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Modi di comunicare: esotismo e forme di interazione culturale nel Voyage en Orient di Gérard de Nerval

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Academic year: 2021

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DIPARTIMENTO DI

FILOLOGIA, LETTERATURA E LINGUISTICA

CORSO DI LAUREA IN LETTERATURE E FILOLOGIE EUROAMERICANE

TESI DI LAUREA

Modi di comunicare: esotismo e forme di interazione culturale nel

Voyage en Orient di Gérard de Nerval

CANDIDATO

RELATORE

Linda Lucchesi

Chiar.mo Prof. Gianni Iotti

CONTRORELATORE

Chiar.mo Prof. Sergio Zatti

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A ignorer les autres, finalement on s’ignore. T. Todorov

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INDICE

INTRODUZIONE 3

I IL VIAGGIO NELLA FRANCIA ROMANTICA DEL XIX SECOLO 7

1 L’Oriente: una meta privilegiata 9

2 L’Ailleurs e l’incontro con l’altro 18

II GÉRARD DE NERVAL SCRITTORE: VOYAGE EN ORIENT 24

1 L’Oriente nervaliano: una costruzione architettonica 26

2 Il teatro della vita: fra sogno, realtà e follia 29

3 Zigzag e mete insolite 36

III GÉRARD DE NERVAL VIAGGIATORE 43

1 Prima del viaggio di Nerval in Oriente (1839-1841) 45

2 Nerval nel vicino Oriente (1843) 47

3 Genesi e pubblicazione di Voyage en Orient 53

IV COMUNICARE SENZA LE PAROLE: LA CULTURA MATERIALE 57

1 Esplorare la città: un modo per capire la cultura dei suoi abitanti 59

1.1 Il Cairo : la città “velata” 59

1.2 La Siria e il Libano: terre di passaggio dall’Egitto a Costantinopoli 67

1.3 Costantinopoli: una città, mille volti 73

2 L’abito: riflesso della personalità di chi lo indossa 81

2.1 Una trasformazione necessaria: vestire e pettinarsi all’orientale 85

2.2 Alternare gli abiti: dal costume orientale all’«habit noir» occidentale 89

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2

3 La relazione sentimentale e l’universo femminile 96

3.1 La scelta: l’unione matrimoniale o l’acquisto di una schiava 96

3.2 Un matrimonio “quasi” perfetto: unione politica e sentimentale 104

3.3 Rettificazione di cliché: «Pauvre sultan!» 106

4 Feste, riti, musiche e danze folcloristiche 113

4.1 Il Cairo: fra feste religiose e danze popolari 114

4.2 Costantinopoli e i piaceri della vita notturna 118

5 Colori, odori e sapori 121

5.1 Assaporare la cucina dell’Altro, nutrirsi della sua cultura 122

V LA COMUNICAZIONE VERBALE E PARAVERBALE 126

1 La ricerca della comunicazione trasparente e i rischi dell’interpretariato 127

2 Difficoltà di comunicazione senza intermediari 137

CONCLUSIONE 146

RINGRAZIAMENTI 149

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3

INTRODUZIONE

L’uomo, per sua natura, ha da sempre sentito il bisogno di vivere in società e di creare legami con i suoi simili. Questo ha fatto sì che ogni gruppo umano riconoscesse dei valori culturali che meglio di altri fossero in grado di rappresentare il modo di relazionarsi degli individui che lo costituivano e in cui questi ultimi riuscissero a riconoscersi. La problematicità dell’incontro con l’Altro deriverebbe quindi dall’interazione fra due o più culture e corrisponderebbe ad un incontro di codici valoriali diversi.

Fra gli scrittori e gli intellettuali francesi che nel XIX secolo hanno mostrato un interesse crescente verso il contatto interculturale, un approccio che si vuole per molti aspetti originale è stato quello adottato da Gérard de Nerval in Voyage en Orient. Nella sua opera l’autore ha cercato di superare le rappresentazioni semplicistiche e universaliste che l’antropologia del suo tempo aveva creato del mondo orientale. Resosi conto che la percezione dell’Altro come Io implicava la reversibilità fra soggetto osservante e oggetto osservato, Nerval ha messo in scena un personaggio che, senza rinnegare la propria identità, si mostra aperto ad accogliere quella degli abitanti dei paesi che attraversa nel corso del suo viaggio. Sarà proprio questa volontà di “vivere” l’alterità a contraddistinguere la sua attitudine conoscitiva della cultura orientale rispetto a quella adottata da quanti avevano percorso gli stessi itinerari prima di lui, fra cui intellettuali quali Lamartine o Chateaubriand.

«L’homme ne se connaît lui-même qu’en tant qu’il connaît le monde, [qu’] il n’appréhende que par l’interférence de deux moments inextricablement conjugués: le monde en lui, lui dans le monde.»1 Con queste parole Goethe in Die Schriften zur

Naturwissenschaft spiegava come l’uomo potesse conoscere se stesso solo sentendosi parte

del Tutto e facendo propria una parte di esso. Allo stesso modo il protagonista dell’opera di Nerval riuscirà a ridefinire la propria identità di intellettuale occidentale immergendosi nella cultura orientale e spogliandosi dei pregiudizi ad essa legati trasmessi dagli scritti degli studiosi orientalisti. Allontanarsi progressivamente da ciò che gli è noto e familiare gli consentirà di compiere un atto di “straniamento” grazie al quale riuscirà a percepire il suo Essere da una prospettiva esterna, ovvero quella dell’Altro in cui rispecchia se stesso:

1 J. W. von Goethe, Die Schriften zur Naturwissenschaft T. Todorov, Le croisement des cultures in

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La condition du savoir réussi est donc la non-appartenance à la société décrite; autrement dit on ne peut pas à la fois vivre dans une société, au sens fort, et la connaître. La passion de connaissance implique un certain renoncement à la vie, y compris à ses agréments [...].2

Il fine del presente lavoro sarà proprio l’analisi delle diverse modalità di interazione con l’alterità orientale adottate da Nerval e dal suo personaggio nel corso del loro itinerario scandito in tre tappe principali: l’Egitto, la Siria e la Turchia. Il preliminare processo di confronto e quello successivo di assimilazione della cultura dell’Altro vedranno il viaggiatore intento a mettere in atto molteplici strategie di comunicazione dalle quali emergeranno spesso problematiche di ordine linguistico e culturale cui egli dovrà far fronte. Tuttavia, sarà proprio la valorizzazione dei differenti codici di valori e delle criticità ad essi legate a restituire all’opera la sua originalità. Attraverso la riflessione e il dialogo, il protagonista oltrepasserà l’approccio riduzionista che vede come unico obiettivo del viaggio la conferma di idee aprioristiche: partendo dal presupposto che «l’idéal n’est efficace que s’il reste en rapport avec le réel»,3 egli osserverà la realtà dei fatti per

rimettere in causa i cliché sulla civiltà orientale propri a tutta la sua generazione.

Così come gli ideali devono essere considerati in relazione ad un preciso contesto spazio-temporale, allo stesso modo ho ritenuto fondamentale considerare Voyage en Orient come un’opera calata in un particolare momento storico-politico. Ho quindi dedicato il primo capitolo della mia analisi al ruolo assunto dal viaggio in Oriente nella Francia del XIX secolo. Dapprima mi sono concentrata sulla definizione di “Oriente” poiché il termine non solo indica uno spazio difficilmente circoscrivibile dal punto di vista geografico ma rinvia anche all’immaginario collettivo occidentale che la letteratura di epoca romantica ha contribuito a creare. In questo senso mi sono avvalsa dell’opera di Pierre Martino, L’Orient

dans la littérature française au XVII et au XVIII siècle, in cui l’autore analizza a cosa i

termini “esotico” e “Altro” rinviassero durante il secolo dei Lumi, e ho immaginato l’impatto che queste idées reçues potessero aver avuto sugli scrittori della generazione successiva. Dopodiché, ho cercato di illustrare quali fossero i rapporti fra Francia, Inghilterra ed Impero ottomano a seguito della Campagna d’Egitto organizzata da Bonaparte alla fine del XVIII secolo. Questo mi ha permesso di chiarire sia i riferimenti al ruolo giocato dalle potenze europee nel fomentare le tensioni fra le popolazioni locali, presenti soprattutto nella sezione Druses et Maronites di Voyage en Orient, sia i rimandi

2 T. Todorov, Nous et les autres, La réflexion française sur la diversité humaine, Seuil, Paris, 1989, p.390. 3 T. Todorov, Le croisement des cultures, op. cit, p.7.

