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Assaporare la cucina dell’Altro, nutrirsi della sua cultura

Nella scena del matrimonio al quale il protagonista partecipa al suo arrivo al Cairo, già a più riprese analizzata, emerge un particolare che apparentemente potrebbe sembrare contraddittorio. La religione musulmana, infatti, vieta ai fedeli il consumo di bevande alcoliche ma durante la cerimonia al viaggiatore è offerto un liquido misterioso che, con sua sorpresa, scopre non essere né un sorbetto né una limonata, bensì acqua-vite. Secondo i commentatori della Pléiade si tratterebbe di arak, un distillato che i copti erano soliti distribuire agli invitati in occasione delle proprie nozze. Questo, come già indicato dal titolo del capitolo, Les mariages copthes, lascerebbe pertanto presupporre che il protagonista abbia assistito ad un matrimonio cristiano e non ad uno musulmano. Dominique Casajus ha anche avanzato l’ipotesi che, dal momento che la scena del matrimonio è in gran parte ripresa da Lane, Nerval volesse fare riferimento al rosolio di cui parla lo scrittore inglese e che i ricchi musulmani erano soliti consumare fra amici nelle loro case. Su quali fossero le reali intenzioni dell’autore non vi è alcuna certezza ma resta il fatto che l’episodio offre una dimostrazione di come la cultura gastronomica in Oriente non sia soltanto legata ad una questione di gusto ma anche alla confessione religiosa e quindi alla spiritualità e alla profondità dell’Essere. Lo stesso tema verrà poi ripreso quando il viaggiatore sarà costretto a confrontarsi con le abitudini alimentari della schiava Zeynab a lui completamente sconosciute: «J’en voulais surtout au marchand d’esclaves de m’avoir vendu ce bel oiseau doré sans me dire ce qu’il fallait lui donner pour nourriture.»303 La ragazza, per esempio, in osservanza di quanto previsto dal suo credo religioso, una volta a settimana si rifiuterà di consumare i pasti.

Inoltre, dal momento che il protagonista è un personaggio eclettico e in cerca di sapori locali, deciderà di assumere un cuoco che possa cucinare per lui ricette della tradizione

303 Ivi, p.259.

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araba. Sarà un certo M. Jean, il proprietario francese di un cabaret situato nel quartiere copto della capitale a presentarglielo, non prima di aver fatto un lungo elenco dei difetti tipici dei servitori orientali. Egli si fa portavoce delle idee che, diffusesi a partire dal XVIII secolo, influenzavano il pubblico francese a cui Voyage en Orient era destinato :

On leur [aux lecteurs] dira bien que les hommes d’Orient sont paresseux, querelleurs, menteurs, dissimulés, flatteurs, fourbes, rien n’y fer ; la médaille où ils sont maintenant gravés a bien un renvers mais on ne la retourne jamais, tant la figure elle-même a un profil gracieux et sympathique.304

Probabilmente ad accreditare il pregiudizio secondo il quale i turchi sono un popolo pigro aveva in parte contribuito la «théorie des climats» di Montesquieu in cui egli affermava che gli abitanti delle regioni con climi caldi erano scarsamente predisposti all’attività lavorativa: «On a cependant assez généralement observé, que les habitants des

climats chauds étaient plus petits, plus secs, plus vifs, plus gais, communément spirituels,

moins laborieux, moins vigoureux.»305

Nerval ha poi approfittato della scelta operata dal suo personaggio di gustare cibi tipici per sottolineare alcuni aspetti della cultura orientale: per esempio, il fatto che i venditori egiziani, pur di non spendere denaro per nutrire i volatili, preferissero venderli vivi e lasciare che fossero gli acquirenti a dar loro da mangiare e a farli ingrassare; o ancora l’usanza diffusa di acquistare animali vivi al mercato e di ucciderli in seguito al fine di poter verificare direttamente l’identità della carne macellata.

