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La Siria e il Libano: terre di passaggio dall’Egitto a Costantinopoli

Gli ultimi tre capitoli di Les Femmes du Caire -La Cange, La Santa-Barbara e La

Montagne- in realtà non sono ambientati al Cairo. La loro funzione è principalmente quella

di costituire una transizione sia da un punto di vista geografico sia tematico fra il soggiorno nella capitale egiziana e quello in Libano che sarà oggetto della sezione Druses et

Maronites.

Due passi sono particolarmente degni di nota: il primo dimostra l’apertura mentale del viaggiatore e la sua disponibilità a rettificare il proprio punto di vista, il secondo sottolinea il suo desiderio di evitare deliberatamente itinerari turistici per ritrovare l’immaginario esotico che è andato a ricercare in Oriente.

Nel sottocapitolo Une fête de famille il protagonista effettua una descrizione del Cairo guardando la città dal mare mentre si trova a bordo della cangia, tipica imbarcazione a vela diffusa in Egitto per attraversare il Nilo, che dovrebbe condurlo fino a Beirut:

Je reconnais à ma droite les jardins des villas riantes qui bordent l’allée de

Choubraha ; les sycomores monstrueux qui la ferment retentissaient de l’aigre caquetage des corneilles, qu’entrecoupait parfois le cri sinistre des milans […]

J’oubliais l’obélisque d’Héliopolis […] J’aperçus de loin les lumières d’un café,

160 Ivi, p.246.

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nageant dans leurs flaques d’huile transparente ; l’accord strident du naz et du

rebab accompagnait cette mélodie égyptienne si connue : Ya teyli ! (O nuits).161

Le espressioni evidenziate e il tono lievemente malinconico dimostrano come tale città, inizialmente ostile al viaggiatore, sia invece diventata, al termine della sua permanenza, un luogo familiare. Se nella descrizione iniziale il Cairo era stato presentato come un vasto sepolcro, adesso le note dell’inno alla notte creano un’atmosfera struggente e lasciano intravedere la nostalgia del protagonista che abbandona quelle terre ormai a lui care. Una sensazione analoga sarà quella provata da Flaubert circa dieci anni dopo al suo arrivo in Oriente, non alla sua partenza. In una lettera alla madre descriverà l’impressione di assistere alla materializzazione di un sogno giovanile a cui la realtà orientale aderisce perfettamente:

Tu me demandes si l’orient a étè à la hauteur de ce que j’imaginais. A la hauteur, oui, et de plus il dépasse en largeur la supposition que j’en faisais. J’ai trouvé dessiné nettement ce qui pour moi était brumeux. Le fait a fait place au pressentiment, si bien que c’est souvent comme si je retrouvais tout à coup des vieux rêves oubliés.162

I ricordi delle letture consentono all’autore di percepire inizialmente le Terre del Sole come uno spazio già noto che l’immaginazione ha a lungo preparato: «Je crois que […] je suis né ailleurs, car j’ai toujours eu comme des souvenirs ou des instincts de rivages embaumés, de mers bleues.»163 Le prime luci di un porto d’Oriente avvistate dal mare

risvegliano in Flaubert un sentimento di meravigliata sorpresa di fronte all’atmosfera familiare che lo accoglie. L’apparizione di una terra che si profila all’orizzonte sembra emergere direttamente dalle profondità della sua memoria. In realtà l’emozione iniziale lascerà spazio, dopo un periodo trascorso in quelle terre, alla volontà di smentirne ogni rappresentazione idealistica: “la realtà non si sostituisce al sogno, ma lo consuma, lo sporca, ne smaglia il tessuto, lasciandone gli sparsi frammenti brillare per terra.”164 Alla

luminosità dei colori che abbaglia il viaggiatore al suo arrivo si sostituirà «la couleur grise de la terre, des tombeaux, des mosquées.»165 Le Terre del Sole non sono altro che un cumulo di cenere.

161 Ivi, p.338.

162 G. Flaubert, Correspondance, op. cit., p.562. 163 Ivi, p. 76.

164 L. Pietromarchi, L’illusione orientale, op. cit, p.130. 165 G. Flaubert, Voyage en Orient, op. cit, t.X, p.460.

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Ben diversi sono l’atteggiamento propositivo e l’originalità delle scelte di Nerval dimostrati dalla sua decisione di percorrere itinerari alternativi come risulta dal desiderio del suo personaggio di raggiungere il delta del Nilo passando dal ramo di Damietta piuttosto che da quello di Rosetta, percorso dalla maggior parte dei turisti:

Nous voguions désormais sur la branche orientale di Nil, c’est-à-dire sur le véritable lit du fleuve; car la branche de Rosette, plus fréquentée des voyageurs d’Europe, n’est qu’une large saignée qui se perd à l’occident.