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all’influenza della cultura occidentale sui costumi orientali di cui il protagonista denuncia le conseguenze a più riprese all’interno dell’opera. Se infatti gli intellettuali della generazione romantica avevano scelto le Terre del Sole come meta dei loro pellegrinaggi, questo era in gran parte dovuto al loro bisogno di rigenerazione e al loro desiderio di ritrovare in quelle terre il paradiso biblico perduto. Tuttavia, il loro entusiasmo aveva presto lasciato posto alla delusione poiché il mondo orientale si era mostrato molto più simile a quello occidentale di quanto essi non immaginassero.

In seconda istanza, nel capitolo due, data la complessità dell’opera trattata, ho ritenuto necessario soffermarmi sul genere letterario e sulle modalità narrative adottate dall’autore. Grazie all’analisi del saggio di Gerald Schaeffer Le Voyage en Orient de Nerval. Étude des

structures, mi è stato possibile dimostrare come il materiale letterario che il protagonista

afferma essere un resoconto quotidiano di impressioni locali raccolte senza un preciso ordine, sia in realtà il frutto di una sapiente organizzazione alla cui coesione contribuiscono una serie di richiami interni. Inoltre, Michel Jeanneret, nell’Introduzione alla versione di

Voyage en Orient da lui curata, e Jean-Nicolas Illouz, nel suo saggio Nerval: l’Orient intérieur, hanno messo in luce come un gioco di rimandi al mito, al sogno e

all’immaginazione rendano il mondo orientale una realtà totale che compensa quella tangibile e deludente. Da ultimo, al fine di evidenziare alcune scelte insolite dell’autore, sia per quanto riguarda le modalità di deambulazione del personaggio sia per quanto concerne la scelta dei luoghi visitati, ho cercato di spiegare che cosa intenda Daniel Sangsue quando definisce Voyage en Orient un «récit excentrique».

Dal momento che l’opera nella sua versione definitiva del 1850 è il frutto della fusione di due viaggi, uno compiuto dall’autore e l’altro intrapreso dal suo personaggio a circa dieci anni distanza l’uno dall’altro, ho pensato di ripercorrere brevemente nel terzo capitolo alcuni episodi che hanno segnato la vita di Nerval in un arco temporale di circa cinque anni: dal 1839 al 1843. Estremamente preziosi si sono rivelati in tal senso gli studi di biografi accreditati quali Claude Pichois, Jean Guillaume, Michel Brix e Aristide Marie che, oltre a fornire un resoconto dei viaggi compiuti dall’autore prima a Vienna e poi in Oriente, ne hanno mostrati pensieri e stati d’animo attraverso la corrispondenza da lui intrattenuta con il padre e gli amici.

Vero “cuore pulsante” di tutta la mia ricerca nonché “colonna vertebrale” del presente elaborato, rimane, tuttavia, il quarto capitolo. La scelta di lasciare ampio spazio ad una riflessione sulle capacità di un popolo e di un paese di comunicare, a prescindere dall’uso della parola ma semplicemente attraverso le diverse forme di quella che ho definito

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“cultura materiale”, trova la sua ragion d’essere nella mia esperienza personale ancora prima che nell’analisi dell’opera letteraria. Lungi dal definirmi una viaggiatrice alla stregua di Nerval e del suo personaggio, ho però avuto modo di costatare trascorrendo alcuni mesi all’estero nell’ambito del mio percorso di studi che non sempre serve parlare per interagire. Semplicemente camminando per le strade delle città di un paese straniero, ammirando gli abiti e il modo di portarli degli abitanti locali, partecipando ad eventi ricreativi e gustando cibi tipici, è possibile comprendere molti aspetti della cultura altrui. Dal momento che queste tematiche emergono anche in Voyage en Orient, ho pensato di analizzarle una ad una suddividendo il quarto capitolo in cinque sottocapitoli nei quali ho cercato di mettere in evidenza come, al fervente desiderio del protagonista di assimilare usi e costumi dei paesi visitati, faccia da contraltare l’emergere incalzante del suo essere un cittadino francese del XIX secolo.

Al fine di rendere la mia analisi più lineare, ho poi ritenuto necessario ripartire ulteriormente i vari sottocapitoli in modo da sviluppare ogni tematica secondo l’ordine determinato dagli spostamenti del protagonista nelle tre sezioni che costituiscono l’opera:

Les femmes du Caire, Druses et Maronites e Les Nuits du Ramazan.

Un valido supporto al mio esame è stato offerto dalla lettura dello studio di Hisashi Mizuno L’écriture du voyage, di Voyageurs romantiques en Orient. Étude sur la

perception de l’autre di Koichiro Hata e del saggio Nous et les Autres in cui Tzvetan

Todorov passa esaurientemente in rassegna le filosofie di pensiero di intellettuali francesi che, da Montesquieu a Lévi-Strauss, si sono interrogati sul rapporto fra la diversità dei popoli e l’unità della specie umana. Per concludere, ho pensato di riservare comunque un capitolo alla comunicazione verbale e paraverbale al fine di rendere merito agli sforzi dell’autore e del suo personaggio mostrati nell’apprendimento della lingua araba. Basandomi sullo studio di Sarga Moussa dal titolo La relation orientale. Enquête sur la

communication dans les récits de voyage en Orient (1811-1861), ho dedicato la prima

parte del quinto capitolo all’esame delle diverse tipologie di interpreti che compaiono all’interno dell’opera soffermandomi soprattutto su quella del dragomanno. Secondariamente ho descritto alcuni passaggi di Voyage en Orient in cui l’assenza di codici linguistici condivisi dal viaggiatore e dai suoi interlocutori sarà motivo di equivoci e malintesi.

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Capitolo I

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Partir c’est mourir un peu C’est mourir à ce qu’on aime: On laisse un peu de soi-même En tout heure et tout lieu […] Haraucourt, Rondel de l’Adieu

Se è vero che “partire è un po’ morire”, è vero anche che ad ogni partenza corrisponde un nuovo inizio. Il viaggio offre sempre nuovi orizzonti, prospettive alternative e spesso risponde a necessità individuali concorrendo quindi alla rinascita dell’individuo. Tale rinascita si inserisce in seno al meccanismo di presa di coscienza di sè e si attua attraverso il contatto con l’Altro. Infatti, come scriverà Hermann von Keyserling nel suo Journal de

voyage d’un philosophe (1919): «Le plus court chemin qui conduise à soi-même vous

mène autour du monde.»4

Alla fine del XVIII e all’inizio del XIX secolo saranno le terre d’Oriente a diventare la meta privilegiata di molti esploratori, studiosi ed intellettuali europei, soprattutto francesi e inglesi. Il raggiungimento di destinazioni esotiche sarà agevolato dall’invenzione della macchina a vapore che, nell’arco di circa mezzo secolo, rivoluzionerà completamente le condizioni di trasporto marittimo nel bacino del Mediterraneo. Inoltre, dopo che la Grecia avrà ottenuto l’indipendenza dall’Impero ottomano in seguito alla vittoria della battaglia di Navarino del 1827, saranno garantite maggiori condizioni di sicurezza negli spostamenti da Occidente a Oriente. Viaggiare diventerà più rapido, semplice e programmabile.

Oltre a ciò, fino ad allora gli esploratori europei che raggiungevano le Terre del Sole potevano sperare, nel migliore dei casi, di essere ospitati dal console della città o in strutture appartenenti alle comunità religiose, altrimenti trovavano riparo in alloggi di fortuna o in tende. Al contrario, a partire dagli ultimi anni del XVIII secolo, grazie allo sviluppo del sistema alberghiero, essi potranno disporre di sistemazioni adeguate per trascorrere lunghi periodi di permanenza sul territorio. Tuttavia il viaggio in Oriente non sarà soltanto un semplice fenomeno turistico ma un modo di ripensare la cultura occidentale alla luce di punti di contatto e differenze:«On ne cesse de le [l’Orient] rêver, de le fantasmer, de le représenter -de le mettre en texte, en peinture, en musique.»5

4 H. von Keyserling, Journal de voyage d’un philosophe, in L. Droulia, V. Mentzou, Vers l’Orient par la

Grèce avec Nerval et d’autres voyageurs, Klincksieck, Paris, 1993, p.47.

