scappano dalla paura. Sancho esprime l’ammirazione per il valore del suo padrone. A quel punto i due, cavaliere e scudiero, rimangono a colloquiare con un baccelliere e uomo di chiesa, che ferito, è costretto a raccontare chi erano e dove erano diretti i suoi compagni ed egli stesso. Sancho ricorda all’uomo, chi è il suo padrone per chi volesse sapere chi fosse il vincitore valoroso di quell’avventura. Quindi, anche in questa occasione, Sancho non fa che appoggiare le stramberie del suo padrone.
Esempi di questo genere sono sparsi lungo tutto il testo. Anche il curato ed il barbiere, si inventeranno dei piani per far tornare don Quijote a casa e per guarirlo dalla sua malattia, piani che però fanno apparire nuovamente coloro che si credono saggi, dei folli. Essi desiderano riportare don Quijote alla “normalità”, risultando così ridicoli. Molteplici sono le occasioni in cui è possibile notare questo aspetto. Forse quelle che con maggior forza toccano il culmine del ridicolo, sono le scene che vedono protagonisti i Duchi. Essi, avendo letto la prima parte delle avventure del cavaliere, desiderano conoscerlo e ospitarlo, con Sancho, nel loro castello. I due accettano e il duca e la duchessa si divertono a prenderli in giro inscenando in un bosco una mascherata con maghi, demoni, donzelle ed altri personaggi. In seguito imbastiscono il dramma della contessa Trifaldi e delle sue dodici pulzelle che hanno il volto barbuto per colpa di un incantesimo del mago Malabruno. Don Quijote dovrà affrontare il mago nel suo paese cavalcando Clavileño, un cavallo alato che in realtà è fatto di legno ed è carico di mortaretti, cosicché quando don Quijote e Sancho lo cavalcano bendati, il duca dà fuoco alle polveri e i due, dopo aver fatto un gran salto in aria, cadono sull'erba. L'incantesimo è rotto. Più tardi il duca nomina Sancho governatore dell'isola di
89 Barattaria, ma la vita lì è troppo complicata per il semplice scudiero che se ne ritorna dal suo padrone. I due lasciano il castello alla volta di Barcellona e lungo la strada incontrano ancora tantissime avventure finché l'ultima pone fine alla vita del cavaliere errante ed è la sfida che gli viene da Sansone Carrasco, lo studente di Salamanca, stavolta travestito da Cavaliere della Bianca Luna. Lungo la strada don Quijote incontra il Cavaliere della Bianca Luna che lo sfida a confessare che la sua dama è più bella di Dulcinea. Il Cavaliere dei leoni rimane allibito da tanta arroganza e accetta la sfida con il patto che chi avesse perso si sarebbe consegnato nelle mani del vincitore. Così avvenne che don Quijote, vinto da Carrasco, che aveva usato ancora una volta un trucco, si consegna nelle sue mani e viene finalmente ricondotto a casa. Una volta al villaggio, forse per l'abbattimento di essere stato vinto o per destino, viene colto da un’improvvisa febbre che lo tiene a letto per sei giorni. Malgrado la visita degli amici il cavaliere si sente molto triste e al termine di un lungo sonno, egli si sveglia gridando che stava per morire e ringraziando Dio per aver riacquistato il senno. La fine del romanzo la conosciamo, don Quijote vuole confessarsi e in seguito fare testamento, e dopo qualche giorno, tra i pianti degli amici e soprattutto di Sancho, egli muore.