C’est de la branche de Damiette que partent les principaux canaux deltaïques ; c’est elle aussi qui présente le paysage le plus riche et le plus varié. Ce n’est plus cette rive monotone des autres branches, bordée de quelques palmiers grêles, avec des villages bâtis en briques crues, et ça et là des tombeaux de santons égayés de minarets, des colombiers ornés de renflements bizarres, minces silhouettes panoramiques toujours découpées sur un horizon qui n’a pas de second plan ; la branche de Damiette traverse des partout des campagnes fécondes ; les palmiers sont plus beaux et plus touffus ; les figuiers, les grenadiers et les tamarins présentent partout des nuances infinies de verdure […] Tout papillote, étincelle et bruit, sans tenir compte de l’homme, car il ne passe pas là dix Européens par année.166

Le rive del fiume vengono descritte come un locus amoenus proprio perché la natura vi è rimasta intatta e non è stata danneggiata dalla mano dell’uomo. Per questo stesso motivo il paesaggio descritto, carico di couleur locale e di esotismo, non riprende i toni tipici del “pittoresco” secondo l’accezione attribuita a questo termine a metà del XVIII secolo. Come spiega Francesco Fiorentino, nel suo studio Dalla geografia all’autobiografia:

viaggiatori francesi in Levante, il paesaggio “pittoresque” aveva assunto delle

caratteristiche codificate e dei connotati ben precisi trasponibili dalla letteratura alle arti visive: piante variegate dovevano creare un ambiente verdeggiante ma al contempo rassicurante in cui doveva essere presente un corso d’acqua e montagne o boschetti dovevano spezzare la linea d’orizzonte. Per viaggiatori come Volney, infatti, solo in una natura addomesticata era possibile sfuggire alla sensazione di smarrimento e di finitudine umana. Al contrario, per il protagonista di Voyage en Orient è proprio un paesaggio selvaggio, da cui l’Occidente è tagliato fuori, che può dar luogo alla rêverie romantica.

Nel capitolo IV.1.1 è stato evidenziato come, rispetto all’Itinéraire di Chateaubriand, in

Voyage en Orient dominino le sequenze narrative rispetto a quelle descrittive. Il capitolo La Cange, appena analizzato, e quello intitolato La Santa Barbara, che sarà esaminato

adesso, sembrerebbero mettere in luce il contrario. Questo è dovuto al ruolo inevitabilmente passivo che il viaggiatore assume durante la traversata del Nilo e del

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Mediterraneo. La flânerie è ovviamente impossibile a bordo delle imbarcazioni e l’unica cosa che può “vagare” è quindi lo sguardo del protagonista che trasmette al lettore non solo l’immagine dei paesaggi osservati ma anche i sentimenti da lui provati.

Durante l’itinerario dall’Egitto alla Siria è più volte sottolineato il contrasto fra la «nature monotone et brûlée de l’Egypte» e «l’air vivifiant de l’Asie».167 Mano a mano che

la Santa Barbara avanza e la terra d’Egitto si allontana, il viaggiatore è colto da sentimenti contrastanti: da una parte si sente afflitto da una sensazione di profonda nostalgia, dall’altra, l’idea di andare alla scoperta dell’ignoto, lo affascina e gli restituisce un nuovo slancio vitale. Guardando il sole che tramonta in direzione di Alessandria, saluta «cette frange de sable qui encadre si tristement la vieille Egypte» e accoglie «l’étoile du soir, […] Astarté, l’antique déesse de Syrie».168 Dopo alcuni giorni di navigazione, raggiunge le

coste della Palestina, terra bagnata dall’acqua blu del mare e rinfrescata dall’aria pura delle montagne che si ergono nell’entroterra: «voilà ce que l’Egypte n’offre jamais avec ses côtes basses et ses horizons souillés de poussière.»169 Grazie allo sguardo del viaggiatore,

il lettore percorre il litorale che si estende dal Monte Carmelo al Libano di cui più volte è sottolineata la freschezza del paesaggio:

Voilà Beirut par un temps calme. C’est l’Europe et l’Asie se fondant en molles caresses: c’est pour tout pèlerin un peu lassé du soleil et de la poussière, une oasis maritime où l’on retrouve avec transport, au front des montagnes, cette chose si triste au nord, si gracieuse et si désirée au midi, des nuages!170