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1 L’Oriente: una meta privilegiata

Come definire l’Oriente, quella parte di mondo che ha da sempre affascinato quanti non vi sono nati e hanno soltanto ascoltato o letto i resoconti di chi l’ha visitata? Come delineare quello spazio geografico dai confini fluidi e mutevoli? Come inquadrare quelle terre che evocano, solo al pronunciarne il nome, un fiume di colori, profumi, impressioni, sensazioni e immagini mentali? Il termine deriva dal latino oriens6 che significa sorgere o alzarsi e nel XIX secolo indicava tutte le terre in cui il sole nasceva in opposizione a quelle situate a ovest dove tramontava. Da un punto di vista geografico i confini dell’Oriente erano estremamente vaghi e approssimativi. Tuttavia, a seconda degli intenti dei viaggiatori, questi assumevano una diversa estensione: gli orientalisti li espandevano fino all’Africa e all’Oceania in proporzione all’ampliamento delle loro ricerche; i commercianti ne escludevano Egitto, Turchia, Asia minore e Persia indicando con questo termine solo il territorio costiero oggi frammentato in Siria, Libano e Israele; infine, i viaggiatori romantici avevano fatto del Vicino-Oriente la meta privilegiata dei loro pellegrinaggi attribuendo un’unitarietà fittizia alle regioni che occupavano il litorale est del bacino del Mediterraneo: dalla Grecia all’Egitto passando per Turchia, Siria, Libano e Palestina.

È necessario, inoltre, tenere presente che i confini geografici dell’Oriente variavano rapidamente in base agli eventi storici che si avvicendavano e pertanto gli scrittori romantici che avevano visitato quelle terre, seppure a breve distanza di tempo gli uni dagli altri, si erano trovati di fronte a scenari completamente diversi. Per esempio, il Peloponneso faceva parte dell’Impero Ottomano quando Chateaubriand lo aveva visitato nel 1806 ma non più al momento del viaggio di Lamartine nel 1832 o di Nerval nel 1843. Questo perché l’indipendenza della Grecia, dopo otto anni di guerra contro i turchi, era stata ufficialmente riconosciuta con il protocollo di Londra del 1830.

Il Vicino-Oriente si strutturava agli occhi degli intellettuali romantici come un ossimoro che associava un Ici e un Ailleurs. Terre lontane rispetto all’Occidente poiché, in seguito alla loro islamizzazione, erano venute a costituire un universo ostile, pittoresco, incomprensibile, seduttore ed esotico. Tuttavia, dietro le apparenze di questa estraneità di facciata, era possibile al contempo riconoscere gli indizi appena nascosti della familiarità. Era lì che la religione cristiana rintracciava le proprie origini bibliche e avevano visto la luce i canti omerici dell’Iliade e dell’Odissea. Per i viaggiatori del XIX secolo, la cui

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formazione era avvenuta grazie allo studio dei testi classici, Atene e Gerusalemme rappresentavano la doppia fonte giudeo-greca della propria cultura.

Inoltre, l’Oriente non era soltanto uno spazio geografico: «L’Orient a presque été une invention de l’Europe».7 Luogo di fantasia, terra del sole splendente, di palme incantate, di

folle dai turbanti colorati, di carovane nel deserto… Questo l’immaginario romantico che i testi della tradizione letteraria -si pensi alla traduzione delle Mille e una Notte (1704) di Antoine Galland- avevano prodotto. Senza attribuirgli una definizione geografica troppo precisa e di conseguenza riduttiva, intenderemo pertanto con il termine “Oriente” tutto ciò che, in epoca romantica, evocavano per i viaggiatori francesi paesi come l’Egitto, la Palestina, la Siria, il Libano, la Turchia e la Grecia, in opposizione agli aspetti più monotoni della vita in patria: freddo, pioggia, fatica, problemi quotidiani: «Toute ma vie l’Orient avait été le rêve de mes jours de ténèbres dans les brumes d’automne et d’hiver de ma vallée natale.»8 Così scriveva Lamartine nel 1832 all’alba del suo viaggio in Oriente.

Questa profonda mutazione nella concezione romantica di Ailleurs e di Ici era la diretta conseguenza sia di un discreto miglioramento dei mezzi di trasporto sia del fenomeno imperialista di colonizzazione che aveva visto come protagonisti l’Impero britannico e quello francese. Questi, non solo si erano spartiti i profitti e il dominio delle terre conquistate ma anche il sapere intellettuale, dando luogo a un fenomeno detto “orientalismo”.

La scrittura era diventata un’arma potentissima nelle mani dei viaggiatori recatisi in Oriente nel corso dei secoli. Attraverso i loro testi, in cui si esaltava la dimensione interiore di chi scriveva, essi avevano trasmesso ai propri connazionali una serie di informazioni che proponevano una visione del mondo orientale complessa ma spesso falsa. Così facendo, avevano fornito un sapere intellettuale fondamentale al servizio della conquista coloniale da cui lo stesso Napoleone Bonaparte aveva attinto per organizzare il colpo militare in Egitto previsto per il 1898. La sua attrazione per l’Oriente risaliva infatti all’adolescenza e l’idea di conquistare l’Egitto nelle vesti di un “nuovo Alessandro” gli si offriva combinata al vantaggio di acquisire una nuova colonia islamica a spese dell’Inghilterra che già vi esercitava il monopolio commerciale. Napoleone, inoltre, vedeva nell’occupazione dell’Egitto un’impresa realizzabile poiché lo conosceva tatticamente, storicamente e, soprattutto, “testualmente” sia grazie ai testi classici, sia grazie a quelli di scrittori orientalisti che l’avevano preceduto sul campo. Le sue conoscenze derivavano soprattutto

7 E. Said, L’Orientalisme. L’Orient crée par l’Occident, Seuil, Paris, p.12. 8 A. de Lamartine, Voyage en Orient, Gallimard, Paris, 2011, p.91.

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dallo studio dell’opera Voyage en Egypte et en Syrie (1783-1785) del viaggiatore francese Constantin-François de Chasseboeuf de Volney, recatosi in Oriente una decina di anni prima. Da questo documento risultava evidente l’ostilità dell’autore nei confronti dell’Islam sia in quanto religione sia come sistema di istituzioni politiche. Inoltre, come Chateaubriand e Lamartine dopo di lui, egli vedeva nel Vicino-Oriente il luogo ideale in cui realizzare le ambizioni coloniali della Francia a discapito di Inghilterra, Porta Ottomana e Mamelucchi9. Secondo quanto riportato dal primo cronista arabo della spedizione napoleonica, Abdal-Rahman al-Jabarti, uno dei maggiori punti di forza della strategia bonapartista fu proprio la conoscenza e il ricercato contatto con gli abitanti locali.10 Resosi conto di avere truppe insufficienti per imporsi in Egitto, Napoleone cercò di far interpretare il Corano in favore della Grande Armata dagli ulema11 locali. Inoltre, per

dar prova del suo sostegno all’Islam, dopo averne studiato il Testo Sacro, invitò tutti gli ulema dell’Egitto nel proprio quartier generale e dette prova della sua ammirazione per Maometto e della conoscenza del Corano. Ottenuta rapidamente la fiducia da parte dei locali, Napoleone riuscì ad approfittare dell’ostilità dei Mamelucchi verso l’Impero Ottomano. Questi ultimi, formalmente assoggettati al dominio turco da Selim I nel 1517, si schierarono con Bonaparte che sfruttò il loro consenso per sottometterli definitivamente nel 1798.

Altro obiettivo di Napoleone era rendere l’Egitto completamente accessibile agli Europei. Per questo motivo, prima di partire alla volta dell’Oriente, aveva fondato l’Institut

d’Egypte in cui erano riunite decine di studiosi il cui fine era la redazione di un ampio

archivio in cui far confluire i risultati delle ricerche svolte nel corso della campagna. La

Description de l’Egypte ne fu il risultato: una vera e propria opera di appropriazione

collettiva di un paese, composta da 33 volumi pubblicati fra il 1803 e il 1828.

