Anche Erasmo, con la sua opera più famosa, L’Elogio della follia, ha lasciato una traccia indelebile in Cervantes. Non solo sul piano religioso, come è stato ampiamente dimostrato dagli importanti contributi di Bataillon, ma anche per quanto concerne l’argomento di questo lavoro, la follia dell’ hidalgo.
Sappiamo che l’opera più celebre di Erasmo è stata concepita durante un viaggio dall’Italia all’Inghilterra, essendo egli stato invitato alla corte di Enrico VIII. Prima di passare all’opera, è necessario operare una piccola digressione sul periodo italiano di Erasmo poiché alcune esperienze che l’illustre umanista visse nel nostro paese gli serviranno da spunto per la redazione dell’ Encomium
Moriae. In Italia, Erasmo vide il trionfo papale su Bologna di “Giuliano il
terribile” e fu colpito in senso negativo dalla processione pomposa a cui assistette, si chiedeva se Papa Giulio fosse successore di Cristo o di Giulio Cesare. Del fiscalismo papale operante in questa città appena conquistata scrisse: “Viaggiando per la campagna vidi la povertà dei contadini, la cui intera fortuna consisteva in due mucche, che avevano difficoltà a mantenere la famiglia e che gli esattori del Papa mungevano di un ducato a testa”26. Quando fu a Roma vide cose che gli provocarono disgusto, invitato quasi a forza ad assistere ad una celebrazione del Venerdì Santo c’erano Papa Giulio e una moltitudine di cardinali, vescovi, dotti e senza fare nomi racconta di un oratore petulante la cui orazione era quasi inesistente, dato che il discorso religioso verteva più che altro sull’elogio del Papa, paragonato addirittura a Giove che “brandisce nella destra il tridente e l’immancabile fulmine e che con un suo cenno realizza ogni suo volere”27
. Ancora una volta Erasmo si domandava tutto questo cosa aveva a che fare con la religione cristiana della quale Papa Giulio doveva essere capo ed esempio. Stesse impressioni suscitarono dalla visione di
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Erasmo da Rotterdam, Elogio della follia, Bur Classici del pensiero, Milano, 2009, p. 9.
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35 una corrida nel palazzo del Papa, ciò gli ricordava un certo paganesimo. Da queste esperienze vissute in prima persona, scaturì anche una critica contro le superstizioni del popolo, sebbene fosse consapevole del fatto che il marcio provenisse dalle posizioni alte. Erasmo si rese conto che i preti non svolgevano il loro dovere come avrebbero dovuto, si lamentò soprattutto della loro condotta. Essi difendevano la loro autorità tra la gente con minacce e punizioni, chiedevano decime, indulgenze, annate, conferme. L’offesa più grande per Erasmo restò quella di aver visto un Papa-condottiero guidare le sue truppe per la conquista di una città cristiana e spargere sangue inutilmente, quando un Papa dovrebbe propugnare la pace e non la guerra. Dopo questa piccola digressione ci dedicheremo finalmente all’opera e alla sua influenza su Cervantes.
Erasmo scrisse l’Elogio in Inghilterra, ospite in casa del suo amico Tommaso Moro al quale dedicò praticamente l’opera per l’affetto e la riconoscenza che nutriva verso di lui, l’unico a poter apprezzare davvero questa opera scherzosa, scritta per gioco e per divertire, la quale Moro doveva difendere da possibili attacchi. Il titolo dell’opera l’Encomium Moriae può essere inteso come elogio della follia ma anche elogio di Moro, appunto, in onore dell’amico. Protagonista di questa storia è la dea Follia personificata che elogia se stessa e che è vestita da giullare di corte. Essa si rivolge all’umanità per iniziarla ai suoi misteri. Il pubblico è già di buon umore grazie alla sua presenza, prova del fatto che essa è benefattrice del genere umano in quanto porta allegria, ed è per questo che merita di essere lodata e lo fa da sola, perché nessun uomo lo fa per lei. Non è un comportamento umile ma è preferibile a un discorso falso in proprio onore come farebbe un principe. La Follia si presenta : è figlia di ricchezza e giovinezza ed è nata nelle Isole Fortunate. In seguito elenca i benefici che apporta all’uomo : la vita, perché nessuna donna saggia che ricordi i dolori delle doglie continuerebbe a procreare. L’età della vita, è grazie a lei che la giovinezza è piacevole, e che in vecchiaia si torna bambini; le divinità più amate sono quelle più folli; l’uomo ama la donna per la sua follia. Altri piaceri che dona la follia sono : il vino, i banchetti e l’amicizia.