Se l’Egitto nelle Femmes du Caire era stato presentato come una terra «ensevelie sous la poussière» e solo abitandovi il protagonista era riuscito ad apprezzarne le bellezze nascoste, al contrario la Siria, che apparentemente sembra una terra meno enigmatica, manifesterà al suo interno numerose contraddizioni. La città di Beirut è infatti piena di elementi contrastanti e nelle descrizioni si moltiplicano le dicotomie: l’Egitto e la Siria, i francesi e i turchi, i maroniti e i drusi, gli inglesi e i francesi, il mondo biblico e quello mitologico:

C’est encore la physionomie d’une ville arabe de l’époque des croisades: seulement l’influence européenne se trahit par les mâts nombreux des maisons consulaires, qui, le dimanche et les jours de fête, se pavoisent de

167 Ivi, p.341.

168 Ivi, p.351. 169 Ivi, p.372. 170 Ivi, p.373.

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drapeaux. Quant à la domination turque, elle a comme partout appliqué là son cachet personnel et bizarre.171

Durante il suo soggiorno in Libano, che dal punto di vista geografico costituiva all’epoca la zona montuosa della Siria, il protagonista scoprirà la complessa situazione politica di quelle terre, da anni oggetto di disputa fra potenze europee -in particolare Francia e Inghilterra- e Impero ottomano. Inoltre, non solo potrà osservare usi e costumi delle popolazioni delle montagne, ma avrà anche modo di esaminare da vicino la composizione etnica e religiosa del Paese. In quella regione coabitano diverse comunità e ognuna vi conduce uno stile di vita fondato su tradizioni diverse.

Già Lamartine nella sezione Peuplades du Liban di Voyage en Orient aveva descritto le quattro comunità etniche principali del paese: maroniti, drusi, metuali e ansari. I drusi, secondo alcuni studiosi occidentali, erano cristiani e discendevano dai crociati, altri ritenevano che quel culto fosse semplicemente uno scisma dell’Islam. Opinioni così divergenti erano dovute essenzialmente alla singolare tradizione detta Taggyya172 che consentiva loro di praticare il culto di tutti i popoli con cui venivano a contatto. I maroniti presentavano tratti somatici tipicamente arabi ma avevano adottato la fede cristiana. I metuali erano divisi in sciiti, appartenenti alla setta di Alì, e sunniti, seguaci di Omar. Infine gli ansari rintracciavano le origini del proprio culto in India.173 In passato questa commistione etnico-religiosa aveva reso il Libano teatro di sanguinosi combattimenti ma due dei principi della montagna, Fakhr al-Din e Béchir (Baschir Shihab II), erano riusciti a mantenere per molti secoli un clima relativamente pacifico fra le popolazioni di confessione diversa che vi risiedevano. Questo era stato possibile grazie all’ambiguità del credo religioso da essi abbracciato:

On se demande quelquefois comment les souverains du Liban parvenaient à s’assurer la sympathie et la fidélité de tant de peuples de religions diverses. À ce propos, le père Adam me disait que l’émir Bechir [Baschir Shihab II] était chrétien par son baptême, Turc par sa vie et Druse par sa mort, ce dernier peuple ayant le droit immémorial d’ensevelir les souverains de la montagne.174

171 Ivi, p.388.

172 “Taggiyya”. Nella religione islamica, la dissimulazione della fede, ammessa in caso di grave pericolo

dalla legge sacra. La maggiore applicazione di questo concetto ha luogo da parte dei musulmani sciiti anche nei riguardi della maggioranza sunnita. http://www.treccani.it/enciclopedia/taqiyya

173 A. de Lamartine, Voyage en Orient, op.cit, pp.483-496.

174 G. de Nerval, Voyage en Orient, op. cit, p.435. Vedi anche Lamartine, Voyage en Orient in Œuvres, t.I,

Hachette, Paris, 1855: «L’émir Beschir est lui-même chrétien et même catholique, ou plutôt, il est comme la loi dans tous les pays de tolérance, il est de tous les cultes officiels de son pays : musulman pour les musulmans, Druze pour les Druzes, chrétien pour les chrétiens. Il y a chez lui des mosquées et une église».