9 “Mamelucchi”. Milizie turche e circasse di origine servile, potenti sotto la dinastia degli Ayyubiti, che

soppiantarono definitivamente nel 1250 assumendo il diretto dominio in Egitto (1250-1517) e in Siria (1260-1516).[...] Anche quando gli Ottomani conquistarono l’Egitto e giustiziarono l’ultimo sultano mamelucco Tūmān Bey, i mamelucchi conservarono buona parte del loro potere; formarono il nucleo di quella resistenza all’invasione francese che Napoleone spezzò alle Piramidi e furono sterminati solo nel 1811, con la strage organizzata da Moḥammed ‛Alī nella cittadella del Cairo. http://www.treccani.it/enciclopedia/mamelucchi (Un ulteriore approfondimento del termine “mamelucco” si ritroverà nel sottocapitolo V.2 del presente elaborato).

10 E. Said, L’Orientalisme, op. cit, p.172.

11 “Ulema”. Nel mondo musulmano, i dotti nelle scienze religiose (teologia, diritto ecc.), cioè soprattutto i

teologi e giureconsulti, al di fuori di ogni carattere sacrale. Sono considerati i depositari e tutori della legge religiosa islamica (sharī‛a), e hanno quindi spesso rappresentato l’elemento conservatore e misoneista all’interno del mondo islamico fino ai nostri giorni.

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L’ideologia orientalista, come emerge dalla Description, basandosi su un approccio comparatistico, poneva soprattutto l’accento sulle differenze fra ciò che era familiare e ciò che era straniero determinando i cardini della relazione Oriente-Occidente secondo il binomio Noi-Loro. Gli abitanti locali non erano, infatti, considerati nella loro dimensione ontologica, bensì ridotti a fenomeni da studiare, descrivere o illustrare, al fine di identificarne caratteristiche regolari e linee generali di comportamento, mentalità, usi, costumi. Gli orientalisti consideravano queste popolazioni come “oggetti” la cui alterità ne costituiva l’essenza. Mancando del carattere della soggettività, la loro specificità era concepita come inalienabile e non evolutiva e pertanto la loro cultura non era vista come il risultato della Storia, bensì distaccata da essa. Al contrario, lo studioso era l’uomo “normale”, le cui origini profonde risalivano alla Grecia antica ed egli era frutto di un’evoluzione storica in continuo divenire.

La circolazione di questi volumi scatenò in tutta Europa quella che Raymond Schwab in

La Renaissance Orientale (1950), ha definito «épidémie d’Orientalia».12 L’Oriente

divenne l’oggetto di una passione amatoriale e professionale per tutto ciò che era esotico, misterioso, profondo. Secondo Schwab si trattò di una trasposizione verso est di un entusiasmo dello stesso ordine di quello provato dall’Europa per l’antichità greca e latina all’inizio del Rinascimento. Se in quest’ultimo caso avevano rivestito un ruolo di prim’ordine opere d’arte plastica (sculture, vasellame), nel caso dell’Oriente furono principalmente i libri e i manoscritti degli orientalisti a produrre un vero e proprio immaginario da cui attingeranno gli scrittori di epoca romantica. Questi ultimi, oltre alla produzione orientalista di tipo politico e scientifico e a quella di matrice bonapartista, disporranno anche di tutta la vasta produzione letteraria sviluppatasi a partire dal Medioevo e dal Rinascimento. All’epoca delle crociate l’Islam era considerato una forma di eresia del Cristianesimo e qualificava i musulmani come “infedeli”;13 in seguito numerosi scrittori quali Ariosto, Tasso, Shakespeare, Milton, Cervantes, con i loro scritti tentarono di dominare e di esorcizzare quell’Oriente tanto sognato ma al contempo temuto.

In epoca romantica questo sapere intellettuale porterà alla nascita di diverse categorie di orientalisti. Edward Said nella sua opera Orientalism, ne individua tre, nonostante ognuna di esse non includa scrittori rappresentativi “puri” e tutte partano dal presupposto unanime

12 R. Schwab, La Renaissance Orientale in E. Said, L’Orientalisme, op. cit, p.13.

13 Già Dante nella Divina Commedia aveva fatto di Maometto il protagonista del ventottesimo canto

dell’Inferno relegandolo nella nona fossa di Malebolge fra i seminatori di scandalo e di discordia e destinandolo ad essere scisso in due dal mento all’ano per l’eternità, esattamente come il cugino e genero Alì.

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di superiorità dell’Occidente sull’Oriente14. La prima categoria comprende viaggiatori il

cui soggiorno era finalizzato a fornire all’orientalismo specializzato dei materiali scientifici come nel caso dell’opera di Edward William Lane, Manners and costums of the modern

Egyptians (1836), in cui l’identità dell’autore era completamente subordinata agli intenti

dei suoi progetti. Alla seconda appartenevano coloro che, pur avendo come obiettivo la ricerca scientifica, erano meno inclini a sacrificare l’originalità e lo stile propri della loro personalità. Infine, vi erano scrittori per i quali il viaggio in Oriente, reale o metaforico, corrispondeva alla realizzazione di un’estetica personale, come nel caso di Voyage en

Orient di Gérard de Nerval.

Per quanti come Lane si dedicarono allo studio scientifico e antropologico di popoli che abitavano in luoghi molto distanti fra loro, la strada era già stata aperta da Montaigne e da Rousseau. Il primo partiva dal presupposto che il mondo non è che «variété et dissemblance»15 e, in seguito all’approfondimento della conoscenza antropologica dell’essere umano, sosteneva un principio relativista secondo il quale il processo di comprensione di sé e dei propri simili, era realizzabile attraverso il confronto del repertorio culturale dei vari popoli, ovvero dell’insieme delle relazioni che gli uomini intrattenevano fra loro sotto forma di usi, costumi e tradizioni. L’approccio comparatistico che Montaigne proponeva di applicare alle diverse culture, si focalizzava sull’analisi delle differenze che intercorrevano fra esse e da cui era possibile, solo in un secondo momento, rilevare le costanti. Attraverso la varietà di forme simboliche e culturali assunte dal genere umano era percepibile un fondamento comune. Di conseguenza, l’alterità era paradossalmente concepita allo stesso tempo sia come En-soi, sia come comparable, ovvero come principio metodologico per costruire l’identità del comparant.16

Rousseau, invece, nella sua Nota X del Discours sur l’origine et les fondements de

l’inégalité parmi les hommes (1755), aveva proposto un metodo antropologico il cui

presupposto era un principio di continuità fra tutti gli esseri viventi che nascono allo stato selvaggio, si confrontano con gli animali e, solo gradualmente, acquisiscono contatti fra loro fino alla costituzione di una società. Parimenti, egli era giunto alla formulazione della teoria delle coordinate dell’osservatore secondo la quale marinai, mercanti e missionari avevano elaborato, ciascuno dal proprio punto di vista, i contorni dell’oggetto da descrivere e da conoscere concorrendo, a loro insaputa, ad offrire una visione globale della

14 E. Said, L’Orientalisme, op. cit, pp.280-2. 15 M. de Montaigne, Essais, Paris, 1859, t.II, p.169.

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società e della cultura. Ne conseguiva che soltanto una scienza capace di cogliere le differenze era in grado interpretare la complessità del reale:

Ne verra-t-on jamais renaître ces temps heureux où les peuples ne se mêlaient pas de philosopher, mais où les Platons, les Thalés et les Pythagores épris d'un ardent désir de savoir, entreprenaient les plus grands voyages uniquement pour s'instruire, et allaient au loin secouer le joug des préjugés nationaux, apprendre à connaître les hommes par leurs conformités et par leurs différences, et acquérir ces connaissances universelles qui ne sont point celles d’un siècle ou d’un pays exclusivement, mais qui étant de tous les temps et de tous les lieux, sont pour ainsi dire la science commune des sages?17

Tali principi avevano costituito il terreno fertile per lo sviluppo di un’antropologia romantica che concepiva l’individuo come un Essere perfettibile e privo di caratteristiche unitarie. Queste strategie embrionali di riconoscimento dell’alterità avevano costituito il trampolino di lancio per il graduale sviluppo dell’antropologia nel XIX secolo.