Concluderei riportando quelle che sono state le mie impressioni e riflessioni, durante la redazione di questo lavoro. Sicuramente, ogni critico, ogni studioso che si è avvicinato a questo importante romanzo ha apportato qualcosa d’importante ai fini dell’indagine interpretativa del celebre romanzo di Cervantes. Considerando le varie interpretazioni dell’opera, mi sono accorta che ciascuno a suo modo aveva contribuito ad aggiungere un tassello nel grande puzzle dell’interpretazione, un pezzo di verità. Ho provato a calarmi nella mente di Cervantes, per comprendere meglio l’opera che ho preso in esame e attraverso la lettura della biografia dell’autore del Quijote, quella di Jean Canavaggio, in particolare, ho tentato d’immaginare quale potesse essere la personalità di Cervantes, percorrendo appunto, il suo vissuto. Ho trovato delle analogie, personalmente, fra la vita di Cervantes e quella del suo personaggio don Quijote. Lo scrittore, ha dovuto affrontare molti ostacoli
90 durante la sua vita, ma si è sempre rialzato, e dopo la morte e ancora oggi, la sua fama ha raggiunto tutti gli angoli del mondo. Anche don Quijote, ne ha subite tante e ne ha combinate, come lo stesso Cervantes, eppure la morte, gli renderà giustizia. Morto il coraggioso cavaliere, tutti riconoscono che la sua fortuna è stata quella di vivere follemente la vita e di morire nella saggezza. Forse Cervantes ci vuole dare una lezione di moralità? Ci vuole spingere a seguire i nostri sogni, nonostante la vita a un certo punto metta fine a tutto questo? Sicuramente egli ci insegna, a essere più umili, a non vivere nella convinzione e nella presunzione di essere gli unici a possedere la verità. Tutte le cose possono essere osservate da molteplici e diversi punti di vista. Basta accettare il punto di vista altrui, senza voler a tutti i costi pretendere che esso sia uguale al nostro per essere vero. Probabilmente in vita, Cervantes, come don Quijote, è stato escluso, deriso, non compreso dal mondo circostante. Paragoniamo un Lope a Cervantes, entrambi artisti geniali, ma con la differenza che Lope aveva raggiunto la fama, e seguiva la moda letteraria del tempo, Cervantes, dovette attendere molto invece, per ottenere la notorietà, e solo dopo la pubblicazione della prima parte del Quijote. Il fatto di non seguire la moda, non lo aiutò in quel momento a emergere accanto agli altri nomi degli artisti contemporanei.
Lo spirito combattivo, sicuramente accomuna l’autore al suo personaggio. La propensione a sognare, per evadere dalla bassezza della realtà prosaica è un altro punto a mio avviso in comune. A un certo punto però, autore e personaggio si accorgono che i sogni si frantumano, che la vera vita è un’altra, ed è solo, attraverso l’esperienza e la maturità, passando per le sofferenze e i disinganni che si comprende tutto questo. Alla fine, quest’opera complessa e ricca di contenuti, non è altro che la storia di una vita umana, che nasce, cresce e muore. Attraversando queste fasi della vita, l’uomo sperimenta la conoscenza, la passione, il dolore, la felicità, la speranza e poi il disinganno. Don Quijote illustra le tappe di una vita umana, fino al capolinea. È questa consapevolezza che lo rende un capolavoro, ognuno di noi, leggendo il Quijote, ritrova il bambino che è in sé, quello che desidera, che sogna, e l’adulto, che ha
91 fatto un patto con la società e che ha imparato ad aspettare prima di raggiungere il piacere.
CONCLUSIONI
Il tema oggetto di questa tesi di laurea, la Follia di don Quijote, uno dei personaggi più importanti di tutta la letteratura spagnola, è stato affrontato tenendo presente due possibili canali d’analisi ed interpretazione : quello medico e quello letterario. La follia, letta da due prospettive così diverse, può dare origine a nuovi quesiti e a nuove curiosità. Mi sono spinta fino ad un’analisi psichiatrica della peculiare follia di questo affascinante personaggio, sebbene fossi cosciente del fatto che, ciò significasse eliminare la poesia del romanzo e forse anche l’umanità del protagonista di questa storia, trasformandolo in un oggetto di osservazione medica. Ho voluto azzardare. Bisogna puntualizzare che è stato necessario restringere il campo e focalizzarsi sulla bibliografia più rilevante ed in linea con le intenzioni di questo lavoro, altrimenti molto vasto e cospicuo di bibliografia. Ho ritenuto opportuno dividere in due parti l’elaborato. La parte che riguarda l’aspetto medico con cui si è voluto affrontare il tema della follia di don Quijote, prende le mosse dalle teorie mediche rinascimentali vigenti in quel momento storico, tutte racchiuse, come abbiamo visto, nel trattato del dottor Huarte, da cui Cervantes sembrerebbe aver attinto per concepire il personaggio di don Quijote e la sua follia. Seguendo la teoria dei temperamenti di Huarte, don Quijote corrisponderebbe a un temperamento collerico, poiché la sua intemperanza calda e secca ha contribuito a sviluppare nell’hidalgo una grande immaginazione.