Nel dialogo fra il protagonista e Mme Bonhomme, la proprietaria di un cabinet di lettura francese, emergerà come, dopo aver soggiornato a lungo in Egitto, egli avrà imparato ad apprezzare tutti i piatti della cucina araba a base dei prodotti che il territorio offre in natura, comprese le cavallette che inizialmente lo disgustavano:

Hélas! lui dis-je, je suis devenu tout à fait un Bédaouï (Arabe nomade); je mange très bien du dourah cuit sur une plaque de tole, des dattes fricassés dans le beurre, de la pâte d’abricot, des sauterelles fumées… et je sais un moyen d’obtenir une poule bouillie dans le désert, sans même se donner le soin de la plumer.306

L’autore opporrà l’atteggiamento del protagonista che desidera conoscere e gustare i piatti della tradizione orientale a quello dei gentlemen inglesi attenti a mantenere le proprie

304 P. Martino, L’Orient dans la littérature française, op. cit, p.62.

305 D. Diderot, J.-B. Le Rond d’Alembert, Encyclopédie ou dictionnaire raisonné des sciences, des arts et des

métiers, par une société de gens de lettres, Lausanne, Berne, 1782, t.VIII, p.151.

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abitudini gastronomiche anche all’estero. L’accusa loro rivolta sarà quella di etnocentrismo, ovvero quella particolare forma di universalismo che Todorov in Nous et

les Autres definisce nei seguenti termini: «il consiste à ériger, de manière indue, les valeurs

propres à la société à laquelle j’appartiens en valeurs universelles».307 Questi turisti,

timorosi di perdere la loro identità, saranno infatti disposti a pagare a caro prezzo carne di manzo e vitello in scatola pur di non assaggiare i prodotti naturali che l’Egitto ha da offrire:

C’est cette circonstance qui explique surtout la cherté des hôtels anglais, dans lesquels la cuisine se fait avec des conserves de viande et de légumes, comme sur les vaisseaux. L’anglais, en quelque pays qu’il soit, ne change jamais son ordinaire de roastbeef, de pommes de terre, et de porter ou d’ale.308

Vi è solo un episodio della sezione Les Nuits du Ramazan in cui il viaggiatore si mostrerà reticente ad uniformarsi alle tradizioni alimentari locali e l’autore non mancherà di “punirlo” rendendolo oggetto di derisione da parte di chi, al contrario, conosce le usanze del luogo.

Dato che l’acqua è una risorsa particolarmente rara a Costantinopoli, è possibile acquistarne flaconi e bicchieri di vario gusto secondo l’annata e la provenienza:

L’eau du Nil est la plus estimée, attendu qu’elle est la seule que boive le sultan; c’est une partie du tribut qu’on lui apporte d’Alexandrie. […] L’eau de l’Euphrate, un peu verte, un peu âpre au goût, se recommande aux natures faibles ou relâchées. L’eau du Danube, chargé de sels, plait aux hommes d’un tempérament énergique.309

Certamente per il protagonista abituato a disporre di acqua potabile in abbondanti quantità, quel commercio non è del tutto comprensibile e, all’occasione, preferisce evitare una scelta e chiedere una limonata. Al primo sorso, si accorge però che il liquido non ha niente a che vedere con la bevanda al gusto di limone che egli aveva immaginato di gustare. Solo in seguito, infatti, scoprirà che si tratta di un liquido venduto ai turchi di una certa età e il suo effetto permetterà loro di soddisfare le rispettive mogli alla fine del mese di astinenza dai piaceri sessuali previsto dal Ramazan. L’equivoco, dopo aver provocato il riso del commerciante che ha venduto al viaggiatore il misterioso prodotto, susciterà anche l’ilarità del lettore. Questo episodio, che contribuisce a dare all’opera quel tocco di salacità

307 T. Todorov, Nous et les autres, op. cit, p.19. 308 G. de Nerval, Voyage en Orient, op. cit, p.159. 309 Ivi, p.629.

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e di ironia tutte nervaliane, dimostra che la tendenza a tradurre tutto ciò che è estraneo secondo i codici della propria cultura è naturale ma rischia talvolta di indurre in inganno.

Il cibo non è soltanto fonte di nutrimento ma contribuisce anche a comunicare sentimenti e a creare legami di solidarietà. Il soggiorno in Libano del protagonista ne offre una chiara testimonianza tant’è vero che egli rimane positivamente colpito dalle ripetute manifestazioni di ospitalità dei suoi abitanti: «Je savais déjà que l’hospitalité a dans le Liban des habitudes plus qu’écossaises.»310 Il senso di accoglienza dei musulmani è uno

dei topoi diffusisi in Francia a partire dal XVIII secolo. Esattamente come il dispotismo e la tolleranza erano due volti della stessa medaglia, allo stesso modo lo saranno l’ospitalità e la pigrizia. Se Loti affermava: «La Turque des romans 1830? Narguilé, confitures et divan tous les jours»,311 al contrario Nerval non perderà occasione per mettere in evidenza

la predisposizione dei musulmani alla condivisione:

Chacun pouvait se présenter dans les maisons et prendre part aux repas qui s’y trouvaient servis. Pauvres ou riches, tous les musulmans occupant des maisons particulières traitent selon leur pouvoir les personnes qui viennent chez eux, sans se préoccuper de leur état ni de leur religion.312

Una citazione particolare merita infine la diffusione della consumazione del caffè secondo l’usanza musulmana di offrirne ai propri ospiti che divenne in Francia, a partire dal XVIII secolo, una vera e propria moda per far sfoggio di esotismo tanto che la bevanda venne addirittura definita: «liqueur arabesque ou bien si vous voulez turquesque».313

310 Ivi, p.422.

311 P. Jourda, L’exotisme dans la littérature française, Paris, 1938, p.182. 312 G. de Nerval, Voyage en Orient, op. cit, p.347.

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Capitolo V

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Di fronte alla necessità di comunicare con popolazioni che parlavano una lingua diversa dalla loro, i viaggiatori che raggiunsero le terre d’Oriente nel XIX secolo, assunsero atteggiamenti differenti: alcuni si ostinarono a non apprendere la lingua dei paesi di cui erano ospiti e preferirono ricorrere a guide locali; altri, fra cui Nerval, cercarono gradualmente di istruirsi. Nella maggior parte delle loro opere sono descritte le difficoltà che essi incontrarono nel corso dei loro itinerari: non solo essi dovevano interpretare codici verbali e paraverbali (gesti, mimica, postura) a loro estranei, ma anche tradurre i codici culturali che i segni linguistici veicolavano. Dal momento che rari erano gli intellettuali europei che prima di partire si cimentavano nello studio delle lingue parlate nei paesi che volevano raggiungere, al loro arrivo quasi tutti dovevano necessariamente ricorrere ai cosiddetti dragomanni per interagire con gli abitanti del posto.

1 La ricerca della comunicazione trasparente e i rischi dell’interpretariato

In origine i dragomanni lavoravano presso le ambasciate e i consolati o facevano da intermediari nelle trattative commerciali ai porti e alle dogane assicurando la comunicazione fra Oriente e Occidente. In Francia, in particolare, la professione di dragomanno risaliva al XVII secolo quando furono fondate a Costantinopoli, su iniziativa dell’allora ministro delle finanze Colbert, le Écoles des jeunes de langue. In questi istituti venivano formati interpreti di carriera che, terminati gli studi di latino, greco antico, arabo e turco, venivano inviati nei consolati dell’Impero ottomano dove, nel ruolo di mediatori linguistici, intercedevano a favore del proprio paese di origine nei negoziati commerciali fra Oriente e Occidente. Le competenze linguistiche di cui disponevano assicuravano loro un ruolo professionale di prestigio e le loro traduzioni determinavano l’esito dei negoziati. Tuttavia, il problema della comunicazione era di difficile soluzione poiché raramente gli interpreti presentavano le competenze richieste vista la vastità degli ambiti della traduzione. Sottomessi fin dalla nascita alle leggi del diritto ottomano e residenti in terre lontane dalla loro patria, inoltre, alla fine del XVIII secolo, questi “francesi turquisés” iniziarono ad essere guardati con crescente sospetto e la loro usanza di rivendere il brevetto d’interprete, il barat, ne mise in luce la diffusa venalità. Per trattare con missionari e ambasciatori, fiducia e competenza divennero le condizioni sine qua non del buon funzionamento dell’interpretariato.

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In breve tempo, il crescente numero di esploratori in Vicino-Oriente, fece sì che coloro che conoscevano sia le lingue orientali sia quelle europee, pur non avendo effettuato studi specifici in tal senso, si improvvisassero nel ruolo di guide. La comunicazione con i loro clienti richiedeva la conoscenza di un lessico basilare inerente le attività della vita quotidiana, i luoghi da visitare e i racconti e le leggende ad essi collegati. Così, alla figura del dragomanno ufficiale al servizio dei consolati, si affiancò quella del factotum che, oltre al ruolo di interprete, poteva svolgere all’occorrenza anche quello di guardia del corpo o di domestico. Forte della sua superiorità linguistica rispetto ai viaggiatori europei, secondo quanto riportato dai récits di questi ultimi, questo essere ibrido e dall’identità mutevole si divertiva spesso a vantare meriti che non aveva:

Tour à tour garçon épicier, commis chez un marchand de draps, apprenti chez un orfèvre, chez un apothicaire, il se dégoute de tout. Pétri de vanité, il se croit très instruit et destiné à devenir un grand personnage. Être libre, voyager, courir les aventures, voilà ce qu’il désire. Fier de parler les quatre langues du pays, de l’instruction variée qu’il a acquise dans ses divers apprentissages, il n’attend qu’une occasion favorable pour satisfaire ses penchants.314

Gli intellettuali della generazione romantica, oltre a denunciare la scarsa moralità e le limitate competenze professionali dei dragomanni, ne evidenziavano la vanità e la propensione ad impressionare il loro entourage, anche a costo di risultare ridicoli. Sarga Moussa in La Relation orientale, cita, per esempio, il caso di Joseph, l’interprete che accompagnava Chateaubriand durante il suo viaggio in Morea. Il suo aspetto fisico di piccolo uomo panciuto e il suo abbigliamento contrastavano con la sua volontà di imporsi portando le armi in modo ben visibile e ne restituivano un’immagine caricaturale.315

Nonostante le innumerevoli varianti con cui questo personaggio da commedia venisse rappresentato, egli incarnava il prototipo dell’anti-eroe:«Tenant à la fois du parasite et du fanfaron, il fait penser à certains valets de Molière.»316 Sempre pronto ad imbrogliare i propri padroni si dilettava ad indurli sistematicamente in errore invece di facilitar loro l’interazione con la cultura orientale come il suo ruolo avrebbe richiesto. Il più grave rischio che il viaggiatore correva affidandosi all’interprete era che egli capovolgesse la comunicazione a proprio vantaggio. Invece di tradurre fedelmente i messaggi che gli

314 A. Brayer, Neuf années à Constantinople, Bellizard, Paris, 1836, t.I p. 409.

315 S. Moussa, La Rélation orientale, Enquête sur la communication dans les récits de voyage en Orient

(1811-1861), Klincksieck, Paris, 1995, p.18.

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venivano trasmessi, egli poteva modificarli depistando gli interlocutori e monopolizzando l’interazione verbale:

Je vous donnerai seulement un conseil: vous ne savez pas l’arabe; n’employez pas le drogman pour parler avec votre esclave; il lui communiquerait de mauvaises idées sans que vous vous en doutiez, et elle s’enfuirait quelque jour; cela s’est vu.317

Secondo Sarga Moussa, tuttavia, è necessario tenere presente che queste rappresentazioni dei dragomanni probabilmente non sono del tutto realiste. Era infatti interesse dei viaggiatori screditare i propri interpreti ai quali invidiavano la capacità di comunicare verbalmente con l’alterità ad essi, al contrario, inaccessibile. Moussa ipotizza infatti che queste descrizioni negative fossero il frutto di una precisa strategia narrativa grazie alla quale gli scrittori avrebbero invertito i rapporti di forza a loro sfavorevoli nel corso della permanenza in Oriente.

Il protagonista di Voyage en Orient, ancora prima di essere sbarcato in Egitto, si rende conto che a separarlo dal mondo orientale, oltre al suo abbigliamento tipicamente europeo, è principalmente la sua incapacità di comunicare. «Oui, mes amis! c’est moi qui suis un barbare, un grossier fils du nord, et qui fais tache dans votre foule bigarrée.»318 Il termine barbaro con cui egli si qualifica, designa etimologicamente colui che balbetta e che è incapace di farsi comprendere correttamente. Questa espressione era stata utilizzata dagli antichi greci per indicare gli stranieri, ovvero coloro che non erano capaci di parlare correttamente la loro lingua e che non condividevano la loro cultura. L’aggettivo “barbaro” relegherebbe quindi il viaggiatore in una posizione d’inferiorità rispetto ai suoi interlocutori che, condividendo gli stessi codici linguistici, sono in grado di veicolare messaggi di senso compiuto. Una volta arrivato in Egitto egli dovrà necessariamente ricorrere ad una serie di mediatori che possano aiutarlo a familiarizzare gradualmente con il nuovo ambiente. Il primo fra essi sarà il dragomanno Abdallah. Fin dal suo primo

portrait letterario il personaggio viene qualificato come un essere ambiguo e dall’identità

fluida:

Une longue tunique blanche couvrait ses habits et faisait ressortir le ton de sa figure, où le sang nubien colorait un masque emprunté aux têtes de sphynx de l’Egypte: c’était sans doute le produit de deux races mélangées; de larges anneaux d’or pesaient à ses oreilles, et sa marche indolente dans ses longs

317 G. de Nerval, Voyage en Orient, op. cit, p.256. 318 Ivi, p.134.

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vêtements achevait d’en faire pour moi [Gérard] le portrait idéal d’un affranchi du Bas-Empire.319

Abdallah presenta caratteristiche conformi al suo prototipo letterario: è di origine multietnica e la seriosità della sua figura lascia presagire la sua vanità. Egli, inoltre, si fa accompagnare da altri due servitori più giovani ricreando una relazione gerarchica che gli consente di invertire i rapporti di forza che lo legano ai viaggiatori europei. I due uomini, infatti, hanno essenzialmente una funzione simbolica poiché il loro compito si esaurisce nel presenziare a fianco del dragomanno portando la sua pipa:

Mon drogman est un homme précieux, mais j’ai peur qu’il ne soit un trop noble serviteur pour un si petit seigneur que moi. C’est à Alexandrie, sur le pont du bateau à vapeur le Léonidas, qu’il m’était apparu dans toute sa gloire. Il avait accosté le navire avec une barque à ses ordres, ayant un petit noir pour porter sa longue pipe et un drogman plus jeune pour faire cortège.320

Se Abdallah si presenta al protagonista offrendosi di prestargli servizio, è solo perché a bordo del Léonidas, il battello a vapore in cui avviene il loro incontro, egli non ha trovato turisti inglesi: «Il n’y avait pas d’Anglais parmi les passagers; notre homme, un peu contrarié, s’attache à moi faute de mieux.»321 I britannici, infatti, pur di mantenere le

proprie abitudini europee, erano disposti a spendere ingenti somme di denaro negli alberghi in cui alloggiavano e non esitavano a pagare profumatamente i servitori che assumevano al loro servizio.

In seguito alla sconfitta inflitta alla flotta napoleonica dal comandante della Royal Navy Nelson nella battaglia di Abukir (1801), gli inglesi divennero oggetto di sarcasmo e di critiche da parte degli intellettuali francesi del XIX secolo e Nerval non farà eccezione. Il protagonista di Voyage en Orient, infatti, prenderà le distanze da questo modello di viaggiatore di cui denuncerà a più riprese la conoscenza superficiale dei luoghi visitati e l’insolente ricchezza di cui fa vanto:

[…] les divisions sociales si chères à cette nation libre [l’Angleterre] sont strictement observées sur le pont, comme s’il s’agissait d’un vaisseau de premier ordre. Les first places sont interdites aux passagers inférieurs, c’est-à- dire à ceux dont la bourse est la moins garnie, et cette disposition étonne parfois les Orientaux quand ils voient des marchands aux places d’honneur, tandis que des cheiks, des shérifs ou même des émirs se trouvent confondus avec les soldats et les valets.322

319 Ivi, p.157.

320 Ivi, p.157.

321 Ibid.

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Il vaporetto inglese che fa scalo nei diversi porti della Siria, riproduce una paradossale suddivisione gerarchica. Essendo i posti in prima classe molto costosi e di conseguenza accessibili soltanto ai gentlemen britannici, tutti gli altri passeggeri si trovano costretti, indipendentemente dal loro status sociale, a sedere in quelli di seconda categoria. Pertanto, questi turisti che viaggiano in grande stile non solo sono indifferenti agli usi delle popolazioni orientali, ma le corrompono diffondendo -e soprattutto imponendo- le loro abitudini: «Du moment que l’on a rencontré un de ces aimables voyageurs, on est perdu, la société vous envahit.»323

Gli inglesi, inoltre, sono in genere etichettati dagli intellettuali francesi come un popolo asociale ed egocentrico. Pur di non avere nessun contatto con gli abitanti delle terre che attraversano, nascondono il loro viso con spessi occhiali da sole e indossano diversi capi di abbigliamento gli uni sopra gli altri:

Le gentlemen a sur les yeux deux espèces de coques de noix en treillis d’acier