Nel caso di viaggiatori meno interessati ad un approccio scientifico, nonostante il loro sguardo fosse “guidato” da un bagaglio di preconoscenze acquisite attraverso la lettura degli scritti dei predecessori18, nel corso del processo di interiorizzazione e di scrittura, ognuno di loro trasmetteva il proprio sguardo sull’Altro in base alle inclinazioni e alla sensibilità personali. In altri termini, nel passaggio dal viaggio vissuto alla relazione di viaggio, la modulazione linguistica, rendeva possibile la trasmissione di impressioni intime suscitate dalla realtà oggettiva. Questa trasposizione della realtà nell’opera d’arte diventava il “paradiso riconquistato”19 di ogni autore che, arricchendola con i propri ricordi, ne dava

accesso alla posterità, introducendo nella cultura del proprio paese le immagini dell’Altro e dell’Altrove, contribuiva a formare l’immaginario occidentale dell’Oriente:

L’espace acquiert ainsi un sens émotionnel et même rationnel par une espèce de processus poétique qui fait que des lointaines étendues, vagues et anonymes, se chargent de signification, pour nous ici.20

Tuttavia sulle modalità descrittive dell’Oriente che i viaggiatori romantici misero a punto nei loro scritti non influivano soltanto i loro obiettivi -scientifici o letterari- ma anche la loro provenienza. Scrittori inglesi e francesi hanno infatti fornito due visioni diverse dell’Alterità orientale dovute essenzialmente a ragioni storico-politiche.

17 J.-J. Rousseau, Discours sur l’origine et les fondements de l’inégalité parmi les hommes in Œuvres

complètes, Paris, 1839, t.IV, p.204.

18 Le antiche guide di viaggio davano istruzioni su ciò che il futuro viaggiatore avrebbe dovuto notare,

apprendere e raccontare nell’interesse del proprio paese. (L. Droulia, V. Mentzou, Vers l’Orient par la Grèce, op. cit, p.7).

19 Ivi, p.54.

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Per i primi l’Oriente corrispondeva principalmente all’India, principale dominio dell’Impero britannico in Asia. Il Vicino-Oriente (protettorato d’Egitto, mandato di Palestina e attuale Iraq) costituiva una ponte per il raggiungimento della più lontana colonia indiana. Pertanto, per scrittori come Scott, Kinglake, Disraeli, Burton, Eliot o Lane erano il controllo amministrativo e il possesso territoriale a determinare le regole del gioco dell’immaginazione.

Gli intellettuali francesi, al contrario, risentivano della presenza di secondo ordine della loro patria nelle colonie inglesi che si accingevano ad esplorare e, poi, ad interpretare. Il loro Oriente era piuttosto quello dei ricordi della campagna napoleonica e delle rovine suggestive e il loro intento era quello di trovare uno scenario conforme alle proprie ossessioni personali per dare giustificazione alla propria vocazione esistenziale. Per esempio, Chateaubriand nell’Itinéraire de Paris à Jérusalem (1811), portava in Oriente un notevole carico di supposizioni personali precostruite sulla realtà con cui si accingeva a confrontarsi. Dopo aver conosciuto l’antichità celtica nel corso del suo viaggio in America del nord, egli si proponeva nel 1806 di intraprendere un viaggio di riscoperta dell’antichità romana attraverso le rovine di Atene, Memphis e Cartagine. Tuttavia, il suo non era tanto un bisogno di conoscenza quanto piuttosto una necessità di conferma delle proprie idee aprioristiche. Said definisce l’Oriente di Chateaubriand come «une toile abîmée attendant ses efforts de restauration»21e l’orientale era per lui «l’homme civilisé retombé dans l’état sauvage».22 Era pertanto necessario che la Francia riconquistasse quei territori al fine di trasmettere ai popoli che vi abitavano i principi cristiani contenuti nell’Antico Testamento e nei Vangeli, ormai offuscati dall’eresia islamica. Soprattutto in Egitto, in mancanza di un governo francese e libero, egli riscontrava l’assenza del principio di libertà, paradossalmente trasmissibile dal proprio popolo attraverso un processo di civilizzazione e di conquista.23

Il viaggio in Oriente che Lamartine intraprese nel 1833, invece, iniziava come quello di Chateaubriand come una traduzione delle idées reçues e dei preconcetti tipici della cultura occidentale, per poi rappresentare «un grand acte de [sa] vie intérieure»24. L’Oriente diventava il motore di un processo creativo e immaginativo, ma al contempo veniva ridotto

21 E. Said, L’Orientalisme, op. cit, p.301.

22 F.-R. de Chateaubriand, Itinéraire de Paris à Jérusalem et de Jérusalem à Paris, Gallimard, Paris, 2005,

p.333.

23 «La liberté, ils l’ignorent; les propriétés ils n’en ont point : la force est leur Dieu. Quand ils sont longtemps

sans voir paraître ces conquérants exécuteurs des hautes injustices du ciel, ils ont l’air de soldats sans chef, de citoyens sans législateur, et d’une famille sans père.» (F.-R. de Chateaubriand, Itinéraire de Paris à

Jérusalem, op. cit, p.388).

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ad una provincia dell’Europa -o meglio della Francia- con la quale l’Io transpersonale dell’autore si identificava. La sua vera identità si decomponeva in una serie di frammenti consecutivi e di osservazioni piene di reminiscenze che messe insieme riaffermavano il sogno napoleonico di un’egemonia mondiale.

Per la generazione di scrittori che viaggiarono negli anni quaranta del XIX secolo, l’Oriente non era più solo un “palinsesto”25in cui i segni della realtà provenivano da

archetipi lontani da reinterpretare alla luce delle coordinate culturali dei singoli autori. Ad esso si sostituiva il fascino di una modernità misteriosa e velata in cui il visibile richiamava enigmi immediati. L’attitudine di questi viaggiatori aveva il merito di convertire un gallocentrismo, che trovava nella filosofia del Lumi la sua giustificazione ideologica, nel principio di piacere della perdita di sé cui conseguiva una più ampia coscienza della relatività culturale. Questo nuovo spirito di curiosità indulgente verso le tradizioni locali portava a considerare il mondo arabo-turco come una civiltà autonoma dotata di un

volksgeist (o spirito del popolo) da analizzare nelle sue manifestazioni più variegate.

Scrittori come Nerval, Gautier, Maxime du Camp o Flaubert non erano più animati né dalla passione per il pellegrinaggio politico-culturale alla Chateaubriand, né dalle convinzioni mistiche che animavano Lamartine. Questo non significa che l’Oriente avesse nelle loro opere un ruolo soltanto fortuito, ma semplicemente che essi non si sono limitati a raccogliere del materiale e ad appropriarsene, riducendolo o codificandolo secondo la tipica attitudine orientalista, quanto piuttosto che lo hanno rielaborato e incorporato nelle strutture dei loro progetti estetici.

Questa ricerca personale li spingeva a gioire dei dettagli della quotidianità: dall’unirsi, vestiti da orientali, a folle dai colori variopinti, a passeggiare nei bazars e perdersi nelle vie labirintiche e non asfaltate delle città orientali, o ancora a degustare piacevolmente sorbetti o fumare sigari secondo le modalità e le tempistiche locali…in altri termini, a condurre la propria vita come attori in un teatro. La teatralizzazione del mondo, tuttavia, rischiava talvolta di destare in loro una profonda angoscia poiché, in mancanza di coordinate identitarie e spaziali familiari, essi trovavano difficoltà nel riconoscere chi erano e dove si trovavano. In Flaubert, per esempio, il viaggio come tentativo di evasione dalla sofferenza e dal dolore terrestre nella proiezione di un Oriente felice, non sarà altro che una disillusione. Questo non corrisponderà allo spazio alternativo che permette all’individuo di sfuggire alla realtà contingente ma, al contrario, trasmetterà al viaggiatore la

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consapevolezza dell’impossibilità di raggiungere nella vita “una terra promessa”, sia fisica che spirituale. Alla pulsione entusiastica che spinge a partire non corrisponderà analoga soddisfazione, all’abbandono della propria realtà non seguirà il ritrovamento di se stessi. L’immagine dell’Oriente, a cui Flaubert attribuisce un vitalismo palpitante e un’energia erotizzante, si dissolverà completamente in seguito alla sua deludente materializzazione lasciando spazio all’inevitabile condizione di sofferenza propria di tutta l’umanità. Non è quindi un caso se la sua attenzione si concentrerà sugli aspetti più degradati della società orientale composta da “una pulviscolare mescolanza di elementi distanti e antitetici”26 e

calata in una realtà sensuale, grottesca e oscena.