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L’adozione di una politica flessibile e del sincretismo religioso emerge anche dal palazzo di Beit-Eddin, storica dimora degli emiri della montagna, in cui Béchir aveva fatto costruire una chiesa, una moschea e un khaloué (tempio druso). Quando il protagonista percorre il Libano, questo sta attraversando una fase di profonde trasformazioni politiche poiché il clima di relativa serenità fra le popolazioni locali, in particolare fra drusi e maroniti, è venuto meno a causa delle spinte egemoniche delle potenze europee a partire dagli anni trenta del XIX secolo. In seguito, nel 1840, l’intervento armato dell’Inghilterra aveva costretto gli Egiziani, guidati da Ibrahim Pacha, ad evacuare Libano e Siria e le potenze europee, compresa la Francia, d’accordo con la Porta ottomana, a dotare la regione di un nuovo assetto amministrativo: il controllo del distretto del nord era stato affidato ad un kaimakan maronita mentre quello a sud ad uno druso. Questa nuova organizzazione politica aveva generato numerosi scontri fra drusi e maroniti di cui il protagonista sarà testimone, per esempio, in occasione della sua visita al villaggio di Betmerie: «Cette disposition a l’inconvénient d’entretenir entre les deux peuples un antagonisme d’intérêts et d’influences qui n’existait pas lorsqu’ils vivaient réunis sous un même prince.»175 Agli

occhi del viaggiatore quindi la religione diventa fonte di intolleranza fra popoli solo quando i conflitti politici che affliggono internamente le società orientali sono strumentalizzati dall’esterno e le differenze fra culti religiosi vengono sfruttate per fomentare le controversie.

Egli è predisposto, come un tempo i principi del Libano, ad accogliere tutte le religioni e pertanto ritiene che il suo credo si confaccia maggiormente alla religione drusa che opera un sincretismo di diversi culti. Al termine del suo viaggio si sentirà propenso a credere a tutto e ad ammettere tutto: nessuna religione può pretendere di avere il monopolio della verità ma ciascuna di esse ne contempla una parte:

Dois-je me défendre auprès de toi de mon admiration successive pour les religions diverses des pays que j'ai traversés? Oui, je me suis senti païen en Grèce, musulman en Egypte, panthéiste au milieu des Druses et dévot sur la mer aux astres-dieux de la Chaldée. Mais à Constantinople, j'ai compris la grandeur de cette tolérance universelle qu'exercent aujourd'hui les Turcs.176

Il viaggiatore ama ritrovare in un stesso luogo le tracce dei culti religiosi che vi si sono succeduti: ai piedi del Monte Libano le ambientazioni di alcune scene bibliche come la roccia su cui fu ucciso Abele e il sepolcro di Chanaan; la dimora di Venere e Adone,

175 G. de Nerval, Voyage en Orient, op. cit, p.435. 176 Ivi, p.790.

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divinità italiche; infine, la grotta in cui San Giorgio uccise il drago, luogo adorato dai greci e presso il quale sorge anche una piccola moschea costruita dai turchi. Quindi, per il protagonista non è il credo di per se stesso a creare un ostacolo all’incontro fra Oriente e Occidente o fra popoli diversi di una stessa civiltà ma sono piuttosto gli interessi politici che non sempre si armonizzano con l’ideale della tolleranza. Atteggiamento ben diverso da quello adottato da Chateaubriand nell’Itinéraire, che vedeva nella religione cristiana l’unica confessione in grado di accordare un vero valore alla persona e pertanto l’unica su cui fosse possibile fondare una solida teoria della libertà. Per l’autore dei Mémoires

d’outre-tombe il viaggio in Oriente aveva contribuito a politicizzare ulteriormente il suo

pensiero religioso tanto che egli si era addirittura pronunciato a favore di una nuova crociata:

Il s’agissait […] de savoir qui devait l’emporter sur la terre, ou d’un culte ennemi de la civilisation, favorable par système à l’ignorance, au despotisme, à l’esclavage, ou d’un culte qui a fait revivre chez les modernes le génie de la docte antiquité, et aboli la servitude.177

Nella sezione Druses et Maronites, il tema politico-religioso si intreccia poi a quello romanzesco e, attraverso un espediente letterario, viene realizzata la transizione al capitolo successivo, Les Nuits du Ramazan, ambientato a Costantinopoli. Il protagonista è coinvolto in una serie di avventure per la liberazione dello sceicco druso Eschérazy al quale desidera chiedere la mano della figlia Salèma ma, proprio quando ottiene il consenso di unirsi in matrimonio con la ragazza drusa, contrae una brutta febbre che lo costringe a lasciare il paese e ad intraprendere un viaggio verso la capitale ottomana.