36 Tutte queste cose portano felicità perché sono dominate dalla follia, ma è una follia positiva questa, come quella di don Quijote, vista come liberazione dal grigiore della vita. Esiste anche una follia negativa, quella della guerra che appare nobile a volte agli occhi umani, e questa per Erasmo rappresenta la vera follia, la follia di chi crede di essere saggio. Anche la saggezza stessa però dipende dalla follia se la si comprende come esperienza, solo i folli possiedono lo spirito di iniziativa per farsela. Se la percepiamo come giudizio, ciò che si è non corrisponde a ciò che si appare ed è saggio chi se ne rende conto, è folle invece chi rifiuta di riconoscere le apparenze inconsistenti su cui si regge la società intera. Gli uomini-attori sono quindi saggi e folli insieme. Il riconoscere che il conformismo e le passioni fanno parte dell’uomo versa contro la figura del saggio stoico, rigido e asociale. L’uomo semplice è più felice di quello colto che passa tutto il suo tempo sui libri, perché non spreca la sua giovinezza. Gli animali vivono meglio degli uomini che sono eternamente insoddisfatti. I pazzi poi sono i più felici, perché non hanno paure, sono spericolati, immaginano cose, come i giullari possono dire tutte le verità e indiscrezioni apertamente, perché essendo pazzi, rimangono impuniti dai Principi e sono anzi apprezzati. Inizia poi la parte più satirica dell’opera, in cui si esaminano diverse forme di pazzia più particolari : i cacciatori, gli alchimisti, i giocatori, i superstiziosi che sono il divertimento degli dei dell’Olimpo. La Follia è la dea della felicità illusoria che serve agli uomini per sopravvivere, ma essa non ha bisogno né di templi né di pratiche esteriori, bisogna solo imitarla. Qui Erasmo con ironia esprime un giudizio in favore della spiritualità religiosa. Poi è la volta degli uomini di cultura, grammatici, poeti, retori, teologi. In particolar modo Erasmo se la prende con i teologi della scolastica dei quali non nutriva simpatia. Stessa cosa fa con i monaci, con gli abusi di potere di laici ed ecclesiastici, critica duramente il Papato e la Chiesa che conducono a guerre sanguinose per interessi puramente mondani, il tutto incarnato nella figura di Giulio II come abbiamo già visto. Quest’ultima rappresenta la vera follia per Erasmo, la follia negativa e generica del cattivo cristiano che si rinchiude in un formalismo morto e crede così di essere saggio. Questa follia stravolge l’atto liberatorio di Cristo che si è fatto crocifiggere per l’umanità. La follia-saggezza
37 di Cristo è un esempio di follia positiva e di altruismo, egli paga per tutti ed è un eroe della liberazione;
Nell’Elogio c’è inoltre, un passaggio nel quale si parla dell’alienazione mentale di un uomo, l’Argivo, che Erasmo riprende da Orazio :
“ E non era sbagliato il pensiero di quell’Argivo, la cui pazzia consisteva solo
nello starsene seduto giorni interi in teatro ridendo, piangendo, divertendosi, perché credeva che venissero rappresentate magnifiche tragedie, mentre non si rappresentava un bel niente; nelle altre occupazioni, del resto, si comportava da persona per bene, simpatico agli amici, gentile con la moglie, capace di perdonare i servi e di non far fuoco e fiamme per il danno al suggello di un fiasco. Quando l’impegno dei parenti lo ebbe risanato con medicine e fu di nuovo del tutto padrone di sé, protestando così con gli amici : “Diamine, mi avete fatto fuori, non salvato, amici cari” disse “strappandomi così il piacere e togliendomi con la forza un gradevolissimo smarrimento”28.
Questo passaggio dell’ Elogio offre importanti spunti di riflessione sull’influenza del tema della follia erasmiana nel Quijote. Intanto si parla di un soggetto affetto da follia, come il nostro hidalgo don Quijote, ma che tipo di follia ? Si tratta di una follia dovuta all’immaginazione, proprio come quella di don Quijote, che porta a una certa alienazione, solitudine, a causa dell’incomprensione altrui. Ma si dice di più sulla follia di quest’uomo. Si dice in sostanza che è un folle a intermittenza, lo è solo quando si trova in teatro, ma non lo è in tutte le occasioni. Ricordiamo che questo dato lo troviamo anche in Cervantes che descrive don Quijote come un “loco entreverado, lleno de lúcidos intervalos” e autore di “discretas locuras”. Anche la parte finale di questo paragrafo ha delle relazioni e corrispondenze con la fine del romanzo di Cervantes e quindi con la morte del cavaliere errante. Nell’ultima avventura don Quijote è nuovamente vittima di un inganno protesogli da Sansone Carrasco che si traveste da Cavaliere della Bianca Luna, il quale lo sfida sperando nella perdita di don Quijote per riportarlo a casa. Vinto stavolta da Carrasco, don Quijote si consegna al vincitore come la regola della cavalleria prevede ed è finalmente ricondotto a casa. Ma una volta arrivato al villaggio, il cavaliere viene colto da una febbre improvvisa che lo incatena a letto per
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38 alcuni giorni e nonostante la visita degli amici si sente triste. Dopo un lungo sonno si risveglia, sente che sta per morire e ringrazia Dio per aver riacquistato il senno e aborrisce la vita da cavaliere che ha condotto fino a quel momento, tornando a essere quello di un tempo. Don Quijote vuole confessarsi e far testamento. Dopo qualche giorno muore tra i pianti degli amici e soprattutto di Sancho Panza. Carrasco scriverà un epitaffio per il cavaliere scomparso che dice : “Yace aquí el hidalgo fuerte que a tanto extremo llegó de valiente, que se advierte que la muerte no triunfó de su vida con su muerte. Tuvo a todo el mundo en poco, fue el espantajo y el coco del mundo, en tal coyuntura, que acreditó su ventura morir cuerdo y vivir loco”29. Il voler a tutti i costi curare la follia che ha permesso a don Quijote di vivere parte della sua vita felice, ha condotto il suo spirito verso la morte, verso il disincanto, quasi a voler indicare un binomio follia-vita razionalità-morte. Il folle o saggio cavaliere incarna il problema di fondo dell’esistenza, cioè la delusione che l’uomo subisce di fronte alla realtà che annulla l’immaginazione, la fantasia, i progetti. Il tema del disinganno, fu per Cervantes, come sappiamo, oltre che un motivo poetico, un’esperienza personale.
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