Nerval, al contrario, nel corso del suo viaggio in Oriente non celerà il proprio entusiasmo di fronte all’eterogeneità della popolazione locale e cercherà attivamente di rompere il carattere unilaterale della relazione Soi-Autre attraverso la gioiosa accettazione della propria metamorfosi che lo condurrà ad immergersi nella complessità dinamica della società orientale. Il suo percorso, iniziato in una prospettiva pittoresca di fascino e meraviglia di fronte all’estraneità, si trasformerà presto in una ricerca intima e problematica all’interno delle profondità della sua anima. Questo cammino interiore alla scoperta della genesi dei suoi sogni comporterà da una parte la perdita delle categorie mentali della cultura mistificatrice occidentale, dall’altra lo spossessamento di sé.

Sul piano narrativo questi due procedimenti saranno realizzati attraverso l’esplorazione delle labirintiche strade delle città visitate al fine di estrarne i segreti più profondi e di restituire loro un nuovo slancio vitale; sul piano stilistico essi saranno messi in atto attraverso una moltiplicazione delle istanze narrative e un abbandono della regia unica. Con questo intento il narratore registrerà sul proprio journal tutti i segni del reale, senza privilegiarne alcuno: «Je prends le parti de te mander au hasard tout ce qui m’arrive, intéressant ou non, jour par jour si je le puis […]».27

26 L. Pietromarchi, L’illusione Orientale. Gustave Flaubert e l’esotismo romantico, Guerini Studio, Milano,

1990, p.132.

27 G. de Nerval, Voyage en Orient, éd J. Guillaume et Claude Pichois, Gallimard, Paris, 1984, p.75. Salvo

diversa indicazione, ogni volta che nella presente analisi sarà riportata in nota una citazione tratta da Voyage en Orient di Gérard de Nerval, il riferimento è da considerarsi a questa edizione.

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2 L’Ailleurs e l’incontro con l’Altro

«Le fond du romantisme, c’est l’horreur de la réalité et le désir ardent d’y échapper.»28

Di fronte alla deludente realtà post-rivoluzionaria, l’Oriente, punto di comunicazione fra Cielo e Terra e porta di accesso al paradiso biblico perduto, era diventato meta di un pellegrinaggio che avrebbe dovuto permettere di recuperare una feconda porzione della spiritualità giudeo-cristiana e greco-romana originarie. Spingersi verso nuove parti del mondo rappresentava, inoltre, un rimedio terapeutico, un antidoto contro il taedium vitae che aveva fatto seguito alla negazione dei principi razionalisti dell’Illuminismo.

Curieuse épreuve, isolement salutaire pour l’homme qui sait échapper quelquefois aux molles contraintes de l’habitude, et qui, après une âpre montée, se retourne et parvient à regarder sa vie d’un point unique et sublime.29

Queste le parole di Nerval in Lettres d’Allemagne dalle quali emerge una concezione del viaggio come mezzo di alienazione rispetto alla routine quotidiana e di conseguenza come strumento per fare un bilancio della propria esistenza. Questa crisi d’identità dell’Io aveva fatto sì che gli scrittori romantici avvertissero la necessità di trasmettere le emozioni provate sul suolo straniero senza limitarsi a produrre una descrizione oggettiva.

Je n’ai point la prétention d’avoir connu des peuples chez lesquels je n’ai fait que passer […]; les années entières sont trop courtes pour étudier les mœurs des hommes, et pour approfondir les sciences et les arts.30

Così Chateaubriand aveva aperto l’Itinéraire de Paris à Jérusalem dimostrando di rifiutare qualsiasi obiettivo scientifico e proponendo un pellegrinaggio che sarebbe stato «la course rapide d’un homme qui va voir le ciel, la terre et l’eau, et qui revient à ses foyers avec quelques images nouvelles dans la tête.»31

Inoltre, percorrere piste sempre più lontane consentiva sia il superamento del tormento interiore dell’animo umano avendo effetti terapeutici, sia l’innalzamento dell’uomo dalla sua dimensione ontologica a quella divina originaria. L’Ici, prigione terrestre, si opponeva all’Ailleurs, paradiso in cui ritrovare la libertà perduta che Jean-Marc Moura nell’introduzione della sua opera Europe littéraire et Ailleurs definiva:

28 E. Faguet, Flaubert, Hachette, Paris, 1913, p.28.

29 G. de Nerval, Lettres d’Allemagne in G. Schaeffer, Le Voyage en Orient de Nerval. Étude des structures,

La Baconnière, Suisse, 1967, p.250.

30 F-R. de Chateaubriand, Itinéraire de Paris à Jérusalem, op. cit, p.55. 31 Ivi, p.64.

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Domaine effectif déjà habité par d’autres et dans lequel un personnage peut pénétrer ; phénomène d’horizon, apparence transcendantale selon laquelle la conscience qui s’éprouve limitée est vouée à projeter dans l’espace la récupération de cette absence de limites qu’elle sent en elle.32

Concepito in tal senso, l’Altrove acquistava una natura metafisica, trascendeva la sua dimensione spaziale e si arricchiva di un immaginario escatologico ed esoterico, fonte di creazione poetica. Su questa tela di sfondo i viaggiatori non si limitavano ad attraversare i territori naturali, bensì ricercavano attivamente il contatto con ambienti umani diversi dal proprio.

Il viaggio è sempre «interaction de soi et du monde, de soi et de soi, de notre monde et de l’autre».33 Pertanto uno dei suoi presupposti fondamentali è l’incontro con l’alterità.

Solo attraverso il dialogo con culture diverse risulta possibile riconoscere le caratteristiche fondamentali della propria. Si innesca quindi un processo “riflessivo” nella misura in cui l’Io si riflette nell’Altro e questo permette ad entrambi di autodefinirsi:

Depuis que les sociétés humaines existent, elles entretiennent des relations mutuelles. Pas plus qu'on ne peut imaginer les hommes vivant d'abord isolément et ensuite seulement formant une société, on ne peut concevoir une culture qui n'aurait aucune relation avec les autres: l'identité naît de la [prise de conscience de la] différence; de plus, une culture n'évolue que par ses contacts : l'interculturel est constitutif du culturel.34

La distanza è quindi il presupposto fondamentale della relazione identità-alterità poiché, nel caso in cui venga a mancare, le due parti Soi-Autre coincidono e nessuna delle due ha la possibilità di percepire le caratteristiche dell’altra. Tuttavia, se la distanza non diventa un “terreno comune”, si corre il rischio che uno dei due soggetti, nella fase di rispecchiamento, imponga la propria prospettiva sull’altro. Infatti, nonostante i viaggiatori del XIX secolo avessero maturato la consapevolezza che per conoscere la complessità del reale fosse necessario il confronto con l’alterità, questo non era avvenuto senza difficoltà.

Secondo la classificazione proposta da Gérard Deledalle in L’altérité vue par un

philosophe sémioticien, la tipologia di viaggiatore più diffusa nei récits de voyage, era

proprio l’“alterità univoca”, ovvero quella di colui che considerava “altro” tutto ciò che esulava dall’identità occidentale. Essa vedeva l’Io come fondamento dell’Essere e rigettava nell’alterità tutto ciò che non corrispondeva all’Essere-Io. Questo atteggiamento aveva

32 J.-M. Moura, L’Europe littéraire et l’Ailleurs, Paris, PUF, 1998, p.1.

33 R. Chambers, Invitation au voyage, Romantisme, n°4 « Voyager est un travail sérieux », 1972, p.3. 34 T. Todorov, Le Croisement des cultures in Communications, n°43, 1986, p.16.

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come conseguenza la trasformazione di ogni elemento della realtà in rappresentazioni collettive proprie della cultura di origine del viaggiatore. 35

Un esempio di tale attitudine è offerto dall’Itinéraire de Paris à Jérusalem di Chateaubriand in cui il frequente ricorso alla citazione, in particolar modo della Bibbia e del Tasso, permetteva di restituire alla città di Gerusalemme il suo spessore semantico. Quest’ultimo era dato, non tanto dagli eventi storici che vedevano coinvolta la città Santa, quanto piuttosto dalla totalità di testi che ne avevano celebrato il nome, ovvero dalla tradizione letteraria occidentale. Gli abitanti locali venivano così privati del loro passato e Gerusalemme -e per estensione tutto il mondo orientale- diventava un oggetto della cultura europea.