In secondo luogo, si è operata un’analisi moderna della follia dell’eroe manchego in chiave psichiatrica, proposta dal dottor Francisco Alonso Fernández, cattedratico di psichiatria all’università complutense di Madrid e
92 membro della Real Academia Nacional de Medicina, secondo il quale don Quijote sarebbe affetto da bipolarismo, diremmo oggi. Infatti, secondo lo psichiatra, il cavaliere errante alterna a momenti di euforia e felicità, momenti di malinconia e depressione.
Per quanto riguarda invece, il versante dell’analisi letteraria, sicuramente il punto da cui siamo partiti è l’Elogio della follia di Erasmo. Da questa opera letteraria, infatti, ha preso le mosse buona parte della critica, sostenendo che fra l’Elogio erasmiano e il romanzo cervantino vi siano delle relazioni sia per quanto riguarda l’ambito religioso sia per l’alienazione mentale del protagonista. Cervantes che conosceva l’opera erasmiana, per alcuni critici in maniera indiretta, per altri invece essa era arrivata direttamente fra le mani dello scrittore, si era ispirato alla follia personificata dell’Elogio, una follia positiva, liberatrice e gioviale. In particolare, vi è un passaggio dell’opera, che tratta di un caso di alienazione mentale molto simile a quello del povero e incompreso don Quijote. La critica si è concentrata su questo aspetto. Un’altra parte di studiosi, ha visto nella follia di don Quijote, una copertura, una maschera per una critica della società contemporanea di Cervantes. Del resto anche Erasmo, dietro il protagonismo della follia personificata, vestita da giullare di corte, operava una critica della società contemporanea e dei suoi cattivi costumi. In ultimo, si è svolta un’analisi sul tema della follia e della saggezza nel romanzo. L’alternanza di queste è tipica del Quijote, i confini tra di esse sono sempre sbiaditi.
In linea generale, queste sono le piste seguite dal presente lavoro, con la speranza che esso possa servire da spunto per nuove ricerche e approfondimenti sul tema.
93 SOMMARIO
EL SIGLO DE ORO : TRA RINASCIMENTO E BAROCCO ... 2
CERVANTES : UNA VITA DIFFICILE ... 3
BIOGRAFIA DI JUAN HUARTE DE SAN JUAN ... 18
HUARTE E L’EXAMEN DE INGENIOS PARA LAS CIENCIAS ... 20
L’INFLUENZA DI HUARTE SU CERVANTES ... 23
LE FONTI ANTICHE DELL’EXAMEN ... 29
INFLUENZA DELL’ELOGIO DELLA FOLLIA IN CERVANTES ... 33
LA FOLLIA NEL QUIJOTE, INTERPRETAZIONI ... 33
IL QUIJOTE SECONDO AMERICO CASTRO ... 39
DON CHISCIOTTE DELLA MANCIA VS CAVALIERE DAL VERDE GABBANO. LETTERATURA DEL PARADOSSO E FOLLIA EMBLEMATICA SECONDO F. MÁRQUEZ VILLANUEVA ... 43
ANTONIO VILANOVA, L’ELOGIO COME FONTE PRINCIPALE DEL QUIJOTE ... 48
MARCEL BATTAILLON VS CASTRO, VILANOVA E F. MÁRQUEZ VILLANUEVA ... 51
MIGUEL SOLER, LA FOLLIA DI DON QUIJOTE COME MASCHERA PER UNA CRITICA SOCIALE ... 54
DIEGO MARTĺNEZ TORRÓN, CRITICA SOCIALE NEL QUIJOTE ATTRAVERSO LA FOLLIA DEL CAVALIERE ERRANTE ... 57
HUARTE NEL QUIJOTE, BASI MEDICHE DELLA FOLLIA ... 61
MICHEL FOUCAULT , LA FOLLIA NELL’ETÁ CLASSICA ... 65
IL DESIDERIO “TRIANGOLARE” DI GIRARD ... 72
ANALISI PSICHIATRICA DEL QUIJOTE ... 77
UMORISMO, PIRANDELLO E CERVANTES ... 82
FOLLI E SAGGI NEL QUIJOTE ... 86
CONCLUSIONI ... 91
SOMMARIO ... 93
94
SITOGRAFIA ... 96
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