Tuttavia, sarebbe riduttivo definire l’esperienza di Chateaubriand soltanto in questi termini nella misura in cui, seppure la sua relazione con gli abitanti dei territori che visitava fosse asimmetrica, egli accettava di “giocare” con le variazioni identitarie del proprio ruolo di grande scrittore francese in quelle terre in cui la sua fama non sembrava ancora essere arrivata. Egli diventava di volta in volta pellegrino, archeologo, avventuriero, marinaio o medico e questo polimorfismo gli permetteva di fuggire al suo nome e alla sua storia senza dover rinunciare alla vena picaresca del récit de voyage.

Anche l’atteggiamento del suo successore Lamartine durante il suo viaggio in Oriente, che, riprendendo la classificazione proposta da Deledalle, potrebbe apparentemente rientrare nella categoria dell’“alterità reciproca”, è invece riconducibile al modello di “alterità univoca”. Grazie al suo orientamento deista, Lamartine si mostrava rispettoso verso i Turchi che riconosceva come fratelli e con i quali era disposto a dialogare ma dietro a quest’illusoria attitudine universalista riservava ben poco spazio all’alterità reale. Infatti, sul suo cammino, egli sembra incontrare soltanto dei “doppi” di se stesso preservando e mantenendo così inalterata la propria identità. Inoltre, il fasto della sua spedizione lo aveva introdotto presso le élites arabe della Siria con le quali condivideva i gusti aristocratici e attraverso questa vaga forma di solidarietà ritrovava, come per istinto, gli ambienti e le abitudini della vecchia nobiltà francese. Quindi, in realtà, il quadro orientale in cui egli si specchiava era solo il riflesso del suo stesso universo di origine. La visione panoramica che ne derivava trasformava ogni forma di alterità in similitudine e dissolveva le differenze specifiche a favore della coscienza di sé. La condizione sociale agiata del viaggiatore

35 G. Deledalle, L’altérité vue par un philosophe sémioticien in I. Zinguer, Miroirs de l’altérité et voyages

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lamartiniano funzionava quindi come uno schermo: da una parte ne implicava la passività, dall’altra limitava la conoscenza dell’alterità ad un solo suo aspetto impedendo di coglierla nella sua globalità.

Al contrario, lo scrittore polacco Jan Potocki nella sua opera Voyages, pubblicata a Parigi nel 1788, aveva mostrato una strada del tutto opposta e molto simile a quella che sarà poi ripresa da Nerval. Durante un viaggio in Turchia egli affermava rivolgendosi ai suoi contemporanei:

Vous serez peut-être étonnés d’apprendre que dans le grand nombre de voyages qui abordent en cette ville [Constantinople], il en est très peu qui puissent en rapporter des idées un peu exactes. Rien cependant n’est plus vrai: les observateurs ont épuisé leur curiosité à visiter les monuments de la Grèce et n’envisagent les Turcs que comme destructeurs des objets de leur culte. Ils arrivent pleins de cette idée, se logent dans un quartier des Francs et daignent à peine traverser une fois le port pour aller voir la mosquée de Sainte Sophie et revenir chez eux. 36

Così facendo egli denunciava l’atteggiamento di molti viaggiatori europei che, arrivando in Oriente già condizionati dalle idées réçues, si limitavano a cercar di dar loro conferma e finivano per proiettare nell’Altrove le loro abitudini occidentali. Questo aveva innescato rapidamente un paradossale e dicotomico meccanismo di scoperta-perdita per cui il nuovo era diventato vecchio, ciò che era diverso era diventato simile:

Aussi bien, c'est une impression douloureuse, à mesure qu'on va plus loin, de perdre, ville à ville et pays à pays, tout ce bel univers qu'on s'est créé jeune, par les lectures, par les tableaux et par les rêves.37

Così, per gli scrittori romantici della metà del XIX secolo che si erano recati in Oriente mossi dal desiderio di ritrovarvi il paradiso fantasticato delle origini, questo era apparso loro come un «Eldorado dédoré»38 che lasciava spazio ad un’intensa delusione e ad un profondo sentimento di malinconia: «en Afrique on rêve l’Inde comme en Europe on rêve l’Afrique; l’idéal rayonne toujours au-delà de notre horizon actuel.» Attraverso la metafora della linea d’orizzonte, Nerval aveva sottolineato questo cambiamento di prospettiva per cui l’Ailleurs altro non era che «l’Ici de l’Autre» e il desiderio di novità del viaggiatore era destinato, Qui come Altrove, all’insoddisfazione.

Stesso tema ritroviamo anche in Gautier, Flaubert e Loti.

36 J. Potocki, Voyages, GF-Flammarion, Paris, 2015, p.55. 37 G. de Nerval, Voyage en Orient, op. cit, pp.60-1.

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Gautier nella lirica Nostalgie d’obélisque tratta da Emaux et Camées (1852) metteva in scena il dialogo in versi fra due obelischi personificati di cui uno, trasportato a Parigi, ricordava con rammarico il cielo d’Egitto mentre l’altro, rimasto in Oriente, sognava le folle parigine.

Flaubert nella corrispondenza tenuta con Louise Colet nel 1846 denunciava la miseria della natura umana per cui chi desidera andare a vivere altrove, una volta raggiunta la meta, vorrebbe al contrario ritornare in patria:

Fuir dis-tu! Aller habiter Rhodes ou Smirne. Ah ! ces rêves-là rendent malheureux. J’en ai trop fait. J’ai connu, comme un autre les aspirations désordonnées de voyages lointains. -Avec toi, vivre là-bas, oui, mais est-ce qu’on oublie ? Notre nature est si misérable qu’arrivés là-bas nous voudrions être ici. […] L’homme est ainsi, il va alternativement du Midi au Nord et du Nord au Midi, du chaud au froid, se fatigue de l’un demande l’autre et regrette le premier.39

Agli occhi dell’autore la proposta di evadere attraverso il raggiungimento di un remoto orizzonte orientale appariva solo come testimonianza di un inutile tentativo di fuggire la sensazione di insoddisfazione destinata a non placarsi in alcuna regione geografica. «L’horizon perçu par les yeux humains n’est jamais le rivage parce qu’au-delà de cet horizon, il y en a un autre, et toujours!»40 Per Flaubert ogni forma di viaggio e di ricerca che si prefigge di sollevare l’individuo dal giogo della propria condizione umana è puramente illusoria, “è come un cammino che instancabilmente insegue la linea di un orizzonte che sempre retrocede.”41

Infine Pierre Loti in Madame Chrisanthème (1888) preannunciava un mondo governato dalla monotonia: «Il viendra un temps où la terre sera bien ennuyeuse à habiter, quand on l’aura rendue pareille d’un bout à l’autre, et qu’on ne pourra même plus essayer de voyager pour se distraire un peu.»42

La mestizia dei toni si intensificherà poi ulteriormente nella generazione post-romantica di cui esemplare è la lirica Le Voyage tratta da Les Fleurs du Mal di Baudelaire in cui l’autore denuncia, attraverso le parole di quanti hanno fatto esperienza del viaggio, la sensazione di eterna incompiutezza tipica dell’essere umano. Questa porta a desiderare continuamente il raggiungimento di nuove mete che si rivelano essere tutte deludenti in misura proporzionale alle aspettative:

39 G. Flaubert, Correspondance, La Pléiade, Gallimard, Paris, 1973, t.I, p.383. 40 Ivi, t.II, p.719.

41 L. Pietromarchi, L’illusione orientale, op. cit, p.52.

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23 Nous avons vu des astres

Et des flots, nous avons vu des sables aussi ; Et, malgré bien des chocs et d’imprévus désastres, Nous nous sommes souvent ennuyés, comme ici. […]

Amer savoir, celui qu’on tire du voyage ! Le monde, monotone et petit, aujourd’hui,

Hier, demain, toujours, nous fait voir notre image: Une oasis d’horreur dans un désert d’ennui !43

Solo la Morte, “vecchio capitano”, si dimostrerà capace di condurre gli amanti dell’Altrove nell’abisso dell’Ignoto permettendo loro di rifuggire la noia e di trovare il “nuovo”.

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Capitolo II

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Tornato in Francia dopo aver compiuto un viaggio in Oriente nel 1843, Nerval si accinse a fare del suo pellegrinaggio un’opera letteraria. Perseguendo questo intento, egli non poteva prescindere dal prendere in considerazione i récits de voyage di due illustri predecessori: l’Itinéraire de Paris à Jérusalem (1811) di Chateaubriand e Voyage en

Orient (1832) di Lamartine. Queste due opere rappresentavano per il nostro autore un’arma

a doppio taglio poiché egli rischiava, da una parte di produrre un testo lacunoso rispetto alla completezza di quelli altrui, dall’altra di riservare uno spazio eccessivo alla problematicità del suo Io e alle questioni esistenziali che lo tormentavano. Pertanto, invece di intraprendere la strada dell’emulazione, egli adottò la strategia della differenziazione, restituendo al suo Voyage en Orient i tratti di originalità che saranno illustrati nel presente capitolo.

Innanzitutto risulta innovativa la scelta dei paesi che il protagonista dell’opera attraversa: ampio spazio sarà riservato al suo soggiorno in Egitto mentre Chateaubriand sosterà al Cairo per breve tempo e Lamartine non vi si recherà affatto. In secondo luogo, ad accrescere il divario rispetto ai viaggi dei predecessori, è l’assenza delle tappe centrali dei loro itinerari: Atene e Gerusalemme. Infine, opposte sono le modalità di spostamento da un paese all’altro e quelle di permanenza in Oriente. Sia Chateaubriand che Lamartine «sont deux grand seigneurs en voyage»44: il primo aveva investito nella sua spedizione circa cinquantamila franchi; il secondo aveva noleggiato barche, reclutato soldati e guide, acquistato cavalli e affittato case spendendo una cifra forse ancora più considerevole. Al contrario, il personaggio di Nerval, da buon flâneur, prediligerà mezzi di trasporto economici e, una volta raggiunte le sue destinazioni, cercherà di evitare alberghi e residenze europee molto costose a favore di più modeste abitazioni locali.

Il fatto che l’autore abbia scelto modalità narrative e di viaggio alternative rispetto ai predecessori non deve far pensare che egli non abbia attinto informazioni da altri scrittori che sono stati in Oriente prima di lui. 45 L’originalità della sua opera risiede piuttosto nel

44C. Pichois, Notice in G. de Nerval, Voyage en Orient, op. cit, p. 807.

45 In particolar modo l’Histoire mahométane (1657) di Pierre Vattier, abbondantemente utilizzata nel Carnet

e l’Account of manners and costums of the Modern Egyptians (1837), la Bibliothèque orientale, ou dictionnaire universel contenant généralement tout ce qui regarde la connaissance des peuples de l’Orient (1697) di Berthélemy d’Herbelot de Molainville, la Relation d’un voyage au Levant fait par ordre du Roy, contenant l’histoire ancienne et moderne de plusieurs îles de l’Archipel, de Costantinople, des Côtes de la Mer Noire (1717) di Joseph Pitton de Tournefort, il Voyage pittoresque de la Grèce del conte de Choiseul-Gouffier, le Lettres sur l’Egypte di Claude Savary (1785-6), il Voyage en Egypte et en Syrie pendant les années 1783, 1784 et 1785 (1787) di Volney, il Tableau général de l’Empire ottoman de d’Ohsson publié à partir de 1787 ; la Description de l’Egypte, immenso repertorio tratto dalla spedizione di Bonaparte, le Lettres sur l’histoire des Arabes avant l’Islamisme di Fulgence Fresnel (1836-8) , l’Exposé de la religion des Druses di Silvestre de Sacy (1838) (C. Pichois, Notice in Voyage en Orient, op. cit, p.808).

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modo in cui egli ha rielaborato e riorganizzato tale materiale perseguendo gli obiettivi illustrati nei prossimi capitoli.

1 L’Oriente nervaliano: una costruzione architettonica

Pour Nerval, l’Orient est une sorte d’écriture antérieure, d’itinéraire inscrit dans sa conscience, une virtualité à pénétrer. Une vocation à assumer? Oui, sans doute. Ce fut l’aventure qui marqua sa vie, qui en réalise l’unité et donc permet de le comprendre, de le lire. […] L’Orient, c’est l’oeuvre.46

Come evidenziato da Jacques Huré nel suo saggio Gérard de Nerval, l’Orient et

l’oeuvre, Voyage en Orient è un’opera complessa, sia da un punto di vista narrativo che

stilistico e compositivo. La genesi dell’opera, durata circa dieci anni, dalla prima edizione frammentaria del 1840 a quella definitiva del 1851, ne vede il risultato come la commistione di più scritti: la corrispondenza, in cui sono espresse le impressioni istantanee, il Carnet degli appunti e la relazione di viaggio. Non mancano inoltre riferimenti intertestuali ed espressioni di un modo di pensare collettivo: cliché, luoghi comuni e citazioni.

Sarà dunque il récit de voyage nella sua versione finale a riassumere al meglio la concezione nervaliana di Oriente in quanto frutto di una completa riscrittura dell’esperienza del viaggiatore e non mera trascrizione di sensazioni momentanee. L’Oriente era per Nerval una vera e propria “costruzione architettonica”47che il modello

romanzesco riusciva a realizzare al meglio. Per descrivere la complessità dell’universo orientale, nonché la moltitudine di emozioni ed impressioni da esso suscitate, l’autore aveva bisogno di un genere letterario che gli consentisse di creare un testo coeso e retto da un principio di organizzazione forte.

Tu le sais, et c’est ce qui a peut-être a donné quelque intérêt jusqu’ici à mes confidences, j’aime à conduire ma vie comme un roman, et je me place volontiers dans la situation d’un de ces héros actifs et résolus qui veulent à tout prix créer autour d’eux le drame, le nœud, l’intérêt, l’action en un mot. Le hasard, si puissant qu’il soit, n’a jamais réunis les éléments d’un sujet passable, et tout au plus en a-t-il disposé de la mise en scène; aussi laissons-le faire, et tout avorte malgré les plus belles dispositions. 48

46 J. Huré, Gérard de Nerval. L’Orient et l’œuvre in L. Droulia, V. Mentzou, Vers l’Orient par la Grèce, op.

cit, pp.146-7.

47 Ibid,

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Queste le parole con cui il narratore si rivolgeva al presunto destinatario dell’opera rivendicando, in nome del principio romanzesco, un sistema coerente di rielaborazione dei ricordi tratti dall’esperienza vissuta e dai frammenti delle opere di orientalisti che l’avevano preceduto.

La dimensione realistica e quella onirico-fantastica, grazie all’arte della scrittura, potevano essere sapientemente “cucinate” in un’unica pietanza dai molteplici sapori ma senza lasciare niente al caso. Infatti, quando il protagonista di Voyage en Orient definiva, in modo apparentemente contraddittorio, il proprio récit «un relevé jour pour jour d’impressions locales»49 o «des lettres heurtées, diffuses, mêlées à des fragments de

journal de voyage et à des légendes recueillies au hasard »50, non era per affermare la mancanza di un principio di organizzazione, quanto piuttosto per rivendicare una parvenza di veridicità degli episodi narrati: «[…] ce désordre est le garant de ma sincérité; ce que j’ai écrit je l’ai vu, je l’ai senti.»51 L’opera si fondava quindi su una sottile trama di

corrispondenze fra episodi, spazi e tempi della narrazione, sottesa di un’apparente assenza di logicità stando a quanto asserito a più riprese dal narratore.

Per esempio, secondo un’analisi condotta da Michel Jeanneret, Nerval amplia le frontiere di ogni paese visitato dal suo personaggio intessendo una serie di rimandi fra tappe consecutive e contribuendo in tal modo all’unitarietà dell’intera opera. 52 L’Egitto,

punto di partenza del viaggio e d’iniziazione alla nozione d’Oriente, è incorporato nel Libano grazie all’Histoire du calife Hakem ambientata al Cairo; Costantinopoli, ultima meta dell’itinerario del protagonista, è la capitale dell’Impero ottomano e, in quanto tale, ingloba le due tappe precedenti, ossia l’Egitto e il Libano sulle quali, all’epoca, la Porta esercitava il proprio controllo. Inoltre, nella capitale dell’Impero è ambientata anche la festa del Gran Bairam che richiama un’altra scena festiva, quella di un matrimonio, che ha luogo al Cairo all’arrivo del protagonista in Oriente. Così il cerchio si chiude e i parallelismi fra città e paesi costruiscono una geografia che, sebbene sia priva di ancoraggio alla realtà e sia puramente letteraria, segue precise leggi interne. I luoghi non sono mai semplicemente giustapposti, al contrario, giochi di simmetrie e dicotomie

49 Ivi, p.547.

50 Ivi, p..790 51 Ibid.

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